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Autore: FrancescaPotter    12/08/2014    2 recensioni
Dal primo capitolo:"C'era una persona della quale la legge le impediva di innamorarsi. Una sola persona sulla faccia della terra e, ovviamente, Emma Carstairs si era innamorata proprio di quella persona. Si trattava del suo migliore amico, Julian Blackthorn. "
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Carstairs, James Carstairs, Julian Blackthorn, Theresa Gray, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Dove sono tutti?» Chiese Emma, mentre sfoderava Cortana dal fodero.

Era mattina presto e lei e Julian si trovavano nella palestra dell'Istituto pronti ad allenarsi con il Signore a la Signora Whitelaw, ma nessuno aveva detto che sarebbero stati soli. Emma era convinta che ci sarebbero stati anche gli altri Blackthorne, o Jem per lo meno.

«A lezione, suppongo.» Julian stava lucidando dei coltelli su una panca vicino all'enorme vetrata che dava sull'Oceano. A Emma si strinse il cuore mentre osservava quella distesa blu che ora la spaventava così tanto. Odiava avere paura, lei non ne aveva mai.

«Prima o poi ti passerà. Devi solo dargli tempo.» Julian aveva finito di preparare i coltelli e ora la stava studiando attentamente.

«Non so di cosa parli.»

Rise. «Certo che lo sai, ma sei troppo orgogliosa per ammetterlo, persino con me. E forse è proprio questo il punto: se solo accettassi il fatto che hai un problema e che per una volta in vita tua sei spaventata e hai bisogno di aiuto... forse lo supereresti più in fretta.» Si alzò e iniziò a fare degli esercizi per riscaldare i muscoli, ed Emma lo imitò.

«Hai intenzione di farmi la predica? Perché, davvero, non sono in vena.»

«Io non faccio prediche, lo sai. Ti dico solo come stanno le cose quando tu sei troppo ostinata per accettarle, è sempre stato così.»

Emma si imbronciò mentre si sedeva per fare stretching.

Odiava quando aveva ragione -ovvero il 90% delle volte.

«Non c'è niente da dire. Sto benissimo! Ho solo avuto qualche problema dopo l'incidente, ma l'ho già superato.»

«Ah, sì?» Chiese, sedendosi a gambe incrociate davanti a lei. «Ed è per questo che non prendi in mano la tavola da settimane? O che non entri più in mare? O che ti svegli nel bel mezzo della notte urlando, perché hai gli incubi?»

«Io non faccio... Come fai a sapere...»

Lui alzò una mano per bloccarla. «Ferma, non provare neanche a negarlo. Anche se le nostre stanze non fossero vicine e io non sentissi le tue urla, lo vedo, Emma. Vedo le occhiaie perenni che hai, vedo che sbadigli in continuazione, sei nervosa e, senza offesa, sei anche meno reattiva in allenamento. Io ti vedo.»

Ancora una volta l'aveva lasciata senza parole, commossa da quanto lui si preoccupasse per lei, tanto quanto lei si preoccupava per lui. Non sapendo cosa dire, si limitò a guardarlo.

«E sì, non riesco a capire perché tu non me ne abbia parlato. Se non vuoi dormire da sola, posso stare con te la notte.»

Era proprio questo il motivo. Se gli avesse confessato che aveva incubi tremendi nei quali moriva soffocata, Julian avrebbe insistito per fare qualcosa per aiutarla, come dormire insieme a lei, ed Emma non ce l'avrebbe fatta. Per quanto le sarebbe piaciuto -non prendiamoci in giro, ogni fibra del suo corpo desiderava che lui dormisse con lei- non poteva permetterselo. Averlo così vicino ogni sera l'avrebbe lentamente divorata dall'interno fino al momento in cui, stanca e al limite dalla pazzia, gli avrebbe confessato i suoi sentimenti, mandando tutto a rotoli.

«Io...» Cosa poteva dire? Niente.

Contro ogni logica, contro tutto ciò che si era ripromessa, si ritrovò a stringergli forte la mano, cercando di comunicargli la sua gratitudine e l'amore che provava per lui.

… ed in quel momento entrarono i Whitelaw.

Quando si dice al sfiga.

«Oh... buongiorno, ragazzi!» Li salutò allegra la signora Whitelaw, posando lo sguardo sulle loro mani intrecciate.

I due ragazzi si affrettarono a scioglierle.

«Buongiorno, a tutti.» Disse il Signor Whitelaw in modo severo.

Emma si alzò di scatto e Julian la imitò.

«Siete pronti? Ho notato che vi siete già riscaldati.»

«Sì.» Risposero all'unisono Emma e Julian.

Bernadette batté le mani entusiasta ed esclamò. «Come siete carini, parlate anche insieme! Sono per caso dei poteri da parabatai?»

«Buon Dio, Bernadette! Siamo qui per lavorare.» La riprese Harnold e le tacque dispiaciuta.

Emma lo odiava. Trattava la moglie come se fosse una sua proprietà ed era troppo fissato, troppo serio, troppo bigotto. La Signora Whitelaw cercava solo di essere simpatica, e lui l'ha smontata con un battito di ciglia.

«No, signora Whitelaw, nessun potere speciale. E' stato solo un caso.» Le disse Emma con un gran sorriso, che venne ricambiato con gratitudine. Harnold, invece, sfoderò la spada borbottando per poi guardare i due parabatai. «Bene.» Proclamò. «Bando alle ciance. Vediamo un po' cosa sapete fare.»

 

Erano state le tre ore peggiori della sua vita. E questo era tutto dire.

Il Signor Whitelaw era un tiranno! Li aveva sfiancati completamente e ora Emma, dopo una doccia kilometrica e un mega hamburger con patatine fritte, non aveva la forza per fare più nulla.

Le veniva l'angoscia solo al pensiero di dover uscire quella sera.

Ancora stentava a crederci. Aveva sempre amato allenarsi all'Istituto, era decisamente il suo momento preferito della giornata, ma quella mattina era stata un incubo. Il signor Whitelaw aveva fatto fare loro un sacco di esercizi senza dargli un attimo di tregua e, ogni volta che si fermavano per scambiare due parole, li sgridava e li costringeva a fare cinquanta flessioni.

Si buttò depressa sul letto e si addormentò veloce come un battito di ciglia.

 

«Non avrai intenzione di uscire conciata così, mi auguro.»

Emma si diede un'occhiata veloce e alzò le spalle.

Amava vestirsi bene, anche se normalmente prediligeva un abbigliamento comodo per allenarsi e per uccidere demoni.

Le venne una gran voglia di chiudere a Livvy la porta in faccia, ma si trattenne.

«Che ci fai qui?» Chiese piatta.

«Oh, niente, volevo solo vedere come andavano i preparativi. Posso entrare?»

«Se proprio devi.» Emma si fece da parte e Livvy entrò entusiasta nella sua stanza.

«Secondo me dovresti osare di più per stasera.» Iniziò a dirle, aprendo il suo armadio e tirando fuori tutto ciò che conteneva.

Emma aveva indossato un top argento, dei jeans aderenti neri infilati in degli stivali con il tacco e la sua amata giacca di pelle. Si era truccata leggermente e aveva lasciato i capelli sciolti, cosa che non faceva spesso. Nel complesso pensava di stare abbastanza bene, e per questo rivolse a Livvy un'occhiataccia. «Che c'è che non va?»

«Non fraintendermi, sei uno schianto! Adoro quei pantaloni...»

«Ma...» Emma alzò gli occhi al cielo e si preparò al peggio.

«Ma ho visto Cloe mentre venivo qui.» Buttò lì Livvy con un sorriso angelico.

«E...»

«E... Oddio! La volgarità fatta a persona! Si è messa su un vestito aderente nero che le scopre tutta la schiena, e non ha la giacca con sé, quindi non immagino che freddo avrà! Va bene che siamo a Los Angeles, ma è quasi Dicembre ormai.» Prese una maglietta larga da un cassetto, la guardò schifata e poi la rimise al suo posto, come se fosse qualcosa di pericoloso.

Emma sospirò. «Non mi interessa com'è vestita.»

«Ma dovrebbe!»

«E invece no. Dai, sono in ritardo, non farmi perdere altro tempo.»

«Questo!» Urlò eccitata Livvy, sventolando un lungo vestito rosso. «Questo quando e dove cavolo lo hai preso? Non te l'ho mai visto indosso!»

Emma si sentì arrossire. «L'ho comprato qualche settimana fa per il ballo di quest'anno.»

«E' bellissimo.»

Ed era vero.

Emma lo aveva visto per caso in un negozio del centro e aveva pensato, in un momento di immensa stupidità, di comprarlo e di metterlo al successivo ballo d'Inverno.

Ora l'idea le sembrava assurda perché quell'abito non era da lei.

Per quell'occasione di solito indossava un abitino blu scuro corto con gli stivali bassi che le stava molto bene, ma che non era comunque troppo elegante. Quel vestito invece era rosso scuro, smanicato ma accollato che le fasciava il petto e la vita per poi ricadere sui fianchi in una cascata di pieghe morbide.

Non era decisamente adatto per uscire con degli amici.

«Non posso indossarlo stasera, sarebbe inappropriato.»

«Giusto, giusto! Assolutamente no. Questo deve rimanere ben nascosto fino al ballo. Ah, Cloe rimarrà sbalordita.» Livvy strinse il vestito a sé ed iniziò a piroettare per la stanza. «E' davvero fantastico!»

«Se vuoi te lo regalo, tanto non so se lo metterò...»

«Non se ne parla neanche! Be', se per il ballo hai questo vestito puoi anche non brillare particolarmente stasera.» Buttò lì mentre lo riponeva nell'armadio.

«Ti ringrazio, ora andiamo. Sono già in un ritardo mostruoso.»

«Ma che peccato. Ricorda: le star arrivano sempre in ritardo.» Livvy sorrise maliziosa e se ne andò, lasciando Emma da sola nella sua stanza.

 

Livvy aveva ragione. Livvy, dopotutto, aveva sempre ragione.

Erano seduti ad un tavolino in un pub in centro e ogni singolo individuo di sesso maschile aveva rivolto a Cloe uno sguardo adorante almeno un volta.

Non che la cosa infastidisse Emma, ciò che non sopportava era che Julian la guardasse in quel modo, perché sì: a Julian non era indifferente. E come avrebbe potuto? Era bellissima.

Avevano eluso la sorveglianza senza troppi problemi, non c'era stato neanche bisogno di mostrare le carte di identità per entrare ed Emma sorseggiava il suo cocktail senza prestare attenzione a ciò che Joshua le stava dicendo.

«Emma, Emma, ma mi stai ascoltando?» Il ragazzo le stava sventolando una mano davanti agli occhi con fare impaziente.

«Uhm, che?» Fece lei, appoggiando il bicchiere sul tavolo.

«Ti ho chiesto se ti va di ballare!»

«No. Il ballo non fa per me.»

«Noi andiamo!» Cloe si alzò in piedi e prese Julian per il braccio, ignorando le sue proteste e trascinandolo in pista.

Emma distolse lo sguardo.

«Dovresti seguire il loro esempio... Di sicuro troverai qualche ragazza disposta a ballare con te.» Si sentiva un po' in colpa nei confronti di Joshua, dopotutto voleva solo divertirsi.

«Ma io voglio stare con te.» Rispose semplicemente lui, rivolgendole un gran sorriso. «Vuoi qualcos'altro da bere?»

«No, grazie. Sono a posto.»

«Torno subito, allora. Vado a chiedere un altro scotch.» Così dicendo si alzò e sparì inghiottito dalla folla.

Per seguire con lo sguardo Joshua, Emma scorse Julian e Cloe intenti a ballare insieme, anche se più che ballare sembrava si stessero strusciando l'uno sull'altra.

Che stupida che era stata!

Perché ancora perdeva tempo a pensare a Julian proprio non lo sapeva. Era ovvio che lui fosse interessato a Cloe e, anche se così non fosse stato, si stava impegnando per andare avanti e farsi una vita. Cosa che invece Emma non stava facendo.

Era stufa.

Stufa di correre dietro ad un ragazzo con il quale non avrebbe mai funzionato. Voleva divertirsi anche lei.

«Tornato.» Joshua mostrò il bicchiere pieno come se avesse appena portato a termine un'ardua impresa.

«Sai che ti dico?» Saltò su Emma, alzandosi dal divanetto nell'esatto istante in cui Joshua ci sprofondava dentro. «Mi è venuta voglia di muovermi un po'. Andiamo a far vedere a questi dilettanti come si balla.» Rubò di mano il bicchiere a Joshua e bevve alla goccia tutto il contenuto. Non appena il liquido le scese in gola e poi nello stomaco se ne pentì amaramente, le sembrava di aver appena ingerito fuoco liquido.

«Ehi, vacci piano, Emma.»

«Sto bene, andiamo.»

Emma odiava ballare. O meglio, le sarebbe anche piaciuto se ne fosse stata capace. Il problema era che, appunto, non lo era per niente. Ogni anno Julian, al Ballo, la costringeva ad alzare il didietro dalla sedia per ballare un po' con lui, e insieme si divertivano a fare piroette e movimenti sgraziati, guadagnandosi gli sguardi sdegnosi dei membri più bigotti del Conclave.

Quella sera non c'era Julian a guidarla, ma il drink aveva aiutato ad allontanare quel disagio che provava di solito quando doveva ballare. Dopo qualche canzone, iniziò a capire come funzionava e scoprì che non era poi così difficile: bastava muoversi a ritmo di musica e il gioco era fatto.

Qualche volta scorgeva Cloe avvinghiata a Julian dietro le spalle di Joshua, ma cercò di tenere gli occhi fissi sul ragazzo e di non pensare al suo parabatai.

Si stavano divertendo entrambi. Era così che le cose dovevano andare.

E poi accadde.

Le labbra di Julian toccarono quelle di Cloe e il mondo si fermò.

Furono pochi secondi, pochi secondi nei quali Emma non provò nulla. Niente di niente. Si sentiva volteggiare nell'aria, e tutto ciò che importava era Cloe che si avvicinava a Julian, lo baciava e lui che rispondeva al bacio, passandole una mano attorno alla vita. Non la stringeva come aveva stretto lei nella Corte Seliee, ma questo non era di consolazione ad Emma. Anzi, Fu proprio il pensiero di quel bacio che diede il via a tutte le emozioni. Rabbia, angoscia, tristezza e disperazione si riversarono su di lei sotterrandola ed impedendole di respirare.

Aveva bisogno di aria.

Doveva uscire da lì.

Doveva allontanarsi da loro.

Da Julian che si faceva una vita con un'altra ragazza.

Borbottò qualcosa di sconnesso a Joshua e si precipitò fuori dal locale, come se fosse stata inseguita da un'orda di demoni superiori.

«Attenta a dove cammini!» Aveva per sbaglio urtato una ragazza molto bella con i capelli biondo platino, ma era troppo scossa per fermarsi e scusarsi.

L'aria fresca della sera fu un balsamo per i suoi polmoni. Respirò profondamente e si appoggiò al muro del vicolo a lato del pub. Chiuse gli occhi e ci si lasciò cadere contro, cercando di rallentare i battiti del cuore che le premeva sul petto come un martello pneumatico.

Smettila. Sapevi che sarebbe successo. Fattene una ragione e vai avanti, stupida. Si disse. Se Julian è felice io devo supportarlo ed essere felice per lui.

Non era tutto ciò che desiderava, dopotutto? Che Julian stesse bene e che fosse felice?

Sì, assolutamente. Era proprio per questo che non poteva provare ciò che provava e che non poteva metterlo al corrente dei suoi sentimenti, altrimenti lo avrebbe messo in pericolo, e se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.

Si passò una mano sul viso, cercando di schiarirsi le idee. Non capiva come la gente potesse pensare che l'alcol alleviasse il dolore e che smorzasse i sentimenti. Aveva bevuto quella sera, eppure stava da schifo: aveva mal di testa e le emozioni sembravano amplificate, le provava con duplice intensità... la divoravano con più ferocia.

«Emma!» Julian le corse in contro e le si posizionò davanti, il volto una maschera di preoccupazione. «Non ti ho più vista e ho pensato che ti fosse successo qualcosa... Joshua ha bevuto troppo e...» Non riusciva a trovare le parole e si passò le mani tra i capelli nervosamente. «Che succede? Hai avuto un'attacco d'ansia?»

Le poggiò una mano sulla spalla ed Emma non l'allontanò, anche se avrebbe dovuto. Riusciva a sentirne il calore anche attraverso la giacca, come se le stesse toccando la pelle nuda.

«No.» Disse mettendosi più dritta e sfoggiando la sua faccia da dura. «Non ho attacchi d'ansia.»

Julian sospirò e lo stomaco di Emma si contrasse dolorosamente quando la guardò negli occhi. «Ti ricordo che stai parlando con me. Lo sento quando qualcosa non va.» Le posò l'altra mano tra il collo e la spalla, dov'era disegnata la runa dei parabatai. «In realtà penso di conoscerti talmente bene che anche se questa non ci fosse, riuscirei a leggerti lo stesso alla perfezione.»

Erano vicini, troppo vicini per i gusti di Emma. Riusciva a sentire il suo profumo, i suoi occhi erano più scuri e il suo viso era in parte illuminato dalla tenue luce di un lampione poco vicino.

«Julian...!» Disse, ma non fu la sola a pronunciare il suo nome. In quel momento Cloe era uscita dal locale stringendosi le mani attorno al petto per scaldarsi. E ci credo! Pensò Emma, con quel vestito che si è messa...

Julian fece un passo indietro e ad Emma sembrò che tutto il calore del mondo fosse stato risucchiato via da un vento freddo con i tacchi a spillo e la faccia di Cloe.

«Che ci fai là fuori? Torniamo dentro dai, ci stavamo divertendo! Oh... Emma, ci sei anche tu... Ciao.» Emma, improvvisamente, si sentì molto arrabbiata. Anzi, era furiosa. Okay, non era la fidanzata di Julian, ma era la sua parabatai, e di sicuro era più importante di una ragazza per la quale si era probabilmente preso una cotta. Non aveva alcun diritto di portarglielo via in quel momento.

Julian la guardò, una domanda implicita nel suo sguardo “Posso rientrare o hai bisogno di me?”

Avrebbe voluto urlargli che aveva sempre bisogno di lui, ma la vocina della sua coscienza ebba la meglio sull'alcol e le disse che quella non era la risposta giusta.

«Stavo solo prendendo una boccata d'aria. Voi dovreste tornare dentro, mi sembravate abbastanza impegnati.»

«È sarcasmo quello che sento?» Chiese lui avvicinandosi.

«No.» Emma alzò un sopracciglio con fare eloquente ed incrociò le braccia.

Julian finse di crederci, anche se sapeva che qualcosa non andava. «Cloe, ti raggiungo tra poco.»

«Ma...»

«Due minuti. Inizia ad entrare o prenderai freddo.» Mentre parlava non guardava Cloe. Guardava lei, Emma. Guardava solo Emma.

«D'accordo... vieni presto però.» Brontolò l'altra ragazza prima di scomparire dietro l'angolo.

«Davvero, dovresti seguirla e...»

Julian però la ignorò. «Joshua ti sta infastidendo? Vuoi tornare a casa? Basta che tu me lo dica e ce ne andiamo.»

Emma rise istericamente, sinceramente stupita. «Tu pensi che se Joshua mi avesse infastidita, ora se ne andrebbe in giro tutto allegro a rimorchiare? E dici di conoscermi!»

Fu il suo turno di ridere. «Hai ragione, gliele avresti suonate di santa ragione.» Sorrise, ed Emma non poté far a meno di sorridere anche lei. Julian aveva l'incredibile capacità di abbattere tutti i muri che aveva eretto durante la sua vita e, pian piano, stava distruggendo anche quello che le impediva di dirgli che si era tragicamente innamorata di lui.

«E allora che c'è che non va?»

«Niente.»

«Non ci credo.»

A che gioco stava giocando? Se avesse continuato così, si sarebbe lasciata scappare qualcosa. Era troppo vicino... Il vicolo era troppo buio... E i cocktail che aveva bevuto iniziavano a fare effetto...

Doveva fare qualcosa per allontanarlo, per metterlo al sicuro. Per salvarlo da lei. «Devi rientrare, Julian.»

Se era stupito dal suo cambio di tono, non lo diede a vedere. «E lasciarti qui fuori da sola?»

«Non sono una donzella in pericolo!» Sbottò. «Non ho bisogno del principe azzurro che mi protegga!»

«Non era quello che intendevo...» Lo aveva ferito, e lo sapeva.

Bel lavoro, Emma! Vuoi che sia felice e sei tu la prima a fargli del male. Congratulazioni.

«Okay, senti, hai ragione. Non vuoi parlarne, lo accetto. Quando sarai pronta sai dove trovarmi, sai che puoi dirmi tutto, tutto, Emma. Qualsiasi cosa ti turbi, puoi confidarmela.»

«Questo non posso dirtelo, manderei tutto a rotoli.» La situazione le stava sfuggendo di mano, aveva ammesso che c'era effettivamente qualcosa che la turbava, ma tanto era inutile negarlo, ormai. Lui le prese piano il viso tra le mani e disse, scandendo bene ogni parola. «Non c'è niente al mondo che tu possa mai dire che mi faccia allontanare da te. Niente. Mai. Dove vai tu, vado io, ricordi?»

«E ora tu devi tornare da Cloe.» Cercò di mantenere la voce ferma, con scarsi risultati. Julian fece cadere le mani dal suo viso e la guardò confuso. «É per Cloe allora. Perché ci stavamo baciando.» Non suonava come una domanda, era più che altro un'affermazione, e questo fece saltare i nervi ad Emma, che distolse in fretta lo sguardo e sentí il sangue rimbombarle nelle orecchie. «No.» Disse decisa. «No, puoi fare quello che vuoi con Cloe, ed è per questo che devi tornare dentro. Vai via.»

«Ma...» Julian non capiva, e, a dirla tutta, nemmeno Emma capiva più niente. Sapeva solo che stava facendo ciò che andava fatto.

«Voglio stare da sola.» Non aveva intenzione di urlare in quel modo, ma non poté farne a meno.

Uno spiraglio di comprensione sembrò aprirsi sul volto di Julian, per poi sparire tanto velocemente quanto era arrivato.

Emma sperava che succedesse come in un libro. Per un istante sperò davvero che Julian le dicesse che la amava. Sperò che mandasse tutto e tutti al diavolo e che la baciasse, fregandosene delle conseguenze.

Invece lui girò sui tacchi e fece come lei gli aveva chiesto. Se ne andò via senza voltarsi indietro.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ehm, salve!

Sono in ritardo, lo so, ma è tutta colpa dello spin off di Vampire Academy, Bloodlines, che mi ha presa talmente tanto che ho passato una settimana intera a non fare altro che leggere. Per non parlare dei libri per la scuola e dei compiti...

Okay, la smetto di giustificarmi, ecco qui il nuovo capitolo! Spero tanto che vi piaccia e che soddisfi le vostre aspettative.

Non ho molto da dire, solo che Julian sta provando a farsi una vita, mentre Emma non ci riesce. Emma è una persona razionale e l'amore, che il contrario della razionalità, la spaventa a morte. Vuole proteggere Julian, sa di non potergli confessare i suoi sentimenti e infatti è quello che fa. Questo è ciò che il suo cervello le dice di fare. Poi però lo guarda, ci parla, lo tocca e va tutto alle ortiche perché è innamorata di lui e questo amore la divora, non sa che fare. Vuole stargli vicino, vuole essere l'unica ragazza della sua vita, vuole toccarlo, vuole parlarci. E fa anche questo. Qui è il cuore che parla.

Quindi si trova in questa situazione in cui cuore e cervello sono in guerra, e lei è in mezzo, per questo un attimo gli dà la mano e quello dopo gli urla di lasciarla da sola.

Volevo spiegarlo perché altrimenti sembra una ragazzina lunatica e basta, cosa che non è assolutamente.

Be', ho finito...

Grazie mille se leggete la mia storia, davvero grazie!

 

Buona giornata,

Francesca

  
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