Momenti
Sospesi.
per promesse da mantenere.
L’acqua
scorreva placida al di sotto del ponte.
Le morbide increspature, degne della migliore seta nelle
mani di un grande stilista, creavano riflessi dorati sempre diversi.
Non ci si
può immergere due volte nello stesso fiume, diceva il
filosofo.
Eppure quel momento sembrava ripetersi, perfettamente
identico, giorno dopo giorno.
Alle 16 e 15
precise compariva lei.
Una bambola vestita di grazia e leggerezza. Indossava quasi
sempre un vestito leggero, svolazzante, adatto a climi più
estivi e dai colori
pastello; quel giorno era vestita di giallo.
I lunghi capelli castani erano curve dolci sulle sue spalle
sottili: sembrava doversi piegare sotto il peso del mondo da un momento
all’altro.
Poi il mondo sembrava perderlo, quel peso, non appena si
avvicinava alla balaustra di marmo. Una mano sulla pietra, e
l’altra a sfilare
le scarpe.
Un battito di ciglia, ed era già in piedi sul parapetto.
Se quel ponte fosse stato trafficato, probabilmente le urla
di terrore avrebbero generato il panico.
E invece non c’era nessuno a seguire i suoi movimenti fuori
dal comune.
Osservarla da quella finestra faceva scomparire per un
attimo il caos che c’era dentro.
La prima volta che l’aveva vista compiere tale follia aveva
temuto il peggio. Non aveva chiuso gli occhi nemmeno per un secondo,
per la
paura di vederla scomparire tra le onde del fiume.
Lei era sempre lì, però. E lui era sempre dietro
quel vetro,
a pochi metri di distanza, ma lontano galassie intere.
Lei era lì, ed agiva ignorando la sua presenza.
Con movimenti lenti, stendeva le braccia dinanzi a sé, come
a porgere al vento foglie da poter trasportare in ogni dove. Prendeva
un bel
respiro e, a occhi chiusi, allargava delicatamente le braccia e restava
in
quella posizione, come pronta a spiccare il volo.
La brezza di quel raro e soleggiato pomeriggio di primo
inverno sembrava fatta appositamente per permettere alle lunghe ciocche
castane
di accarezzarle il viso.
Una folata di vento più forte del previsto le
gonfiò il
vestito giallo, sospingendola sempre più verso il bordo del
parapetto.
Mosse in circolo le braccia, quel tanto che le permetteva di
non cadere giù, e piantò saldamente i piedi a
terra.
Le scappò una risata leggera appena ritrovò
l’equilibrio.
Sentiva come una scarica elettrica illuminarle ogni singola
parte del corpo. Se le avessero chiesto perché, avrebbe
risposto che l’aria
sembrava più pulita a un soffio dal baratro.
«Ti osservo da giorni, e a ogni folata di vento ho il
terrore di vederti scomparire.»
La voce roca del ragazzo la fece sussultare. Perse
l’equilibrio, e il fiume non le era mai sembrato vicino come
in quei pochi
secondi prima che il ragazzo le afferrasse un braccio e la sorreggesse.
La aiutò a scendere.
«Scusa, io…non volevo spaventarti. Non so nemmeno
perché
sono qui.»
La ragazza era piegata in avanti, la fronte sul marmo e le
braccia stese davanti a sé: ci era andata davvero vicina e
l’adrenalina le
stava facendo girare la testa.
Respirò profondamente per qualche minuto, avvertendo la
presenza imbarazzata di lui alle sue spalle.
Non aveva ancora avuto modo di osservarlo, ma lo immaginò
dondolare da un piede all’altro intento a grattarsi nervoso
la testa. E non
sapeva dirsi nemmeno il perché.
Era come un deja-vu. Un sogno lontano che probabilmente
aveva già vissuto, o che forse aveva sempre dovuto vivere.
Lentamente si voltò, sistemando dietro le orecchie i capelli
scomposti dal vento e dalla paura.
Lo trovò esattamente in quella posizione imbarazzata, un
maglioncino viola a farlo sembrare più muscoloso.
Probabilmente sarebbe volato via anche lui al primo soffio
di vento.
Occhiaie viola a contornargli gli occhi scuri e dispiaciuti.
La pelle pallida di chi non usciva spesso di casa.
Fragile: sembrava doversi piegare sotto il peso del mondo da
un momento all’altro.
«Da giorni?»
La sua voce era dolce proprio come aveva sempre immaginato.
Avrebbe dovuto restare anche quel giorno nella sua stanza. Non avrebbe
dovuto
precipitarsi sul ponte.
Il suo corpo, però, non ne aveva voluto sapere: era quello
il giorno giusto.
«Abito qui,
cioè…lì» e indicò
la finestra scura da cui
l’aveva osservata per giorni. La sua unica fonte di
distrazione.
«E…da quanto è che mi
osservi?»
La curiosità affascinata che le spunto come un sorriso forse
era fuori luogo. Quale ragazza avrebbe sorriso in quel modo soddisfatto
nel
sapersi osservata da lontano?
Una
che giocava
sull’orlo di un ponte.
«Dalla
prima volta che sei salita su quel parapetto.»
Aspettò che l’informazione le arrivasse al
cervello. Dalla
prima volta. Ventisette giorni.
Spalancò impercettibilmente gli occhi, mentre lui annuiva
imbarazzato.
«Perché…»
«Non sono uscito prima? Perché sarei dovuto
restare in casa
anche oggi. Potrei combinare qualche casino e sarebbe stato tutto
inutile.»
I movimenti imbarazzati divennero ansiosi prima ancora che
finisse di parlare.
Doveva rientrare, assolutamente.
Le diede le spalle e si incamminò meccanicamente verso casa
sua.
Lei osservò la sua reazione attonita. Pensò di
esserci
finita davvero in quel fiume. Forse era sempre stata una
realtà alternativa
quella che aveva osservato riflettersi sulla superficie del corso
d'acqua.
Afferrò le scarpe e se le infilò rincorrendolo.
Doveva
essere destino.
Lo fermò poco prima della fine del ponte, una mano sul polso
freddo ed esile.
Osservò meglio quel viso che si era nascosto per tanto
tempo.
Le occhiaie lasciavano trasparire una stanchezza che non
doveva derivare solo da notti insonni. La pelle era tesa, pallida, le
labbra
screpolate, le vene ben in mostra. Non era un volto sano.
Lo lasciò andare.
«Mi sto curando. Devo rientrare.»
Era rimasta congelata.
Giocava con la sua vita davanti alla finestra di un ragazzo
che la rischiava davvero. Era una stupida.
«Mi dispiace. Non…lo farò
più»
Lo vide bloccarsi a un passo dal cancello che doveva
delimitare la sua casa…e tornare indietro di qualche passo.
«Ti prego, fallo. Torna, di nuovo, tutti i giorni alle 16 e
15 precise. Io ti osserverò da quella finestra. Porti sempre
un po’ di
leggerezza, con i tuoi vestiti colorati e quei capelli al
vento.»
Sorrise con dolcezza, mentre lei sentiva di voler
abbracciare per la prima volta un completo estraneo. Che forse non era
nemmeno
così estraneo.
« E questo colore ti dona particolarmente.»
Avrebbe indossato sempre qualcosa di giallo, da quel momento
in poi. Le si leggeva in faccia.
Le fece un cenno con la mano, voltandole di nuovo le spalle.
«Tu osservami! E un giorno ci salirai con me su quel
ponte!»
gli urlò dietro.
Le promise che l’avrebbe fatto.
Entrambi sapevano che non sarebbe mai successo.