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Autore: suni    11/09/2008    9 recensioni
“Quella è la foto del team di suo padre, quando non era ancora Hokage ma un semplice genin: Sasuke non vede l’ora di diventarlo a sua volta per poterne avere uno tutto proprio, e spera sia bello come il suo. Tanto per cominciare, con un maestro fico come Kakashi, che svetta nella foto, giovane, sorridente e come sempre mascherato; di fianco a Naruto c’è la zia Sakura – che è una potenza della natura – che sorride felice come Sasuke non l’ha mai vista, perché lei non sorride spesso ed è sempre un po’ malinconica.
E poi c’è l’altro ragazzo.
Sasuke non sa molto di lui: è stato l’ultimo membro del team e uno shinobi molto forte. È stato anche il migliore amico di papà e un giorno il segretario Konohamaru, vedendolo fissare l’immagine fotografata, gli ha confessato che ha tradito il villaggio. Però, ha aggiunto sottovoce chinandosi verso di lui, papà lo ha perdonato.
Inoltre è in suo onore che suo padre lo ha chiamato Sasuke, come lui.
È tutto quello sa del ragazzo della foto. Papà non lo nomina mai e la mamma gli ha detto che non deve fare domande, perché a Naruto non piace parlarne. La cosa, ovviamente, non ha fatto che aumentare la sua curiosità di scoprire almeno che ne è stato di lui e come mai, se davvero suo padre lo aveva perdonato, non è tornato a Konoha.”

Da affiancare (non per forza) alla precedente "Teme, ti scrivo..."
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Il ragazzo della foto

 

Mi sto affezionando alla versione malinconica e matura del Naruto di “Teme, ti scrivo…”, così ho deciso di dedicare un’altra scenetta a questo genere di futuro ipotetico. Qui propongo una new entry di mia invenzione. Spero che il frugoletto sia di vostro gradimento, ché è davvero un patatino: vi presento Sasuke, il secondo.

Buona lettura.

suni

 

(Per che aspetta il seguito de “Il giorno…”, non temete e domani sarete accontentati).

 

 

Il ragazzo della foto

 

 

 

Essere il figlio del l’Hokage è un grande onore. Sasuke lo sa, ed è molto fiero del suo papà: perché è l’uomo più importante di Konoha, e tutto il villaggio è in mano sua. E forse, visto che è suo figlio e che ha proprio proprio il suo stesso sangue, Sasuke spera che da grande sarà forte e speciale come lui.

A Sasuke piace uscire con suo padre. Per strada tutti lo salutano sempre con molto rispetto, chiamandolo “Hokage sama” o, qualcuno, “Uzumaki sama”, e Sasuke sorride, orgoglioso che quello sia il suo papà, e soltanto il suo. Beh, anche di Kushina. Inoltre, lui è l’unico bambino di Konoha che possa entrare nel palazzo dell’Hokage senza che nessuno gli dica nulla, anzi, tutti sono sempre gentili con lui. Sasuke conosce personalmente tutti gli shinobi più forti del villaggio: il sensei Shikamaru, Lee senpai, Sai sama, capo degli Anbu, Gai sama, il consigliere Kakashi e la zia Sakura, che è il medico migliore di tutti: sono amici del papà e vengono anche spesso a casa. E naturalmente ci sono lo zio Neji e la zia Ten. 

Sasuke Hyuuga inoltre sa di essere il preferito di papà.  Naruto adora anche Kushina, la sua sorella grande, ma il suo prediletto è lui e Sasuke ha già imparato a sfruttare la cosa. Non è consapevole, ovviamente, che suo padre se ne accorge perfettamente e lo lascia fare, perché i suoi sono solo i capricci e le richieste innocenti di un bambino di sei anni.

Sasuke, però, sa anche che non ci sono solo vantaggi nell’essere il figlio dell’Hokage: papà non ha mai molto tempo libero per giocare con lui e insegnargli tutte le cose che sa fare, perché spesso deve lavorare tutto il giorno, qualche volta di sera e ogni tanto non rientra neanche per la notte. È normale, dal momento che la responsabilità di tutto il villaggio grava su di lui e che le cose a cui badare sono molte. Trascorre quasi tutto il tempo nel suo ufficio, tra documenti, riunioni e resoconti delle missioni. L’ampia stanza luminosa all’ultimo piano del palazzo, con la grande scrivania in legno e la poltrona, è il regno dell’Hokage e Sasuke adora andare lì a trovare suo padre. Dal momento che in quell’ufficio quasi ci vive, Naruto tiene lì tutte le cose più importanti: il romanzo del suo maestro Jiraiya, morto molto tempo prima che Sasuke venisse al mondo; l’anello della nonnetta Tsunade, che è stata Hokage prima di lui; la pergamena dell’evocazione dei rospi su cui, gli ha promesso, un giorno gli farà scrivere il suo nome perché anche Sasuke la possa usare. Poi sulla scrivania c’è la foto della mamma da ragazzina, che arrossisce e sorride, c’è ne una di Kushina in braccio alla zia Sakura e una con lui a cavalluccio sulle spalle di Kakashi.

E poi c’è la foto di papà bambino. A Sasuke piace guardarla, perché è confortante sapere che anche lui, che è l’Hokage ed è il più forte shinobi del mondo, è stato soltanto un bambino come gli altri, piccolo e magari un po’ imbranato. Inoltre nella foto papà fa una brutta smorfia divertente che lo fa ridere ogni volta che la vede ed ha una buffa tuta arancione. La mamma dice che la portava sempre e, a pensarci, ancora adesso papà porta una casacca nera col bordo arancione.

Quella è la foto del team di suo padre, quando non era ancora Hokage ma un semplice genin: Sasuke non vede l’ora di diventarlo a sua volta per poterne avere uno tutto proprio, e spera sia bello come il suo. Tanto per cominciare, con un maestro fico come Kakashi, che svetta nella foto, giovane, sorridente e come sempre mascherato; di fianco a Naruto c’è la zia Sakura – che è una potenza della natura – che sorride felice come Sasuke non l’ha mai vista, perché lei non sorride spesso ed è sempre un po’ malinconica.

E poi c’è l’altro ragazzo.

Sasuke non sa molto di lui: è stato l’ultimo membro del team e uno shinobi molto forte. È stato anche il migliore amico di papà e un giorno il segretario Konohamaru, vedendolo fissare l’immagine fotografata, gli ha confessato che ha tradito il villaggio. Però, ha aggiunto sottovoce chinandosi verso di lui, papà lo ha perdonato.

Inoltre è in suo onore che suo padre lo ha chiamato Sasuke, come lui.

È tutto quello sa del ragazzo della foto. Papà non lo nomina mai e la mamma gli ha detto che non deve fare domande, perché a Naruto non piace parlarne. La cosa, ovviamente, non ha fatto che aumentare la sua curiosità di scoprire almeno che ne è stato di lui e come mai, se davvero suo padre lo aveva perdonato, non è tornato a Konoha. Ha provato a chiedere allo zio Neji, ma gli ha risposto che non sta a lui parlargliene e che, se proprio vuole sapere qualcosa, farà bene ad aspettare che sia suo padre a raccontargli. Siccome, però, Sasuke ha avuto paura di contrariare Naruto, prima ha chiesto anche a Sakura di rivelargli qualcosa, ma la zia gli ha arruffato i capelli con un gesto meccanico e gli ha chiesto se voleva un po’ di ramen senza rispondere, come se non lo avesse sentito. Kakashi, misterioso come sempre, ha guardato distrattamente il cielo e gli ha detto che quel ragazzo non tornerà mai più.

E la sua curiosità è aumentata. Così, Sasuke ha deciso di affrontare direttamente suo padre.

E, quando la mamma è venuta a svegliarlo, ha deciso che lo farà proprio oggi.

Per questo, mentre sgranocchia la colazione facendo dondolare pigramente le gambe oltre il bordo della sedia, la osserva silenziosamente, seguendo con lo sguardo tutti i suoi movimenti lungo il perimetro della cucina. Quando Hinata si ferma, cominciando a tagliare le verdure da mettere in una pentola, Sasuke prende il coraggio a quattro mani.

“Mamma?” chiede, cercando di sembrare più naturale possibile. “Posso andare a trovare papà al lavoro, prima di pranzo?”

Lei interrompe per un secondo il suo ritmico gesto col coltello, sorridendo nella sua direzione.

Mmh, vediamo un po’…” inizia scherzosa, storcendo il naso. “Hai già rifatto il tuo letto?” chiede, fingendosi severa senza smettere di sorridergli.

“Sì,” risponde Sasuke ridacchiando.

 Eee…ti sei lavato la faccia?” continua lei.

“Sì!” ride Sasuke, dondolando le gambe sempre di più.

“Bene,” conclude Hinata, poggiando il fianco contro il piano della cucina. “Se mi prometti che ti comporterai bene, andrai difilato al palazzo senza bighellonare in giro e tornerai puntuale per pranzo, puoi andare,” concede, benigna. “Ma guai a te se fai tardi!” minaccia divertita, puntandogli contro il coltello come uno shuriken.

“Grazie!” esclama Sasuke entusiasta, buttandosi giù dalla sedia e correndo verso la porta. “A dopo, mamma!” strilla, infilando i piedi nei sandali in un  solo gesto e correndo poi via.

Capita spesso di vedere Sasuke Hyuuga che scorrazza qua e là. Tutti gli abitanti di Konoha hanno un debole per il secondogenito dell’Hokage, un bambino delizioso e assennato, seppur ridanciano e vivace. A vederlo trotterellare lungo la via con la sua andatura ballonzolante di bambino e il suo sorriso solare, non si può non essere conquistati.

“Buongiorno, Sas’ke-kun,” è il caloroso saluto che lo insegue mentre svicola oltre il negozio di fiori.

“Buongiorno, Ino-chaan!” strilla lui, voltando indietro la testa. “Niente lavoro, oggi?”

La donna gli sorride, porgendo un fiordaliso.

“No, oggi sto in negozio. Stai andando al palazzo?”  aggiunge, mentre lui afferra il fiore con garbo.

“Sì. Per Sai sama, come al solito?” risponde spiccio, sventolando il fiore e saltellando sul posto con fare frettoloso. Ino annuisce accarezzandogli la testa.

“Grazie, Sas’ke-kun,” risponde affettuosa. “Saluta Shikamaru, se lo vedi!” aggiunge a voce più alta, mentre lui già scatta via, scartando qualche passeggiatore e un paio di ragazzi più grandi.

“Buona giornata, Sas’ke-kun!”

“A lei, Shino-san!”

“Ehi, Sas’ke, non correre così o finirai per farti male!”

“Non si preoccupi, Iruka sensei! Me la cav…”

Ed ecco: svoltando l’angolo non fa in tempo a finire la frase che sbatte contro qualcosa di morbido e resistente, e il rinculo lo getta a terra di botto.

Ahio,” borbotta, strizzando gli occhi.

“Sas’ke,” lo apostrofa la voce calma e profonda del consigliere di suo padre, che lo fissa dall’alto grattandosi la testa. “Dovresti guardare dove vai,” suggerisce pacato.

“Buongiorno, Kakashi,” risponde lui, alzandosi con un saltello. Sorride sornione, stringendo le spalle. “Mi hai sbarrato la strada,” lo accusa, con una linguaccia.

“Già,” sospira lo shinobi, placido. “Davvero imperdonabile.”

Sasuke ride, incamminandosi al suo fianco.

“Stai andando dall’Hokage?” cinguetta, contento come sempre di passeggiare accanto a una celebrità.

“Sì,” conferma l’adulto bonariamente. “Anche tu?”

“Sì!” esclama Sasuke, trotterellando per tenere il suo passo nonostante Kakashi stia avanzando in tutta calma. Ma ha le gambe così tanto più lunghe delle sue che è un’impresa stargli dietro senza correre.

Sasuke osserva il cielo sereno, in cui risplende il sole, e sospira soddisfatto.

“Allora, Sas’ke, quest’anno inizi l’accademia,” commenta Kakashi, svagato.

“Esatto,” afferma lui orgoglioso. Ci pensa su per qualche istante, assorto. “E’ vero che tu sei diventato genin, alla mia età?” aggiunge ammirato.

Kakashi si stringe nelle spalle, continuando tranquillo la sua marcia.

“Erano altri tempi,” osserva noncurante. “C’era la guerra.”

“Voglio anche io diventare genin in fretta,” afferma Sasuke sicuro. “Ed essere forte come mio padre prima possibile,” insiste baldanzoso.

Kakashi scuote piano la testa, aprendo la porta davanti a lui per farlo entrare nel palazzo. Saluta con un cenno lo shinobi addetto all’ingresso e passa oltre, facendo segno che il bambino è con lui.

“Sas’ke,” inizia poi, con lontana amarezza, “la fretta è una cattiva consigliera. Come hai visto poco fa, se corri troppo rischi di cadere,” afferma, serio.

Il bambino lo guarda con attenzione, come fa sempre quando gli spiega qualcosa: Kakashi è stato il sensei di suo padre, perciò sa quello che dice. Poi scrolla le spalle e sorride di nuovo.

“Me lo ricorderò,” commenta giudizioso.

“Bene,” sospira Kakashi affabile. “Vado nel mio ufficio. Di’ all’Hokage che sarò da lui tra un paio d’ore,” aggiunge, all’altezza della scala del secondo piano.

“Sarà fatto,” conferma Sasuke, incamminandosi rapido ma con più compostezza, per dimostrargli che ha capito la lezione. È così, spedito e quasi solenne, che oltrepassa l’ufficio di Konohamaru, il quale gli lancia un’occhiata stranita cui lui replica con un maestoso “buongiorno, signor segretario,” e poi finalmente è davanti alla porta del Rokudaime Hokage.

Dall’interno non provengono suoni e Sasuke, incerto, bussa piano.

“Avanti,” è la solerte risposta proveniente dall’interno. Il bambino fa capolino, con un radioso sorriso.

“E’ permesso, papà?” chiede timidamente.

“Sas’ke!” esclama Naruto, illuminandosi. Lascia cadere la penna accanto al foglio su cui stava scrivendo e si alza dalla poltrona, andandogli incontro. “Certo, entra. Cosa ci fai qui?” chiede, accarezzandogli la testa bionda.

“Volevo stare un po’ con te,” borbotta Sasuke. “Posso?” domanda, supplichevole.

Naruto sospira, poggiandogli la mano sulla spalla.

“Certo che puoi,” afferma con premura, tirandolo verso la scrivania con sé. “Però devo lavorare. Va bene?”

Sasuke annuisce comprensivo, mentre suo padre si risiede.

“Kakashi ha detto che verrà qui, dopo,” annuncia, ricordando le parole dello shinobi. Naruto annuisce e lui si sistema sulla sedia davanti a quella di papà, poi posa il fiore – che si è un po’ accartocciato nella caduta – su un angolo del piano di legno. Guarda Naruto ricominciare a scrivere, interrompendosi di tanto in tanto per sorridergli, e studia intorno a sé per vedere se è cambiato qualcosa dalla sua ultima visita, due giorni prima. Ma la stessa tenda blu oscilla lieve a lato della finestra, la stessa stampa del paesaggio collinare occhieggia dalla parete e anche le quattro foto, per fortuna, sono ancora al loro posto. Sasuke, nervoso e un po’ impaurito, prende a giocherellare con quella della madre.

“Era bella la mamma da ragazza,” esclama, distraendosi per un attimo nella contemplazione di lei.

Naruto aggrotta la fronte, saputo.

“E’ ancora bella,” osserva, con un occhiolino. “E’ la mamma.”

Sasuke ridacchia e quando il padre riporta l’attenzione al foglio la sua manina impaziente scivola ad afferrare la famosa fotografia del team.

“Anche la zia Sakura era bella,” commenta trepidante.

“Come lo è ora,” aggiunge distrattamente Naruto, scrivendo con slancio.

Sasuke prende fiato, con il cuore che batte forte. Le sue dita sono strette sulla cornice chiara, la gola è serrata ed è costretto a deglutire prima di poter parlare.

“Papà,” pigola, agitato, “dov’è, adesso, il ragazzo della foto?”

La penna di Naruto s’immobilizza sulla carta all’istante, e così pure i suoi occhi azzurri.

“Come?” chiede, atono.

Sasuke pensa che tanto ormai è fatta: con un gesto temerario volta la foto verso il padre, che solleva gli occhi con riluttanza: il dito esile del figlio, senza possibilità d’errore, è puntato sullo sconosciuto genin dai capelli neri che, con una smorfia seccata e vagamente sprezzante, occupa il lato sinistro della fotografia.

“Lui,” aggiunge Sasuke, per fugare ogni dubbio. “Quello che si chiama come me.”

“Oh, lui,” sospira Naruto, posando la penna. “Se n’è andato da un sacco di tempo,” taglia corto, sfuggente.

“Andato dove?” insiste speranzoso Sasuke, dato che non si aspettava di ricevere risposta.

Naruto sbuffa, reclinando il capo di lato con un sorriso che non ha nulla di allegro.

“E’ morto, quando eravamo ragazzi,” annuncia, la voce bassa e inespressiva.

Gli occhi bianchi di Sasuke si sgranano e la sua bocca si spalanca con sorpresa.

“Morto?” ripete, e la sua vocina si impenna acuta: non credeva, davvero, che il migliore amico di papà fosse morto. È una cosa triste, una cosa terribile che non capisce.

“Già,” conferma Naruto, stringendo le labbra senza più riuscire a sorridere. “E’ successo parecchi anni fa. Avevamo sedici anni,” continua, con tono definitivo.

Sasuke annuisce in silenzio. Tutt’a un tratto gli dispiace di aver sollevato l’argomento e vorrebbe non aver chiesto niente. Si aspetta che suo padre riprenda a scrivere, senza aggiungere altro, invece lo vede continuare a osservare la foto in silenzio, con espressione distante.

“Mi dispiace, papà,” mormora avvilito.

Naruto si riscuote, scrolla la testa e riprende la penna.

“Non fa niente, Sas’ke,” risponde vacuo. “Sono cose che succedono, nella vita.”

“Ma era tuo amico…” guaisce il bambino. Ha una gran voglia di piangere, adesso,anche se non sa bene perché. Papà ha la faccia triste e gli fa male, perché è colpa sua. Sua, e di quell’altro Sasuke che è stato così stupido da morire quando aveva un amico come suo padre.

Decide repentinamente che il suo omonimo gli è antipatico. Ha fatto star male papà.

Volta la foto e la osserva con nuova ostilità. È contento di verificare ancora una volta che tra lui e quello sconosciuto non c’è la minima somiglianza: lui è biondo come suo padre, e quello lì ha i capelli neri. Lui ha gli occhi bianchi della mamma, e quello lì ha gli occhi, ancora, neri. Lui è paffuto e ha il nasino a patata, e quello lì ha il viso affilato e un naso piccolo, un po’ all’aria.

“Perché fai quella faccia, Sas’ke?” lo riscuote la voce interrogativa di suo padre.

Il bambino aggrotta la fronte, riluttante.

“Non mi piace,” mormora imbronciato. “Non voglio chiamarmi come lui. Non voglio avere niente in comune con lui,” scandisce altero.

Naruto si appoggia allo schienale della sedia, sconcertato e malinconico.

“Non piaceva nemmeno a me,” confessa, assorto. “All’inizio. E se ti può tranquillizzare, non hai davvero niente di simile a lui,” aggiunge condiscendente.

“Davvero?” insiste Sasuke rassicurato.

Naruto annuisce confortante, poi china lo sguardo con rammarico.

“Tu hai una famiglia che ti vuole bene e ti sta sempre vicino, sei allegro e rumoroso e ti piace stare in compagnia,” elenca, distratto.

Sasuke lo guarda scettico: gli sembrano cose perfettamente normali, come per tutti. È vero, c’è Sarutobi-kun, l’allievo di Shikamaru, che non ha un papà, ma è un’eccezione rara.

Però, ora che ci pensa, suo padre non aveva genitori. Era orfano e solo.

“E lui no?” chiede attento. Anche l’altro Sasuke era solo come suo padre, forse. D’improvviso ha un moto di pena per lui, anche se resta molto antipatico.

“Lui aveva perso tutti quanti, come me,” lo informa Naruto, confermando il suo sospetto. “Ed era sempre scorbutico e di cattivo umore,” aggiunge e, senza che Sasuke capisca minimamente perché, si mette a ridere leggermente. “Non parlava quasi mai e trattava tutti con freddezza. Sembrava sempre che solo a salutarti ti stesse facendo un immenso favore,” continua, rapito e con un sorriso amaro.

Sasuke storce il naso: di quello lì, più ne sa e più gli sembra insopportabile.

“E allora perché era tuo amico?” chiede perplesso.

“Perché gli volevo bene,” risponde suo padre, stringendosi appena nelle spalle. “E a suo modo lui ne voleva a me. Eravamo più simili di quel che sembrasse.”

Sasuke lo guarda e non capisce.

“Perché?” gli sfugge.

Naruto lo scruta per un istante, espira a lungo e si gratta la testa, incerto sulla risposta da dargli.

“Perché avevamo delle cose in comune. Sai, non c’è un vero motivo per voler bene a qualcuno. Succede e basta. Si creano dei legami tra le persone e, una volta che sono lì, rimangono.”

Sasuke stringe le labbra, concentrato e profondamente pensieroso, e suo padre lo guarda incuriosito.

“Io voglio bene a te e alla mamma. Poi a Kushina, agli zii e Hizashi-kun, al nonno e a Kakashi. Anche alla signora Ino, a Sarutobi e Shikamaru. E anche a Konohamaru,” elenca, con la stessa espressione confusa di prima.

“Vedi?” afferma Naruto con dolcezza. “Tu sei fortunato. Hai tante persone intorno che tengono a te,” gli fa notare, sereno.

Sasuke tace, colpito. Non gli era mai capitato di pensare che fosse particolarmente importante, gli pareva naturale. Guarda di nuovo il ragazzo della foto e socchiude gli occhi, acuto. Quel ragazzo aveva perso tutti quanti: doveva essere stato molto brutto per lui.

“Forse era triste,” commenta sottovoce.

“Penso di sì,” conferma suo padre dolorosamente. “Però vedi, quando si è tristi bisogna sforzarsi di pensare ad altro. Lui era triste e continuava a pensare alle cose tristi che gli erano successe, senza accorgersi che intorno a lui arrivavano nuove persone a volergli bene. Era fatto così, sai,” conclude, la voce sempre più bassa.

Sasuke continua a guardare la foto e si sente riconciliato: il ragazzo forse non era antipatico, era solo un po’ tocco, un po’ suonato.

“Ho capito,” mormora, compreso. Poi spalanca di nuovo gli occhi, ricordando le parole di Konohamaru. “Papà, lui era buono?” chiede a bruciapelo.

Naruto sussulta di sorpresa, senza riuscire a seguire del tutto i suoi ragionamenti.

“Era molto buono,” risponde con sicurezza. “Cercava disperatamente di dimostrare il contrario, ma non ci è mai riuscito veramente,” aggiunge nostalgico.

“Ma ha tradito il villaggio!” protesta Sasuke di slancio. Nel vedere il padre aggrottare la fronte si tappa la bocca con la mano, inquieto.

“Chi te lo ha detto?” chiede Naruto, serio.

Konohamaru,” squittisce Sasuke colpevolmente. “Gli avevo promesso che sarei stato zitto,” aggiunge mortificato.

Naruto sbuffa rassegnato, nascondendo un sorriso. Poi il suo sguardo si fa di nuovo grave, mentre si sporge verso il figlio.

“E’ vero, aveva tradito il villaggio, ma non perché non lo amasse. Sai, Sas’ke, se oggi esiste ancora Konoha, se tu sei qui, è anche grazie a lui.” Fa una pausa, mentre gli occhi del figlio lo scrutano attenti, poi allunga una mano sulla sua. “Tu porti il nome di un eroe, Sas’ke,” afferma con serietà. “Ricordatene.”

Il bambino lo guarda a bocca aperta. Negli occhi convinti di suo padre c’è certezza e adesso gli sembra che quel nome non sia poi così male. Getta un ultimo sguardo al ragazzo della foto. Se ci fa caso, in effetti, c’è qualcosa di luminoso nei suoi occhi neri e bellicosi che non aveva notato, e che gli ispira una nuova simpatia.

Magari diventerà un eroe anche lui.

“Ma non gli somiglio per niente, giusto?” ripete, ritirando la mano, e questa volta non ne è poi così felice. Mica tutti possono diventare eroi, dopotutto, e magari lui non ha la stoffa.

Naruto sorride tra sé, lo guarda per un po’ con fare pensoso e poi scrolla la testa.

“In verità c’è qualcosa…” inizia, vago.

“Cosa? Cosa?” lo sprona Sasuke, sporgendosi tanto in avanti che quasi cade.

Naruto trattiene a stento una risata, indicando il suo viso.

“Aveva anche lui occhi speciali, come te,” annuncia quieto.

Sasuke lo guarda stupefatto.

Byakugan?” esclama incredulo. Torna a fissare la foto, ma gli occhi del ragazzo sono neri, normalissimi.

Suo padre scuote la testa.

“No. Non lo stesso tipo di occhi,” lo corregge bonario. “Hai già visto Kakashi scoprire il suo occhio segreto?” chiede paziente. Sasuke scuote la testa. “Beh, quando lo vedrai saprai com’erano gli occhi di questo Sasuke. È un potere molto speciale, si chiama sharingan. Ne hai già sentito parlare?”

Sasuke ci pensa su, raccolto.

“No…” borbotta avvilito. “Aspetta!” sbotta poi di slancio. “Una volta l’ho sentito chiamare così! Kakashi dello sharingan,” esclama, soddisfatto. Naruto annuisce, sorridendo.

“Esattamente.”

Sasuke si quieta, rasserenato.

“Papà,” inizia poi, assorbito dai suoi pensieri. “Ti manca?”

Naruto china la testa, disarmato, e le sue labbra si piegano verso il basso.

“Qualche volta. Spesso,” afferma, onesto.

“Mi dispiace,” esclama Sasuke schiettamente.

“Grazie,” risponde suo padre con affetto.

Sasuke tace per un istante, poi sospira e si lancia giù dalla sedia con un saltello, recuperando il fiordaliso sempre più sciupato.

“Devo andare. Bisogna che porti questo fiore a Sai sama  e che torni a casa per pranzo, o la mamma si arrabbierà,” osserva contrariato.

“Vai, allora,” lo sprona il padre. “Non facciamo arrabbiare la mamma.”

Sasuke annuisce, rassegnato.

“Buona giornata, papà,” saluta, sorridendo.

“Anche a te,” risponde Naruto affabilmente.

Il bambino si incammina alla porta. Dopo averla aperta si volta ancora per un attimo indietro a guardare il suo idolo, il suo fantastico padre.

“Papà,” aggiunge, serio, “era fortunato ad avere un amico come te. Sono sicuro che lo sapeva.”

Naruto lo guarda con gli occhi spalancati per un paio di secondi, le labbra gli tremano impercettibilmente. Poi chiude gli occhi e sorride, un sorriso faticoso ma splendente.

“Grazie, Sas’ke.”

Il figlio annuisce, senza aggiungere niente. Infila la porta e se la chiude alle spalle, saltellando via.

 

 

   
 
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