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Autore: SSONGMAR    10/08/2014    2 recensioni
La leggenda narra che se due innamorati si scambiano una promessa d’amore sotto un fiore di ciliegio, allora il loro amore sarà eterno.
Ma un amore malato, tormentato dalle tempeste, può sbocciare come un Sakura in piena primavera?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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«La nostra storia che era piena di felicità.
  Quel posto in cui ci siamo innamorati..
  Una volta di mattina, una volta ogni notte..
  voglio tenerti tra le mie braccia»

 
 
I fiori di ciliegio erano sempre stati i miei preferiti.
Aprii gli occhi lentamente e lasciai che il raggio di sole, che penetrava lento nella mia stanza, si posasse adagio sulle mie lenzuola bianche e fresche di pulito.
Un altro meraviglioso giorno aveva preso vita.
Pacatamente scostai le lenzuola e mi diressi alla finestra spalancandola completamente e mi lasciai cullare dal venticello fresco del primo mattino accompagnato dalla meravigliosa visione che mi si presentava: i Sakura erano in fiore.
Senza indugiare mi preparai a quello che sembrava essere, finalmente, il mio primo giorno alle superiori.
Ero consapevole del fatto che le mie responsabilità sarebbero aumentate, così come lo studio e tantissime altre cose, ma quella sorta di felicità che vacillava dentro di me era molto più forte di qualsiasi altro pensiero o paura.
Il mio obiettivo primario, pensavo mentre mi dirigevo alla metro, era quello di vivere un primo anno scolastico nel migliore dei modi, riuscire ad ottenere buoni voti e realizzare il mio sogno più grande: studiare medicina presso la facoltà più prestigiosa del mio paese. Puntavo in alto, ad essere la migliore in tutto e non deludere le aspettative dei miei genitori e questo pensiero mi aveva reso una persona estremamente determinata.
Sul mio cammino un albero maestoso e piuttosto anziano richiamò la mia attenzione. Mi fermai ad osservarlo e studiare ogni suo minimo dettaglio ma la figura di qualcuno fu in grado di distogliere ogni mio pensiero da esso.
Era un ragazzo, alto nella media, ed indossava la mia stessa divisa. Era lì fermo ad osservare il maestoso albero con il naso rivolto al cielo, verso le sue perfette ramificazioni. La sua mano destra accarezzava piano la corteccia di quella meraviglia ed io, osservandolo, rimasi come incantata per quanto fosse sincero e delicato il suo tocco.
Non sembrava essere un ragazzo nella norma, sembrava un tipo piuttosto strambo, o speciale oserei dire.
Il colore inusuale dei suoi capelli..
Erano biondi e folti, e quando uno spiraglio di vento si alzò furtivo, un dolce profumo alla vaniglia invase la mia figura.
In quel momento sentii come se il tempo si fosse fermato o stesse scorrendo via più lento possibile e sentivo, nel profondo, che qualcosa in me, da qual momento, sarebbe cambiato.

La metro era come al solito affollata, sbuffai e mi guardai intorno nella speranza di riuscire ad incrociare lo sguardo delle mie migliori amiche.
«Hana» ed ecco che il mio pensiero empatico era arrivato a destinazione. Col sorriso stampato sulle labbra mi voltai verso di loro, avevo trascorso l’estate in campagna e per questo motivo non ero stata in grado di vederle.
Ma adesso averle lì, solari e più belle che mai, aveva riempito il mio cuore di gioia «Molly, Ana» avevo esordito ad alta voce «mi siete mancate tantissimo» continuai, marcando quella punta di sincerità che s’incrementava nella mia gola.
Molly ed Ana erano da sempre state le mie migliori amiche.
Insieme avevamo condiviso tutto: pensieri, paure, emozioni..
Eravamo l’una per l’altra come una preziosa Domenica. 

Ci stringemmo in uno di quegli abbracci da rompere le costole e ci perdemmo nel dolce suono delle nostre risate.
Mano nella mano ci dirigemmo in quella che sarebbe stata la nostra scuola per ben cinque anni e che ci avrebbe accompagnate in questo lungo cammino.

Quando la campanella segnò l’inizio delle lezioni, fummo smistate in classi diverse. Per un’intera estate avevamo sperato che il cielo fosse stato dalla nostra parte e ci avrebbe aiutato a frequentare la stessa classe, ma ahimè, ci dovevamo accontentare dello stesso istituto.
Riluttante, feci un lungo sospiro e mi apprestai a raggiungere la mia nuova aula, pronta ad incontrare i miei nuovi compagni, il mio nuovo insegnante e addirittura il mio nuovo banco.
Vi entrai e guardandomi intorno mi accorsi che era quasi vuota se non per la presenza di qualche superstite, probabilmente, ripetente.
Non troppo intimidita accennai, quindi, un saluto che fu palesemente snobbato dai presenti. Mi accomodai ad un banco in fondo all’aula alquanto delusa; essere invisibile non era mai stato il mio forte.
L’aula iniziò ben presto a popolarsi. Chiusi gli occhi per isolarmi da ciò che mi circondava e sembrava quasi come se fossi in grado di percepire ogni singolo sentimento o emozione provata dai presenti; in un certo senso era una sensazione bellissima.
«Ciao, disturbo?» aveva detto una voce quasi tremante alle mie spalle, riconducendomi, nuovamente, sul pianeta terra. Senza indugio aprii gli occhi ed il sorriso timido di una ragazza fu in grado di rapirmi.
Prontamente mi alzai dalla sedia e le sorrisi «no affatto» risposi sincera.
I suoi occhi erano grandi e scuri così come la sua carnagione, nonostante presentasse delle perfette gote rosee. Le labbra erano sottili ed i suoi capelli di un colore particolare, un castano che si avvicinava al rosso. Si guardò intorno con aria spaesata «in realtà volevo chiederti se il posto accanto a te era libero, sai..» si grattò la testa corrugando la fronte «non conosco nessuno e quando ti ho vista sembrava come se tu fossi un po’ nella mia stessa situazione».
Dedussi dal suo marcato accento che fosse straniera, magari nuova in città ed in cerca di amici. Scostai la sedia dal banco accanto al mio e la invitai a sedersi «sarà un piacere per me essere la tua compagna di banco» confessai, regalandole nuovamente un sorriso. Rimasi ancora un po’ a studiare i suoi lineamenti particolari, generalmente mi capitava fin troppo spesso con le persone o le cose che richiedevano attenzione o suscitavano la mia curiosità, ma ancora una volta una figura fu in grado di rapirmi.
Era lui.
Il ragazzo biondo di quella mattina. 

Entrò in classe a sguardo basso, quasi autoritario, freddo, scostante, con gli auricolari alle orecchie ed accompagnato da un gruppetto di altri quattro ragazzi. Li osservai e arrossii di colpo quando notai la bellezza che erano in grado di celare i loro visi, così perfetti che sembravano essere stati scolpiti da un antico scultore.
Si accomodò anch’esso in fondo alla classe, alla mia sinistra, con lo sguardo rivolto verso la finestra dove un Sakura prendeva, maestoso, vita nel verde.
Non riuscivo a comprendere per quale motivo mi sentivo in quel modo quando lo vedevo. Dentro di me sentivo come se un legame empatico ci legasse, qualcosa che partiva dal profondo, qualcosa a cui non si poteva scappare.
E probabilmente anche a lui piacevano i fiori di ciliegio.
Dei nuovi passi riempirono l’aula, ma non riuscivo a capire per quale motivo il mio corpo d’innanzi a lui non riusciva a muoversi. Ero lì, impalata, ad osservare il suo profilo poco illuminato dal sole che picchiettava sulla vetrata.
Era rimasto tutto il tempo ad osservare fuori, nonostante il suo compagno di banco aveva più volte provato a parlargli «io sono Byunghee dolcezza» aveva detto quest’ultimo d’improvviso sorridendomi «e tu dovresti prestare attenzione all’insegnante che è entrato in aula» bofonchiò e si accinse ad alzarsi dalla sedia ed accennare un inchino di cordiale saluto.
Scossi la testa e mi guardai intorno notando come tutte avessero fatto la stessa cosa. La mia nuova compagna di banco mi strattonò di poco il braccio facendomi balzare d’improvviso.
Cosa mi stava succedendo?
Fortunatamente, terminate le prime due lezioni, quella strana sensazione mi abbandonò per qualche minuto ed ebbi modo di conoscere meglio i componenti della mia classe.
«Quindi come hai detto che ti chiami?» ripetei alla mia compagnia di banco, probabilmente era stata lì a ribadire il suo nome tutto il giorno ed io non ero ancora riuscita a comprenderne il significato. Probabilmente perché dietro il mio ve ne era uno per me prezioso, quindi mi aspettavo che ogni nome ne avesse uno a sua volta «mi chiamo Shushu» sorrise lei «il tuo mi piace molto, Hanami..» confessò con aria pensierosa «puoi chiamarmi Hana, le mie migliori amiche mi chiamano così».
Una ragazza dal viso tondo e paffutello si avvicinò a noi accompagnata da un’altra ragazza dagli occhi incredibilmente azzurri, mi voltai verso di loro e sorrisi spontanea. Fu in questo modo che imparai a conoscerle e mi sentii a casa sin dal primo giorno di scuola.

«Professore, non possiamo accettare una cosa del genere» deplorò la classe «mi spiace ragazzi ma è da regolamento» intimò quest’ultimo accarezzando la sua folta barba «il protocollo parla chiaro, trenta alunni di cui quindici maschi e quindici femmine. E’ giusto per voi conoscervi meglio e creare una certa sintonia. I posti saranno cambiati una volta al mese e la selezione sarà sempre la stessa» si munì di carta e penna e segnò dei numeri su di essi per poi inserirli in due diversi contenitori «il contenitore alla mia sinistra è per voi ragazze, mentre quello alla mia destra per voi ragazzi. Due alla volta siete pregati di alzarvi e pescare il vostro numero, i numeri compatibili dovranno condividere il banco».
Abbassai la testa sulle mie braccia e sospirai quasi sottovoce, credevo di aver finalmente trovato una nuova amica con cui condividere il banco e chiacchierare durante le ore di noia, ma il protocollo, a quanto pare, non lo rese possibile.
Shushu mi guardò scoraggiata ma in fondo non potevamo farci nulla.
Due alla volta, come dichiarato dal professore, i miei compagni di classe recuperarono quindi il proprio numero accomodandosi, riluttanti, ai loro nuovi posti. Shushu si ritrovò a condividere il banco con Byunghee, per quanto riguarda me, beh, era ancora da vedere.
Me ne restavo ferma al mio posto ad attendere, paziente, il mio turno.
Mi morsi il labbro inferiore per scacciare via quella sensazione che si stava facendo spazio in me.
Il professore mi chiamò alla cattedra ed io immediatamente mi apprestai a raggiungerla.
Mi guardai intorno e mi accorsi di come tutti i posti fossero già occupati.
Deglutii a fatica ed estrassi il numero dal contenitore «16» esordii ad alta voce con la speranza che qualcuno tra i presenti sollevasse la propria mano in modo che io potessi identificare il mio nuovo compagno di “avventure”, ma non ci fu risposta «16» sbraitò più forte il professore, ed ecco che una mano s’innalzò al cielo. Sentii le pupille dilatarsi ed il cuore percuotermi dentro quando mi accorsi di chi fosse quel palmo rivolto al soffitto.
«Finalmente» sospirò il professore «prego signorina Hanami, può avvicinarsi a Seungho».
Seungho..
Quindi era così che si chiamava.
Mi avvicinai lentamente a lui e presi posto al suo fianco, ignara, della strana piega che la mia vita avrebbe intrapreso da quel preciso ista
nte.
  
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