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Autore: kakashina93    12/09/2008    6 recensioni
'700 Francese. Il giovane barone Kakashi Hatake viene soprannominato il "Barone Scarlatto" dalla nobiltà dell'epoca a causa del suo occhio. I maligni dicono addirittuta che sia figlio del diavolo. Ma solo in pochi conoscono la vera storia del ragazzo che in pochi anni si è visto portare via tutto. Tutto, persino la sua stessa vita. Un giorno viene costretto a partecipare ad una festa in maschera e lì incontra il duca Orochimaru, uomo spietato e pieno di potere, accompagnato dalla sua nuova amica. Kakashi rimane subito colpito da quella ragazza, così diversa dalle altre oche della sua età. Ma lei ha una storia dolorosa alle spalle. Riuscirà ad aprirsi al barone? E il barone riuscirà a lasciarsi alle spalle tutto il suo dolore e il suo rancore?
Un AU (la prima per me) con accenni di altre coppie. [KakashixAnko centric]
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anko Mitarashi, Jiraya, Kakashi Hatake, Orochimaru
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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1-Il Barone Scarlatto

 

«Il mio nome è Kakashi Hatake, ventiseienne barone di Mont Saint Clarisse, una piccola località sperduta nel nulla in quella regione tanto bella quanto malvagia che il mio mondo si diverte a chiamare France.»

 

Kakashi arrotolò anche quello stramaledetto foglio tra le lunghe dita affusolate e lo scaraventò nel bidoncino adibito alla spazzatura, bidoncino che ormai straripava di fogli, piume spezzate e calamai di inchiostro nero, vuoti.  Un uomo in età avanzata fece capolino nella stanza sorreggendo un vassoio in porcellana con sopra una tazza di fumante the inglese.

 

«Le porto altra carta signore?»  disse il vecchio posando il piattino, il bricco del latte e la zuccheriera sul tavolo.

 

«No grazie. Ho scritto abbastanza per oggi…» rispose sarcasticamente il giovane alludendo alla sua opera letteraria mal riuscita. Mise nella tazzina una zolletta di zucchero, afferrò il manico e soffiò energicamente, facendo cambiare direzione al vapore del the. Bevve una lunga sorsata guardando di sottecchi l’anziano servitore che attendeva di riportare nelle cucine di Villa Hatake il vassoio vuoto.  

 

Quell’uomo era vecchio come la casa in cui serviva da tantissimi anni. Prima di Kakashi era stato il cameriere personale del padre, Sakumo Hatake, la persona che dava il nome alla Villa.

 

Sakumo Hatake... Era un nome che non si sentiva pronunciare mai dentro quella casa, una parola tabù. Troppi ricordi riaffioravano nella mente del giovane erede, tanto lontani quanto chiari e vividi nella sua testa. Kakashi posò la tazzina sul vassoio sorridendo bonario verso il servitore.

 

«Ottimo come sempre Sarutobi. Ottimo. Ringrazia il cuoco da parte mia.»

 

L’uomo fece un inchino riverente.

 

«Sarà fatto monsieur.»

 

«Abbiamo qualche programma per stasera?» chiese svogliatamente il ragazzo portandosi le braccia dietro la testa.

 

Il servo rispose prontamente alla domanda del padrone.

 

«Stasera c’è il ballo in maschera a casa di Madame Tsunade signore, il ballo a cui non potete mancare perché…»

 

«… Sì. Lo so, lo so. Non posso mancare perché ho declinato i tre precedenti inviti. Se non vado neanche stavolta il Duca Jiraya mi farà decapitare insieme ai banditi… Ma sì, tanto cosa mi costa. In fondo i balli in maschera sono quelli più divertenti. Si tratta solo di bere champagne e mangiare caviale.» Il tutto era stato detto con un tono di sarcasmo, ma anche con un po’ di ribrezzo. Voluto ribrezzo.

 

Si alzò dalla sedia con riluttanza, chiuse lo studio e si avviò verso le sue stanze. Scese le lunghe scale poggiandosi sul corrimano mentre lo faceva. Alla fine della ‘corsa’ guardò le dita in cerca di un’ irrilevante traccia di polvere.

 

-Niente, niente che abbia un minimo segno di sporcizia sopravvive in questa casa.-

 

«Qualcosa non va signorino Hatake?»

 

Il ragazzo si girò riconoscendo la familiare voce della governante, e sorrise tranquillo dirigendosi verso la grande porta bianca che conduceva alle sue stanze. Afferrò la maniglia con entrambe le mani e tirò forte fino a spalancare l’entrata, poi si infilò tranquillamente all’interno.

 

Richiuse la porta alle sue spalle, sospirando forte. I passi solitari rimbombavano sulle pareti del corridoio facendolo sentire in soggezione. Kakashi arrivò davanti ad uno specchio dalla cornice d’oro finemente decorata, guardò il suo riflesso.

 

I lunghi capelli portati troppo disordinati per l’epoca corrente, senza codini o parrucche, la pelle levigata con accuratezza. Poi  incontrò il proprio sguardo. Kakashi Hatake non era una persona normale sotto quell’aspetto. Se l’occhio destro era di un grigio agghiacciante, l’occhio sinistro risplendeva di una luce sinistra.

 

Molta gente diceva che il barone Hatake fosse figlio del diavolo, tutta colpa del suo ‘occhio maledetto’. In pochi sapevano la verità sulla storia del famigerato occhio rosso di Kakashi.

 

Rosso, rosso come il sangue, come le fiamme dell’inferno.

 

L’intero paese conosceva Mont Saint Clarisse solo per due motivi. Il primo era il disfacimento dei vigneti che correvano per tutta la collina; un tempo il vino prodotto in quei luoghi era stato uno dei più pregiati di tutta la Francia. Il secondo perché era la residenza del Barone Scarlatto.

 

Questo era il suo soprannome, e Kakashi se lo portava dietro come se fosse il più pesante fardello della sua vita. Ma c’era un altro scheletro nell’armadio.

 

Sempre guardandosi allo specchio passò le dita lungo i lembi della maschera che gli coprivano il viso. Sentì il tessuto raschiargli i polpastrelli e provò a tirare giù dal naso il pezzo di stoffa. Abbassò immediatamente lo sguardo; sì era spinto troppo in là e sebbene provasse tutti i giorni a fare quel movimento, c’era sempre una mano fredda che lo bloccava, una mano fredda che gli premeva sui polmoni ma ancor di più sulla coscienza.

 

Guardò la grossa pendola che rintoccava ritmicamente sul muro. Sospirò con rassegnazione e andò diritto verso la toletta, chiudendosi a doppia mandata per fare un bagno caldo.

 

Quando ne uscì si fece la barba, cercando di incontrare pochissime volte il suo sguardo (cosa che gli risultava facile essendo lo specchio appannato dal vapore), poi si rinfilò il pezzo di stoffa sul viso.

 

-Questa poi, a cosa serve un ballo in maschera a chi si nasconde dietro ad una maschera tutti i giorni? Chiamerò Sarutobi e gli dirò di non sellare ai cavalli, io alla festa non ci vado!-

 

Per tutta risposta da fuori la porta si sentì udire:

 

«Monsieur, ho bardato i cavalli con la solita accortezza, sarebbe un vero danno per la mia schiena levare le briglie di nuovo…»

 

Kakashi lanciò mentalmente tutte le imprecazioni che conosceva al vecchio rendendosi conto che lo aveva fatto apposta. Neanche lo avesse sentito poi! Sapeva onestamente che la sua schiena ce la faceva benissimo. Ma di che lamentarsi, Sarutobi era il suo tutore oltre che il suo maggiordomo e lo faceva solo per il suo bene.

 

«Merci.» rispose quindi il giovane barone uscendo dalla stanza.

 

Il cameriere lo aiutò a trovare il vestito adatto alla serata e finalmente, dopo aver provato in tutti i modi a dissuadere il vecchio da quella idea malsana chiamata festa, si decise ad infilarsi la giacca nera del completo. Guardò il suo riflesso allo specchio, e si allacciò i bottoni dorati con riluttanza mentre Sarutobi lo annaffiava con l’acqua di colonia. 

 

«Sono pronto?» chiese finalmente Kakashi dopo poco.

 

«Oui monsieur, possiamo andare.»

 

I due attraversarono lentamente il salone, camminando a poca distanza l’uno dall’altro ma Sarutobi si teneva dietro rispetto il padrone. Ad attenderli fuori trovarono la governante che aspettava impaziente davanti la carrozza di legno, trainata da un paio di bellissimi cavalli bianchi strigliati e imbrigliati a festa.

 

La notte era scesa lenta e silenziosa su quella terra, e si potevano scorgere le prime stelle brillare nel cielo sconfinato.

 

Il barone fece un fischio acuto e subito accorsero otto splendidi cani, ognuno di razza diversa. Il giovane ragazzo si chinò a salutare ognuno di questi e si soffermò ad accarezzare più a lungo il suo preferito, un carlino che aveva nome Pakkun.

 

Sarutobi aprì la porta del cocchio e Kakashi fece per salire, ma la governante lo fermò.

 

«Manca ancora qualcosa monsieur, vedete – e si girò verso il roseto vicino alla stradina sterrata. Tirò fuori dal grembiule un paio di forbici e tagliò con accuratezza una rosa rossa spinandola e infilandola nel taschino del barone. – ora siete perfetto.»

 

«Merci beaucoup!» E salì sul cocchio mentre Sarutobi si infilava il cappello a cilindro e i guanti bianchi, prendendo posto come chauffeur del carro. Tirò forte le redini e i cavalli si mossero subito, spinti anche dalla frusta che ogni tanto colpiva leggermente i loro fianchi.

 

Kakashi si mise comodo nella carrozza, sentendo ogni tanto le enormi ruote di legno sussultare sulla strada sterrata. Quando furono abbastanza lontani, si sporse per guardare la casa da dove era partito. Il giardino ben curato spiccava agli occhi, con i suoi innumerevoli  fiori di altrettanti innumerevoli colori, le luci della villa risplendevano opache dai vetri…

 

Ma un occhio attento avrebbe notato immediatamente le numerose crepe che costellavano la facciata principale della dimora, i vigneti intorno al colle senza nessuna cura, le fontane che si sgretolavano sotto il peso degli anni.

 

Villa Hatake stava morendo, moriva da quando il suoi genitori erano passati a miglior vita e da quando tutti i suoi servitori se ne erano andati, visto che nessuno poteva più pagarli. Solo tre persone non erano scappate: Sarutobi, l’uomo più fedele della casa. La governante, la donna che lo aveva cresciuto e gli aveva fatto anche da balia. Il cuoco, un certo Choza Akimichi, che aveva anche un figlio di nome Choji. Kakashi, essendogli grato per essere rimasto a cucinare nella casa, aveva dato la possibilità al piccolo Choji di inserirsi tra i giovani nobili della sua età, tramite conoscenze sicure. Questo aveva rafforzato ancora di più la fede dei suoi tre servitori.  

 

Il barone osservò anche se stesso. Sebbene il completo fosse di stoffa nuova e pulita, il tessuto era leggero e di scarsa qualità, molto probabilmente di seconda mano o qualche scarto di sartoria non adatto a resistere più di due anni. I bottoni non erano d’oro vero e l’acqua di colonia che portava addosso era esageratamente profumata; si chiese se per il fatto che Sarutobi ce lo avesse annaffiato oppure perché non era acqua di prima qualità.

 

Rimuginò anche sul suo titolo nobiliare. Il padre non sarebbe stato fiero di lui; passare da conte a barone in così poco tempo, era un record per gli altolocati di quell’epoca nonché un disonore. Ma i soldi per mantenere un titolo del genere non c’erano e ne servivano davvero tanti. Per fortuna aveva mantenuto allacciati buonissimi rapporti con il duca Jiraya, stimato uomo del re con la passione per le belle donne. Più che conoscenti i due erano buonissimi amici, quell’amicizia fatta di duelli con la spada e battute di caccia senza nessuna preda.

 

Kakashi sbuffò pensando che probabilmente il duca avrebbe provato a rifilargli qualche altra ragazza anche quella sera. Non capiva che le donne erano l’ultimo dei suoi pensieri o, per lo meno, le donne che si divertivano a mettere un bel paio di corna ai mariti tutte le sere.

 

Il barone scarlatto odiava la facilità con cui certe ragazze si divertivano a sperperare ogni pudore, ogni inibizione e castità. Senza contare che erano tutte frivole oche senza cervello, occupate a farsi l’amante di turno.

 

La carrozza frenò delicatamente, dopo circa quarantacinque minuti di viaggio e di riflessione sotto le stelle del firmamento notturno. Sarutobi diede qualche pacca ai suoi cavalli e scese con maestria dal cocchio, andando ad aprire la porta del padrone.

 

«Eccoci arrivati monsieur.- Disse porgendogli il cappello e il mantello per ripararsi dal freddo. -Io vi attenderò qui fino al vostro ritorno.»

 

Il ragazzo fece un cenno di assenso con la testa e afferrò gli abiti che gli venivano gentilmente dati.

 

Da dentro il salone provenivano voci, musica e risate sommesse mentre ombre scure si muovevano per la sala disegnando un profilo quasi tetro sulla Villa; dimora tre volte più grossa di quella da cui era appena partito Kakashi.

 

«Mille grazie Sarutobi. E non prendere troppo freddo che stanotte si gela.»

 

«Non si preoccupi padrone. Ho le ossa temprate dal freddo della guerra e poi ho anche i vecchi rimedi – indicò un pesante cappotto di lana posto vicino alla postazione del guidatore – Passate una buona serata monsieur.»

 

-Ne dubito Sarutobi, ne dubito.-

 
E si avviò lentamente verso la scalinata che conduceva all’entrata dell’immensa Villa di madame Tsunade.

___

Nuova long fic (sarà breve) Sulla coppia KakaxAnko, e poi è la prima volta che scrivo su questa coppia! Spero che vi piaccia e mi raccomando commentate!

 

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