Anonymous
Terapia d’urto
Di ritorno a casa, Momoi osservava preoccupata il suo accompagnatore, pensoso
e taciturno molto più del solito. “C’è qualcosa che non va, Tetsu-kun?”
“No, niente. Mi devi scusare, non sono molto di
compagnia oggi.”
“Oh no, niente affatto, anzi, grazie per esserti
offerto di accompagnarmi a casa, visto che Aomine-kun
è praticamente sparito dopo l’allenamento. Chissà che gli è preso.” A dire il
vero Momoi si chiedeva cosa gli fosse preso a tutti, Kuroko compreso, ma non osò dirlo per timore di risultare
troppo acida. E poi, tutto sommato, non poteva dire di essere tanto dispiaciuta
per come si erano messe le cose: in fondo ora stava passeggiando con il suo Testu-kun senza avere Aomine tra
i piedi che monopolizzava la sua attenzione parlando di basket.
“Io credo di sapere cosa aveva Aomine-kun.”
“Davvero?”
“Sì. Non l’ho fatto apposta, in verità. L’allenatore
mi aveva chiesto di andare a cercare lui e Kise-kun
per iniziare l’allenamento, ma quando li ho trovati, ho sentito Kise-kun che si dichiarava ad Aomine-kun.”
Momoi
si fermò di colpo, pietrificata. Kuroko avanzò di
altri due passi prima di fermarsi e girarsi per guardarla.
La ragazza aveva la bocca spalancata, gli occhi
sbarrati e sembrava sul punto di dare di matto. “Cooooooooooooooooooooosa?
Dichiarato? Intendi dire che Ki-chan ha… cioè, ha
proprio confessato di…”
“Sì, quello” confermò serafico Kuroko.
“Oh mio Dio! Non posso crederci, finalmente ce l’ha
fatta!” Momoi era passata dallo stupore all’euforia
in un attimo. Era sinceramente entusiasta per quella notizia, come se avesse
aspettato secoli prima di poterla sentire.
“Finalmente?”
“Ehm… be’, diciamo che non era un mistero che Ki-chan provasse qualcosa per Dai-chan.”
“No, in effetti no. Solo, non credevo che ciò potesse
renderti tanto felice.”
Ripresero a camminare, Kuroko
aveva il consueto passo cadenzato e regolare, Momoi
quasi trottava di gioia. “E Dai-chan che cosa gli ha
risposto?”
“Niente. Mi ha seguito in palestra.”
“Cooooooooooooooooooosa?”
Kuroko
provò un fastidioso senso di déjà vù.
Di nuovo si fermarono, ma questa volta era stata l’indignazione a frenare i
piedi di Momoi. “Non ha detto neanche una parola?
Niente di niente?”
“Sembrava che volesse dirgli qualcosa, ma non sapeva
bene neanche lui cosa, quindi ha preferito tacere.”
“Ora capisco perché si comportava così oggi ed era
sempre distratto. Questa sera vado a casa sua e gli faccio una ramanzina che…”
“Ti consiglio di no” la frenò subito Kuroko, prima che i livelli di estrogeno schizzassero alle
stelle.
“Dici che non dovrei?”
“Io non conosco bene Aomine-kun
come te, ma non credo che spronarlo ad andare da Kise-kun
e parlargli sia in questo caso la soluzione migliore. Poteva andare bene quando
hanno litigato, ma questa è una situazione diversa. Se Aomine-kun
andasse a parlargli, non saprebbe cosa dire, perché in verità neanche lui sa
esattamente cosa prova, oppure lo sa ma non riesce a convincersene. Sono
convinto che Aomine-kun abbia bisogno di una terapia
d’urto.”
“Terapia d’urto?”
“Hai presente la storia pubblicata sul giornaletto
scolastico?”
“Certo che sì. Ah, ma la conosci anche tu? Credevo
che ad un maschietto non interessassero certi generi.”
“Mi piace leggere un po’ di tutto. Comunque, da
quando Aomine-kun ha letto quella storia è come se
fosse stato costretto ad affrontare i suoi pensieri. È diventato più
consapevole di tante cose che prima ignorava e ha riflettuto su molte altre
ancora. Adesso è confuso, si vede, per questo ha bisogno di una terapia
d’urto.”
“E in cosa dovrebbe consistere questa terapia?” Momoi pendeva letteralmente dalle labbra di Kuroko. Era così raro vederlo tanto loquace. Lei adorava
ascoltarlo. Parlava in modo limpido, articolato, senza sbavature: si capiva che
era un accanito lettore di romanzi. E poi la sua voce serafica, pacata, a volte
ipnotica. Lo avrebbe ascoltato per ore, se solo Kuroko
fosse stato il tipo di ragazzo che parlava per ore, ma forse era proprio questo
a rendere quei rari momenti di loquacità ancora più preziosi e affascinanti.
“Aomine-kun ha bisogno di qualcuno
che gli dica chiaro e tondo quali sono i suoi stessi sentimenti e costringerlo,
in questo modo, ad accettarli.”
Seduto alla panca, con l’asciugamano
intorno alle spalle e una bibita energetica nella mano destra, Kise sprofondava sempre più in una voragine di
autocommiserazione. Come aveva fatto ad essere così stupido, il giorno prima,
da esternare così i propri sentimenti ad Aomine?
Dannata la sua lingua lunga e la sua impulsività! Ma non poteva semplicemente
far finta di nulla, invitarlo a giocare a qualche one-on-one e dopo amici come prima?
Che idiozia! Ma quali amici come prima? Aomine non era suo amico, o meglio Kise
non poteva vederlo come amico, perché Aominecchi era
molto, molto più che un semplice amico o compagno di squadra. E lui era stato
così insistente e così stupido da pretendere a tutti i costi qualcosa di più;
qualcosa che non esisteva e mai sarebbe esistito.
Ora era facile immaginare cosa sarebbe successo. Aomine aveva letto il suo presunto diario segreto e aveva
deciso di ignorarlo, evitarlo. Kise lo aveva convinto
che era tutto falso, non solo il diario, ma anche ciò che vi era scritto sopra.
Invece adesso non poteva rimangiarsi la parola.
Aveva scoperto le sue carte e non c’era modo di
riprenderle in mano e sperare di cambiare il corso della partita. Aomine sarebbe ritornato ad evitarlo. Avrebbe solo voluto
chiedergli il perché, solo questo. Dopotutto, era così difficile rimanere
amici? Evidentemente per Aomine lo era. Ed era
inutile mentire, lo sarebbe stato anche per Kise.
Con la testa china, sentì tutti gli altri compagni
di squadra andarsene. Doveva ancora farsi la doccia, ma aveva le membra troppo
molli anche solo per pensare di muoversi. Udì la porta aprirsi e richiudersi di
nuovo alle sue spalle. Forse era qualcuno che aveva dimenticato qualcosa
nell’armadietto.
“Yo.”
Kise
riconobbe subito quel saluto. Si voltò di scatto, sorpreso. Sorpreso perché lui
e Aominecchi erano soli nello spogliatoio, sorpreso
perché Aominecchi lo aveva salutato, sorpreso perché
sembrava che Aominecchi fosse lì appositamente per
parlare con lui. A giudicare dalla tenuta sportiva e dal sudore che ancora gli
imperlava la fronte, Aomine si era trattenuto in
palestra più a lungo. Possibile che lo avesse fatto di proposito per parlargli
a quattr’occhi?
“Aominecchi…”
“Sì, mi chiamo così.” Kise
avrebbe voluto sorridere alla sua battuta ma proprio non ci riuscì. “Dobbiamo
parlare.”
“Oh, e chi è stato a mandarti da me questa volta? Momoicchi, di nuovo, oppure è stato Kurokocchi?”
Non voleva essere sgarbato, in fondo l’altro non gli aveva fatto niente di
male, per il momento, ma sapeva che il discorso che si apprestavano ad
intavolare sarebbe stato più corrosivo di un acido; per tanto, meglio mettersi
subito sulla difensiva, in modo da attenuare il colpo che presto Aomine gli avrebbe sferrato.
“Nessuno. L’ho deciso io.”
Questo sì che colpì seriamente Kise.
Maledizione, ma perché bastava così poco per farlo vacillare? “D’accordo,
parliamo.”
“In verità, non c’è molto di cui parlare. Visto che
ormai hai messo in chiaro le cose, volevo fare lo stesso anche io e chiudere
definitivamente la faccenda. Volevo dirti che io non posso ricambiare i tuoi
sentimenti.”
“Era per questo che volevi evitarmi, allora?”
“Sì.”
Kise
si aspettava una risposta simile alla sua dichiarazione, eppure, in cuor suo,
aveva continuato ingenuamente ad illudersi di sentire qualcosa di diverso. Le parole
di Aomine avevano spento drasticamente anche l’ultimo
barlume di speranza. “Va bene. Grazie per la sincerità e la… correttezza.” Mostrò
un sorriso così falso e tirato che persino Aomine lo
capì.
Questi aprì la bocca per dire qualcosa, chiedergli
se era tutto a posto, ma si sarebbe sentito un vero stupido, data l’ovvietà
della risposta. Forse avrebbe dovuto chiedergli come si sarebbero dovuti
comportare da adesso in poi, ma sentiva che Kise
aveva bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare la notizia.
Aomine
non sapeva cosa significasse essere rifiutati da qualcuno, ma una vaga idea se
l’era fatta. In silenzio si appropinquò al proprio armadietto, mentre Kise apriva il suo più per tenersi occupato che per altro. Trovò
una lettera in bella mostra. Non era raro per lui trovarne qualcuna scritta
dalle sue ammiratrici. La prese con non curanza. Sulla parte frontale non vi
era alcuna scritta. La girò e ciò che vi lesse gli fece scattare un campanello
d’allarme nella testa.
‘Per
Kise e Aomine.’
Un brutto presentimento iniziò a serpeggiargli lungo
la spina dorsale, facendolo rabbrividire. Aprì la busta nervoso e ne tirò fuori
quattro fogli scritti al computer. Ovviamente, non c’era il nome dell’autrice.
“Aominecchi!”
‘Cari
Kise e Aomine,
per
prima cosa volevo ringraziarvi con tutto il mio cuore per avermi ispirato la
storia Master Basket. Senza di voi e la vostra magnifica personalità non sarei
mai riuscita a dare vita ad una trama così bella da far sognare tutte le
studentesse della nostra scuola.
Purtroppo,
sono a conoscenza di alcuni spiacevoli eventi che vi hanno coinvolto
addirittura in una rissa a causa di quello che ho scritto. Sfortunatamente non
tutti hanno una mentalità aperta e libera.
So
che avete letto la mia fiction. Spero che sia stata di vostro gradimento e qui
arriviamo al motivo per cui ho scritto questa lettera. Il nuovo capitolo è
molto atteso dai miei lettori e, data la natura dello stesso, ho preferito
farvelo leggere in anteprima, di modo da prepararvi al meglio per quando verrà
pubblicato, dopodomani.
Confido
che vi piaccia e vi auguro una buona lettura.’
“Cosa c’è?” Aomine si
voltò verso un Kise esterrefatto con gli occhi incollati
ad una lettera. “Allora? Perché mi hai chiamato?”
Senza dire una parola, Kise
gli porse il foglio che aveva appena terminato, apprestandosi a leggere il
quarto capitolo inedito di Master Basket.
‘Aimine era goffo ma adorabile allo stesso tempo. Aveva
troppa paura di fare del male a Kisu, a causa della
gamba infortunata.
Kisu lo tranquillizzò subito. –Non
trattenerti: ho aspettato così tanto questo momento.
Si
baciarono a lungo e con trasporto, mentre la mano di Kisu,
dentro i pantaloni di Aimine, nelle sue mutande, lo
stava mandando in estasi. Tra maschi era facile, ognuno sapeva perfettamente cosa
volesse l’altro e cosa piacesse di più.
In
men che non si dica si tolsero i vestiti. Si strinsero l’uno all’altro nudi,
eccitati. Kisu era impaziente di ricevere ed essere
travolto dal desiderio di Aimine. Aprì le gambe più
che poté per farlo stendere tra di esse. Era talmente felice che temeva sarebbe
venuto in pochi secondi.
–Sii
gentile, è la mia prima volta.
–Anche
per me – confessò Aimine.
Lo
prese piano, godendo di ogni secondo che impiegò per entrare in lui. Avvolto dal
suo calore si sentiva in paradiso. Non aveva mai provato una sensazione simile
prima di quel momento e rimpianse di non essersi deciso a confessare prima i
suoi sentimenti.
Fecero
l’amore con dolcezza, l’uno specchiato negli occhi dell’altro. Si sorrisero,
felici come non mai. Kisu a stento riusciva a
trattenere i gemiti.
–Voglio
sentire quanto ti piaccio.
–Se
mi lasciassi andare, mi sentirebbe tutta la città.
Aimine aumentò la passione con cui lo
possedeva e Kisu davvero non riuscì più a strozzare
le urla di piacere. Raggiunsero l’orgasmo insieme, in perfetta sincronia. Era
durato poco, ma per la loro prima volta non avrebbero potuto sperare di meglio.
–Ti
amo tanto– disse Kisu, con voce miagolante.
–Anch’io
ti amo– rispose Aimine, regalandogli il suo sorriso
più bello. Si stese di lato, per riprendere fiato.
Il
sudore evaporò lentamente, ma i due giovani non se ne curarono. Aimine osservò a lungo il bel corpo del compagno. Lo accarezzò
tutto, dal petto alle cosce. Non c’era da stupirsi se molte ragazze impazzissero
per lui.
Aimine, invece, aveva un fisico più
scolpito e un fascino rozzo, animalesco. Kisu seguì
il suo esempio e iniziò a toccarlo allo stesso modo; aveva fantasticato un
migliaio di volte su quei bei muscoli tonici.
Bastarono
poche carezze ben mirate per risvegliare il loro desiderio.
–Ancora–
supplicò Kisu. –Ti voglio ancora una volta.
Aimine lo accontentò subito. Se non fosse
stato per la gamba malridotta di Kisu avrebbero
potuto fare molto di più. Si inginocchiò tra le sue gambe, gli sollevò le anche
e lo prese di nuovo, questa volta meno delicato, ma sapeva che il peggio era
già passato.
Gli
inferse dei colpi di bacino rudi e selvaggi, mentre con la mano gli dava sempre
più piacere seguendo il proprio ritmo. Questa volta durò più a lungo e continuò
anche dopo che Kisu si era svuotato per la seconda
volta. Quando esausto si accasciò su di lui, si baciarono per diversi minuti,
senza mai essere sazi l’uno della bocca dell’altro.
–Forse
è meglio che ci rivestiamo adesso o potrei decidere di farlo una terza volta–
disse Aimine.
–A
me non dispiacerebbe.
Ma
erano troppo stanchi per pensare di concedersi una terza volta. Si assopirono l’uno
di fianco all’altro, Kisu stretto tra le braccia del
suo amato, addormentandosi tra dolci baci e ripetuti ‘Ti amo’.
’
Kise
sentì le guance bruciare, segno che era arrossito vistosamente. Era come se
qualcuno fosse entrato nella sua testa e avesse riportato su carta i suoi sogni
più proibiti. Aveva tentato di leggere con un certo distacco, immaginando i due
protagonisti con delle fattezze diverse da quelle di lui e Aominecchi
ma aveva fallito miseramente.
Lasciò andare i fogli e corse in bagno prima che Aomine potesse vedere il suo imbarazzo.
Lo sentì biascicare qualcosa, forse una bestemmia,
ma non afferrò il significato delle sue parole. Si chiuse la porta alle spalle,
aprì il rubinetto di acqua fredda e si bagnò il viso una, due, tre, moltissime
volte.
Niente da fare. Leggere nero su bianco quella scena
erotica aveva scatenato le sue più sfrenate fantasie e ora aveva un vistoso
problema in mezzo alle gambe che proprio non aveva il tempo di risolvere. Non
ci voleva, assolutamente.
Se prima, quando Aomine lo
aveva esplicitamente rifiutato, era riuscito a mantenere una parvenza di
dignità, ora rischiava di mandare tutto all’aria. Si preoccupò quando non sentì
il compagno parlare o chiamarlo dallo spogliatoio.
Aveva il sangue ancora tutto mescolato in circolo,
ma aprì lo stesso la porta.
Aomine
era seduto sulla panca, di spalle a lui, con ancora i fogli in mano. Chissà
cosa gli passava per la testa dopo aver letto quella… cosa.
“Aominecchi? Tutto a
posto?”
“No, non c’è niente di a posto! Dobbiamo fermarla!
Non possiamo permettere che il giornaletto scolastico pubblichi questa roba.”
Così dicendo, Aomine si alzò e, senza guardare in
faccia Kise, si diresse a passo di marcia verso
l’uscita.
Tuttavia, Kise lo vide
rosso come un pomodoro e questo lo tranquillizzò: evidentemente non era l’unico
a subire gli effetti collaterali di una lettura tanto osé. Ma ci fu un altro
dettaglio, molto più sconcertante, che notò.
Forse era stato solo il frutto della sua
immaginazione, la suggestione per ciò che aveva letto stava influenzando i suoi
occhi e vedeva cose che non esistevano.
Aomine
posò la mano sulla maniglia della porta. Stava andando via troppo di fretta,
come se… stesse scappando.
Kise
poggiò il palmo della mano sulla porta, così da impedirgli di aprirla.
“Che cazzo fai?” imprecò Aomine,
ma non accennò a voltarsi.
“Girati.”
“Che?”
“Ti ho chiesto di girarti” ripeté Kise.
“Mi prendi in giro? Guarda che mi stai facendo
arrabbiare ancora di più…”
Il rifiuto persistente di Aomine
a voltarsi non fece altro che confermare i sospetti di Kise.
Questi lo prese per il braccio, cogliendolo alla sprovvista, e lo costrinse e
girare su sé stesso facendogli sbattere la schiena al muro. Gli occhi di Kise corsero verso il basso e no, non si era sbagliato.
All’altezza del cavallo dei pantaloni sportivi
di Aomine c’era un inconfondibile rigonfiamento.
“Aominecchi… tu…”
“Non è quello che pensi.”
“Aominecchi…”
“Non lo so nemmeno io che diavolo mi è preso, ma non
farti strani film in testa. A me piacciono solo le…”
Non
sapeva perché lo avesse fatto, forse era solo stanco di sentire tante menzogne,
di essere preso continuamente in giro, ma una cosa la sapeva, adesso: che le
labbra di Aominecchi erano più morbide di quanto
avesse mai immaginato.
Note dell’autrice
Rispetto ai miei standard ci sto
mettendo molto più tempo del previsto per ‘arrivare al sodo’.
Intanto ecco un piccolo antipasto: ovviamente la scena è frettolosa e non
eccessivamente dettagliata per adeguarmi allo stile dell’autrice di Master
basket.
Siamo quasi all’arrivo, non
mancheranno molti capitoli, anzi: se tutto andrà per il meglio dovrebbero
essere 3, massimo 4. Dipende da cosa mi verrà in mente scrivendo di volta in
volta gli altri capitoli ^^ Mi raccomando non abbandonatemi proprio ora che
siamo giunti (quasi) alla fine: i vostri commenti sono il mio sostentamento per
scrivere <3