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Autore: Caramell_    10/08/2014    4 recensioni
Stiles è la persona più incasinata dell’Universo. Ha un’iperattività allarmante e una parlantina parecchio sciolta, la vivacità d’un bambino di sei anni e un’energia pressoché infinita [...] poi, tra la calma della mattina presto e il caffè ancora da fare, vede e conosce Derek e Scott, a quel punto, non può fare altro che rassegnarsi e bere caffè salato per il resto della vita.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di routine, guance rosse e caffè rovesciati'
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Note: Ok, le note questa volta sono all'inizio perchè ho un paio di cose da dire. Questa è la seconda delle cinque che ho già detto stavo scrivendo e si, è collegata alla prima (Eventi di disordinata routine) ma è possibile leggerla anche a parte. E' raccontata dal punto di vista di Stiles questa volta e, visto che sembra mi piaccia un sacco scrivere in questo contesto, ho deciso di farne una serie. Ho già quasi finito la terza e cominciato già la quarta. Incrociamo le dita. Detto questo, ho potuto rileggerla una sola volta quindi, nel caso ci fossero errori o ripetizioni di troppo, mi scuso in anticipo.
Spero si riveli una buona lettura.

















 
Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti,
amare profondamente ci rende coraggiosi.
Lao Tzu

 
 
 
 
 
 

 
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Stiles è la persona più incasinata dell’Universo. Ha un’iperattività allarmante e una parlantina parecchio sciolta, la vivacità d’un bambino di sei anni e un’energia pressoché infinita, tre lavori a tempo pieno e una laurea da portare avanti e Scott certe volte si chiede come diavolo faccia, alla fine, a stare sempre dietro a tutto. Sono coinquilini e non lo vede star fermo un minuto e, da un po’ di tempo a questa parte, crede stia un po’ esagerando col lavoro allo Starbucks dietro l’angolo, ché torna a casa più intontito del solito e con un sorriso stupidissimo sulle labbra. Cosa che gli fa credere, dopo giorni e giorni di massima concentrazione ed inutili teorie dementi, sfociati poi, alla fine, in vere e proprie confessioni di cotte e batticuori, che si sia trovato qualcuno. Un fidanzato cioè, qualcuno che gli piaccia e ah, Scott è strafelice di questa cosa, anche se, a pensarci bene, a volte lo porta all’esaurimento. Come in quel momento, per esempio. Stiles è placidamente accoccolato sul bancone del bar, gli occhi sognanti e quelle sue femminee guance rosse e Scott, da migliore amico-barra-fratello-barra-qualsiasi altra cosa abbia a che fare con Stiles, soffoca il disgusto nella sua tazza di caffè freddo e non ha il cuore di dirgli – dio mio, sembra così schifosamente felice – che quello che ha infilato nel suo caffè non è proprio zucchero e che ha un sapore disgustosamente salato.
Stiles, dal canto suo, rimane con lo sguardo fisso sulla porta d’ingresso, il grembiule annodato in vita e l’odore del caffè nel naso e, davvero, in quel momento si prenderebbe a schiaffi da solo, mentre ringrazia fino alla nausea Isaac e i suoi turni mattutini.
Quando è stato assunto lì, pochi mesi prima, Stiles aveva un’esperienza pressoché nulla – pari a quella d’uno scoiattolo in Antartide, per intenderci – e, vista la sua alta propensione a bruciarsi le mani, gli abiti e qualsiasi cosa altamente infiammabile – per non parlare dei bicchieri rotti e dei barattoli rovesciati – era stato assegnato ai noiosi turni serali, i quali comprendevano, oltre a parecchie nottate insonni, stracci logori e scope vecchie e ok, Stiles aveva chiesto un lavoro e un lavoro gli era stato assegnato, ma, ecco, avrebbero potuto impegnarsi di più. Quindi, si possono benissimo immaginare i salti di gioia e gli strilli non troppo virili che ha emesso quando, in un ultimo atto disperato, gl’hanno chiesto di dare una mano ad Isaac durante l’orario mattutino e, probabilmente, sarà grato a quel ragazzo e allo scorbutico ciccione che governa i conti per il resto della sua vita, perché è lì, tra la calma della mattina presto e il caffè ancora da fare, che l’ha visto.
È entrato un martedì, mentre Stiles era immerso nel vapore fin sopra la testa e stava dando un’occhiata al bancone ancora d’allestire. Aveva i jeans più stretti del mondo e gli occhi verdi più belli di sempre e Stiles crede d’averlo fissato a bocca aperta e con la bava alla bocca per un tempo troppo lungo per considerarsi normale. Ha ordinato il suo caffè ristretto con l’aria di chi ha appena commesso un omicidio, con quel suo cipiglio scuro e la barba ancora da fare e Stiles l’ ha trovato bellissimo e perfetto dal primo momento e ha chiesto ad Isaac chi fosse e da dove venisse, assillando il poveretto fino allo sfinimento, ed è riuscito a sapere, così – Isaac probabilmente sarà rimasto traumatizzato a vita – che quello è un po’ un cliente abituale, che si presenta ogni giorno alla stessa ora, afferra il suo caffè e se la fila come se avesse il diavolo alle calcagna.
Da quel momento, letteralmente arso vivo dalla curiosità, ha tentato, in tutti i modi, di evitare di combinare disastri e, a quanto pare, l’Universo l’ ha ringraziato, ché i suoi turni mattutini si sono allungati e sono quasi moltiplicati e Stiles ha potuto ammirare il misterioso sconosciuto ogni santa mattina, mentre ripuliva un tavolo o sistemava i bicchieri sul fondo del banco. Una volta, addirittura, è riuscito persino a sfiorargli una mano, ché Isaac quel giorno non s’era sentito bene e il grande capo l’aveva piazzato direttamente al bancone. Stiles aveva potuto così osservarlo da più vicino e guardagli i muscoli del braccio e la pelle ambrata e il modo brusco con cui arricciava le labbra e ordinava il caffè e si, aveva dovuto dare fondo a tutte le sue forze per evitare di annegare nella sua stessa bava. Non una bella immagine, decisamente. Comunque, quello era stato l’unico contatto, seppur minimo, che avevano avuto in giorni di stalker serrato e, ancora adesso, non crede di farci una bella figura, dopotutto, ma Stiles era stato felice come lo è sempre nei giorni di Natale e aveva creduto che quel contatto e l’occhiata fugace e distratta che aveva ricevuto gli sarebbero bastati per il resto della vita. Ne aveva parlato con Scott – perché si, Scott è un po’ il suo confessionale e l’unico che gli regala sorrisi quando lui gli mette tra le mani cuori infranti – e l’aveva ascoltato dargli dello stupido e del babbeo, ché probabilmente stava esagerando e gonfiando le cose come aveva fatto, a suo tempo, con Lydia, ma Stiles s’era tappato le orecchie e gl’era saltato addosso e avevano finito, così, per fare la lotta sul pavimento. Scomodo, vero, ma parecchio divertente.
 
 
È questo, più o meno, il periodo in cui prende servizio in biblioteca, perché la biblioteca dell’università gl’è sempre piaciuta e perché, dopotutto, in questo modo, è costretto a schiodarsi dal bar e fiondarsi a scuola per seguire le lezioni.
Dopo le dieci è la parte più silenziosa della scuola e Stiles adora quel suo piccolo spazio personale dietro la scrivania di mogano della vecchia bisbetica che, acida com’è, non si dimentica mai di assegnargli compiti ingrati e pesanti, mentre lo smalto azzurro-foca le si asciuga addosso. Oddio, non è proprio vecchia, ma Stiles è sicuro che, con quel suo carattere acido e scaduto, racchiuda in sé la malignità di milioni di zitelle ingobbite ed è per questo – oltre che per gli orribili gusti che si ritrova – che gl’ha assegnato l’appellativo di vecchia. Scott è d’accordo con lui. Probabilmente lo è mezza università e Stiles crede che lo sarebbe anche Isaac, se solo la conoscesse. Cosa che spera non gli accada mai.
Comunque, il punto è che anche quel giorno la megera non s’è di certo risparmiata e Stiles si ritrova, inerme, con una pila infinita di suoi appunti tra le braccia – frutto di un anno di frequentazioni assidue – mentre la strega gli dice, naturalmente sempre con quel suo tono dolce e premuroso da fare invidia a Mary Poppins – sarcasmo, signori, sarcasmo – che la sua scrivania non è il posto per quegli scarabocchi e che, se non vuole che la prossima volta li bruci, farà meglio a trovare un altro posto dove poggiarli o, addirittura, a liberarsene lui stesso, ché quello non è un magazzino e lei non vuole noie e bla bla bla e allora Stiles si chiede quale assurdo motivo l’abbia spinta ad accettare il turno in biblioteca, visto che, a quanto pare, l’unica cosa che riesce a fare è smaltarsi le unghie e sibilargli dietro.
Stiles alza gli occhi al cielo e sbuffa dal naso e si gira verso di lei e gli scocca un ‘occhiata obliqua e – ok, ok – sussurra – li porto via, d’accordo? – e s’avvia verso quella che dovrebbe essere l’uscita, ché con quei cosi davanti vede poco e niente, ripercorrendo, almeno per distrarsi un po’, i fotogrammi di poche ore prima, quando era ancora al bar e rivedendo, nella sua mente, quel tizio misterioso di cui, naturalmente, ancora non conosce il nome. Quella mattina s’era presentato puntuale come un orologio svizzero, un plico di fogli sotto il braccio e il solito cipiglio severo. Solo che stavolta al banco non c’era Stiles, ma Isaac. Stiles era stato confinato nel retro, a separarlo dal suo sogno proibito un sola porta a scorrimento veloce che, per la sua gioia, in quel momento era mezza spalancata. Stava versando del caffè ancora bollente in ben dodici bicchieroni da litro, quando s’era voltato e c’aveva posato sopra gli occhi. Inutile dire che gl’era andato in pappa il cervello e aveva fissato Isaac come se avesse appena vinto un milione di dollari alla lotteria. L’aveva osservato afferrare il caffè e lasciare quel dollaro in più di mancia e aveva tentato d’allungare il collo il più possibile – a mo’ di giraffa, per intenderci – solo per fissarlo un po’ più a lungo e, magari, squadragli per bene il culo, ma l’unica cosa che c’aveva guadagnato, alla fine, era stata un’enorme macchia di caffè sul pavimento e una bruciatura parecchio dolorosa sulla mano destra. Aveva sillabato un’imprecazione non proprio signorile e lasciato cadere l’intera caffettiera, combinando uno di quei disastri cosmici che succedono una sola volta nella vita e, ora che ci pensa, non può fare a meno di ridere, perché la faccia di Isaac era qualcosa di terribilmente esilarante, a metà tra lo sconcertato e l’incazzato nero e quelle sue sopracciglia bionde non avevano smesso di muoversi neanche per un minuto, mentre tentavano, con scarsi risultati oltretutto, di asciugare il pavimento alla bell’e meglio e, cavolo, già si sente male, al solo pensiero di cosa l’aspetta appena ci tornerà per il turno notturno che, a quanto pare, il grande capo gl’ha affibbiato per ripicca, ma il punto è che Stiles non voleva combinare un disastro simile e che, beh, la colpa non è proprio interamente sua, visto che è stato distratto da un culo glorioso e da due spalle larghe e…ahia. Bene, si dice, ha appena centrato il muro. Prova a muovere le braccia e lascia andare i fogli e, in men che non si dica, si ritrova col culo per terra e – oh, cos’è quello, caffè? – con i vestiti e i capelli e il viso e gli occhi completamente inzuppati, mentre i suoi appunti gli vorticano intorno e l’osso sacro comincia a fargli un male cane.
- Che diavolo… – e ok, forse quello non era proprio il muro, ché Stiles non ha mai sentito un muro sbuffare e ringhiare – guarda dove vai, matricola! – si sente abbaiare contro e si solleva più veloce che può e barcolla quando finalmente ci riesce, il caffè ancora bollente attaccato alla pelle che, diavolo, come brucia!, solleva lo sguardo e dà un’occhiata al poveretto che ha appena investito e porca puttana quella, dio, quella non deve essere la sua giornata e l’intera industria del caffè deve essersi rivoltata contro di lui, ché Stiles si ritrova a fissare, a bocca aperta, il tizio misterioso che ordina il caffè la mattina. Solo che, questa volta, è parecchio arrabbiato, sull’orlo d’una crisi di nervi e parecchio sexy – e si, Stiles si vergogna profondamente per averlo pensato, ma tanté.
-Io ah mi dispiace davvero – bisbiglia colpevole, la faccia più imbarazzata del mondo e il disagio stampato in fronte – non ti ho proprio visto e mi dispiace il caffè e la tua maglia e…cavolo è la prima volta che mi succede e davvero non volevo farlo ma il punto è che non vedo niente con tutti quei fogli davanti e scusa la colpa è tutta di quella vecchia megera bisbetica e – ed è consapevole di star vomitando parole inutile e di star facendo la figura dello scemo, ma è maledettamente sicuro che, se smettesse di parlare, si scioglierebbe e annegherebbe nell’imbarazzo più competo. Cosa che non è nei suoi piani. Alza un po’ la testa e fissa il proprio interlocutore e gli vede stampata in faccia l’espressione più storta e seccata dell’Universo e oh, un po’ fa paura, deve concederglielo e Stiles capisce al volo e si zittisce di colpo, schiude le labbra e – ah – sussurra alla fine – è uhm è meglio che vada ora – ed solo allora che Stiles si rende conto di essere un completo disastro, coperto di caffè dalla testa ai piedi, coi vestiti appiccicati alla pelle e le mani scivolose. Si tasta la maglietta e la trova umida e sporca e da buttare e lancia un ultimo sguardo al suo sogno proibito e, in quel momento, pensa che si butterebbe volentieri giù da un dirupo, vista l’immane brutta figura che ha fatto. E così, quasi morto di vergogna, non riesce a fare altro che alzare i tacchi e darsi alla fuga in stile cartone animato della domenica, mentre tenta, inutilmente, di non far caso al liquido scuro che gli balla nelle mutande.
 
 
Il giorno dopo Scott lo trova completamente abbandonato sul bancone, la testa ciondoloni e le occhiaie più grandi e nere della storia. Gli si siede di fronte e lo tempesta di domande fino a che, esasperato, Stiles non solleva la faccia e – ho combinato un casino – gli racconta e Scott prova a fare di tutto, di tutto, per non scoppiare a ridere, ma un risolino gli scappa e le sue guance si gonfiano e Stiles lo guarda come se volesse ucciderlo e poi occultare il cadavere, mentre sbuffa e muove le mani e non riesce a stare fermo – e ho anche dimenticato i miei appunti – strilla alla fine e Scott non ce la fa più e scoppia rumorosamente a ridere, beccandosi, in risposta, una buffa imitazione d’uno sguardo omicida.
- Mi fa piacere che le mie sciagure ti divertano – gli sibila Stiles vicino all’orecchio, poi borbotta qualcosa su quanto sia stupido e Scott urla, ché, santo cielo, non credeva d’avere un amico tanto insensibile.
- Ok, ok – lo sente dire, la bocca ancora arricciata e persino le lacrime agli occhi – scusa – ansima – ti sto ascoltando.
- È stato terribilmente imbarazzante – riprende – e, anche se sono contento di averti rallegrato la giornata, te l’ ho raccontato perché mi aiutassi, non per fornirti materiale da barzelletta – gli rinfaccia ostile e s’abbassa un momento e afferra un bicchierone da caffè e lo poggia sul banco e se lo rigira tra le mani, come fa di solito con quella pallina anti-stress che Isaac gl’ha regalato un paio di settimane fa.
- Beh – e Stiles vede Scott sospirare, incrociare le braccia sul bancone, guardarsi intorno e allungarsi un po’ verso di lui e, davvero, comincia a pensare che veda un po’troppi film di spionaggio – non ti resta che incontrarlo e parlarci – propone e, giura, a volte Stiles vorrebbe legarlo e rinchiuderlo da qualche parte, perché non può uscirsene con cose così, non dopo aver riso di lui e dei suoi problemi fino alla nausea.
 - E scusa un po’, genio – mormora e si rigira il bicchiere tra le mani e – mi dici come diavolo faccio anche solo a trovarlo se non so nemmeno il suo nome? – chiede, retorico, ma Scott lo prende alla lettera e scrolla le spalle e – viene qui ogni mattina, no? – e, a quel punto, Stiles spalanca gli occhi e prende a darsi del cretino almeno un centinaio di volte, perché Scott gli ha appena dato la soluzione più idiota e giusta di questo mondo, mentre lui non c’ha nemmeno pensato ed era già pronto a dare forfait.
Si apre in un sorriso talmente ampio e tirato che già dopo un po’ comincia a fargli male la faccia e fissa il suo sguardo gioioso su Scott che, di rimando, assume una deliziosa sfumatura color ciliegia e – cavolo, Scott – sussurra, la mente ormai altrove e le mani impegnate – sei davvero un genio – e oh, Stiles non l’ ha mai visto arrossire, ma, si dice mentre supera il banco macchiato e gli si precipita addosso, è così carino, tutto timido e imbronciato e adesso crede di capire Allison, quando gli confida, felice come una pasqua, di essersi accaparrata il tontolone più dolce del mondo.
 
 
Alla fine, però, il ragazzo misterioso non si presenta e Stiles comincia a pensare di essere stato maledetto alla nascita, perché, andiamo, come può non presentarsi proprio quel giorno? è ingiusto. E allora rimane a crogiolarsi nella sua depressione per una cosa come mezz’ora, quel famoso bicchiere ancora in mano e il grembiule annodato alla bell’e meglio.
Isaac gli passa vicino un paio di volte, lo fissa per un po’ e poi scuote la testa, scocciato e rassegnato – quel giorno gli tocca il turno in cucina e i piatti sporchi non si lavano da soli – ma Stiles non ha tempo per farci caso o anche solo per offendersi, ché la sua intera esistenza è ormai compromessa e tutte le forze lo stanno abbandonando. Sono quasi le dieci e ormai crede che non verrà più e ah, che schifo la vita.
S’allunga sul bancone e si stiracchia un po’. Si porta il bicchiere davanti alla faccia e gli dà una rapida occhiata e ok, la sua mente non deve essere morta come crede, ché, a quel punto, il suo cervello stanco partorisce quella che gli sembra l’idea del secolo.
 
 
Stiles lascia il caffè – ristretto – appena fatto sul primo tavolo libero che trova, quello vicino alla porta, lontano dalla scrivania della megera. Si fruga nelle tasche e afferra il biglietto sgualcito che ha scritto al bar e lo infila piano sotto il bicchiere e poi, per paura che qualcuno lo veda, se la fila e torna al suo posto – dietro la sedia della vecchia, per capirci – con la paura strisciante, però, che non lo riceva affatto.
 
 
Rimane distratto per tutta la mattinata e fa cadere milioni di libri a terra e tra gli scaffali e, in ultimo, confonde I viaggi di Gulliver con Orgoglio e Pregiudizio. Torna a dare una controllatina solo a pomeriggio inoltrato, quando ormai non riesce più ad aspettare e crede stia per esplodergli un embolo. Il bicchiere è ancora lì e Stiles, per un momento, si sente sprofondare il buon umore sotto i piedi. La strega gli grida qualcosa da lontano proprio mentre solleva la tazza, ma Stiles intravede i soldi infilati nel suo foglietto di carta e sente il cuore accelerare e i battiti rimbombargli nelle orecchie, mentre qualcosa che somiglia incredibilmente alla felicità gli si gonfia in petto e uhm, forse è una cosa strana e affrettata da dire o semplicemente anche solo da pensare e vorrebbe riuscire a controllare se stesso o, quantomeno, le proprie emozioni, ma Stiles è certo di poter affermare, in uno slancio di gioia e di estasi completa, di essersi appena innamorato follemente.
 
 

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Stiles passa un'intera settimana ad ammirare il suo nuovo amore aggirasi tra i libri e la carta vecchia. L’osserva stropicciarsi gli occhi e studiare per ore e ore di fila e ah, sistemarsi gli occhiali sul naso e passarsi le dita tra i capelli e uhm, alla fine si dice che il suo povero cuore di universitario non può sopportare tutto quello e che le sinapsi del suo cervello devono essersi bruciate da tempo, ché quel tizio è l’emblema stesso della figaggine e Stiles ha l’autostima di un mammut in letargo.
Lo vede fermarsi un attimo e allungare le braccia sopra la testa e, in questo modo, riesce a godere della vista di un paio di muscoli scolpiti che guizzano e s’allungano. Non che sia diventato una specie di stalker eh, precisiamo – non sa ancora nemmeno il nome – è solo che gli piace guardarlo ogni tanto – spesso – protetto da libri grossi quanto la sua testa o dal computer delle informazioni, eppure, beh, crede di non riuscire più ad accontentarsi, dopotutto, di soli sguardi obliqui e fughe varie e allora decide di raccogliere tutto il suo coraggio e di provare, almeno, a spiccicare qualche parola, magari a presentarsi, ché Stiles se ne vergogna profondamente, ma nella sua testa sono già in corso una miriade di film e situazioni più o meno realistiche che hanno come protagonisti lui, il tizio tutto muscoli e uno dei tavoli della biblioteca e, cavolo, non va bene, non va bene per niente e già si sente le orecchie andare in fiamme.
S’infila una mano tra i capelli e tenta di darsi una calmata, afferra un libro a caso dallo scaffale alla sua sinistra e prende a respirare come se dovesse andare in guerra, s’avvicina a lui e – posso sedermi? – gli domanda, la voce ridotta ad un flebile soffio di vento, le guance che bruciano e gli occhiali appannati. A quella distanza riesce a vedergli gli occhi e Stiles li trova così verdi, così profondi, così tutto che comincia a pensare di essere parecchio di parte, alla fin fine. Quello gli fa un cenno e torna con la testa sui libri e Stiles, sollevato, rilassa le spalle e gli si siede accanto, apre a caso il libro che ha scelto e si ritrova davanti virus e batteri e cose e animali non meno identificabili e prova a concentrarsi e a leggere qualche riga, ché, se s’alzasse immediatamente, farebbe la figura dell’idiota e, di sicuro, non sarebbe la mossa ideale. Il silenzio s’allunga intorno a loro e Stiles quasi si dimentica d’essere in compagna, almeno fino a che, distogliendo la sua attenzione da membrane e qualsiasi-altra-cosa-sia-questa-specie-di-tubo-di-scarico, sente quello che ha oramai catalogato come l’amore della sua vita rivolgergli la parola – mi hai portato il caffè – dice e dallo spavento Stiles quasi si rotola sul pavimento e porta libri e penne e fogli con sé. Arrossisce di nuovo e si gira a guardarlo e si ritrova il suo viso a nemmeno dieci centimetri di distanza, un sorrisino divertito sul volto e un sopracciglio sollevato, poi annuisce – e tu mi hai lasciato dieci dollari – risponde, sperando che la sua voce non sembri troppo debole e patetica – che, da qualsiasi lato la si veda, sono davvero troppi per un caffè – poi sorride e volta un pochino la faccia e – mi sento come se mi stessi pagando per il sesso – borbotta e ah – maledetta la sua linguaccia – spera tanto che non l’abbia sentito. Cosa che, a quanto pare, anche per preservare la sua sanità mentale, è proprio successa e Stiles si ritrova a ringraziare il cielo e tutte le stelle celesti, ché non avrebbe sopportato la vergogna e sarebbe stato costretto a cambiare Stato.
- Ho i tuoi appunti – riprende l’altro e Stiles gli fissa gli occhi in faccia e allunga verso di lui una mano pallida e tutt’ossa, fingendo di tenere a quegli appunti più di quanto sia in realtà.
- Vuoi ridarmeli? – sussurra e, nel frattempo, pensa a come potrebbe recuperarli sfiorandosi le mani, ma l’altro l’anticipa e li allontana un po’ e – solo se mi offri un caffè – propone, con quella sua voce bassa e scura e languida e Stiles si sente andare in fiamme persino le ciglia.
Deglutisce una, due, tre volte e – domani? – chiede ormai sull’orlo del collasso e – domani – si sente confermare e allora Stiles si lascia andare ad una risatina felice e liberatoria, s’infila una mano tra due ciocche spesse e abbandona la schiena sulla sedia. Ed è a quel punto che lo realizza. Il nome, porca vacca. Non sa nemmeno il suo nome e, cielo, sta per averci un appuntamento. Altro che bruciare le tappe, qui si tratta proprio di scemenza.
E a quel punto comincia ad agitarsi sulla sedia e a sbattere le palpebre, di nuovo nervoso, mentre tenta di tenere le mani ferme e smette di tormentarsi il cuoio capelluto. L’altro pare accorgersi del suo disagio e – cosa? – sussurra, le sopracciglia inarcate e lo sguardo fisso.
- Io uhm ecco – comincia – è che tu sai il mio nome ma io non so il tuo e…
- È Derek – l’interrompe e Stiles non ha idea del perché stiano entrambi parlando come se stessero mettendo in atto una cospirazione, ma quella sua voce ferma e spezzata gli manda letteralmente in tilt i pochi neuroni che ancora gli sono rimasti dopo partite e partite abusive alla Playstation e – Derek – ripete e le sillabe gli scivolano dalle labbra come fossero miele.
- Credo che tu mi piaccia parecchio, Derek – aggiunge alla fine e le guance gli s’infiammano ancora e gli occhiali gli scivolano sul naso.
- Si?
- Già – ammette e un silenzio prolungato li circonda e Stiles un pochino prende ad odiarsi, perché non riesce mai a stare zitto e questo, questo è quello che ci guadagna – e credo fermamente che tutto quel caffè ti distruggerà lo stomaco – ammette alla fine, per riempire i secondi e i minuti, per dare aria alla bocca e tentare di tranquillizzarsi.
E a quel punto Derek lo guarda e sorride e beh, Stiles si dice che è disposto a fare l’idiota fino allo sfinimento, se questo significa rivedere quel piccolo spicchio di Paradiso.








 

  
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