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Autore: S O N I A    06/08/2014    0 recensioni
Ci sono situazioni che i tuoi genitori ti hanno insegnato ad affrontare, momenti in cui puoi semplicemente chiedere aiuto per risolvere un problema, volte in cui si può lottare per raggiungere un obbiettivo.
Ma che fare quando non puoi permetterti di fidarti degli altri? Quando ogni secondo può essere l'ultimo? Quando lotti con tutto te stesso senza sapere dove tutto questo ti porterà?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La confessione

«No ti prego, no, no, no resta con me ti prego!» In quel momento nulla contava tranne lui.

Né le luci lampeggianti che si avvicinavano, né la sirena il cui suono le arrivava ovattato e neanche quelle voci indistinte che cercavano di convincerla ad abbandonarlo.

Ma lei non lo avrebbe fatto mai. MAI.


Cristina aprì gli occhi di scatto.

Il suo cuore batteva a mille, aveva il fiatone e l'adrenalina le scorreva a fiotti nelle vene.

Si accorse solo in un secondo momento che Federico era chinato su di lei con la fronte aggrottata per la preoccupazione.

«Era solo un sogno Cris, calmati. Va tutto bene adesso»

La ragazza annuì ancora agitata mentre cercava di rallentare il respiro.

«Si, lo so» disse quando riuscì a riprendere fiato «mi capita spesso».

Si mise a sedere e fissò lo sguardo nel vuoto pensando che, dopo tutto, quella era una punizione fin troppo indulgente per quello che aveva fatto.

«Penso che, si insomma...» la voce di Federico era incerta e quando Cristina si voltò per guardarlo in faccia ritrovò lo stesso timore nei suoi occhi «ecco, penso che dovremmo parlare di quello che hai scoperto ieri».

Inizialmente la ragazza non capì a cosa si stesse riferendo ma poi tutto le tornò in mente.

«Si, si hai ragione» cercò di radunare tutto il coraggio che riusciva a trovare per affrontare quella conversazione e dopo un respiro profondo cominciò ad esporre i suoi dubbi a Federico: « Ieri mi hai detto che sono intrappolata in un luogo che io stessa ho creato. Ma se fosse davvero così non dovrei esserne consapevole? Quando mi sono svegliata nella stanza bianca non ricordavo come ci fossi finita e anche in questo momento, per la verità, non ne ho idea.»

Federico tacque qualche secondo prima di rispondere «Non sono un esperto ma non penso che funzioni così. Credo che sia stato il tuo inconscio a creare questo posto, per proteggerti da una situazione che forse non eri nemmeno consapevole di non riuscire ad affrontare. È stato qualcosa di istintivo».

Cristina si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e in dietro «Ok e allora come faccio a uscire di qui? Come posso fuggire da questo...questo Limbo?».

Federico esitò un instante che a Cristina parve lunghissimo «Devi affrontare i tuoi demoni, perdonare te stessa per gli avvenimenti del tuo passato, e quando ci riuscirai sarai in grado di ricordare come sei arrivata fino a questo punto» il bambino sospirò come se il peso del mondo premesse sulle sue spalle « Credo che il primo passo da fare sia parlare di quello che è accaduto».

Cristina si fermò all'improvviso e dando le spalle alla sua piccola guida cercò di trovare le parole adatte per spiegargli che non poteva parlare di quello che aveva fatto, che ci aveva provato moltissime volte con i suoi genitori, con i suoi vecchi amici e poi con numerosi terapisti a cui non importava niente di lei, ma che era sempre riuscita a raccontare quella storia solo fino ad un certo punto.

Cercò di pensare a come avrebbe potuto fargli capire che dopotutto conservava ancora l'insensata speranza che finché non avesse finito quel racconto esso sarebbe stato meno reale.

Ma tutto quello che disse alla fine fu:«Penso che sia ora di rimetterci in marcia. Si sta facendo tardi».

Non aspettò la risposta di Federico e cominciò a camminare, come se la sua vita dipendesse solo da quello.

Federico la stava seguendo, sentiva i suoi passi leggeri che cercavano di mantenere il passo.

Non si girò, non parlò.

Tutto quello che fece fu rallentare poiché era convinta che se non lo avesse fatto il suo piccolo compagno di viaggio avrebbe perso un piede durante il tragitto.

I giorni seguenti si svolsero in una pace temporanea che a Cristina sembrava fin troppo simile alla cosiddetta quiete prima della tempesta. Nessuno dei due aveva accennato ad aprir bocca. La ragazza si era aspettata di essere tempestata da domande o da parole insistenti, ma Federico aveva fatto qualcosa che nessun altro, nemmeno i suoi genitori, aveva nemmeno mai tentato di fare: le aveva concesso dello spazio, le aveva concesso tempo e aveva rispettato la sua decisione di rimanere in silenzio.

Smise di camminare e quando Federico si girò verso di lei con uno sguardo interrogativo, le parole cominciarono a uscire una ad una dalla sua bocca, finché non fu più in grado di fermarsi.

«La mia...» la sua voce era roca per il poco utilizzo «la mia famiglia non è mai stata perfetta. I miei sono molto stimati sia dai colleghi che dagli amici ma non sono mai stati molto bravi come genitori; sono entrambi dei dottori molto impegnati e spesso non avevano tempo per occuparsi di mio fratello e me, così venivamo affidati alla tata di turno, che spesso si limitava a metterci davanti alla televisione con la cena e poi a spedirci a letto.

Tutto sommato, però quella vita non era male; insomma, non eravamo i bambini più coccolati del mondo ma quando i miei passavano del tempo con noi erano sempre gentili e amorevoli, riuscivano a farsi perdonare per tutte le loro assenze.

Quando cominciammo a crescere le cose diventarono più difficili» Cristina allacciò le mani in grembo cercando di fermare il tremito e, con un profondo respiro, continuò «Ero abituata a cavarmela da sola ma non ero preparata a quelle aspettative, quella pressione; tutto era diventato un test, una prova da superare, un ostacolo che mi separava dal rendere orgogliosi i miei. “se alla prossima verifica prenderò il massimo mia madre mi sorriderà come faceva quando ero piccola” mi ripetevo ogni volta che passavo la notte a studiare “se nella competizione di ginnastica artistica di domani arriverò al primo posto forse mio padre troverà il tempo per stare un po' con me e capirà di volerlo fare più spesso” mi dicevo per consolarmi quando ero costretta a rifiutare l'invito ad uscire delle mie amiche per restare in palestra ad allenarmi fino a tardi. Ho sempre dato il massimo, in ogni cosa, ma tutto quello che ottenevo dai miei era un sorriso mesto e poco sincero, oppure un atteggiamento di indifferenza, come se gli eccellenti risultati che ottenevo fossero del tutto dovuti, qualcosa di ovvio che non comprendeva una ricompensa.

«Mio fratello, Federico, aveva smesso di tentare di compiacere i miei e spesso cercava di convincermi che era tutto inutile e che l'unica che dovevo cercare di rendere felice ero io.

Non gli ho dato retta, ed è stato questo a rovinarci tutti.

«Una serata di gennaio i miei genitori invitarono alcuni amici a cenare a casa nostra e ad un certo punto, non so come, la conversazione si spostò sul figlio dei nostri ospiti. Si cominciò a parlare dei suoi successi a scuola, a nuoto, del suo carattere aperto e sincero che gli rendeva facile farsi degli amici e della sua intraprendenza. Marco, così si chiamava il ragazzo, non si limitava a fare ciò che ci si aspettava da lui, era un tipo molto curioso e aveva fretta di imparare a fare cose che normalmente vengono insegnate più avanti, nel corso degli anni. E fu' così che per la prima volta provai invidia per qualcuno. Marco divenne la mia ossessione, non tanto per il fatto che sembrasse il ragazzo d'oro, qualcuno che non commette errori, che non ha bisogno di sforzarsi per essere ammirato, quanto per lo sguardo che aveva mio padre quando i suoi amici ne stavano parlando.

Nei suoi occhi vidi desiderio.

Lui avrebbe voluto avere un figlio del genere, perfetto.» Federico era di fronte a lei e la stava guardando con dolcezza, non c'era insistenza o impazienza del suo sguardo, ma solo comprensione e tristezza. I suoi occhi sembravano dire: “Io ti sono vicino, e credo in te. Non sarò deluso da te se non riuscirai a finire il racconto, so quanto è difficile e non voglio forzarti”.

Cristina inspirò profondamente e riprese il racconto: « Quella sera decisi che anch'io sarei stata una figlia perfetta; così, una notte andai in camera di mio fratello e lo svegliai pregandolo di aiutarmi. Volevo imparare a guidare la macchina prima del tempo, volevo essere intraprendente.

All'inizio Federico cercò di farmi ragionare dicendo che era notte fonda e che sarebbe stato meglio riprendere il discorso la mattina seguente, ma io non volli ascoltarlo.

Alla fine, dopo aver ascoltato le mie ragioni e avermi fatto promettere che quello sarebbe stato l'ultimo tentativo di rendere orgogliosi i miei, che se non avesse funzionato avrei cominciato a pensare solo alla mia felicità, mio fratello acconsentì ad aiutarmi.

Fu tutto perfetto. Dopo essermi allenata di notte per interi mesi, una mattina, Federico mi disse che ero pronta per mostrare ai nostri genitori ciò di cui ero capace.

Io gli credetti, all'inizio pensai che avesse ragione e che più brava di così non sarei mai diventata, ma prima di sera divenni molto insicura e così, prima che i miei tornassero dal lavoro chiesi a Federico di farmi guidare un'ultima volta.

« La mia insicurezza fu la mia condanna. L'agitazione per quello che mi aspettava quella sera mi impediva di concentrarmi sulla guida.

Federico, seduto come passeggero, cercò più volte di tranquillizzarmi e di aiutarmi a guidare meglio, ma fu tutto inutile.

Cominciammo entrambi ad urlare e io mi distrassi ancora di più...» Cristina si accasciò sull'erba e si coprì il viso con le mani. Non era mai riuscita ad arrivare fino a questo punto della storia ma non aveva ancora terminato di raccontare e non poteva certo fermarsi ora che era vicina al traguardo!

Alzò gli occhi appannati dalle lacrime e guardò Federico, che le si era seduto vicino per cercare di confortarla.

« Quella notte ci fu un tragico incidente. Persi il controllo della macchina e andammo contro ad un'altra automobile che stava avanzando. L'ultima cosa che ricordo di quella sera sono i fari gialli di una Picasso che incombono su di me.» Cristina emise un respiro tremante nel tentativo di riprendere il controllo e, con le lacrime che le solcavano le guance, continuò: « Quando mi svegliai in un letto d'ospedale qualche giorno dopo scoprii che mio fratello era morto sul colpo.

Fu mia madre a darmi la notizia, lo fece con le lacrime agli occhi.

Non avevo mai visto mia madre piangere prima d'allora, forse non aveva mai pianto in vita sua.

Le settimane che seguirono l'incidente non proferii parola, non osai aprir bocca per paura di non riuscire a trattenere un urlo isterico, di quelli che non si è più in grado di fermare.

I miei genitori da allora furono sempre con me, non mi lasciavano da sola un momento, forse per la paura che potessi suicidarmi. Ero riuscita a conquistare la loro attenzione, le oro premure nel modo peggiore che esisteva.
Avevo ucciso mio fratello, il mio migliore amico; avevo ucciso con le mie mani l'unica persona che c'era sempre stata per me, l'unico che mi aveva sempre amata incondizionatamente, l'unico a cui avrei affidato senza riflettere la mia vita.»
   
 
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