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Autore: Fwooper    07/08/2014    1 recensioni
Cos'è che muove il mondo? C'è chi dice l'amore, chi il destino, qualcuno si azzarda a dire che sia la musica...
I protagonisti di questa storia si conoscono proprio tramite la musica e attraverso questa trovano l'amore e adempiono al loro destino.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caldo, mare, fuoco, cinque amici e una chitarra.
Tipica serata estiva passata tra amici intorno ad un falò. La serata era limpida, le stelle splendevano luminose in cielo, e una bottiglia di vodka passava tra le loro mani.
Una piacevole sinfonia giungeva dalla chitarra che era tra le mani del giovane Gabriele, esso era un ragazzo basso ma dal fisico prestante, occhi blu cielo, con corti capelli castano scuro e labbra carnose. Era un tipo molto taciturno e all’apparenza poteva sembrare anche un po’ snob e altezzoso, ma se lo si imparava a conoscere risultava un ragazzo meraviglioso.
Accanto a lui vi era seduto un ragazzo alto, dal fisico possente, Marco. Una barba incolta nera gli incorniciava il volto, mentre i lunghi capelli neri gli venivano scompigliati da una leggera brezza. Due lucenti occhi cioccolato fondente erano puntati sul fuoco, era alquanto pensieroso, quell’atmosfera lo faceva riflettere anche se, lentamente, la vodka cominciava ad appannargli la mente.
Poco distante con un sorriso ebete, da ragazzo innamorato, c’era Daniele. Il ciuffo arruffato castano chiaro gli ricadeva sull’occhio destro, mentre si protendeva verso il fuoco per arrostire un marshmallow, gli occhi verde scuro erano sognanti nelle sue iridi si riusciva a vedere il viso della sua fidanzata che non vedeva da tempo. Non era molto alto e aveva un fisico alquanto esile.
Poco distanti due ragazzi sedevano confabulando tra di loro. I due erano Louis e Roberto, amici di vecchia data, il loro era un rapporto quasi fraterno.
Louis era un ragazzo alto con occhi verde scuro che, sulla sua carnagione pallida, risplendevano come smeraldi, corti capelli biondi si congiungevano con una leggera barba dello stesso colore, un fisico atletico si intravedeva dalla camicia semiaperta. Il suo aspetto gli faceva avere molto successo con le ragazze.
Roberto anche lui alto, con occhi cangianti che all’ombra erano azzurro cristallino e alla luce del sole potevano risultare verde acqua, dei morbidi riccioli castano chiaro ricadevano lunghi quasi sulle spalle, ed aveva un fisico alquanto muscoloso sebbene fosse magro.
I tre amici quasi non facevano caso che Roberto e Louis parlottavano in maniera strana.
Le labbra di Louis si avvicinarono all’orecchio dell’amico.
<< Devo parlarti… >>
Disse in un sussurro, gli occhi cangianti del ragazzo si puntarono in quelli dell’amico.
<< Dimmi… >>
Il suo tono era alquanto sorpreso e il suo sguardo perplesso, Louis quindi si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi.
<< Non qui… Vieni a fare due passi… >>
Si alzò e aspettò che il ragazzo facesse altrettanto, e quanto Roberto lo imitò si avviò verso la riva del mare.
 
Gli occhi di Marco si spostarono dal fuoco alle figure degli amici, quindi diede una gomitata a Gabriele.
<< Dove stanno andando quei due froci? >>
L’effetto dell’alcool cominciava ad essere evidente, e i due amici alle sue parole risero di gusto.
Gabriele quindi guardò l’amico e smise di suonare.
<< Non so, stanno sempre insieme… Vorranno fare un giro… E non chiamarli froci! È razzista nei confronti degli omosessuali! >>
L’amico quindi lo spinse nuovamente e rise ancora.
<< Gabriè ma sei proprio un coglione! >>
Guardò nuovamente il fuoco pensieroso e sospirò.
<< Adesso ci vorrebbe proprio una canna… >>
Daniele annuì con il capo.
<< Si… Hai proprio ragione… E tu non l’hai portata?! >>
Marco lo guardò un po’ perplesso.
<< Ma secondo te, se avessi avuto dell’erba, non starei già a fumà?! >>
L’amico annuì ancora con il capo tristemente.
 
I due amici camminavano lentamente sulla riva mentre Louis, osservava nervosamente la superficie appena increspata del mare.
<< Dunque… >>
Tossicchiò per prendere ancora un po’ di tempo, mentre Roberto lo guardava preoccupato.
<< Louis è importante? Mi devo preoccupare oppure mi stai facendo perdere tutta la vodka per una cazzata? >>
Torturandosi le mani con nervosismo crescente Louis continuava a camminare silenziosamente.
<< No… è importante… O almeno lo è per me… >>
Roberto quindi si fermò e lo afferrò per le spalle, costringendolo a guardarlo negli occhi.
<< Parla. >>
Louis quindi inspirò profondamente e, senza pensarci, prese il volto dell’amico tra le mani e gli diede un passionale bacio. Roberto rimase alquanto scioccato e perplesso, non sapeva bene cosa fare, e dopo essere rimasto un po’ fermo, si tirò indietro con uno scatto.
<< Che cazz… >>
<< Roberto io credo di provare qualcosa di più di un’amicizia nei tuoi confronti. >>
 
I ragazzi intorno al falò continuarono a bere, la musica era cessata, e ormai da sottofondo erano rimaste solo le risa dei ragazzi.
<< Aò Daniè! Te va de fà na scommessa?! >>
Disse Marco ironico, l’amico era ubriaco perso e lui si divertiva sempre a fargli fare cose stupide.
<< Fammè vedè se c’hai er coraggio de buttattè a mare tutto nudo! Se o’ fai te offro na’cena! >>
Daniele quindi si alzò e, dopo aver fatto uno spogliarello sexy lanciando i suoi vestiti addosso agli amici, intonando “Sex bomb” , fece una corsa verso l’acqua tuffandosi a bomba.
Gabriele osservò la scena divertito, poi si rivolse a Marco.
<< Ma guarda questo che fa per una cena… Lo vado a recuperare… >>
Così dicendo si alzò e si avvicinò alla riva.
<< DANIELEEEE VIENI QUAAA!! >>
L’amico nuotando si avvicinò alla riva e cominciò a ridere.
<< Devo proprio? >>
Gabriele lo guardò perplesso.
<< SALI IDIOTA!! >>
Urlò ancora, Daniele controvoglia uscì dall’acqua barcollante, subito l’amico gli si avvicinò e gli diede una mano a tornare vicino al falò.
<< Aò Daniè, quanto ce l’hai piccolo!! >>
Disse Marco non appena vide arrivare l’amico.
Daniele ignorò Marco e afferrò l’asticella con la quale stava arrostendo le caramelle e improvvisò un concerto.
<< In radio c’è un pulcino!! In radio c’è un pulcino! È il pulcino pioo, è il pulcino piooo, il pulcino piooo!! >>
Marco e Gabriele scoppiarono a ridere.
<< Daniè niente più cena dopo stà canzone!! >>
Gabriele spintonò Marco lanciando poi il jeans all’amico.
<< Vestiti cretino! >>
Disse continuando a ridacchiare.
 
Roberto lo guardò incredulo, non poteva credere che il ragazzo che aveva considerato la sua famiglia gli avesse detto una cosa del genere. Come avrebbero fatto?
Da quando i suoi genitori erano morti lasciandolo solo, Louis era stata la sua ancora di salvezza. E adesso gli stava dicendo una cosa del genere.
Quel bacio aveva cambiato tutto, niente sarebbe stato più lo stesso tra di loro.
<< Louis… Io… Tu… Tu per me sei come un fratello… Sei stato l’unico a restarmi realmente accanto quando i miei sono morti, e adesso mi dici una cosa del genere?! >>
La sua voce era alquanto acuta e spaventata.
<< Se non fosse stato per te sarei sprofondato nel baratro più nero. >>
Louis quindi lo stoppò abbracciandolo.
<< Non devi dirmi niente adesso, prenditi un po’ di tempo per pensare… >>
Roberto quindi lo guardò ancora più perplesso e senza rispondere si voltò per tornare al falò, quando fu a un paio di passi di distanza Louis mestamente lo seguì.
I loro amici ancora ridevano e quasi non si accorsero del loro ritorno. Roberto strappò la bottiglia di vodka dalle mani di Daniele e fece un lungo sorso.
<< Io vado, sono stanco. Ciao… >>
Così risalì la spiaggia per andare alla macchina.
Louis lo osservò tristemente, abbassando poi lo sguardo sul fuoco. Gli altri invece salutarono Roberto non rendendosi conto che fosse successo qualcosa.
Gabriele guardò Louis negli occhi e gli sorrise.
<< Allora, tutto bene? Che stavate facendo? Vi siete persi una scena epica!! >>
<< Hem… Nulla, facevamo una passeggiata… Dimmi, cos’è successo? >>
Il ragazzo iniziò a raccontare all’amico dello show di Daniele, con qualche intrusione di Marco, Louis sorrise, ma dai suoi occhi trapelava un’immensa tristezza.
 
Un’ora era passata da quando Roberto era andato via, e Louis non riusciva a fare a meno di pensare allo sguardo dell’amico dopo la sua dichiarazione.
Forse non avrebbe dovuto dire niente, doveva lasciar correre e sopprimere i suoi sentimenti. Aveva sbagliato tutto… Aveva rovinato tutto.
Cominciava a pentirsi di tutto ciò che aveva fatto, erano sbagliati i suoi sentimenti, lo sapeva bene, ma proprio non riusciva a farli tacere.
La voce di Gabriele pose fine ai suoi pensieri.
<< Ragazzi, è tardi. Dobbiamo andare… >>
Lanciò uno sguardo severo a Daniele, che ancora cantava.
<< Sbrigati. Sembriamo quattro idioti. >>
<< Gay, aggiungerei. >>
Disse Marco alzandosi, si passò una mano sui pantaloni per pulirli, mentre con il piede buttava sabbia sul falò per spegnerlo.
<< Mi rovinerete la reputazione… >>
Daniele lo guardò e rise.
<< Ma non ci pensi già da solo a rovinartela? >>
L’amico sorrise sarcastico e gli diede un pugno sulla spalla.
<< Hey! Mi hai fatto male… >>
Si passò la mano dove l’amico l’aveva colpito e si avvicinò a Gabriele come per farsi consolare, esso però lo ignoro e cominciò a risalire con la chitarra sotto braccio.
Louis fece altrettanto lasciando Marco e Daniele soli.
<< Aò Daniè non te fa venì nessuna strana voglia eh?! >>
Daniele lo guardò confuso e, dopo aver riso come un cretino, realizzò il senso della battuta e imbronciato andò via.
Marco lo seguì ridendo.
Gli amici salirono in macchina e si diressero verso il centro della città dove convivevano nell’appartamento di Marco dividendo le spese.
 
Si girava e rigirava nel letto ripensando a ciò che era accaduto in spiaggia, l’immagine del bacio gli assillava la mente.
Ogni volta che chiudeva gli occhi quell’immagine si materializzava vivida come una scena di un film ripetuta all’infinito.
Aprì gli occhi e il letto vuoto di Louis, con cui divideva la stanza, lo fece sentire lievemente più tranquillo.
Avevano condiviso tanti momenti e esperienze insieme, più di una volta si erano ritrovati nell’intimità di una sauna o di uno spogliatoio sportivo, e mai avrebbe pensato che l’amico gli volgesse sguardi speciali.
Ricordava perfettamente la notte dell’8 agosto di sei anni addietro.
Era molto tardi, aveva appena passato una magnifica serata con i suoi compagni di liceo, e si meravigliò notando che i suoi genitori non l’avessero ancora chiamato. Di solito sua madre, dopo un certo orario, lo chiamava per avere sue notizie, ma quella sera, non fu così. Probabilmente lo spettacolo teatrale era durato più del previsto.
Un po’ confuso salì sul motorino e si diresse verso casa, situata al centro di Modena.
Inserì la chiave all’interno della serratura e la porta si aprì dall’interno, ritirò subito la chiave spaventato.
Immaginava che sua madre fosse davvero arrabbiata per il suo ritardo e ne temeva la reazione.
Ma fu ancora più sorpreso quando avanti, invece della mamma, si trovò sua zia.
Il suo sguardo era spaventato, e cercò subito negli occhi della donna spiegazioni e risposte, ma quando li guardò e notò che erano velati di lacrime si spaventò ulteriormente.
Quando poi cominciò a parlare e gli raccontò dell’incidente mortale che aveva coinvolto i suoi genitori, il ragazzo si sentì crollare il mondo addosso e, dopo essere corso in camera, seppellì il viso nel cuscino lasciandosi andare in un pianto prolungato.
I ricordi degli avvenimenti intercorsi tra il funerale dei genitori e la fine della scuola erano offuscati dal dolore.
In quel periodo era caduto in un vortice negativo, tutta la sua vita stava andando a rotoli e l’unico spiraglio di luce era la sua amicizia con Louis.
A tutti quei ricordi gli occhi di Roberto ricaddero sul tatuaggio che aveva sul polso “8/08/08”, si sentì quasi stupido, non piangeva dal loro funerale. Ma quella situazione e quei ricordi erano un peso troppo grande, gli occhi si riempirono di lacrime.
Doveva la sua vita presente all’amicizia con Louis, l’aveva seguito a Roma lasciando tutti e solo per farlo felice, solo per farlo uscire dal quel periodo oscuro.
Il sogno di avere successo nell’ambito musicale era sempre stato suo, Louis aveva sempre avuto una bella voce ma non gli interessava la musica.
L’iniziativa di andare a Roma era stata sua, lui aveva cercato qualche band dove poter entrare con il suo amico, lui aveva cercato una casa dove andare a vivere insieme, lui era stato egoista e aveva impedito all’amico di crearsi la vita che desiderava portandolo lontano dagli affetti familiari.
Quel vortice di pensieri negativi lo stavano opprimendo, non poteva ricaderci, non poteva tornare quel periodo oscuro della sua vita. Ne avrebbero risentito gli altri e non poteva permetterlo.
Le lacrime cominciarono a cadere delicatamente sulle sue guance e non poteva impedirlo, cercava con tutta la forza che aveva di fermarle, ma non ci riusciva.
Perché gli aveva detto quella cosa? Perché aveva deciso di rovinare tutto?
In un momento come quello aveva bisogno del suo fratello acquisito, aveva bisogno dei suoi abbracci.
Anche se probabilmente quel calore che provava ogni volta che lo abbracciava, quei sentimenti che gli trasmetteva, non erano determinati da affetto fraterno, ma da altro.
Aveva un forte senso di oppressione, il cuore in petto gli doleva, e ancora una volta si rese conto che le persone nonostante vogliano far credere di essere forti, lo sono fino a un certo limite, che è umano avere dei sentimenti e essere deboli, che piangere in alcune occasioni era necessario altrimenti si finisce con il crollare.
Con una mano scostò una ciocca di capelli che si era appiccicata sul viso per colpa delle lacrime e tirò su con il naso.
Si sentiva così piccolo e indifeso e sapeva che niente e nessuno sarebbe stato capace di farlo sentire meglio, di farlo sentire protetto e amato.
Erano in occasioni come quelle che aveva bisogno di sua madre, ricordava ancora tutto di lei. I suoi lineamenti, la sua voce, i suoi abbracci… Però il suo profumo non lo ricordava più, ricordava che era il più buono che avesse mai sentito, ma non ricordava che aroma avesse.
Ricordava che ogni volta che lo abbracciava inspirava per assaporare il suo profumo… A quel pensiero le lacrime aumentarono, gli abbracci erano quelli che gli mancavano di più.
Si riteneva in parte fortunato, perché a differenza di altri ragazzi aveva avuto la fortuna di conoscere i propri genitori, ma da un’altra parte sfortunato, poiché sebbene li avesse conosciuti gli erano stati strappati via troppo in fretta.
Con il dorso della mano si asciugò le lacrime e inspirò profondamente, Louis aveva fatto tanto per lui e non poteva ripagarlo in quel modo.
In un modo o in un altro avrebbe corrisposto.
Sentì la porta d’entrata aprirsi, e rannicchiandosi sotto il lenzuolo, finse di dormire.
 
I quattro amici entrarono in casa con Daniele che continuava a urlare e ridere senza motivo. Entrando urtò il tavolino dell’ingresso e Marco lo guardò malissimo.
<< Idiota! Me l’ha regalato mia madre!! E fai piano che Roberto dorme!!  >>
Louis sentendo pronunciare il nome dell’amico sussultò e sentì una morsa allo stomaco, ma cercò di non farlo notare.
Daniele intanto, continuando a sghignazzare si diresse verso la sua stanza, Gabriele spazientito lo spintonò un poco.
<< Muoviti dai! Andiamo!! >>
Lo continuò a spingere chiudendosi poi la porta alle spalle.
Da fuori la loro camera si sentivano ancora le risa attutite di Daniele e i brontolii di Gabriele, a quei suoni Marco sghignazzò e si voltò verso Louis.
<< Io vado a dormì… A domani… >>
Con un mezzo sorriso beffardo andò nella sua stanza rimanendo Louis solo.
Non sapeva come comportarsi, sperava stesse davvero dormendo Roberto altrimenti si sarebbe trovato a dover affrontare conseguenze alle quali non era ancora preparato.
La paura del suo rifiuto gli faceva velare gli occhi di lacrime, aveva sempre saputo di essere gay, ma non l’aveva mai voluto ammettere, nemmeno a sé stesso. Ora che lo sapeva anche Roberto sembrava tutto più reale.
Silenziosamente si diresse verso la loro stanza, l’amico dormiva rannicchiato su un fianco. I morbidi riccioli gli ricadevano sulla fronte scompigliati, i lineamenti delicati e il naso piccolo gli davano un’aria quasi angelica.
Si sedette sul bordo del suo letto e cominciò ad osservare l’amico, lentamente cominciò a spogliarsi rimanendo solo in boxer, preso dallo sconforto si prese la testa tra le mani e sospirò.
<< Cos’ho combinato…? >>
Sussurrò tra sé e sé, poi lanciò un ultimo sguardo all’amico e si stese sul letto lasciandosi baciare da Morfeo.
 
Il letto era disfatto e il ragazzo era disteso in posizione supina, con le braccia intrecciate dietro la testa, la quale era reclinata leggermente a sinistra in modo da mostrare il lato destro del collo sul quale vi era un’ideogramma giapponese tatuato in alto, verso l’orecchio. I lunghi capelli neri erano raccolti in una morbida coda sotto al collo.
Il torace scolpito era lasciato in mostra, il lenzuolo lo ricopriva solo dalla vita in giù, i suoi profondi occhi vagavano per il soffitto e i pensieri iniziarono a ripercorrere tutta la sua vita fino a quel momento.
Non si immaginava così alla soglia dei trent’anni quando da piccolo fantasticava sul suo futuro immaginava che a quell’età sarebbe stato già una rock star di fama mondiale, infatti fin da piccolissimo sognava di fare il batterista e aveva lottato per realizzare quel sogno, a discapito dei progetto che i suoi genitori avevano in serbo per lui. Sua madre l’aveva sempre visto al comando dello studio legale del padre, con una vita già programmata per lui che andava dalla scelta del liceo privato a quella dell’università da frequentare. Nonostante le imposizioni dei genitori aveva sempre lottato per coronare il suo sogno e appena aveva un momento libero si dedicava alla sua amata batteria.
Conseguita la laurea in giurisprudenza con il massimo dei voti si trasferì nel suo appartamento, regalo di laurea del padre, per dedicarsi completamente al suo unico vero amore: la musica.
La cosa più umiliante di tutta quella situazione era che nonostante fosse andato via di casa continuasse a dipendere dalla madre. Questa mensilmente si recava nell’appartamento per controllore che tutto fosse in ordine e lasciava i soldi per pagare l’affitto, che il padre pretendeva dal momento che il giovane non aveva voluto intraprendere la carriera per lui già scelta e avviata.
Si girò a pancia in giù sperando di addormentarsi. La coda scivolò sulla spalla destra, mettendo in mostra una stella a cinque punte con un’elaborata scritta “Kiss” che occupava quella sinistra.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, ma il sonno tardava ad arrivare al pensiero che di lì a poche ore la madre sarebbe piombata in casa sua a ficcanasare.
Cambiò ancora posizione, girandosi sul fianco destro, quello che di solito gli conciliava il sonno, e spalancò gli occhi fissando il poster che occupava la parete di fronte a lui. Era la locandina del primo concerto che aveva fatto insieme alla sua band, risaliva a tre anni prima, quando ancora Francesco faceva parte del gruppo come tastierista e quando aveva ancora molte speranze per il futuro. Protese la mano verso il comodino per afferrare il cellulare e guardò l’orario. Le tre del mattino. Era tardi, troppo tardi, doveva assolutamente dormire, il giorno dopo di buon mattino sarebbe arrivata la madre. Posò il suo S III sul comodino e si costrinse a svuotare la mente alla ricerca del sonno. Avrebbe contato le pecore, se necessario.
 
Sentì il lenzuolo ricoprirlo completamente e attese che il suo compagno di stanza uscisse prima di riemergere almeno con la testa.
A cosa si era ridotto?! Si era trasferito a Roma per avere successo come tastierista, non di certo per fare il giullare del gruppo.
Continuava a chiedersi se tutti i sacrifici ai quali si stava sottoponendo avrebbero portato ai frutti sperati. Non era facile per lui, appena maggiorenne, stare lontano dalla famiglia, dalla fidanzata e dagli amici. Si svegliava tutti i giorni alle sei per recarsi al bar dove lavorava e passava la maggior parte della sua giornata. A parte la pausa pranzo tornava a casa solo alle otto di sera stremato, e quasi non ce la faceva neanche a provare.
Sospirò e costrinse le palpebre pesanti a riaprirsi. Nell’oscurità osservò per un po’ la camera, non vi era quasi nulla di lui lì dentro. Quando era arrivato quella era già la camera di Gabriele e prima ancora era stata di Francesco. Non aveva voluto essere invadente e si era limitato a poggiare qualche foto sul suo comodino. Magari il giorno dopo avrebbe appeso un poster, o una foto un po’ più grande. Ormai era lì da quasi un anno, aveva il diritto di appropriarsi di un pezzetto di camera. Pagava le bollette come tutti gli altri.
No…Probabilmente il giorno dopo, passati gli effetti dell’alcool, non l’avrebbe fatto. Come sempre si sarebbe comportato da codardo e avrebbe finito per fare l’idiota per dimenticare la malinconia che lo opprimeva.
Il sonno era passato e l’ubriachezza lo fece vagare lontano, alla sua amata Calabria. Doveva attendere ancora quattro mesi per tornare nella sua terra, dalle persone che amava.
Lui e Rosanna avrebbero resistito a quella lontananza? Sarebbe stata la loro prova del nove. Se avessero superato quell’ostacolo insormontabile sarebbe riusciti a restare insieme per sempre.
Era proprio innamorato. Non vedeva l’ora di avere abbastanza soldi per far salire a Roma anche lei, e andare a vivere insieme, se avesse avuto lei avrebbe avuto comunque tutto ciò che desiderava, anche se con la musica non avesse avuto il successo tanto agoniato.
Dei passi provenienti dal corridoio attirarono la sua attenzione, probabilmente era Gabriele che faceva ritorno.
Si girò su di un fianco e chiuse gli occhi per addormentarsi.
 
Messo Daniele a letto si diresse in bagno. Aveva bisogno di una rilassante doccia tiepida.
Si svestì e si buttò sotto il getto d’acqua, chiudendo gli occhi. Passò le mani sulla nuca e restò per un po’ in quella posizione, immobile.
Era stata una settimana estenuante e la successiva non sarebbe stata da meno. Avevano numerosi incontri in giro per alcuni tra i più importanti locali di Roma. Dovevano procurarsi degli ingaggi, dovevano farsi notare. Era il momento.
Era quasi un anno ormai che avevano aggiunto Daniele al loro gruppo, ormai si erano amalgamati bene, erano pronti. Si erano allenati in ogni momento libero, del giorno e della notte, per arrivare a quel punto, dovevano essere ripagati.
Doveva scrivere, era da troppo tempo che non scriveva e aveva accumulato troppa tensione. L’ispirazione purtroppo aveva risentito di tutto lo stress della situazione e la mancanza del suo amato golfo di Napoli non aiutava affatto.
Sbuffò e si insaponò rapidamente, e dopo essersi sciacquato uscì dalla cabina doccia. Avvolse un telo in vita e dopo aver lavato i denti indossò la biancheria e il pantalone del pigiama.
Si osservò a lungo allo specchio. Quei quattro anni nella capitale lo avevano cambiato parecchio, e si vedeva dal suo viso. Era maturato e la libertà gli aveva permesso di far emergere a pieno la sua personalità. Amava la sua famiglia, ma erano in troppi e la costante competizione con due fratelli e una sorellina non avevano mai permesso al suo animo sensibile di esprimersi completamente.
Non poteva scrivere se non sul lungomare, quando aveva modo di allontanarsi da casa. Per questo appena conseguita la laurea aveva deciso di trasferirsi, anche se avrebbe voluto dire perdere il costante appoggio familiare e accettare qualsiasi lavoro per sopravvivere. Fortunatamente non gli era andata poi tanto male.
Con i pochi soldi conservati finchè era a Napoli affittò un monolocale in periferia e dopo qualche settimana riuscì a farsi assumere in un noto ristorante grazie alla sua approfondita conoscenza di ben tre lingue.
Non lo sapeva, ma quel ristorante gli avrebbe cambiato la vita. La proprietaria era una ricca donna dell’alta società e suo figlio era un rockettaro ribelle e montato che a sua volta aveva il sogno di sfondare.
Non sopportava quel ragazzo un po’ “alternativo” e tanto convinto di sé, era ovviamente il suo antipode e all’inizio lo evitava in ogni modo. Il suo astio mutò in simpatia quando, preparando la sala per la serata che stava per iniziare, sentì delle urla provenire dalla cucina e non potè evitare di sentire Marco che litigava con la madre. Lui voleva che la musica fosse il suo futuro, erano più affini di quanto potesse immaginare. Quando Marco uscì in sala agitato, quasi di corsa, lo afferrò lesto per il braccio e per un pelo evitò di beccarsi un pugno sul naso. Si limitò a dirgli che lo capiva e quella sera il bruno si fece trovare all’entrata del ristorante, si offrì di riaccompagnarlo a casa e gli fece una proposta. Formare un gruppo.
Di lì accadde tutto velocemente: si trasferì nell’appartamento di Marco, in centro città, dove c’era già un altro membro, il tastierista. Continuò a lavorare al ristorante per pagare la sua parte delle spese di casa e nel giro di poco tempo completarono la band e iniziarono le prime serate nei locali.
Gli sembrava incredibile che fossero passati già quattro anni.
Scosse la testa, poggiando i palmi sul lavandino. Era chiuso in bagno da un pezzo.
Aprì l’acqua per darsi un’ultima rinfrescata al viso. Era esausto, era proprio ora per lui di coricarsi.
Mise i panni nella cesta delle cose da lavare e tornò in camera.
Gettò un rapido sguardo al letto di Daniele, a volte era un po’ duro con lui, ma non lo faceva per cattiveria. Nonostante ci fossero solo cinque anni di differenza tra i due provava una sorta di affetto paternalistico nei suoi confronti e in fondo lo ammirava tanto per il coraggio che aveva avuto, appena diplomato, a trasferirsi in un’altra città per realizzare il proprio sogno.
Un lieve sorriso gli incurvò le labbra nel vederlo dormire e serenamente si sedette sul proprio letto, dopo aver spostato il lenzuolo. Si distese e osservando il candido soffitto il sonno arrivò per cullarlo tra le sue braccia.
 
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Note dell'autore: Salve a tutti! Questa storia è nuovamente frutto delle nostre tre menti geniali messe insieme.
Noi non siamo di Roma, dunque le parti in dialetto romano sono inventate. Non linciateci se è scritto in modo scorretto, anzi se vorrete indicarci il corretto modo di scriverlo ne saremmo contente.
Attendiamo vostri pareri.
  
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