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Autore: Blue_Tiger    09/08/2014    4 recensioni
A Ran erano sempre piaciute le favole.
Cenerentola, Biancaneve, La bell’addormentata…
Le riusciva difficile mettersi in testa che erano solo illusioni. Mere illusioni.
O forse no?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cinderella

A Ran erano sempre piaciute le favole.
Cenerentola, Biancaneve, La bell’addormentata…
Le riusciva difficile mettersi in testa che erano solo illusioni.
-Ran, sei uno schianto! –squittì Sonoko.
Lei si rimirò allo specchio. Nonostante gli anni, ancora stentava a credere quanto il camerino dell’amica fosse grande. La luce nella stanza la accecava un po’.
-Mi sento una stupida…- mormorò, imbarazzata.
-Ma che dici! Sei quasi più bella di me! E ce ne vuole, lo sai. Soprattutto considerando la mia mise…
L’ereditiera fece una piroetta. L’abito smeraldo le stava a pennello. Era lungo e verso i piedi diventava più ampio, ma attillato quanto bastava per “far morire Makoto. Di cosa? Ma di nosebled, baby!” Cit- Sonoko Suzuki.
Ran sospirò.
-Senti, Sonoko…Questa cosa… per me… non ha molto senso…
-No. No no no no no. Non voglio sentire sciocchezze. – Si sventolò una mano davanti al viso, come se le parole di Ran fossero mosche fastidiose. –Tu al ballo ci vieni. Diamine, un evento del genere i Suzuki non lo organizzano spesso, sai? Bisogna approfittarne! E poi, chi ti dice che non troverai il tuo principe azzurro? Quello vero, intendo.
Avanzò verso l’amica con fare teatrale.
-“Ah, Ran, mia dolce e delicata fanciulla! Non appena i miei occhi ti hanno scorto, sono rimasto folgorato dalla tua bellezza!”
S’inginocchiò di fronte alla karateka. –“Ti prego, concedimi un assaggio delle tue dolci labbra…!”
Ran la allontanò con il piede.
-Scema. Uno così lo prenderei per maniaco.
Sonoko si rialzò. –…Donna di malafede!
Scoppiarono a ridere.
-A parte gli scherzi, se non ti vedo al ballo, ti sguinzaglio contro la muta di dobermann dello zio.
Ran ridacchiò.
-Sono seria! – la minacciò Sonoko.
-Okay, okay. Vengo. Ma sentiti in colpa!
-Per cosa? Per volerti rendere felice?
-…Ma vaaaa!
Rimasero insieme fino alle sette. Quando Ran dovette tornare a casa, Sonoko la fece portare da un autista.
La karateka guardò fuori dal finestrino dell’auto. Era una sera piovosa e grigia. Beh, in fondo era quasi ottobre. Sperò che il giorno successivo, quello del ballo, fosse migliore. Anche se in fondo, probabilmente la cosa non la riguardava molto.
Le gocce di pioggia s’infrangevano contro il vetro, lasciandosi cadere e creando lunghe scie bagnate. Sembravano lacrime. Forse lo erano.
Ran diede un’occhiata alla busta che teneva in mano. Dentro c’era l’abito che Sonoko le aveva fatto provare. Aveva insistito per regalarglielo. Lei non avrebbe voluto, ma si sa, c’è poco da fare contro Sonoko Suzuki.
Tornò a fissare il paesaggio fuori dal finestrino e decise che sì, quelle erano lacrime.
 
-Sono tornata- annunciò, chiudendo la porta dietro di sé.
Kogoro alzò la testa dal giornale. –Era ora!
Ran si guardò intorno. –Dov’è Conan? –chiese, confusa.
Kogoro sbuffò. –E’ andato dal dottor Agasa, quel piantagrane. In questi giorni ci va più del solito.
-…Oh. Comunque, papà, ricordati di preparare il completo per domani. Te l’ho già stirato, devi solo metterlo sulla gruccia.
Lui tornò a leggere. –Sì, sì. Ci ha già pensato tua madre a mettermi fretta, non mettertici anche tu…
La ragazza andò in camera sua e chiuse la porta. Appoggiò a terra la busta e prese il cellulare. Avrebbe voluto sdraiarsi sul letto, ma non riusciva a sedersi, da quanto era rigida. Le sudavano le mani. Maledizione! Avrebbe tanto voluto essere più distaccata.
Le sue dita composero il numero senza la minima esitazione. Non aveva bisogno di cercare in rubrica. Lo conosceva meglio del suo. Per un po’ rimase a osservare lo schermo, titubante. Era una perdita di tempo. Avrebbe detto sicuramente di no. Ma se non lo avesse fatto? Non poteva permettersi di rimanere col dubbio.
Tu-tuu, tu-tuu, tu-tuu.
Era il cellulare o il suo cuore?
Tu-tuu, tu-tuu, tu-tuu.
“Rispondi, ti prego. Rispondi.”
Tu-tuu, tu-tuu, tu-tuu.
“No. Forse è meglio che non risponda. Non mi devo illudere. Basta, adesso attacco…”
Click.
-Pronto?
Il cuore di Ran cominciò a ballare la salsa.
-Shinichi?
-Ah, Ran! Ciao.
Lei deglutì, sperando che non si fosse sentito. –Ciao. Come va?
-Ehm…bene, bene. Alla grande, direi.
Alla grande, eh? Quanto avrebbe voluto dargli un ceffone.
-Contenta di saperlo.
“Vai al sodo, Ran. Forza!”
-Sai…volevo chiederti…non è che…
Aveva la gola secca. Sembrava che tutti i liquidi avessero deciso di concentrarsi sulla faccia.
-Sì, insomma…non è che ti andrebbe di venire alla festa dei Suzuki, domani?
Silenzio.
-E’ un ballo- aggiunse, balbettando. Accidenti. Non avrebbe dovuto dirlo.
Dall’altro capo giunse un sospiro.
-Ran…
Il cuore di lei divenne di marmo. Conosceva bene quel tono.
-Mi spiace...Lo sai, è che questo caso… non mi dà tregua…
Lo sapeva che sarebbe finita così. Ma che cosa si era aspettata? Che stupida.
- Scusami…
Di nuovo silenzio.
-Ran…?
-Eh?
-…Tutto bene?
Tutto bene? Tutto bene? Davvero aveva la faccia tosta di chiederle se andasse tutto bene?
-…Ran…?
-Certo. Tranquillo.
Tirò un sospiro tremante.
-Va sempre tutto bene.
E riattaccò.
Tuu, tuu, tuu.
 
La sala da ballo era davvero gigantesca. Il pavimento e le pareti erano di marmo arabescato, di un bianco quasi giallo, talmente lucido da potercisi specchiare. Alle enormi finestre erano appese grandi tende di velluto rosso. Ai lati della sala vi erano due lunghissimi tavoli da buffet, entrambi pieni di pietanze ricercate e raffinate. Lampadari con pietre preziose pendevano un po’ ovunque. E al centro, in fondo alla pista, accanto all’orchestra, si stagliava in tutta la sua magnificenza una sontuosa scala, i cui ampi gradini erano tutti coperti con un tappeto di velluto, anch’esso, come le tende, rigorosamente rosso.
Ran era a bocca aperta.
Sonoko la punzecchiò con il gomito. –Ehi, guarda che ti casca la mascella!
-Uh, scusa. E’ che…è meraviglioso!
L’altra ridacchiò. –Quello che ci si aspetta dalla famiglia Suzuki! Su, andiamo. Ci divertiremo, vedrai! –disse, trascinando Ran.
C’erano un po’ tutti. Ran salutò il signor Jirokichi Suzuki, buona parte del corpo di polizia (-Tranquilla, Ran, sono qui come invitati-), e Tomoaki Araide. Ma le sembrava mancassero presenze fondamentali.
-Sonoko, perché non hai invitato anche i bambini? –chiese.
-Perché sono troppo piccoli per gustarsi un ballo! –dichiarò lei. –E, soprattutto, perché ovunque vada quel piccolo sapientone ci scappa il morto!
Ran ridacchiò. –Esagerata…
A un tratto qualcuno da dietro le coprì gli occhi con le mani. Per un attimo il cuore di Ran le balzò in gola, come un animale in una gabbia troppo stretta. Gridava “Shinichi, Shinichi!” con la foga con cui avrebbe potuto gridare “Aria! Aria!”
Ma una voce goffamente camuffata sedò la bestia.
-Chi sono?
Lentamente, Ran si rilassò. –Kazuha?
Si augurò che la sua voce non lasciasse trapelare la delusione.
L’altra rise, mollando la presa. -Era così facile?
Ran si girò. La sua amica era delicatamente fasciata in un’adorabile vestito acquamarina. Aveva sostituito il solito nastro intorno ai capelli con un diadema, e un sorriso abbagliante le illuminava il volto.
-Kazuha, stai benissimo! –esclamò.
Lei sorrise ancora di più. –Niente in confronto a te…sei splendida!
Ran arrossì, e per la prima volta si guardò il vestito. Era rosso cremisi. Aveva uno scollo a barca, e le maniche semitrasparenti lasciavano intravedere le braccia sottili. Il corpetto era aderente, ma dalla vita in giù, fino a coprire i piedi, l’abito cadeva morbidamente. Il tessuto era leggerissimo, e il rosso brillante esaltava la sua eleganza. I capelli erano raccolti in un aggraziato chignon che valorizzava il collo, al quale era appesa una collana con pendente.
-Sembri una principessa! –si complimentò Kazuha.
-Beh…mi ha prestato tutto Sonoko…
-Regalato! –la corresse lei.
-Comunque,- rincarò Kazuha, -Sei stupenda!
-Il contrario di te, direi…
La ragazza del Kansai si girò, furiosa. –Heiji! Come ti permetti?
Lui ridacchiò. –Aaah, scherzavo, scherzavo! Abbassa le armi.
Indossava uno smoking grigio. Ran pensò che fosse strano vederlo così elegante.
-Piuttosto, Ran…- disse il ragazzo, con un sorrisetto, rivolgendosi a lei. -…Il rosso del vestito è per rinfrescare la memoria al tuo mignolo?
Ran lo fissò, inespressiva.
Heiji rise, girandosi in torno. –Beh, dov’è l’altro mignolo? Cos’è, Kudo si vergogna troppo per farsi vedere da me in smoking?
Kazuha e Sonoko si riscossero all’unisono, aggredendo il detective: –Ma che diavolo ti salta in mente?! Chiudi il becco…
-Non c’è- le interruppe Ran. -Shinichi non è venuto.
Heiji la guardò, sorpreso. -Ma…?...Oh. Scusa…io….
Lei fece spallucce e con una voce strana commentò: -Va tutto bene.
Sorrise. –Io vado un attimo a bere qualcosa. Torno subito.
Si diresse verso il tavolo. Dietro di lei, Kazuha diede uno scappellotto a Heiji.
-Ahi!
-Idiota!
Perfino tra le bevande, c’era una grande varietà. Ran non sapeva neanche che scegliere. Alla fine optò per quella che conosceva meglio: l’acqua. C’erano molti camerieri ma, dato che le mettevano soggezione, decise di servirsi da sola. La sua mano si posò sulla bottiglia contemporaneamente ad un'altra. La karateka alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Eri Kisaki.
-Mamma! –esclamò la ragazza, contenta.
-Ran! Tesoro, ti ho cercato dappertutto…Sei meravigliosa! –disse la donna. Anche lei era bellissima, come sempre. Indossava un raffinato abito grigio scuro senza spalline che la fasciava alla perfezione, e una collana di perle le cingeva il lungo collo.
L’avvocato sbuffò. –E’ incredibile, tuo padre non fa altro che bere e ingozzarsi! Se non ci penso io, crollerà prima che inizi il ballo!
-Già, è sempre così…- convenne la figlia.
Ad un tratto una voce rimbombò nella sala, informando che le danze stavano per iniziare. Eri fece un cenno verso Kogoro, all’altro capo del tavolo, che si stava chiaramente servendo.
-Ehm…allora io vado…- mugugnò, imbarazzata.
Ran rise e la spinse verso il padre. –Divertiti, mi raccomando!
Lei cercò di protestare, ma la ragazza non la sentì. Dall’orchestra cominciò a diffondersi della musica. Ran si guardò intorno. Cercava Sonoko, Kazuha e Heiji. Lo sguardo le cadde sulla porta d’ingresso, ma lo distolse subito. Non doveva cercare nessun altro.
Eppure per poco non le venne un colpo quando vide Shinichi.
Veniva verso di lei. Era lì. Era veramente lì.
Ma proprio quando Ran stava finalmente per corrergli incontro, il ragazzo si fermò. La karateka non capiva cosa stesse dicendo, ma stava parlando con una ragazza dai capelli scuri; come i suoi, solo molto più arruffati. Era imbarazzato, ma alla fine le offrì il braccio. Lei sembrò titubare, ma alla fine gli si agganciò, e cominciarono a ballare. Fortunatamente, in quel momento Ran si rese conto che il ragazzo non era Shinichi. I capelli erano troppo corti e spettinati. Non capì se fosse più forte il sollievo o la delusione.
Alla fine si sedette su una sedia, accanto alla finestra. Quando Sonoko la raggiunse, scorse Heiji e Kazuha ballare insieme, in mezzo alla pista. Ormai era quasi piena. Perfino Eri e Kogoro si lasciarono andare. Dopo un po’ arrivò anche Makoto, che alla vista di Sonoko non morì per emorragia al naso, ma quasi. Anche loro si unirono alle danze.
Ran rimase sola, accanto alla finestra. Ogni volta che qualcuno le chiedeva di ballare, lei temporeggiava, aspettando che Shinichi sbucasse dalla folla e la “proclamasse”. Ogni volta che le cadeva lo sguardo sul portone d’ingresso, s’immaginava Shinichi che entrava e che andava da lei, chiedendole di ballare. Ogni volta che qualcuno veniva verso di lei, alzava immediatamente lo sguardo da terra, nella speranza di rivedere quello stupido sorriso spavaldo. Ma niente. Alla fine, doveva sempre rifiutare, distogliere lo sguardo, tornare a fissare il marmo.
A lei piacevano le favole. Ma forse alle favole lei non piaceva.
Cedette. Uscì fuori dal salone e chiamò un’autista. Più tardi avrebbe mandato un messaggio per avvisare gli altri che se ne era andata.
Il tragitto durò poco. Ringraziò e scese dall’auto, che si allontanò fino a sparire. La notte era rischiarata dalla luna, ma nuvoloni neri minacciavano la sua tranquillità. Ran si strinse tra le braccia. Dentro il salone faceva decisamente più caldo. Ignorò quella sensazione e s’incamminò verso il cancello della villa. Con le dita sfiorò il ferro.
Una folata di vento gelido la investì, ma non era nulla in confronto al freddo che provava guardando la casa di Shinichi.
Premette la mano contro il cancello e questo si aprì cigolando. Rimase sorpresa, ma non si chiese perché fosse aperto molto a lungo. Entrò. Fissò l’erba per qualche istante.
Poi esplose.
Si strappò la collana, pianse, lo chignon si sfasciò, gettò via i tacchi, crollò a terra e desiderò di soffocare tra i singhiozzi. L’ultima minuscola cellula ancora funzionante nel suo cervello sperò di non aver rotto niente, ma presto venne sommersa dalle altre e impazzì anche quella.
Non era giusto…! Non chiedeva mai niente, non faceva che pensare agli altri…ma allora perché, per l’unica volta nella sua vita in cui voleva essere felice, in cui voleva vivere una favola, anche solo per una notte, non poteva venire ascoltata? Maledette favole…se non fossero mai esistite, lei non ci avrebbe mai creduto.
Si coprì il volto con le mani, scossa dai singulti.
-Maledette…Maledette…!
Cominciò a piovere. Adesso sì che era sicura fossero lacrime.
Rimase raggomitolata a terra, sotto la pioggia battente, fino a quando non senti un rumore dietro di sé. Un rumore di passi.
Si alzò in piedi e afferrò una scarpa, impugnandola come un’arma. –Chi c’è? –gridò. –Chi c’è?
Nessuno rispose. Il rumore si fermò per un attimo, poi ricominciò. Ran non vedeva bene, il lampione era lontano e la luna era stata coperta dalle nuvole, ma dalla frustrazione lanciò comunque un affilato tacco di dieci centimetri nel buio, verso il suono.
-Ahio!
La ragazza si paralizzò. Non smise di piovere, ma la luna riuscì a uscire a spintoni dalla coltre di nuvole che l’avevano coperta, illuminando il giardino. Forse non voleva perdersi lo spettacolo.
-Ma dico io…
Prima una gamba, poi l’altra, infine divenne visibile tutto il corpo.
-…E’ così che passi il tempo? –si lamentò Shinichi Kudo, grattandosi la testa. –Tirando scarpe in testa alle persone?
Ran lo fissò per un minuto buono, prima di boccheggiare: -Shin…Shinichi…!
Lui le lanciò un occhiata. –Per caso ti piace anche rotolarti nel fango?
L’altra era così allibita che non ribatté.
Shinichi si avvicinò. –Senti, direi che siamo già abbastanza bagnat-
Prima che potesse finire, Ran gli tirò addosso l’altra scarpa.
-Ehi…!
-Come ti permetti? –lo aggredì la karateka. Anche lo smoking nero di Shinichi era bagnato, ormai, ma non era niente in confronto a lei. Era fradicia, sporca di fango e le colava quel poco di mascara che si era messa. Era un disastro, ed era tutta colpa di quell’idiota. –Come ti permetti di venire qui a prendermi in giro, mentre io…mentre io…- Strizzò gli occhi con furia, mentre Shinichi arretrava.
-Sei un imbecille! –gli urlò, con tutte le sue forze, coprendosi il volto singhiozzante con le mani.
Shinichi rimase in silenzio. Si guardò intorno e si allontanò per un attimo, per poi tornare subito dopo con qualcosa in mano. Si avvicinò cautamente a Ran e a qualche passo di distanza s’inginocchiò.
-Sì, lo so…sono…proprio uno scemo…quindi, vorrei rimediare al mio errore…
Alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi feriti della ragazza e le fece vedere il tacco che aveva in mano.
-Chiedo perdono, signorina…ma credo che questa scarpetta appartenga a voi…
E dicendo così, gliela infilò delicatamente al piede. Ran lo guardò, e finalmente le lacrime si placarono.
-Beh, in realtà questa scarpa è tua…quindi immagino che…insomma, sarebbe strano se non ti stasse… -ridacchiò, imbarazzato.
Lei rise. Shinichi tirò fuori l’altra scarpa e le infilò anche quella. –Ehm, scusa…è che non puoi ballare con una scarpa sola…- si giustificò.
Prima che Ran si rendesse bene conto di quello che aveva sentito, Shinichi si alzò in piedi e le porse la mano.
-Allora…ti va di ballare? –le chiese, impacciato.
Lei lo osservò per qualche secondo. La pioggia incessante aveva infradiciato per bene anche lui, e aveva le ginocchia sporche di fango.
Sorrise. Era perfetto.
-Sì.
Ballarono lì, sul prato, bagnati, sporchi e felici. Shinichi cercò di colmare l’assenza di musica canticchiando, ma Ran riuscì a farlo smettere prima di diventare sorda. Per gli ultimi dieci minuti rimasero semplicemente abbracciati, ondeggiando di qua e di là. Poi lo sguardo di Shinichi cadde sul suo orologio da polso e sussultò.
-Che c’è? –domandò la ragazza.
-E’ già mezzanotte- trasalì lui, sciogliendo l’abbraccio. –Devo andare…Sai, il treno…
-…Quindi vai via.
Il detective la guardò supplichevole. –Mi spiace…cercherò di tornare il prima possibile…
Un sorriso malinconico affiorò sul viso imperlato dalla pioggia. –Non vedo l’ora di rivederti. - S’incamminò verso il cancello.
-Ah…Shinichi! –lo chiamò Ran, con voce flebile.
Lui si voltò, e con grande sorpresa della ragazza tornò indietro.
-Avevo quasi dimenticato –borbottò. Le schioccò un bacio sulla guancia e si ritrasse, rosso come un semaforo.
-Okay…allora…io vado.
-Oh. Ah. Uh, sì. –balbettò Ran, arrossendo.
-A presto!
Shinichi corse via. Anche da lontano, Ran poteva vedere la mano che gli copriva il viso.

Rimase in piedi, lasciando che la pioggia le raffreddasse il viso. Dopo un po’ si sedette sotto il portico. Si guardò le scarpe.
-Non sono molto sicura di essere io Cenerentola, qui…- ridacchiò.
Ma non importava.
A Ran erano sempre piaciute le favole.



Angolo dell'autrice
Salve a tutti! Innanzitutto, grazie per aver letto questo poema. Questa è la prima volta che pubblico una fanfiction...sono un po' emozionata...! Fa parte del contest indetto dallo Shinichi&Ran Official Italian Fan Club, "La maratona di ballo ShinRan". Che altro dire...? Spero vi sia piaciuta, alla prossima!


(All'inizio della storia si nomina il nosebled. Per chi non lo sapesse, è il termine inglese per indicare un'intensa fuoriuscita di sangue dal naso, che nei manga/anime viene di solito provocata da una forte...emozione.)
   
 
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