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Autore: Laleith    10/08/2014    1 recensioni
Fuggire dalla realtà: un libro, uno sguardo fuori dalla finestra, un viaggio.
Poi c'è chi passa su un ponte.
Una mano sulla pietra, e l’altra a sfilare le scarpe.
Un battito di ciglia, ed era già in piedi sul parapetto.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Momenti Sospesi.



A Gius,
per promesse da mantenere.

L’acqua scorreva placida al di sotto del ponte.
Le morbide increspature, degne della migliore seta nelle mani di un grande stilista, creavano riflessi dorati sempre diversi. Non ci si può immergere due volte nello stesso fiume, diceva il filosofo.
Eppure quel momento sembrava ripetersi, perfettamente identico, giorno dopo giorno.

Alle 16 e 15 precise compariva lei.
Una bambola vestita di grazia e leggerezza. Indossava quasi sempre un vestito leggero, svolazzante, adatto a climi più estivi e dai colori pastello; quel giorno era vestita di giallo.
I lunghi capelli castani erano curve dolci sulle sue spalle sottili: sembrava doversi piegare sotto il peso del mondo da un momento all’altro.
Poi il mondo sembrava perderlo, quel peso, non appena si avvicinava alla balaustra di marmo. Una mano sulla pietra, e l’altra a sfilare le scarpe.
Un battito di ciglia, ed era già in piedi sul parapetto.
Se quel ponte fosse stato trafficato, probabilmente le urla di terrore avrebbero generato il panico.
E invece non c’era nessuno a seguire i suoi movimenti fuori dal comune.
Osservarla da quella finestra faceva scomparire per un attimo il caos che c’era dentro.
La prima volta che l’aveva vista compiere tale follia aveva temuto il peggio. Non aveva chiuso gli occhi nemmeno per un secondo, per la paura di vederla scomparire tra le onde del fiume.
Lei era sempre lì, però. E lui era sempre dietro quel vetro, a pochi metri di distanza, ma lontano galassie intere.
Lei era lì, ed agiva ignorando la sua presenza.
Con movimenti lenti, stendeva le braccia dinanzi a sé, come a porgere al vento foglie da poter trasportare in ogni dove. Prendeva un bel respiro e, a occhi chiusi, allargava delicatamente le braccia e restava in quella posizione, come pronta a spiccare il volo.
La brezza di quel raro e soleggiato pomeriggio di primo inverno sembrava fatta appositamente per permettere alle lunghe ciocche castane di accarezzarle il viso.
Una folata di vento più forte del previsto le gonfiò il vestito giallo, sospingendola sempre più verso il bordo del parapetto.
Mosse in circolo le braccia, quel tanto che le permetteva di non cadere giù, e piantò saldamente i piedi a terra.
Le scappò una risata leggera appena ritrovò l’equilibrio.
Sentiva come una scarica elettrica illuminarle ogni singola parte del corpo. Se le avessero chiesto perché, avrebbe risposto che l’aria sembrava più pulita a un soffio dal baratro.
«Ti osservo da giorni, e a ogni folata di vento ho il terrore di vederti scomparire.»
La voce roca del ragazzo la fece sussultare. Perse l’equilibrio, e il fiume non le era mai sembrato vicino come in quei pochi secondi prima che il ragazzo le afferrasse un braccio e la sorreggesse.
La aiutò a scendere.
«Scusa, io…non volevo spaventarti. Non so nemmeno perché sono qui.»
La ragazza era piegata in avanti, la fronte sul marmo e le braccia stese davanti a sé: ci era andata davvero vicina e l’adrenalina le stava facendo girare la testa.
Respirò profondamente per qualche minuto, avvertendo la presenza imbarazzata di lui alle sue spalle.
Non aveva ancora avuto modo di osservarlo, ma lo immaginò dondolare da un piede all’altro intento a grattarsi nervoso la testa. E non sapeva dirsi nemmeno il perché.
Era come un deja-vu. Un sogno lontano che probabilmente aveva già vissuto, o che forse aveva sempre dovuto vivere.
Lentamente si voltò, sistemando dietro le orecchie i capelli scomposti dal vento e dalla paura.
Lo trovò esattamente in quella posizione imbarazzata, un maglioncino viola a farlo sembrare più muscoloso.
Probabilmente sarebbe volato via anche lui al primo soffio di vento.
Occhiaie viola a contornargli gli occhi scuri e dispiaciuti. La pelle pallida di chi non usciva spesso di casa.
Fragile: sembrava doversi piegare sotto il peso del mondo da un momento all’altro.
«Da giorni?»
La sua voce era dolce proprio come aveva sempre immaginato. Avrebbe dovuto restare anche quel giorno nella sua stanza. Non avrebbe dovuto precipitarsi sul ponte.
Il suo corpo, però, non ne aveva voluto sapere: era quello il giorno giusto.
«Abito qui, cioè…lì» e indicò la finestra scura da cui l’aveva osservata per giorni. La sua unica fonte di distrazione.
«E…da quanto è che mi osservi?»
La curiosità affascinata che le spunto come un sorriso forse era fuori luogo. Quale ragazza avrebbe sorriso in quel modo soddisfatto nel sapersi osservata da lontano?

Una che giocava sull’orlo di un ponte.

«Dalla prima volta che sei salita su quel parapetto.»
Aspettò che l’informazione le arrivasse al cervello. Dalla prima volta. Ventisette giorni.
Spalancò impercettibilmente gli occhi, mentre lui annuiva imbarazzato.
«Perché…»
«Non sono uscito prima? Perché sarei dovuto restare in casa anche oggi. Potrei combinare qualche casino e sarebbe stato tutto inutile.»
I movimenti imbarazzati divennero ansiosi prima ancora che finisse di parlare.
Doveva rientrare, assolutamente.
Le diede le spalle e si incamminò meccanicamente verso casa sua.
Lei osservò la sua reazione attonita. Pensò di esserci finita davvero in quel fiume. Forse era sempre stata una realtà alternativa quella che aveva osservato riflettersi sulla superficie del corso d'acqua.
Afferrò le scarpe e se le infilò rincorrendolo. Doveva essere destino.
Lo fermò poco prima della fine del ponte, una mano sul polso freddo ed esile.
Osservò meglio quel viso che si era nascosto per tanto tempo.
Le occhiaie lasciavano trasparire una stanchezza che non doveva derivare solo da notti insonni. La pelle era tesa, pallida, le labbra screpolate, le vene ben in mostra. Non era un volto sano.
Lo lasciò andare.
«Mi sto curando. Devo rientrare.»
Era rimasta congelata.
Giocava con la sua vita davanti alla finestra di un ragazzo che la rischiava davvero. Era una stupida.
«Mi dispiace. Non…lo farò più»
Lo vide bloccarsi a un passo dal cancello che doveva delimitare la sua casa…e tornare indietro di qualche passo.
«Ti prego, fallo. Torna, di nuovo, tutti i giorni alle 16 e 15 precise. Io ti osserverò da quella finestra. Porti sempre un po’ di leggerezza, con i tuoi vestiti colorati e quei capelli al vento.»
Sorrise con dolcezza, mentre lei sentiva di voler abbracciare per la prima volta un completo estraneo. Che forse non era nemmeno così estraneo.
« E questo colore ti dona particolarmente.»
Avrebbe indossato sempre qualcosa di giallo, da quel momento in poi. Le si leggeva in faccia.
Le fece un cenno con la mano, voltandole di nuovo le spalle.
«Tu osservami! E un giorno ci salirai con me su quel ponte!» gli urlò dietro.
Le promise che l’avrebbe fatto.
Entrambi sapevano che non sarebbe mai successo.

 

   
 
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