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Autore: MissNothing    08/08/2014    4 recensioni
"Una delle tante condizioni che ci impone la vita, è lo scegliere. [...] Ad ogni modo, Gerard era quasi sicuro di non aver mai scelto di condividere l'appartamento con uno spacciatore e la bassista di una band lo-fi, però era successo."
[AU, ovviamente.]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Flames In Our Veins (and just enough money for the weekend)

1. whatever lies will help you rest

 

 

 

Una delle tante condizioni che ci impone la vita, è lo scegliere.

Si può scegliere la carriera, si possono scegliere gli amici, si può scegliere che sigarette fumare e con che laurea pavoneggiarsi davanti ad un aperitivo. Si può scegliere di indossare capi costosi e si può scegliere che musica ascoltare, si può scegliere cosa mangiare a cena e si può scegliere che passatempo usare per sfuggire dalla monotonia.

Ad ogni modo, Gerard era quasi sicuro di non aver mai scelto di condividere l'appartamento con uno spacciatore e la bassista di una band lo-fi, però era successo. Così come non aveva mai sognato di mangiare pop-corn in busta per colazione, e la sua ambizione non era mai stata esattamente quella di trovarsi a fissare una tela completamente bianca per ore prima di arrendersi all'innegabile verità che non sapeva proprio cosa dipingerci sopra per compiacere i pretenziosi hipsters newyorkesi, eppure la sua realtà era quella.

E mentre le macchine passavano nove piani più giù e gli automobilisti esasperati dal traffico pigiavano incessantemente sui clacson delle loro vetture, pian piano arrivava quel momento della mattina in cui ogni energia creativa sparisce per lasciar posto al più grigio sconforto che un visionario come lui possa immaginare.

Gerard, da bravo sognatore presuntuoso che era, aveva sempre avuto una forte tendenza ad idealizzare le cose: prima l'indipendenza, poi la bella e luminosa New York, la patente, gli sconosciuti sui treni. Era tutto un po' ovattato nella sua testa, reso bellissimo dal fatto che non aveva sognato altro per tutta la sua adolescenza, e tutti i bordi affilati che ogni giorno scavavano affondo nella sua idilliaca illusione erano levigati da una qualche speranza, da una luce che si auto-convinceva di vedere infondo al tunnel.

Ma la verità era che la “Grande Mela” era marcia da far schifo, guidare gli metteva l'ansia e gli sconosciuti gli urlavano contro, e alle otto due punti doppio zero di un qualsiasi giovedì di ottobre, la prima sveglia a suonare nel piccolo appartamento condiviso in cui viveva era quella di Adam.

Adam alla fine gli piaceva.

Era un ragazzo di venticinque anni che si era trasferito lì da uno di quei piccoli paesini mega cattolici, e ogni settimana fumava un tipo di sigarette di contrabbando diverso. Tutte avevano nomi stranissimi, e ogni volta ci si rideva su anche se alla fine era una cosa di una tristezza infinita, il fatto che preferisse aspirare quello schifo e farlo finire dritto nei suoi polmoni piuttosto che smettere e basta, se proprio non poteva più permettersi quel vizio.

Metteva sempre dei calzini abbastanza strani e portava i capelli un po' più lunghi e sporchi della norma, con un accenno di barba sulle guance: proprio come sarebbe piaciuto a Gerard, al quale però quel look non aveva mai donato granché.

L'unico problema era che nascondeva almeno dieci chili di cocaina in casa, che comunque aveva i suoi vantaggi perché almeno con lui non ci si annoiava mai; ogni giorno giravano per il loro soggiorno dei tipi assurdi, gente proprio fuori di testa, e c'era sempre da fare salotto e intrattenerli.

Gerard trovava che fosse una una cosa divertente, e che quello di Adam alla fine fosse un lavoro come tanti. Naike gli aveva chiesto perché non potesse semplicemente spacciare per strada come tutti i piccoli venditori, una sera in cui era particolarmente preoccupata per le sue attività da privatista, e lui aveva risposto che se non le andava bene si sarebbe trovato un altro alloggio, ma non avrebbe di certo rischiato di farsi piantare una pallottola in testa dai grandi del settore. Naike nemmeno gli aveva risposto, e da quel momento in poi non se ne era mai più parlato.

«Apri questa porta di merda!» Urlò Adam, esattamente ventidue minuti dopo essersi svegliato. Gerard non sapeva perché, ma aveva questa strana fissa che ogni volta che provava a dipingere doveva chiudersi a chiave nel suo “studio”. Giusto perché magari un giorno sarebbe riuscito a fare effettivamente qualcosa, e una qualsiasi distrazione esterna avrebbe rischiato di rovinare tutto. «Tanto lo so che stai lì dentro a contarti i peli sulle braccia, Gerard, forza.» Il ragazzo si arrese, e con un sospiro obbedì. Adam si precipitò nella stanza, guardando giusto di sfuggita la tela immacolata sul cavalletto. «A quanto lo vendi questo?»

«Adam, honey, mi dispiace tanto se una fatina ti ha preso a calci nei coglioni mentre dormivi, ma non c'è bisogno di prendertela con me.» Gli rispose Gerard, cercando di essere acido almeno la metà di quanto lo era stato lui. Il ragazzo, intanto, si era accasciato sul pavimento ed era intento a scardinare senza nessuna particolare tecnica la ferraglia che copriva il buco nel muro in cui nascondeva la merce e ciò che gli serviva per trattarla, e si mise a dividere piccole dosi con un'impressionante velocità.

«Indovina chi ha un appuntamento con Yung fra un quarto d'ora e non ha fatto nulla.» Sbuffò, causando lo spargimento di un po' di polvere sul pavimento. Gerard alzò gli occhi al cielo, si inginocchiò vicino a lui e con l'ausilio di una bilancia di precisione che ormai ad Adam non serviva più cercò di rendersi utile.

«Quante, baby cakes?» Gli chiese, e per la prima volta il ragazzo si fermò dal suo frenetico impacchettare per guardarlo. Adam sapeva esattamente quanto Gerard odiasse maneggiare quella roba, e preferì accertarsi che fosse sicuro.

«Dieci in totale, cinque grammi l'una.» Rispose, passandogli un foglio di stagnola.

E continuarono senza dirsi una parola.

 

**

 

Yung era senza dubbio il preferito di Gerard.

Era un panciuto signorotto cinese sulla cinquantina, indossava dei discutibili completi che ogni volta coordinava con queste cravatte assurde ed era un sacco gentile con tutti. Tant'è che non avevano nemmeno capito che cosa ci facesse con tutta la roba che comprava, perché a parte il fatto che non sembrava il tipico cocainomane, nemmeno si comportava come tale.

Adam diceva sempre che voleva un sacco scoparsi Gerard, e lui ogni volta ne era sempre più convinto: gli faceva il baciamano, ad ogni visita lo rassicurava che se mai avesse voluto vedere la Cina sarebbe stato il benvenuto nel suo albergo, e gli si sedeva sempre accanto. Le sue attenzioni lo intenerivano un sacco, per qualche strano motivo, e per questo faceva finta di dargli corda... anche perché aveva notato che lasciava sempre delle mance parecchio più consistenti quando faceva il carino con lui, e questo non faceva male a nessuno.

Quell'incontro non fu diverso dagli altri, e alla fine nessuno si aspettava che lo fosse.

I due avevano da poco finito di impacchettare che subito sentirono bussare alla porta. Gerard andò ad aprire così da metterlo immediatamente di buon umore, e accolse Yung con il solito sorrisino che -aveva capito dal suo sguardo- gli faceva veramente piacere che gli si rivolgesse.

«Buongiorno, signor Yung.» Disse, facendolo accomodare e ricevendo un saluto anche un po' troppo infervorato. «Adam sarà qui a breve... gradisce qualcosa da bere, nel frattempo?» Domandò, mostrandosi sempre servizievole. Con il tempo aveva capito che, per quanto odiasse porsi in quella maniera, non c'era altro modo per approcciarsi con i clienti di Adam, perché pensavano sempre di avere il controllo della situazione.

«Oh, no, no, non preoccuparti.» Rispose, facendogli cenno di avvicinarsi. «Vieni a fare due chiacchiere con me.» Continuò, con quella voce acuta e quell'accento che a Gerard faceva troppo ridere. Il ragazzo si andò a sedere accanto a lui con riluttanza, abbastanza vicino da non fargli dubitare di lui ma abbastanza lontano da non rendere equivocabile la situazione.

«Come va l'albergo, signor Yung?» Chiese, non perdendo occasione per enfatizzare quell'appellativo. Un'altra cosa che aveva imparato era che a certi uomini piaceva tantissimo l'idea di avere potere, e quando l'oggetto del loro desiderio gli riconosceva quest'ultimo, cadevano in questo stato di autocompiacimento e fiducia in sé stessi, come fossero in trance, e a quel punto erano burattini che giocavano a fare i giganti.

«L'albergo? Oh, oh, l'albergo! L'albergo sta andando bene! Benissimo!» Rispose, entusiasta. Gerard sorrise a quell'ingenuo tentativo di impressionarlo, e a salvare la situazione arrivò Adam.

«Buongiorno.» Esordì, riuscendo in qualche modo ad enfatizzare tutte le vocali presenti in quella singola parola. Depositò la merce di scambio sul tavolo insieme al solito campione di prova che forniva ai clienti, e si sedette di fronte a loro, osservandoli.

«Vediamo un po' che abbiamo qui.» Disse Yung, sfregando impazientemente i palmi delle mani. A Gerard faceva un sacco ridere l'idea che voleva mostrarsi forte e autorevole con Adam, per poi andare in panico quando si trattava di parlare con lui. Era una cosa tenerissima. A lui non succedeva dai tempi del liceo.

«Oh, signor Yung, che abbiamo qui, mi chiede?» Chiese, il tono da tipica televendita di cianfrusaglie. Gerard cercò di non ridere, coprendosi “casualmente” la bocca con un gesto che poteva dare l'impressione che si stesse solo reggendo il volto e distogliendo lo sguardo. «Roba colombiana, pura al 90%, sarà il miglior affare della sua vita.»

«Questo è tutto da vedere.» Disse, mentre contava le bustine che Adam aveva preparato finché era ancora lucido.

«Sono dieci, come abbiamo concordato.» Disse, consapevole che avrebbe comunque finito di contarle da sé. Adam decise dunque di ottimizzare il tempo, e ,con un vecchio biglietto della metro, divise due strisce di roba. «Provi.» Gli avvicinò il tagliere -che ormai tutto era tranne ciò per cui era stato concepito-, e l'uomo, ostentando il solito fare serioso, arrotolò una banconota da cento e tirò tutto su.

E si vedeva dalle sue pupille che l'affare era fatto.

 

**

 

Alle undici i due erano ormai più ricchi di cinquecento dollari, ed era proprio a quell'ora che la seconda sveglia della giornata suonava.

Naike emerse dalla sua stanza dieci minuti dopo, con il suo largo pigiama rosa ancora indosso, la sua solita massa informe di capelli lilla che andava un po' da tutte le parti e residui del trucco nero della sera prima sparsi sulle guance e sotto gli occhi. Si prese qualche secondo per esaminare la situazione, e quando realizzò che Adam aveva appena stappato una bottiglia di champagne storse leggermente il naso all'idea di bere alcool ancora prima di pranzare.

«Stiamo festeggiando qualcosa?» Domandò, stropicciandosi ancora gli occhi e sbadigliando.

«Ti ricordo che non abbiamo bisogno di un motivo per festeggiare, perché, insomma, siamo giovani e favolosi.» Rispose Adam, raccattando da qualche parte una terza tazza nella quale versare dello champagne anche per lei. «Ad ogni modo, se proprio sei quel tipo di persona che ha bisogno di un motivo per sorseggiare raffinati alcolici, stamattina stiamo brindando al fatto che Gerard si è finalmente convinto a mettere qualcosa che non sia nero!» Continuò, mettendo in evidenza il completo che aveva fatto indossare al ragazzo e porgendo a Naike la tazza con una leggiadra mossa dalle poco comprensibili dinamiche, mirata probabilmente a far sembrare quella situazione un po' più di classe. Lei, nonostante l'evidente turbamento che la sua espressione lasciava trasparire, afferrò la sua tazza zebrata e brindò con loro. «Oltre che, beh, al fatto che anche questo mese non ci pignorano la casa.»

«”Raffinato” un paio di palle, Adam, hai pisciato in una bottiglia e poi l'hai messa nel frigo?» Domandò la ragazza dopo un momento di silenzio nel quale tutti e tre avevano cercato di capire cosa avessero appena bevuto, mentre una teatrale espressione disgustata si faceva strada sul suo viso dopo il primo assaggio. Gerard non poteva fare altro che concordare, ma d'altra parte, dopo aver visto che erano scesi di casa con una sola banconota di cinque dollari e che in qualche modo era avanzato anche qualche centesimo dal loro acquisto, non era per nulla sorpreso: si limitò a bere fino a non accorgersi più del sapore disgustoso di quella brodaglia che stavano bevendo.

«Perché noi adesso viviamo di raffinatezze, non è così, milady? Le faccio il baciamano? Una piroetta?» Disse, inchinandosi. Naike alzò gli occhi al cielo e si andò a sedere sul bancone della cucina, mandando giù un altro paio di sorsi prima di lanciare un'occhiata inquisitiva a Gerard.

«Gerard sembra gay vestito così.» Disse, e in effetti aveva ragione: Adam gli aveva dato questa sua vecchia camicia bianca a pois neri, e lo aveva convinto ad indossarla un po' sbottonata e un po' fuori dai pantaloni, con le maniche arrotolate fino al gomito. Per rendere più breve la storia della sua patetica disfatta, dopo varie preghiere il ragazzo aveva perso la voglia di obiettare, e aveva deciso piuttosto di adeguarsi per una mattinata. Adam intanto stava giusto per aprire bocca per correggere Naike, quando lei stessa disse quello che tutti quanti stavano pensando. «Cioè, più gay.»

«Ma sta bene!» Si lamentò il ben poco apprezzato stilista, con un tono che sembrava il capriccio di un bambino lamentoso piuttosto che una presa di posizione.

«Io intendevo dire solo che starebbe meglio in un qualche bar del West Village a sorseggiare un bellini.» Precisò, cercando di non ridere sotto i baffi.

«Cosa avete tutti contro il bellini? Non sapete apprezzare le cose belle.» Si oppose Gerard, fermamente convinto che si stessero tutti coalizzando contro di lui.

«Gerard, butter cup, se bevi un bellini puoi essere solo una ragazzina di sedici anni o una piccola checca come te.» Disse Adam, pizzicandogli le guance e arruffandogli i capelli come avrebbe fatto sua zia se quello fosse stato il giorno di Natale. Gerard, fingendo indignazione, ponderò quale fosse la risposta più adatta e inscenò uno dei suoi migliori isterismi.

«Darling, ti ricordo che sei tu quello che possedeva una camicia a pois fino a qualche ora fa.» Obiettò, mentre Naike reagiva con un verso di sorpresa simile a quelli pre-registrati che si usano nei talk show.

«Adam, Adam... la verità fa male.» Decretò la ragazza con finto fare esausto, versandosi un altro po' di champagne come se tutte le sue obiezioni di poco prima non importassero più molto. Gerard fece lo stesso, e servì anche il suo (ormai battuto) sfidante quando questi gli porse la tazza. «Parlando di cose serie...» Continuò, rivolgendosi ad Adam dopo qualche secondo di silenzio e raccattando un pugnetto di cereali dalla scatola che sedeva abbandonata affianco a lei per poi gettarli nella sua tazza di champagne. «...dobbiamo trovargli un fidanzato.»

«Non ho bisogno di un fidanzato!» Disse, sfinito. Aveva perso il conto di quante volte avevano avuto quella conversazione, e finiva sempre allo stesso, identico modo. Gerard infatti era consapevole di avere torto, ma probabilmente non lo avrebbe mai ammesso- anche solo per il semplice motivo che era talmente innamorato di sé stesso da non essere proprio in grado di accettare il fatto che alle volte si sentiva un po' vuoto.

«Hai ragione, chi ha bisogno di un fidanzato... tanto per quando ti si ammoscia il culo e finalmente ammetti che ti sei stancato di masturbarti avrai comunque il cinese di Adam che ti sbava dietro, quindi...»

«Io non-»

«Sì, tu non ti masturbi, certo, ed io ho pubblicato un disco di platino mentre Adam prendeva una laurea in medicina, forza, continuiamo a raccontarci di quanto siamo delle brave perso-»

«Non intendevo dire quello!» Si corresse, trattenendo a malapena una piccola risata che avrebbe rovinato l'atteggiamento irritato che stava cercando di mantenere. «Volevo dire che non ho bisogno che voi mi troviate un fidanzato perché, se mai dovessi volerlo, potrei benissimo cercarlo da solo.»

«Hai avuto un appuntamento in sei mesi e stavamo per essere tutti arrestati.» Disse Adam, mettendo in discussione la sua saggezza e le sue capacità di ponderazione.

«E' successo una volta!» Si lamentò, chiedendosi quanto spesso avrebbero sentito il bisogno di rinfacciargli quello stesso episodio.

«Gerard.» Prese posizione Naike, azzittendo i due baldi giovani che stavano continuando a discutere di quel piccolo incidente di Bert e la sua semi-overdose. «Tu adesso mi fai la tinta, ti lavi, e poi per cortesia vesti Adam, che io così non me lo porto in giro- stasera usciamo! E no, non ve lo sto domandando.» Ordinò con un sorriso, lasciando i due un po' interdetti mentre si dirigeva verso il bagno.

«Heil!» Le urlò Adam dal salotto, strappandole una piccola risata (anche se non lo avrebbe ammesso mai).

 

**

 

Se Gerard avesse dovuto descrivere il suo rapporto con Naike, probabilmente non ci sarebbe riuscito.

Il loro era stato un incontro puramente casuale, eppure non sapeva davvero dove sarebbe stato a quel punto se la vita non avesse deciso di farli trovare; loro ci scherzavano spesso, e quando gli si chiedeva come avessero fatto ad incontrarsi rispondevano che probabilmente il destino aveva semplicemente pensato che sarebbe stato divertente far convivere due artisti falliti come loro, ma solo perché non volevano veramente pensare a cosa sarebbe successo se così non fosse stato.

Era estate, questo se lo ricordava per certo, e Naike stava suonando il suo ultimo show con il suo vecchio gruppo in un polveroso bar di Manhattan. Gerard, invece, si era appena venduto l'anima dopo aver accettato di fare dei quadri su commissione per una piccola galleria, e per qualche strana ragione avevano cominciato a parlare. Come se le loro solitudini e le loro delusioni si fossero attratte.

Lui le aveva raccontato di come si era da poco laureato e invece di dare sfogo alla sua creatività aveva già dovuto arrendersi all'idea che avrebbe passato la vita a dipingere ciò che gli altri volevano vedere, e lei gli aveva detto che con il suo gruppo era appena riuscita a scrivere dei pezzi di cui era veramente soddisfatta, ma che all'etichetta non erano piaciuti e di conseguenza il resto del gruppo li aveva immediatamente scartati per dare ai produttori ciò che volevano.

Parlarono per ore senza rendersi conto del tempo che passava, provando per la prima volta dopo tanto tempo quella sensazione di conforto e agio di quando sei appena tornato a casa dopo tanto tempo, e, a fine serata, quando si resero conto che nel locale non c'era più nessuno e che il barista continuava a lanciargli delle occhiate un po' impazienti, avevano concordato sul fatto che la vita è di uno schifo assurdo, che tutte le convenzioni sociali sono inutili, e soprattutto sul fatto che non avevano un soldo.

Dunque la scelta di trasferirsi insieme per risparmiare qualcosa era stata quasi automatica, dettata semplicemente dall'esigenza di andare avanti, e non c'era stato molto tempo per pensarci. In realtà non ne avevano nemmeno avuto bisogno di tempo per pensarci, per quanto folle e fuori dal mondo possa sembrare, e la settimana dopo stavano iniziando a trasportare scatole e le valigie contenenti le cose di Gerard nell'appartamento della ragazza, visto che lui era stato appena sfrattato dal suo.

Era stata un'esperienza catartica -rivedere le proprie abitudini, adattarle alla presenza di qualcun'altro, l'idea di avere quasi sempre un altro essere umano con i suoi pensieri e le sue idee in giro-, e per un po' non si erano nemmeno parlati più di tanto. Avevano passato del tempo a osservarsi da lontano, come un predatore che si prepara ad attaccare la sua preda, non con diffidenza ma nemmeno con speranza. Tuttavia nemmeno una volta nella storia della loro convivenza si erano trovati a pensare di aver fatto un errore, e nel giro di qualche settimana le cose si erano messe apposto da sole: le loro vite erano infatti scivolate in una sorta di piacevole routine, che, per chi come loro aveva vissuto per tanto tempo nell'incertezza più totale, era qualcosa di cui avevano sempre avuto bisogno senza nemmeno saperlo.

Avevano i loro piccoli rituali, le loro stupide abitudini, e Gerard che tingeva i capelli a Naike era una di queste.

Succedeva più o meno una volta al mese, ed era tutto nato dal fatto che lei era troppo pigra per farlo e che Gerard, essendo figlio di una parrucchiera, non sopportava di vederla con tre centimetri di ricrescita in testa e il colore sbiadito. E con il tempo aveva iniziato a pensare che fosse addirittura piacevole, quasi rilassante, e che in un'altra vita doveva decisamente rinascere parrucchiere.

«Hai parlato con tuo fratello ieri?» Naike gli chiese, interropendo i pensieri che lo stavano aiutando a distrarsi dall'odore un po' troppo pungente del decolorante che stava mischiando. E in effetti no, Gerard non aveva parlato con suo fratello e non aveva nemmeno intenzione di farlo. Le disse esattamente questo, e cercò di non guardare lo specchio per evitare di incontrare lo sguardo assassino della ragazza.

«Che dovrei fare? Mi fa sentire stupido.» Si giustificò, cominciando a spennellare il miscuglio di polvere e acqua ossigenata sulle radici ormai marroni dei suoi capelli.

«Ma è tuo fratello.» Ribadì di nuovo Naike, che, per via dello sforzo che stava compiendo nel tentativo di trattenerlo il più possibile per non respirare l'aria oramai resa acida dalle sostanza chimiche, aveva il respiro un po' affannato. Gerard sbuffò silenziosamente, alzando gli occhi al cielo e pentendosene dopo essersi reso conto che la ragazza avrebbe visto tutto dal loro riflesso.

«Possiamo affrontare questo discorso un'altra volta? Perché non credo ti convenga far innervosire la persona che in questo momento ha il completo controllo dei tuoi capelli.»

«Ma a che serve parlarne se farai comunque di testa tua?.» Gli rinfacciò, come se lui alla fine vivesse per ascoltare i suoi consigli e farsi comandare a bacchetta da lei e non, appunto, fare di testa sua come chiunque altro. Ma questo, invece, non glielo disse, consapevole che nonostante avesse il diritto di comportarsi come gli pareva, nella maggior parte dei casi il modo di fare giusto non era quello scelto da lui. «Lo sai che lo dico per te... se non mi importasse, mi farei i fatti miei e ti lascerei perdere i contatti con il mondo intero.» Disse, questa volta usando un tono meno aggressivo dopo aver notato come l'umore generale fosse calato a picco dopo il suo ultimo commento.

«Adam mi vuole bene, eppure non mi fa la paternale ventiquattro ore al giorno.»

«Adam ha una banda di gangster che lo vogliono accoppare, spaccia cocaina, è stato cacciato di casa dai suoi genitori e non riesce a tenersi una ragazza per più di tre giorni. Se non osa darti consigli su come gestirti è semplicemente perché è consapevole di sé stesso, e, diciamocela tutta, nella sua situazione si sentirebbe pure stupido a permettersi di farlo.» Puntualizzò Naike, la risposta sempre pronta.

«Okay, come vuoi, ma io non ho intenzione di fare il primo passo con Mikey finché non capisce che deve smettere di trattarmi con quell'aria di superiorità e distacco.» Disse, e, giusto mentre la ragazza stava prendendo fiato per rispondergli, la interruppe. «E non voglio un fidanzato.» Continuò, raccattando un altro sgabello e poggiandolo accanto a quello dove era seduta Naike per appoggiarvisi mentre aspettavano che il decolorante facesse effetto.

«Perché no?» Chiese lei, un accenno di ingiustificata disperazione mentre si girava di scatto verso Gerard così da poterlo fissare con il suo solito, vecchio sguardo inquisitorio. Quello che non falliva mai nel suo intento di farlo sentire in colpa, per intenderci.

«Perché dovrei?» Rispose, il suo tono identico a quello che aveva appena usato la ragazza. Gerard glielo lesse in faccia che stava cercando di trattenersi dal dirgli che ne aveva bisogno perché era solo come un cane, e cercò di mascherare quanto male gli avesse in realtà fatto quella realizzazione. Naike respirò profondamente e chiuse gli occhi, come se si stesse preparando all'ennesima preghiera.

«Perché lo abbiamo capito tutti che non si tratta davvero di non volerlo, e che deve esserci qualcos'altro che ti ferma.» A quel punto Gerard aveva lo sguardo fisso sulle piastrelle turchesi, illuminate da una gialla luce artificiale che riempiva tutto l'angusto spazio del bagno.

La verità era che fra di loro era sempre stato così, e Gerard ne era grato: Naike che cercava di spronarlo era come un promemoria che lo aiutava a rendesi conto, di tanto in tanto, che se la sua vita faceva schifo era solo e unicamente colpa sua, e almeno aveva la possibilità di cambiare quando voleva. Era difficile da accettare, ma sotto un altro punto di vista poteva essere una cosa positiva. Forse in un'altra situazione. Forse se non fosse stato troppo spaventato di prendere finalmente le redini della sua esistenza.

«Ti levo questa roba dalla testa.» Disse, quando ormai dieci minuti di silenzio erano volati. E, almeno per il resto della giornata, la ragazza lo lasciò in pace.

 

**

 

Ciao a tutti!

Sono abbastanza contenta di tornare a pubblicare dopo quasi un anno, devo ammetterlo, e non credevo sarebbe successo.

Forse nessuno si ricorda di me, ma sapete cosa? sarebbe ancora meglio dato che ho abbandonato la storia che avevo in corso! ç_ç

Scusatemi: sono sicura che un giorno la continuerò, ma se c'è una cosa che ho capito durante questa assenza da EFP è che il mio cervello non funziona a compartimenti, sfortunatamente, e che non riuscirò mai a concentrarmi su una sola cosa per troppo tempo. Un'altra cosa che proprio non fa per me sono le scadenze, quindi mi dispiace, potrei metterci un mesetto fra un aggiornamento e l'altro, ma vi assicuro che questa volta ce la farò a portare a termine qualcosa!

Questa storia nasce un po' per scherzo e un po' per noia, eppure mi ci sono già affezionata tantissimo /o/

Non vi negherò che ho una relazione un po' conflittuale con questi personaggi- alcuni sono davvero esistenti, e di conseguenza io nella mia mente so precisamente come immaginarli, ma dato che non sono assolutamente ~~MCR related~~ ho pensato che fosse inutile uccidervi la voglia di leggere, quindi immaginateli come volete e se capite chi sono, mega fiko!!!!!!!

Il titolo è un verso di Love & Drugs dei The Maine, mentre il nome del capitolo è il titolo di una canzone dei The Ataris.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

A presto :)

 

   
 
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