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Autore: Nikush    12/08/2014    3 recensioni
« Ciao », esclamasti con voce roca e un po’ sognante.
« A cosa devo questa telefonata? ».
« E’ perché sono qui », « Qui? », « Sono proprio sotto casa tua », ridacchiavi.
I rumori delle macchine si fecero più forti e riuscii a sentire gli stessi pure senza attaccare il ricevitore all’orecchio. Mi alzai piano dalla sedia e andai verso la finestra. Gli spifferi mi colpivano il viso e mi schiacciai al vetro per cercare di vederti.
E finalmente ti trovai, camminavi in cerchio sul marciapiede saltellando leggermente con le scarpe in mano.
Mi lasciai andare ad una risata, coprendo le labbra con la mano.
« Ma Kate…hai bevuto? », Chiesi ancora sorridendo.
[Castle/Beckett]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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A chi non sa aspettare,
ma lo fa comunque!
 
 
Tired

 
                                                                 Image and video hosting by TinyPic
 
 Solo vera dolcezza è la stanchezza
 
E’ tardi e tu non ci sei.
Avresti dovuto essere qui già da un’ora, i messaggi in segreteria che ti ho lasciato superano i mille e le telefonate al tuo appartamento più di trenta, per non parlare di quelle al cellulare. Ma non c’è stato niente da fare, non riesco a trovarti.
Queste settimane sono state terribili ma anche strane, ormai sono abituato a starti dietro e stare anche un poco senza te mi scombussola troppo.
Sei stata travolta da una serie di omicidi, e io purtroppo ho dovuto lasciare il caso una settimana fa. Le pressioni di Gina sono diventate troppo insistenti e i capitoli di Deadly Heat troppo pochi, di questo passo non sarebbe mai stato considerato un romanzo. Mi sono dovuto mettere sotto, e lo studio da ambiente calmo e ordinato si è trasformato in camera da letto, cucina e soggiorno. I cartoni della pizza e del sushi d’asporto tappezzavano la moquette e un esercito di tazze da caffè occupavano la scrivania in legno.
Tu non sei stata da meno, il caso assorbiva tutte le tue energie e vederci era quasi impossibile. Mi hai proibito di passare al distretto per salutarti perchè Esposito e Ryan si sarebbero insospettiti, hanno iniziato a tramare qualcosa dopo la sfilza di messaggi che ci hanno visto scambiare. Ma in realtà ho capito che ti sei sentita in colpa perché stare al dodicesimo occupava molta della mia giornata e il tempo per scrivere diventava molto scarso.
Nelle scorse settimane sono riuscito a sentirti solo alle sei di mattina prima che tu andassi a lavoro, il telefono squillava e la tua voce da perfetta addormentata mi giungeva alle orecchie. Mi lasciavi quasi subito, triste. Il tempo volava e i dieci minuti a disposizione si esaurivano come niente. Eri la mia sveglia mattutina.
Dopo la nostra chiacchierata mi dirigevo nello studio e iniziavo a scrivere, andavo avanti per ore sino a notte fonda.
I capitoli andavano consegnati presto, anche gli scrittori di best sellers purtroppo devono rispettare le scadenze. L’unica conversazione della giornata che aspettavo era la tua, lo consideravo quasi un momento relax.
 
Mi ricordo che martedì e il nono capitolo mi stava prendendo più tempo del previsto, gli occhi mi bruciavano come se qualcuno ci avesse appena spremuto un limone intero, e la stanchezza iniziava a farsi sentire. Mi alzai per prepararmi una bella tazza di pura caffeina per cercare di resistere almeno per un po’. Il soggiorno era completamente vuoto e immerso nel buio, mamma era andata a dormire da un pezzo e Alexis ormai viveva nel suo appartamento vicino al college per seguire meglio le lezioni. Sonnecchiai aspettando il caffè cullato dal rumore della macchinetta e respirando il più possibile l’aroma nell’aria.
Era l’una del mattino quando il telefono iniziò a squillare, mi sembrava di sognare quando vidi il tuo nome sul display. Ricordo di essermi schiarito la voce prima di rispondere
« Hey »
« Ciao », esclamasti con voce roca e un po’ sognante.
« A cosa devo questa telefonata? ».
« E’ perché sono qui », « Qui? »,  « Sono proprio sotto casa tua », ridacchiavi.
I rumori delle macchine si fecero più forti e riuscii a sentire gli stessi pure senza attaccare il ricevitore all’orecchio. Mi alzai piano dalla sedia e andai verso la finestra. Gli spifferi mi colpivano il viso e mi schiacciai al vetro per cercare di vederti.
E finalmente ti trovai, camminavi in cerchio sul marciapiede saltellando leggermente con le scarpe in mano.
Mi lasciai andare ad una risata, coprendo le labbra con la mano.
« Ma Kate…hai bevuto? », Chiesi ancora sorridendo.
« Forse unnn poco! », rispondesti ridacchiando
« Ma sono completamente sobria, completamente! », aggiungesti seria.
« Che ne dici di salire? »
« Non lo so », « Allora perché sei sotto casa mia Beckett? », « Non lo so okay? »
Picchiettavi freneticamente sul lampione nervosa, non mi stancavo di osservarti.
« Mi manchi », dissi.
Ed era vero, avevo avuto poco tempo anche per pensare in quei giorni, ma il tuo nome compariva continuamente nella mia mente.
« Pure tu, non hai idea », « Allora vieni a casa », « Ma è l’una di notte! »
« Non ho scelto io l’orario », sospirai piano,  « Neaaanche io ribatti »
« Sei stupenda », mi lasciai sfuggire dopo un po’ di silenzio
« Ah si? », Sbraitasti agitando le mani in aria.
« Si », risposi deciso.
Abbassasti la testa arrossendo. « Aspetta!? Tu mi stai spppiando! »
« Non mi sarei perso questo spettacolo per niente al mondo, ah e a proposito, sei scalza sul mio marciapiede. »
« Non è il tuoo marciapiede! E comunque mi facevano male i piedi! ». Sorrisi guardandoti piagnucolare appoggiata al lampione.
Continuavi a girarti freneticamente per guardarti intorno per cercare di trovare la mia faccia appiccicata ad un vetro.
I pochi passanti ti squadravano senza dire niente e ciò mi faceva solo sorridere di più.
« Sto salendo! », « Era ora  », esclamai sorridente mentre ti vedevo barcollare verso l’ingresso.
Riattaccai il telefono poggiandolo sulla scrivania. Allacciai la vestaglia da notte e mi passai una mano tra i capelli per cercare di renderli accettabili. Feci un salto allo specchio per giudicare le mie condizioni.
Non mi radevo da tre giorni e avevo le occhiaie, non riuscii a schiaffarmi un po’ d’acqua fresca sul viso perché il cellulare riprese a suonare.
« Per la crrronaca, non sono brilla! Ho una fama da difendere, okay! Sono un poco…assonnata. »
Sentii un tonfo provenire dalle scale, sbuffai divertito. Kate Beckett non si ubriacava mai, riusciva a rimanere lucida anche dopo quarantamila bicchieri, o almeno così mi dicevano al distretto.
« Hai di nuovo sfidato Esposito a chi beve di più? » chiesi.
« Si, lui, Ryan, Jaqueline, Brian, e un tizio della narcotici che si chiamava James o Marc oppure tutti e due ooooh non importa »
« Tutti nella stessa giornata? »
« Nella stessa ora »
« E hai vinto? »
« Mi conosci »
« Questa è la mia ragazza. », sorrisi.
E abbiamo solo dormito, non ci vedevamo da giorni e l’unica cosa che volevamo era sentirci vicini. E entrambi sapevamo che il motivo che ti aveva condotto sotto casa era che dormire da sola in un appartamento freddo a Manhattan non era ciò che volevi, e poi ti mancavo troppo anche se non l’avresti mai ammesso, da sobria perlomeno.
Così ti sei infilata nel mio letto, vestita - ti ho dovuto togliere le scarpe di mano o avresti dormito pure con quelle- biascicavi parole insensate ma a me andava benissimo pure così.
« Sono stanc…  », « A che ora sei uscita dal distretto? », « All’una meno un quarto ».
Parlavi sul mio petto e con una mano stringevi la mia spalla.
« La Gates ci ha mandato a casa perché non dormiamo tutti da due giorni ».
« Come va il caso? », chiesi curioso. «  Non ho voglia di parlarne », dicesti con tono duro.
« Non potevamo andare a casa perché stavamo aspettando le analisi di laboratorio che forse ci avrebbero aiutato, eravamo tutti fuori servizio così abbiamo ingannato un po’ il tempo e siamo andati al pub ».
« Sono arrivate le analisi? ».
« Abbiamo scoperto dopo due ore di attesa che sarebbero arrivate solo la mattina, voglio solo trovare il killer. Ci sono molte pressioni da parte di tutti, la città è molto turbata. Ma hai visto il telegiornale? Sembri fuori dal mondo. » dicesti sbadigliando.
Effettivamente no, l’unica cosa che ho visto in questa ultima settimana è stato lo schermo del mio pc, dovevo assolutamente tornare in carreggiata e informarmi sulle ultime news. Avrei voluto fare un altro trilione di domande sull’assassino, ma non mi era sembrato giusto trarre vantaggio dalla tua condizione per tirarti fuori informazioni di cui tu non volevi parlare e che cercavi accuratamente di evitare. Così frenai la lingua maledicendomi.
Seguì un silenzio tranquillo, io ti guardavo sonnecchiare sorridendo. Ti strusciavi come un gatto sulla mia spalla con un sorrisino stampato sulle labbra.
Avvicinai le mie labbra al tuo naso, piano, con la paura di sfiorarti. Non le appoggiai neanche eppure ricordo di aver sentito i brividi, quasi come una scossa senza rumore.
« E ora dammi le mie quattro ore di sonno che mi spettano di diritto », sussurrasti piano mentre le tue mani iniziarono a percorrermi il collo. Ti accoccolasti meglio su di me muovendo le gambe.
Sorrisi ancora accarezzandoti i capelli, mi abbassai e ti lasciai un leggero bacio sulla fronte cercando di non disturbarti. « A domani », dissi.
Ma ormai tu eri già partita verso il mondo dei sogni
Il giorno dopo ti eri svegliata, mortificata e con il mascara sulle guance.
« Questa volta Esposito lo capisce! », dicevi andando avanti e indietro per la camera da letto, « capiranno che ho gli stessi abiti di ieri, non posso tornare a casa, non ho tempo… non ho tempo »
Mi costrinsi ad alzarmi dal letto per fermarti.
« Stop! », urlai poggiandoti le mani sulle spalle. «  Ora ti siedi e ti calmi, sono le sei e mezza hai ancora tempo, prendi la maglia che hai lasciato qui la settimana scorsa e vai a farti una doccia, io preparo il caffè »
« E se intuiscono che ho usato questa maglietta una settimana fa e capiscono che l’avevi tu? »
« Oh mio Dio, questo segreto mi sta uccidendo » sussurrai lasciandomi cadere a pesce sul letto, sentendo ancora i tuoi piccoli gridolini isterici.
 
 
 
 
 
 
Sorrido a quei ricordi, dopo quella notte non ci siamo più visti e le chiamate sono state sempre più rade.
Intanto il serial killer a cui stai dando la caccia continua a creare scompiglio in città. Subito dopo aver scritto l’ultimo capitolo di Deadly Heat, ho urlato di gioia e soddisfatto ho inviato subito tutto a Gina. Finalmente potevo uscire dallo studio e tornare alla vita reale. Ho iniziato dalla mattina stessa dandomi una bella ripulita e mettendomi in pari con le notizie.
Non potevo tornare al distretto perché senza l’approvazione dell’editor non posso iniziare nessun nuovo progetto, se qualcosa non va bene lo avrei dovuto aggiustare subito. L’opinione della mia ex moglie rimane molto importante nonostante tutto.
Così mi sono dato alla tv.
Il Killer-I, la CBS lo aveva soprannominato così, ha ucciso altre due persone negli ultimi giorni e così si arrivava a quota otto vittime. Queste non erano collegate da nessun filo conduttore, ma si sapeva grazie a un indizio che la polizia non aveva voluto far trapelare che il colpevole di tutti questi assassini era proprio lui.
La mattina è passata così tra telegiornali e vasche da bagno piene. All’ora di pranzo però non ho saputo resistere così ti ho telefonato, stavo per rinunciare dopo il sesto squillo.
 
« Beckett », hai risposto all’improvviso con voce fredda.
« Kate? » dico dolcemente.
Fruscii e voci.
« Okay ragazzi facciamo cinque minuti di pausa », dice una voce ovattata, che credo sia la tua.
Resto in attesa per un bel po’. Sento il rumore dei tuoi tacchi, suonerie telefoniche, poi una porta si chiude e ascolto solo silenzio.
« Ciao », dici piano.
Non mi sono reso conto di star sorridendo, mi porto una mano alla fronte scosto i capelli emozionato. « Non sai quanto mi sia mancata la tua voce ».
 « Avrei voluto chiamarti questi giorni, ma dovevi finire il libro e non volevo disturbarti  » esclami mortificata.
« Stasera torna a casa ti prego »
« Non so se posso, qui c’è il finimondo »
Il sorriso scompare subito dalle mie labbra. « Dio mio Kate, io », sospiro.
L’idea di non averla tra le braccia anche oggi mi uccide, non posso sopportarlo.
« Ti penso » dici timidamente all’improvviso. Trattengo il respiro di fronte a una frase detta di getto.
« Sono qui bloccata da due settimane e tutto quello che sto cercando di dirti è che ti penso, sempre » sospiri tristemente.
Il mio battito si è fatto accelerato e mi sudano le mani, avrei voluto ribattere, dirti che anche io ti ho pensata. Che mi manca il tuo respiro, la tua pelle e che il letto freddo è troppo triste persino per me. Sento una voce che ti chiama in lontananza e so che ora dovrai riattaccare.
« Cercherò di fare di tutto, sarò a casa tua alle dieci. » sussurri in fretta.
La chiamata si interrompe all’improvviso e rimango ad ascoltare il suono acustico che segue.
E fisso lo schermo senza fare niente.
 
 
Il mio orologio segna le undici e mezza, e mi quasi mi arrendo al pensiero di un’altra notte solo.
Dove sei Kate, dove sei.
Riprovo al cellulare e al numero di casa. Niente.
Scorro la rubrica sino ad arrivare al numero di Esposito, senza pensarci due volte premo sul tasto chiamata. Se Kate non mi vuol dire dove si trova lo farà qualcun altro.
« Squilla dai, ti prego rispondi », imploro in un sussurro.
Due squilli…tre squilli…
« Castle?! » chiede una voce molto assonnata.
« Ciao Espo! Senti mi stavo chiedendo, hai visto Kate? », chiedo tutto ad un fiato con il cuore che mi martella nel petto.
« Ciao Javier, come va tutto bene? Scusa se ti disturbo a quest’ora », risponde arrabbiato.
« Ti prego dimmi dove è Beckett », dico quasi supplicandolo.
Grugnisce, infastidito. « Hai provato non so… a chiamarla? »
« Molto spiritoso », « Cosa vuoi da Beckett a quest’ora? Siamo andati tutti via dal distretto da due ore », chiede curioso.
« Ho provato a casa ma non c’è! », ribatto impaziente. « Tu sei pazzo, non devi mai chiamarla al numero di casa, si infastidisce! »
Le ultime volte che l’ho fatto non si è infastidita per niente, anzi.
« Sono fatti personali Castle, magari è fuori »
Fuori? Fuori con chi? Fuori dove come e quando.
Rimango in silenzio per un paio di secondi e riesco a sentire un piccolo sussurro.
« Javi? », dice una voce in sottofondo.
Incresco le labbra cercando di trattenere una risata, Espo…Espo… così prevedibile.
« Ah e a proposito di fatti personali…»  inizio serio, «  se a quest’ora dovessi chiamare alla dottoressa Parish credi di poter sentire la suoneria? »
« Di che diavolo stai parlando », scatti nervoso.
« Jaay torna qui, su dai »
« Si JayJay torna lì suu dai », ribatto con una vocina.
« Sta zitto! ». Si sente un tonfo sordo e poi sento Esposito che copre il ricevitore.
Me lo calco sull’orecchio per captare ogni singola parola « Piccola sono subito da te».
« Ohh senti cosa vuoi? », mi richiede irritato. «  Dimmi dove è Kate ».
« L’ultima volta che l’ho vista era al distretto poi non lo so », risponde sbadigliando
« Grazie Grazie Grazie! », esclamo saltellando.
« E ora sparisci! »
« Sparisci? Si tratta così un amico che voleva prestarti la Ferrari per il weekend? »
« Tu cosa? ». Riproduco il suono delle chiavi che si incontrano e quello dell’antifurto.
« Ti odio »
« No tu mi ami », rido.
Esposito mormora qualcosa che non riesco a capire, probabilmente mi sta insultando.
« Aaa e salutami Lanie! »
Ma ha già riattaccato.
Scaravento il cellulare dentro la tasca, prendo il cappotto e le chiavi e corro verso le scale.
 
                                                          *                         *                         *
                                                                                                    
 
 
Il distretto è immerso dal buio e la sala grande e luminosa suscita un po’ di paura.
Le sedie vuote e le lampade al neon spente danno alla stanza un’aria da edificio abbandonato.
Mi avvicino a grandi passi verso la tua scrivania e scorgo la tua giacca con borsa, sorrido. Alzo la testa incontrando la lavagna del delitto, fitta di linee, appunti, ricca di foto e punti interrogativi. Ma un altro elemento attira la mia attenzione, sul tavolino posizionato davanti ad essa si trova una tazza di caffè fumante.
Sei qui.
Mi tremano le gambe e cammino a passo svelto verso la saletta, la porta è chiusa e la apro violentemente.
« Kate! », esclamo con un sorriso a trentadue denti.
Mi blocco, immobile alla tua vista.
Sei rannicchiata sul microscopico divanetto con gli occhi chiusi, il fascicolo che penzola dalla mano e altri sparsi intorno a te.
La coperta ti ricopre solo in parte, il resto scivola sul pavimento. Hai i capelli arruffati e indossi ancora le scarpe. Il cellulare vibra per terra con il mio nome sopra, saranno gli avvisi di tutti i messaggi che ti ho lasciato in segreteria.
Mi avvicino piano e mi inginocchio vicino a te, ti sfilo di mano il fascicolo e ti sistemo la coperta. Raccolgo il telefono da terra per farlo smettere di vibrare.
La curiosità mi assale e apro lentamente il fascicolo. Riconosco subito la ragazza in foto, è la quarta vittima, ho visto la stessa immagine stamattina al telegiornale. Ha solo quindici anni e mi ricorda Alexis, scuoto la testa cercando di ignorare la fitta allo stomaco.
Sento una mano debole che mi sfiora i capelli.
« Castle », mormori con gli occhi semiaperti
Sollevo lo sguardo e per la prima volta dopo settimane rivedo i tuoi occhi. Mi sorridi mentre mi passi una mano sul volto.
E finalmente sei qui, davanti a me e posso giurare di vedere il mio riflesso entusiasta nei tuoi occhi.
Mi avvicino per lasciarti un bacio sulle labbra ma mi fermi: « Non qui », sussurri stancamente.
Mi prendi il polso per guardare il mio orologio e spalanchi gli occhi allarmata.
« O Dio, scusa è tardissimo sarei dovuta essere da te », biascichi prendendoti il viso tra le mani.
Ti metti seduta e fai cadere inavvertitamente tre fascicoli a terra.
Sfili l’elastico dal polso e imprigioni i boccoli chiari in una coda alta, ti alzi spolverandoti i pantaloni e poi ti accingi a recuperare tutti i fogli sparpagliati per la stanza.
« Dimmi un po’ Kate », chiedo preoccupato, « da quant’è che non torni a casa? ».
Mi dai le spalle e non rispondi, colpevole. Appoggi una mano sulla maniglia indecisa sul da farsi.
Mi alzo e mi posiziono dietro di te, mi avvicino sempre di più per aspirare a pieni polmoni il tuo profumo che tanto mi è mancato in queste settimane, ti osservo come se fosse la prima volta.
E poi di scatto ti giri e mi baci travolgendomi senza neanche fermare a guardarmi, fai cadere tutto quello che hai in mano. Mi stringi e te forte per cercare di abbattere quella barriera che questi giorni hanno posizionato tra noi. Accade tutto velocemente. Ma con te è così, o tutto o niente, non c’è via di mezzo.
Appoggio le mani sui tuoi fianchi e ti accarezzo e non mi sembra vero di poter essere qui vicino a te. Rimaniamo così per quelle che mi sembrano ore, cercando di recuperare tutto il tempo perso. Ci stacchiamo sempre troppo presto in cerca di fiato.
« Hai tante cose da farti perdonare », respiro sulle tue labbra dopo un po’.
Ridi baciandomi sulla guancia. Scivoli via dalle mie mani aprendo la porta e invitandomi a seguirti.
« Bhé ora non mi aiuti a risolvere il caso? »
 
                                                               *               *                 *
 
 
Un paio di caffè e strette di mano dopo sediamo di fronte alla lavagna del delitto, in attesa.
« C’è un nesso, ma non riesco a vederlo ».
Ti mastichi il labbro in attesa di un illuminazione. « La Gates pensa che l’assassino uccida senza una ragione ma io sento che non è così ».
« Ha uno scopo, ma quale.. »
Dal tuo tono di voce capisco che tutto ciò è davvero importante per te. Ti passi le mani sui capelli frustrata.
« Okay ricapitoliamo, abbiamo otto vittime », dico alzandomi e indicando le foto sulla lavagna del delitto. « Stesso modus operandi, ma non c’è un altro indizio », ripeti.
« Prima vittima, Harvey Goldbridge. Quarantun’anni, viveva a SoHo da solo, era il proprietario del “WakeUpCafè”, pensavamo che il suo omicidio avesse a che fare con il locale, ma niente era pulito. Uno stakanovista, niente moglie, niente figli. L’unico parente che aveva era suo padre, è deceduto due settimane prima la sua morte », prendi un bel respiro e fissi la fotografia di quell’uomo, « il padre viveva da anni in una casa di riposo ».
« Amavo il WakeUpCafè” »
« L’ultima vittima è Meg Whyer, l’abbiamo ritrovata ieri sera in casa sua, aveva… », « La conoscevo », dico interrompendoti.
« Era una giornalista, scriveva per il Morning Today, se non ricordo male», « Esatto », dici con tono curioso.
Sfogli la pagina del fascicolo, soffermandoti su qualcosa.
« Prima che tu venissi a disturbarmi…»
« A disturbarti?! Stavi dormendo alla grande »
« Non è vero! », ribatti.
« Comunque, stavo riesaminando i tabulati telefonici della Whyler e ho scoperto che il signor Goldbridge l’aveva chiamata frequentemente nelle due settimane precedenti alla sua morte ».
« Avevano una relazione? », chiedo incuriosito.
« Non credo, ho contattato tutti… amici, colleghi, familiari. Harvey non aveva una relazione con nessuno, e Meg era… »
 « Sposata », affermo finendo la tua frase.
« Grazie a Meg, sto vedendo qualche collegamento. Credo che Harvey avesse contattato Meg per lavoro. »
« Perché avrebbe dovuto farlo? », « Harvey aveva un appuntamento con la Whyler il giorno prima della sua morte, me lo ha confermato la sua segretaria, non sapeva quale fosse la ragione dell’incontro. Ma credo che lui fosse una fonte ».
Un lampo ti balena negli occhi, ti senti un passo più vicina alla soluzione. Finalmente dopo due settimane riesci ad intravedere uno spiraglio di luce.
« E non è finita qui  », esclami raggiante.
Corri verso la tua scrivania buttando all’aria metà delle cose, riemergi con un pezzo di carta stropicciato e me lo sbatti tra le mani.
« Goldbridge stava facendo causa a qualcuno »
Avvicino il foglio di carta per leggerlo meglio. Harvey aveva intrapreso un’azione legale contro la West House For Seniors.
« Che sarebbe? », chiedo irritato.
« Ora tutto torna! », esclami portandoti le mani al capo come una pazza.
« Goldbridge ha fatto causa a David Butler, il proprietario della casa di riposo »
 « Chi è David Butler…aspetta, Butler mi ricorda qualcosa… »
« Bravo! Ashton Butler, la seconda vittima. Era suo fratello, mi ricordo benissimo di David. E’ venuto qui con la sorella la settimana scorsa. Sapevo che c’era qualcosa sotto ma non avevo le prove… »
« Kate, frena », dico prendendoti le spalle e facendoti voltare verso di me.
Stai tremando e sembri in preda ad una scarica di adrenalina, o meglio caffeina, che per te è più o meno la stessa cosa.
« Non ci sono le prove e poi ti stai dimenticando di altre cinque vittime ».
Il luccichio svanisce subito dai tuoi occhi e ti giri a fissare la lavagna del delitto. Porti i ciuffi dei capelli dietro le orecchie come per schiarirti le idee.
« Okay, okay », sussurri.
« Goldbridge, Whyer e Butler hanno qualcosa in comune. E tutto riporta a quella casa di riposo. »
« Okay abbiamo altre cinque persone da collegare »
« Amanda Pearse, era un impiegata in un’impresa di pulizie », leggo sfogliando il fascicolo.
« Okay sicuramente ha lavorato nella casa di riposo », « non ne siamo sicuri, domani chiederò ad Esposito e Ryan di controllare, poi? »
Tracci con il pennarello rosso diverse linee per collegare le diverse foto, scrivi a grandi caratteri “West House of Seniors” al centro della lavagna, ti giri a guardarmi aspettando ulteriori informazioni.
« Okay poi abbiamo Jason e Christina Durant, erano fratello e sorella. Lei era un’oncologa e lui un paramedico. Gli amici mi hanno detto che nel tempo libero si dedicavano ad aiutare associazioni benefiche e al volontariato »
« E la ragazzina? », dico tristemente.
« Lara Burnet, quindici anni. Andava a scuola, aveva degli amici, era una ragazzina normale. »
Gli occhi mi si riempiono di sconforto. Aveva ancora tutta la vita davanti, era così piccola.
Tu continui a fissare la foto di quella ragazza, e noto sul tuo viso qualcosa che conosco bene.
Quell’espressione, è quella che fai ogni volta che capisci che devi assolutamente trovare l’assassino che a causato tutto questo. Nei tuoi occhi vedo la tua determinazione, quella che ti rende quello che sei.
« Abitava vicino alla casa di riposo », constati sfogliando le pagine. « A volte Alexis quando era più piccola andava a cantare o ad aiutare in questi posti, a leggere poesie… »
Ti blocchi sorpresa. Prendi il pennarello freneticamente e tracci un segno rosso che collega la West House a Lara. « Castle siamo vicini, siamo molto vicini », sussurri sedendoti a fissare i fitti pasticci.
« Si ma perché qualcuno avrebbe dovuto fare una cosa del genere? », sussurro.
« Non abbiamo ancora prove, non abbiamo niente. Però non è niente male per ora », mormori poco convinta.
« E se fosse successo qualcosa alla West? Insomma Goldbridge ha contattato una giornalista, e se qualcosa di grosso fosse successo e tutto questo è per riuscire a far tacere tutti? », esclamo eccitato.
« Sto pensando a quello », esclami guardandomi.
« Il padre di Goldbridge centra qualcosa! », urliamo insieme.
Torniamo a fissare la lavagna del delitto in silenzio per quelle che sembrano ore.
Scruto ogni piccolo segno ma non mi viene in mente niente.
« Kate? », ti chiamo.
Mi volto, sei letteralmente crollata sulle ginocchia.
Sbuffo, a volte pretendi davvero troppo dal tuo corpo, hai l’energia si sette persone ma anche tu dopo due settimane di notti in bianco hai bisogno di riposare.
Non era molto ma era qualcosa, un inizio. C’erano ancora indizi da trovare e persone da interrogare. Ma per ora andava bene così.
Non sempre riusciamo a concludere tutto, ogni tanto c’è bisogno di schiarirsi le idee e di stare tranquilli, è come una corsa, hai bisogno di riposarti ogni tanto per continuare ad andare avanti.
Soprattutto se sono le tre di notte e le occhiaie diventano troppo evidenti.
Ti stringo la mano, e ti cingo la vita con un braccio.
« E’ ora di andare Kate », ti sussurro.
Alzi lo sguardo e mi fissi, gli occhi rossi e stanchi parlano per te.
Cammino piani verso la tua scrivania, prendo il tuo cappotto beige e mi avvicino a te per infilartelo, poi ti metto la sciarpa coprendoti bene, fuori ci saranno cinque gradi.
Mi segui senza dire una parola, assecondi i miei gesti e mi lasci fare, sei troppo stanca anche per ribattere. Si sentono solo i nostri passi ora che la notte non fa rumore.
Poggi la testa sulla mia spalla e so già che appena toccherai il sedile della macchina ti addormenterai all’istante e che ti dovrò portare in braccio sino a casa.
« Grazie », dici con gli occhi chiusi.
Sorrido, e finalmente ti bacio, non ti opponi, non mi rifiuti perchè hai paura che qualcuno ci veda. Stringi di più la presa sulla mia mano e sorridi aprendo leggermente le palpebre.
« Andiamo a casa Rick », sussurri in concomitanza con il leggero suono dell’ascensore.
Ma io so che casa è anche qui se ci sei pure tu.








I'm tired of trying 
your teasing aint enough 
fed up of biding your time 
when i dont get nothing back 
and for and for and for 
when i dont get nothing back 
boy im tired 

Adele-Tired





Hey Hey Hey
All'inizio della quinta stagione ho amato la loro relazione segreta, e ho voluto scriverci qualcosa. Mi mancavano un po' durante questa pausa estiva.
Mi scuso per eventuali errori, spero che non sia troppo lunga e noiosa. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Buone vacanze a tutti:*

Nicoletta.

 









 
  
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