Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Ricorda la storia  |      
Autore: Melian    10/08/2014    12 recensioni
"La verità, stanotte, te la sussurrava quella vocina nella tua testa che ti suggeriva di girare al largo, di non afferrare la mia mano tesa, di non sorridere agli sconosciuti.
Cappuccetto Rosso non dovrebbe fermarsi quando il lupo la chiama."
[Seconda classificata al contest "Tell me a secret" di passiflora91 indetto sul forum di EFP]
[Partecipa al "Contest del Supermarket" di Fefy_07 indetto sul forum di EFP]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

VERITÀ





 

 

“La verità è dolorosa e nessuno vuole conoscerla, soprattutto quando ci tocca troppo da vicino.”
(Grey's Anatomy)



"Staremo svegli fino all'alba e vedremo sorgere il sole, mentre i fuochi si spengono e le cose si tingono di rosso"
(Final Fantasy X)

 

 

Plinck.
Plinck.

Quanto rumore può fare una goccia d'acqua mentre cade?
É uno di quei suoni sottili a cui neanche fai caso quando sei preso dallo scintillare di luci e pioggia in cui affoga la città di notte, oltre la finestra.
Plinck. Plinck.
La goccia cade, se ne frega di te che stai disteso sul letto a fissare il soffitto, del vociare della televisione nell'appartamento di sopra, se ne frega di tutto. Lei cade, incurante. E fa musica.
Ma non è una musica qualunque, no. É una di quelle ripetitive, ossessionanti, che ti entrano nel cervello e scavano, scavano... se uno non avesse nervi d'acciaio, dopo cinque minuti di quel continuo gocciolare e di null'altro con cui distarsi, darebbe di matto.
Io, invece, non faccio niente di tutto questo. Guardo quella goccia che scivola sulla finestra, seguo la sua caduta libera come se ai miei occhi fosse al rallentatore; posso avvertire persino le vibrazioni che quel semplice gocciolio produce nell'aria, dove il suono si espande, le posso sentire riverberare in ogni anfratto del mio corpo. Inquietante, vero?
Posso restare così per ore e ore e no, non impazzisco, nemmeno quando nel silenzio il gocciolare diventa l'unico rumore assordante in tutta la casa di cui sono ospite. Beh, diciamo pure che sono un imbucato alla festa.
Guardo quella stramaledetta goccia senza sbattere le palpebre, mentre sto comodamente sdraiato tra le lenzuola sfatte. E chi ne ha bisogno? Battere le palpebre, dico; lo fanno i vivi, per loro ha la sua indubbia utilità. Perché se non battessero le palpebre... devo veramente spiegare come potrebbe diventare un occhio non umidificato? Prova a strappare un bulbo oculare e a tostarlo: ne avrai una chiara idea.
É quasi l'alba. Mancheranno ancora tre ore buone allo spuntare del sole.
La sento che striscia sul mondo come la seta sulla pelle di una donna e, quando è vicina, mi prende la solita fiacchezza che si trasforma nell'irrigidirsi delle membra, come nelle statue. O nei morti. Il termine tecnico è rigor mortis.
Fa un po' impressione, eh? Io ci sono abituato, ormai. Tu, tesoro, non darti pena, non fare quella faccia: tutto si dissolve al crepuscolo.
Il crepuscolo. Non ti sembra una parola deliziosa da pronunciare? Ti titilla il palato come il sangue.
Mh, d'accordo, non esageriamo: il sangue è il sangue. Tutto dipende dal sangue. Il sangue è tutto.
Io sono sangue, forgiato da quello oscuro di un antico padre della mia razza.
Bere sangue, rubare sangue, spremere sangue: tutto nasce e muore in esso.
E tu, mio splendido amore, lo sai, non è vero?
Mi piace stringerti forte, nuda e gemente su questo letto che ci ha visti amare per tutta la notte e, adesso, accoglie il nostro languore.
Ma di te, giuro, non sono ancora sazio. Adoro il brivido che ti scuote quando ti sfioro la schiena con la punta del naso e ti annuso, così splendidamente vestita di cremisi, una veste degna di una regina. Adoro quando ansimi mentre ti schiaccio i seni tra le mani e prendo d'assalto quei capezzoli irti che mi chiamano imperiosi: li mordo, li succhio e loro, docili, offrono alla mia lingua il sapore di cui ho bisogno.
Mi ecciti mentre ti contorci, quando con le labbra schiuse che ti ho morso e leccato, mugoli con voce roca e tremi. Mi offri un piacere che non avrei sospettato e, allora, voglio che duri più a lungo possibile.
Non guardarmi con quegli occhi persi, sgranati come quelli di un cervo davanti ai fari di un auto in corsa!
Se mi sto dando pena per raccontarti di me, è perché mi piaci e voglio che tu sappia, che tu capisca. É la verità che cercavi ieri notte, quando ci siamo incontrati al parco, dopotutto.
“La verità fa male”, ti avevo risposto, ma adesso non c'è motivo di tacere. Scopro le mie carte.
Dov'ero rimasto? Ah, sì, il sangue.
Mi diverte rincorrere le mie prede fin quando non crollano per il terrore. É il singolare gioco del gatto col topo, un classico.
Alle volte preferisco gli appostamenti: individuo qualcuno che mi vada a genio, lo seguo e poi colpisco quando non se lo aspetta.
Eppure, poche cose battono l'inebriante corsa contro il tempo. É tutta questione di suoni, odori e sapori: una sinfonia di cuori che battono a ritmo folle, di respiri ansanti e strozzati, l'avere addosso l'odore della paura. É l'aroma che solletica i miei più profondi istinti.
E poi li afferro, vedo svanire nei loro occhi quel briciolo di speranza di potersi salvare. Sono gli occhi di chi, di colpo, capisce e si arrende.
Ma tutto finisce sempre nello stesso modo che è, nonostante tutto, mille volte diverso: affondo i denti e me lo svuoto tutto, il mio buon bicchiere di rosso. E allora sono assalito dalla miriade di ricordi e sensazioni e pensieri e speranze di quella fragile creatura che stringo al petto, mentre annego nel mio piacere impuro.
Ma il mio godimento adesso è con te, mentre ti accarezzo i capelli umidi incollati alla nuca, mentre poso la bocca tra le tue cosce, sul ventre che pungolo con piccoli morsi, mentre affondo la lingua e le dita nelle tue carni schiuse come la corolla di una rosa bagnata di rugiada. Sai di buono.
Resterò con te fino a che l'alba ci coglierà in flagrante e mi costringerà a lasciarti andare via.

Voglio svelarti un segreto.
Il sangue degli umani è saporito, nutriente, corroborante, ma esiste qualcosa di addirittura migliore. Il sangue dei miei simili è semplicemente divino.
Se sapessero in cosa mi diletto, vorrebbero annientarmi del tutto, e con gran gusto.
Sai, si dice che bere tutto il sangue di un altro dei nostri sia una bestemmia, un peccato, un crimine della peggior specie. Perché non è solo un assaggio, non è solo la condivisione, il creare un legame, ma è divorarli, è annientarli.
C'è stato un periodo della mia esistenza in cui non ho fatto altro che viaggiare fino agli angoli più remoti del mondo. Volevo scovare i nascondigli degli Antichi che avevano preferito il Torpore, il sonno, al rumore del mondo moderno. Volevo i loro segreti.
Vedi, il fatto è che quelli che sono davvero vecchi, quelli che – per dirti – avranno visto la prima piena del Nilo, cadere la città di Troia, posare la prima pietra su cui è stata fondata Roma o magari hanno chiacchierato con Botticelli tra le strade di Firenze, danzato un valzer a Vienna nel mezzo dell'Ottocento, alle volte non accettano il progresso, rifiutano quest'epoca tecnologica o, semplicemente, forse hanno nausea dei mortali e delle sciocche diatribe dei loro simili.
Allora, in questi casi, si scelgono un luogo remoto, inaccessibile, si abbandonano nel giaciglio che si sono preparati con cura estrema e dormono il sonno degli Immortali, immobili, ma con la mente che può spingersi lontano, se loro lo vogliono, a sondare i cambiamenti che si operano nel mondo.
Chiusi nei loro mausolei o in veri e propri sacrari, come i faraoni adorati dagli Egizi, io ne ho trovati molti. Ho penetrato le antiche porte, aggirato i loro tranelli e li ho scorti ammantati dai loro incantesimi tenebrosi; mi sono accostato ad essi e li ho presi, legandoli con catene d'acciaio e piantando loro un paletto di legno nel cuore.
Ora – e prova a dirmi che non sono generoso nell'offrirti così tanti particolari! – devi anche sapere che la credenza popolare secondo cui, piantandoci un paletto nel cuore, ci ammazzi, è una sciocchezza. Semplicemente, uno come me, al massimo, lo blocchi: il sangue defluisce, il corpo si svuota della sua forza e non può muoversi.
É così anche per gli Antichi: bloccali, con buona dose di pazienza, astuzia e determinazione, e potrai fare di loro ciò che vuoi, per quanto siano potenti.
Per lunghe notti li osservavo, li studiavo lottare per tornare svegli, per potersi muovere senza riuscirci. Erano intrappolati nei loro stessi corpi, perché in fondo la carne per noi è una prigione: il sangue la vivifica, ma ci lega anche alla terra. Siamo destinati ad errare nel mondo finché esso durerà. O finché non veniamo annientati o ci immoliamo, esponendoci al sole o al fuoco.
Quegli Antichi, comunque, sembravano davvero delle statue: troppo lisci, troppo perfetti, troppo vuoti. Se tu li avessi visti, simili a corpi imbalsamati, avresti urlato per il raccapriccio.
Carpivo immagini sconnesse del loro passato, segreti che non avrei dovuto nemmeno aspirare a conoscere, e comprendevo la natura dei loro immensi poteri.
Aspettavo.
Aspettavo che la mia Sete ingigantisse a dismisura, che ogni fibra del mio corpo gridasse il suo desiderio e il suo bisogno. Attendevo che divenissi la mia Sete.
In quel momento, colpivo. Affondavo le zanne in quella scorza granitica che è la loro pelle e assaporavo il primo sorso di nettare proibito.
Non posso descrivere il caleidoscopio di sensazioni che mi investivano. L'ondata di immagini che mi assaliva era violenta: migliaia di fotogrammi, di voci, di volti, mi penetravano il cervello, e temevo di esserne risucchiato. Ma ero io che li assorbivo. Ero io che bevevo l'anima di quelle creature, la strappavo, la ingurgitavo e facevo mio ogni potere che apparteneva all'essere su cui stavo chino.
Ringhiavo e rantolavo di piacere, capisci? Ne hai avuto un'idea poco fa, sai di cosa parlo. E, davvero, se ci penso mi viene di nuovo voglia di prenderti, di affondare dentro di te e farti urlare, mentre attorno a noi il mondo diventa rosso.
La mia lingua che risale lungo il tuo ventre, indugia sulla mandorla dell'ombelico... le mie mani che ti afferrano le anche e poi ti avvolgono i fianchi, cercano le tue spalle delicate e ti sostengono il capo reclinato. Respira, sì, respira. Piano, intensamente. Resta con me. Ascolta.
Quando, dopo aver sguazzato nel mio peccato, tornavo lucido, mi ritrovavo a stringere un involucro vuoto, incartapecorito e annerito che si riduceva in cenere ad una minima pressione.
La cenere sulle mie mani e sul pavimento di quei sacrari mi ricordava che, infondo, siamo fragili più di quanto si possa sospettare. Le disperdevo al vento, quelle ceneri. Era giusto così: li liberavo, alla fine, dei loro corpi e adesso potevano ascendere... sempre se qualcuno li volesse riscattare, quei figli di puttana perversi e sadici.
Devo ammettere che ogni volta che bevevo da un Antico mi sentivo diverso: più forte di quanto potessi prevedere nei miei sogni. Quel sangue operava in me profonde trasformazioni e divenivo, per contro, sempre meno umano.

Adesso, però, capita raramente che pratichi l'Assaggio dell'Anima. L'occasione dev'essere davvero ghiotta ed evito di impelagarmi in certi furti, se ci sono altri miei simili nei paraggi.
Non mi sono mai nutrito di quelli più giovani, il loro sangue è debole, guasterebbe il mio e non mi porterebbe alcun beneficio.
Ma loro, i giovani, mi cercano. Capita che fiutino la mia presenza, che non basti che dica loro, tramite l'onda dei miei pensieri, di stare alla larga, e che si decidano a farsi avanti.
Sono diventato vecchio anche io, un nome famoso per la mia razza – tranquilla, non ti annoierò anche con questi racconti – e forse è naturale che quelli creati da poco mi cerchino.
Ma non tutti hanno buone intenzioni e io non sopporto di buon grado la loro compagnia.
Li individuo e li seguo. Di solito sono infanti allo sbando, vagabondi senza branco o famiglia, rinnegati dai loro stessi Creatori, figli del capriccio, non voluti, o non perfetti come si sperava.
Quelli li ammazzo senza pietà. Sono nocivi, mi rovinano la piazza. Una tagliatina di testa e passa la paura. Problema risolto.
I marmocchi viziati che appartengono a Creatori famosi, a quelli importanti tra la mia gente, li evito: al massimo, se sono troppo petulanti, rifilo loro una pedata sul sedere e se la filano con la coda tra le gambe.
Poi ci sono quelli – interi clan! – che giocano alla mascherata come se fossimo al Carnevale di Venzia: si fingono umani. Capisci? Fingersi umani! Non è patetico?
Io sono uno di quelli a cui piace chiarire chi è la preda e chi il predatore. Gli umani sono una platea di vacche da mungere a piacimento, né più, né meno.
Non ti offendere, dolcezza. Tu sei diversa, giuro. Non vedi che lo sei? Sono rimasto con te solo per questo: per sfiorarti con le labbra e farti godere.
Il fatto è che io sono in cima alla catena alimentare. É innegabile.
Mi aggiro come un dio nella notte. Chi, invece, si finge un affettato e malaticcio gentiluomo d'affari è indegno della nostra razza.
Così vanno le cose tra noi: siamo in guerra, perennemente.
Le famiglie si contendono il potere, la supremazia, la verità su ciò che siamo. I clan rivaleggiano per imporre le proprie tradizioni e i propri riti.
C'è una specie di Guerra Santa tra Vampiri, tra chi afferma che discendiamo da Caino, chi da Lilith, chi dalle divinità ctonie egizie, chi da Giuda e chi...ho perso il conto delle ipotesi e la verità probabilmente la sapremo solo quando i Figli dei Millenni, quelli che c'erano quando la nostra razza è stata creata, si risveglieranno. Allora credo proprio sarà tutta da ridere!
Tradizioni, riti, leggi perse nei meandri del tempo. I più antichi contro i più giovani, gli antichi contro altri antichi, i neonati che si scannano per lo stesso territorio di caccia.
Siamo una schiatta litigiosa, parrebbe.
Vampiri, tesoro, certo. Ho detto proprio Bevitori di Sangue. Ma non lo avevi già capito, forse?
La verità, stanotte, te la sussurrava quella vocina nella tua testa che ti suggeriva di girare al largo, di non afferrare la mia mano tesa, di non sorridere agli sconosciuti.
Cappuccetto Rosso non dovrebbe fermarsi quando il lupo la chiama.
Non spaventarti, insomma! Dai, se qui, con me, niente può davvero toccarti, niente può rapirti dalle mie voglie.
Percorro il tuo corpo candido come se scavassi sentieri di luna, mi inebrio del tuo profumo, in questo lago di piacere che impregna le lenzuola.
Piano, fluisce, vezzosamente: quella goccia – torna la goccia, ma non è più acqua – ti scivola nell'incavo dei seni generosi e frementi e io la raccolgo con la lingua.
Sai di paura, ma anche di piacere. Sei un sapore complesso, un bouquet che terrò con me per sempre.
No, non agitarti, rilassati, perché il languore in cui sei scivolata ha bisogno che lo vivi attimo dopo attimo: non tornerà più. E quanto affondo le mie dita dentro di te, come se volessi toccarti l'anima, e schiaccio, titillo e massaggio quel delizioso punto così sensibile, ti infiammi subito e gli umori in cui scivolano le mie dita sono una dolce gabbia succosa.
Il sapore della paura è piacevole, quello del sangue di una donna che si perde nell'orgasmo è migliore.

So bene che la parola “vampiro” rievoca i peggiori incubi sottesi dall'inconscio umano.
Deve essere così. Funziona così. La preda deve avere il terrore atavico del suo predatore. Logico e lineare.
Dunque, non avere paura. Non più di quanta ne avresti se ti dicessi che molti degli eventi che hanno segnato l'umanità sono stati, invece, manovrati dietro le quinte da abili Vampiri, Vampiri che avevano un qualche interesse affinché la storia prendesse una determinata piega.
Dovrei citarti troppi esempi, non mi sembra il caso. Tanti uomini sono morti o hanno preso certe decisioni perché qualche Vampiro li ha manovrati come pedine.
Fa paura, vero? Gli invisibili che tirano le fila del mondo.
Sì, a ben pensarci, forse è meglio che gli esseri umani tremino e prendano coscienza della realtà.
Fa sentire impotenti, disperati, persi, vero? Dovrebbero sentire le viscere rattrappirsi.
E tu, mio bel tesoro, forse dovresti arrenderti all'evidenza.
Tra poco il sole spunterà all'orizzonte, le luci della città si spegneranno e l'ultima goccia – plinck! – del tuo sangue sarà rotolata via, una perla rara.
Bimba mia, stai morendo.
Il lago di sangue in cui siamo immersi è il tuo splendido testamento.
Ogni morso che martoria la tua dolce pelle è un mio ricamo sublime.
Posso vedere i muscoli contrarsi dietro la pelle strappata via, i tendini che si allungano. Le mie dita si aprono il varco verso il ventre che ha partorito il mio piacere e si è conquistato la devozione di un vero fedele: tra le cosce tese e tornite cola il sangue che, scivolando dall'addome squarciato dalle mie unghie, si mescola ai tuoi umori.
Bizzarro, come il piacere e il dolore si mescolino, come la vita e la morte si riassumano in una sol persona, dipinte a tinte fosche sul tuo corpo, perfetta mappa di ogni graffio, livido o morso.
La gola squarciata e il rantolo che è il tuo respiro dicono che stai scivolando via. La mia bella fugge dal ballo e mezzanotte è passata da un pezzo.
Intingo le dita in quel sorriso aperto dalle mie zanne sulla tua gola, sento il tuo dolore tracimare, l'orrore e l'agonia espandersi, mentre lecco via il sangue dai polpastrelli, denso e ferroso. Ormai, tranquilla, è tutto finito.
Sorrido, le zanne snudate: hai i capelli impiastricciati di coaguli, sei un adorabile disastro!
Non sarai mai più bella di così. Te lo giuro.

 


_____________________

Note dell'autrice


Questa storia è stata scritta per il “Contest del Supermarket” di Fefy_07, indetto sul forum di EFP.
Il pacchetto scelto è “Mangia che ti passa”, i contenuti scelti dal pacchetto sono:

Genere e sottogenere: Dark, suspance.

Avvertimento: violenza.

Note: lime

caratteristica protagonista: il protagonista prova piacere nell’uccidere.

citazione: “La verità è dolorosa e nessuno vuole conoscerla, soprattutto quando ci tocca troppo da vicino” (Grey's Anatomy)


La storia è scritta in prima persona e la voce narrante è quella del protagonista, un Vampiro che, chiaramente, sta parlando a quella che è la sua sfortunata preda. Un po' come volesse accompagnarla nell'inevitabile morte, ripercorre con lei alcuni accenni della propria esistenza, soffermandosi su sue particolari abitudini. E' un Vampiro, indulge nel vizio e uccidere le sue vittime gli provoca piacere.
Ho voluto inserire, all'interno della classica battuta di caccia, una cornice più ampia, un rapido ripercorrere i propri passi, su uno sfondo cupo (il genere dark) e in un ritmo che vuole svelare particolari poco alla volta (il genere suspance). Ho, inoltre, adottato uno stile un po' più colloquiale per dare più veridicità alla voce narrante.
Ci sono dei passaggi dove si tocca un certo languore, un qualcosa di sottilmente erotico che sconfina nel perverso sadismo (lime e violenza richiesti dal pacchetto).
La citazione ha ispirato diversi passaggi in cui il protagonista fa delle rivelazioni, quindi parla di una verità che fa male, difficile da accettare.

Ammetto di aver scritto questa storia praticamente in un giorno, molto ispirata, ma che – per fortuna – l'impianto e un nucleo primario del racconto erano già presenti su fogli volanti (sì, perché mi capita ancora di scrivere con carta e penna!) e io ho solamente dovuto ampliarlo assecondando l'ispirazione fornita dal pacchetto per il contest. È stata una fortuna, perché mi ha permesso di dare davvero corpo a questa storia nel cassetto da un pezzo.
Spero che sia venuto fuori qualcosa di degno.

Questa storia è la seconda classificata al contest "Tell me a secret" di passiflora91 indetto sul forum di EFP

Il banner è stato realizzato da MyPride per il contest "Di parole d'inchiostro e cieli coperti" indetto sul forum di EFP.


Melian

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Melian