Storia di un amore mai nato
Non sono
guerre, parole o coincidenze a decidere della nostra vita ma attimi.
La luna calava dietro la collina, tinta di un lieve
azzurro, come se fosse stanca dopo la notte trascorsa.
Ancor più stremato un ragazzo
si sollevò dal pavimento polveroso di una vecchia casa, con il corpo
percorso da nuove cicatrici: piccole gocce di sangue segnavano sulle assi del
pavimento il suo percorso mentre raccattava gli abiti sgualciti.
Il licantropo, da quanto non affrontava più le
notti di luna piena da solo, si era placato, ma a volte si lanciava ancora in
implacabili scatti di rabbia verso se stesso, quasi a punirsi per quella sua
natura maledetta che mai avrebbe potuto allontanare da sé.
Lentamente infilò i calzoni lungo le gambe, muovendosi
con lentezza, nell’inutile tentativo di muovere il meno possibile tutte
le articolazioni, doloranti dopo la trasformazione. Il vero problema arrivo nel
momento in cui dovette infilarsi la camicia: muovere le dita per riuscire a
infilare quei scivolosi bottoni nelle strette asole sembrava un’impresa
impossibile in quel momento e per Remus l’idea di dover apparire ancor
più trasandato del solito, con la camicia sbottonata sotto il vecchio
maglioncino grigio e consumato, era molto fastidiosa.
Accigliato fissava i bottoni quasi cercasse di farli
sentire in colpa del disagio che gli stavano provocando.
“Ci penso io se vuoi”.
Remus si voltò di scatto.
Sirius era sulla soglia della porta mentre lo fissava con
un’espressione indefinibile e i piedi che sembravano pronti a scattare
nervosi per trascinarlo fuori da quella polverosa stanza. In effetti, Sirius in
quel momento non sarebbe dovuto essere lì: i suoi amici, alle prime luci
dell’alba, tornavano sempre al castello per non
rischiare di incontrare per i corridoi le prime persone che si alzavano o
Madama Chips che ogni tanto andava a recuperare di persona Remus
all’entrata del Platano picchiatore, invece di aspettarlo vicino a quella
vecchia entrata in disuso, che permetteva al licantropo di raggiungere
l’infermeria lontano da sguardi indiscreti. Proprio nell’infermeria
gli altri tre Malandrini lo raggiungevano per sincerarsi delle sue condizioni e
raccontargli le scorribande notturne di cui non conservava mai il ricordo.
Ma quella mattina Sirius era in
quella stanza e, per quanto Remus potesse vedere, era solo. Remus
rinunciò alla sua battaglia e lasciò che l’amico si
avvicinasse e iniziasse ad armeggiare con la sua camicia, infilando ogni
bottone nella rispettiva asola. Era strano osservare da così vicino il
viso dell’amico, con quell’espressione seria e concentrata che ogni
tanto gli sorprendeva in volto mentre pensava, e non alla prossima bravata da
fare insieme a James, ma mentre la sua mente sembrava
immersa in pensieri nebbiosi e contorti tanto da allontanarlo dalla
realtà che lo circondava. A Remus piaceva fermarsi a osservare quel
Sirius così riflessivo, così improvvisamente maturo, ma appena
l’amico si accorgeva di essere oggetto della sua attenzione mutava
l’espressione del suo viso in quel sorriso un po’ altezzoso e
canzonatorio che lo caratterizzava, quasi temesse che Remus potesse leggere nel
suo viso, nel suo sguardo qualche oscuro segreto.
Remus improvvisamente sussultò: per un breve attimo le dita di Sirius avevano sfiorato il suo
petto, calde come non si aspettava che potessero essere in una così
fredda giornata di inverno.
Sirius alzò il viso e Remus incontrò il suo
sguardo: si rese conto che in quel momento avrebbe potuto leggere in quegli
occhi grigi così trasparenti qualsiasi moto e pensiero dell’amico,
ed ebbe paura.
Ebbe paura di sapere perché Sirius fosse là
con lui, solo, e non a Hogwarts con l’inseparabile James, aveva paura di
sapere perché quelle mani fossero così calde e perché sui
suoi occhi aleggiasse quell’espressione così strana e intensa. La
sua vita era un fragile equilibrio e la cosa che più temeva era che
tutto potesse andare in frantumi e che le poche verità in cui credeva
potessero scivolare via dalle sue mani.
Così, senza rendersi conto di ciò che stava
facendo, Remus fece un passo indietro allontanandosi
dalla portata delle mani di Sirius e soprattutto dai suoi occhi; questi
improvvisamente si ottenebrarono, come se una tenda fosse scesa a offuscarne la
luce, e Sirius, senza dire una parola, si voltò e uscì dalla
stanza.
Remus rimase solo in quella stanza gelida, con la camicia
abbottonata a metà, e la porta lasciata aperta come unico segno del
passaggio dell’amico.
Scrivere questa storia è stato qualcosa di masochistico.
A ogni singola battuta avrei voluto cambiare il suo svolgimento, impedire a
Remus di indietreggiare o cercare di non fa uscire Sirius da quella stanza, ma
niente. Certe storie hanno una vita propria e sono destinate a finire a modo
loro, e questa storia aveva questo finale prima ancora
che capissi come scriverla, come iniziarla.
Però mi piace questa storia perché posso
pensare che tutto ciò sia accaduto veramente, che quei due ragazzi si
amassero e che solo per un caso, per un piccolo gesto fuori luogo, i loro
sentimenti non si siano rivelati. E tutto questo senza
contraddire niente di quanto detto nei libri della Rowling.
E poi scrivere su Remus, e sui Marauders in generale, è
una tentazione troppo forte per me U___U Spero che la mia Little Moony non si arrabbi per come ho maltrattato i nostri due
beniamini.
Vi saluto e spero che questa storia sia piaciuta anche a voi J