CAPITOLO
6 – L’ANNO SCORSO
Ero
convinto che quello sarebbe stato un addio. E invece, Richard Edgar
Alexander Rodgers Castle ci ha spiazzato. Si è messo in
ginocchio e ha chiesto
a Katherine Houghton Beckett di sposarlo!
L’espressione
sul volto di Rick
non lasciava presagire nulla di buono e invece oh
my God ha chiesto a Kate di diventare sua moglie. Non
riuscivo a
crederci. Non pensavo che avrei mai vissuto tanto a lungo da assistere
a questo
momento e invece l’inquilino del loft ce l’aveva
fatta! Battevo come un
tamburo, rimbalzando contro le costole. Sembrava quasi che Kate avesse
un
temporale dentro di sé, con tuoni, fulmini e saette!
Quella proposta
è stata l’ennesima
bordata al raziocinio di Kate, tanto che il cervello lì per
lì ha reagito
balbettando e non riuscendo a mettere in fila tre parole di senso
compiuto. Una
scena esilarante, vista dall’esterno. Anzi, vista anche dal
mio interno!
Appena
l’inquilino dell’ultimo
piano si è ripreso, però, Kate ci ha tenuto
subito a specificare che aveva
ottenuto il posto a Washington e che quella era la grande occasione per
lei e
non vi avrebbe rinunciato. Ma lo scrittore è stato
strepitoso. Ha usato le
parole giuste – e di che mi stupisco? Lui con le parole ci
lavora! Comunque, ha
detto che non aveva chiesto a Kate di sposarla per incatenarla a New
York. No,
lui glielo aveva chiesto perché non riusciva a immaginarsi
la propria vita
senza di lei. E a quel punto il cervello di Katherine Houghton Beckett
e io
siamo capitolati su tutta la linea e non abbiamo potuto fare altro che
accettare con gioia di diventare la moglie di Richard Edgar Alexander
Rodgers
Castle e di indossare lo splendido anello che lo scrittore aveva messo
all’anulare di Kate.
Insomma, abbiamo
iniziato a
lavorare a Washington con i federali e la storia con Rick è
andata avanti con
qualche difficoltà, come spesso capita con le relazioni a
distanza: lunghe
telefonate, appuntamenti rimandati all’ultimo minuto per
problemi di lavoro,
videochiamate maliziose e tutto il resto. Finché Rick non ha
fatto
un’improvvisata a Kate, aspettandola
nell’appartamento di DC. Una sorpresa
davvero gradita, come abbiamo avuto modo di dimostrargli di persona. Se
non
fosse che, tanto per cambiare, Castle non si è trattenuto
dal ficcare il naso
in una storia altamente confidenziale. E visto che siete gente sveglia,
so che
questo suo comportamento non vi ha certo sorpreso, vero? Ma questa
volta le
conseguenze sono state quasi fatali. Trovandosi nel posto sbagliato e
al momento
sbagliato, Rick ha inalato una tossina che lo ha portato a un passo
dalla
morte.
Non vi dico cosa
ho provato appena
l’ho saputo.
Mi sono sentito
in colpa – per
l’ennesima volta – per aver messo in pericolo la
vita dell’uomo più
straordinario al mondo.
Per aver quasi
privato Martha di un
figlio e Alexis di un padre.
Un po’
come era successo con la
rapina in banca, ma in quel caso non era direttamente
responsabilità di Kate.
Per fortuna, in modo rocambolesco siamo riusciti ad arrivare
all’antidoto appena
in tempo per salvarlo. Ma vederlo pallido e debole in quel letto,
inerme, indifeso
come un bambino, è stato come ricevere una pugnalata in
pieno petto. Però,
ancora una volta, l’inquilino del loft ha saputo utilizzare
le parole giuste
per confortarci: a volte le cose più difficili nella vita
sono quelle che vale
più la pena fare. Ed è bastata questa frase per
tranquillizzare il mio battito
accelerato e farmi sopraffare dall’ennesima, straripante
ondata di amore per
lui.
Sapete, lavorare
a Washington si è
rivelato più complicato di quanto l’inquilino
dell’attico pensasse. E non
perché l’incarico in sé fosse
più difficile rispetto a New York, ma per le
implicazioni. Lì tutto non è bianco o nero.
Lì ci sono situazioni particolari
che cozzano con il senso del dovere e della giustizia che ha sempre
contraddistinto Beckett. Mi viene in mente un libro letto ai tempi
della
scuola, in cui l’autore, George Orwell, diceva che tutti gli
uomini sono
uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Ecco, a
Washington molti uomini sono
decisamente molto più uguali degli altri. E in un mondo
simile Kate non poteva
resistere. Infatti ha commesso – volutamente – un
passo falso, fornendo alla
stampa le informazioni per smascherare un intoccabile che aveva legami
con la
criminalità organizzata russa. E più che altro
per liberare una ragazza da
certi legami familiari fin troppo stretti, mettiamola così.
Perché ciò che da
sempre conta per noi è onorare le vittime, in barba ai
giochetti dei federali e
dei politici. E questo ci è costato il posto
all’FBI.
Così
ci siamo ritrovati, di punto
in bianco, e per la prima volta da secoli, senza nulla da fare. Certo,
c’era il
matrimonio da organizzare, ma voi ce la vedete Kate Beckett a
trascorrere le
giornate sfogliando riviste di abiti da sposa e allestimenti per il
ricevimento? No, infatti, nemmeno io. Né io né il
cervello sapevamo più cosa
inventarci. Per fortuna, lassù qualcuno ci ama (e mi
riferisco al nostro ben
noto angelo custode!) e ha fatto sì che il blocco delle
assunzioni all’NYPD
potesse essere aggirato, così che abbiamo ripreso il posto
alla nostra amatissima
scrivania al Dodicesimo, riportando i preziosi elefantini e tutte le
nostre
cose lì dove dovevano stare, con buona pace di Frank
Sullivan e del suo
disordine.
Ora
però c’era un problema più
serio da affrontare: Alexis.
Sapete, lei e
suo padre hanno
sempre avuto un rapporto splendido, un legame invidiabile da cui, in
qualche
modo, ci siamo sempre sentiti esclusi. La piccola rossa ha un posto
speciale in
me, non lo nego, ma non era facile trovare il giusto equilibrio in una
situazione che di equilibrato non aveva nulla. Alexis stava crescendo e
aveva
bisogno dei suoi spazi. Un concetto che papà orso non
riusciva ad accettare pienamente.
Senza contare Pi
e le sue
improbabili bistecche di papaya.
Senza
considerare che il rapporto
fra padre e figlia era minacciato anche dalla nostra presenza. Eh
sì, ci siamo
sentiti in colpa anche in quel caso (strano, vero?). Ma fortunatamente
tutto si
è aggiustato: una bella chiacchierata a cuore aperto
– passatemi la metafora –
con quella giovane donna dai capelli rossi ha permesso di appianare
qualsiasi
contrasto.
Avere una
famiglia non è una cosa
semplice. Non lo è quando ti inserisci in un legame
già consolidato, né
tantomeno quando un esserino minuscolo incrocia la tua esistenza. Vi
confesso
che io ho sempre adorato i bambini: il loro profumo di latte e
borotalco, le
loro smorfiette, quel modo particolare che hanno di fissarti negli
occhi. Ma
l’inquilino dell’ultimo piano sostiene che Kate non
sia una baby person. Lo fa con una
tale forza
che alla fine Kate stessa se ne è convinta. Invece i fatti
hanno dimostrato,
ancora una volta, che io avevo ragione. Mi riferisco alla storia di
Benny,
pardon… Cosmo. Il razionale ha tirato fuori la scusa che non
ci si può
affezionare a un neonato sapendo che poi verrà affidato a
qualcun altro. Però
poi il baby whisperer ha suggerito
di
portare Cosmo al loft per prendersi cura di lui ed è emerso
che la detective
Beckett è deliziosa con un cucciolo in braccio. Specialmente
quando se ne può
occupare insieme a quel Ruggedly Handsome
Dad. Vederlo gironzolare per casa con quel bambino e
osservare la
delicatezza e la tenerezza con cui si prendeva cura di lui mi ha
riempito di
una sensazione meravigliosa: la consapevolezza che solo lui poteva
essere il
padre di tutti i figli che avremmo avuto. Certo, sui nomi da dare ai
suddetti
figli c’era ancora molto da lavorare, ma su chi ne sarebbe
stato il papà non
c’era alcun dubbio.
A proposito di
bambini, c’è
mancato un pelo che Sarah Grace Ryan venisse al mondo senza conoscere
suo
padre. Sapete, durante un’indagine Kevin e Javier sono finiti
in un edificio in
cui poi è scoppiato un incendio. Sembrava non ci fosse modo
di tirarli fuori e
io battevo all’impazzata, cercando di far affluire
più sangue possibile
all’inquilino dell’attico così che
riuscisse a trovare una soluzione per
salvare la vita dei nostri amici. Anche se non sempre siamo andati
d’amore e
d’accordo, so che il cervello di Kate sa lavorare bene e
l’unico contributo che
potevo fornirgli io era quello di mantenerlo ben ossigenato. Comunque,
vi ho
già detto che Ryan ed Esposito hanno un posto speciale in me
e quella volta ho
davvero temuto di perdere entrambi. Sarebbe stato come veder morire dei
fratelli. Avevamo già perso una madre e non avevamo alcuna
intenzione di dire
addio ad altri membri della famiglia. Quando li abbiamo visti uscire da
quell’inferno, accompagnati dai vigili del fuoco, ho provato
una sensazione di
sollievo tale che gli occhi di Kate si sono inumiditi, e non certo per
colpa
del fumo. Ma mi sono riempito di gioia vera quando finalmente la
famiglia Ryan
si è riunita a bordo di quell’ambulanza. Insomma,
anche in questo caso vi
lascio immaginare la quantità di adrenalina che scorreva
nelle vene di Kate.
In tutto questo,
non
dimentichiamoci che dovevamo organizzare il matrimonio. Ebbene, il
primo abito
da sposa ci è stato gentilmente donato da Matilda King, una
vecchia conoscenza
risalente al brevissimo periodo in cui Kate ha fatto la modella.
Quando gli occhi
mi hanno mostrato
lo specchio che rifletteva l’immagine di Kate che indossava
quel vestito bianco,
ho provato una fitta dolorosa.
Perché
in quello specchio mancava
qualcosa.
Quel vetro non
rifletteva
l’immagine di Johanna, sorridente accanto a sua figlia.
Lei avrebbe
adorato Rick – di
questo sono sicurissimo. Sarebbe stata così fiera di Kate e
del suo fidanzato,
avrebbe partecipato con gioia ai preparativi del matrimonio, alla
scelta dell’abito,
dei fiori e della location, con un entusiasmo paragonabile a quello di
Martha
ma con un approccio un tantino meno… teatrale.
E invece lei non
c’era.
O almeno non era
lì fisicamente, a
sorridere e a commuoversi con gli altri membri della famiglia. A
sostenerci in
quel particolare momento della nostra vita. E la nostalgia per lei ci
ha fatto
vacillare. Ho perso un battito chiedendomi se saremmo mai riusciti ad
affrontare tutto senza averla accanto. Però poi ho ripensato
all’amore che Richard
Castle aveva per noi e non ho più avuto dubbi. Anzi, ho
suggerito a Kate di
anticipare il matrimonio. Perché quando capisci che vuoi
passare il resto della
tua vita con qualcuno, vuoi che il resto della tua vita cominci subito.
Oh, lo
so che questa è una frase da film. Ma se una è
una fan di “Temptation Lane”
potrà anche aver visto più di una volta
“Harry ti presento Sally” tanto da
saperne le battute a memoria, no?
Insomma, le cose
stavano andando
bene: i preparativi procedevano, l’amore che ci lega a Rick
cresceva in modo
esponenziale giorno dopo giorno, il rapporto con Alexis si era
rafforzato,
quando ecco che il destino ci ha fatto incontrare nuovamente una
vecchia
conoscenza. Vulcan Simmons, il signore della droga. Durante
un’operazione
rischiosa in collaborazione con la Narcotici, siamo finiti nelle sue
mani. E la
tortura che ci ha inflitto è stata tale che ho temuto non
avrei retto. Sia io
che il cervello sapevamo che sarebbe stato quasi impossibile
sopravvivere,
quindi c’era un’unica cosa da fare. Dire addio a
Rick. All’amore più grande
della nostra vita. E
l’unico modo per
farlo era lasciargli una lettera. "Babe, it's your letter, and I hope you never have
to read this... that
I can tell you all of these things in person, but if something happens
and I
don't make it, I need you to know that our partnership, our
relationship is the
greatest thing that has ever happened to me. You're an amazing man, and
I love
you with all of my heart. Always.” Per
nostra fortuna, Rick non ha
mai dovuto leggerla, perché Bracken – proprio lui
– ha fatto in modo di
risparmiare la vita di Kate. Come lei lo aveva protetto
l’anno precedente,
quando qualcuno aveva tentato di ucciderlo, adesso era stato il suo
turno di
restituirle il favore. Comunque, vi confesso che l’unica cosa
che ci ha dato il
coraggio di resistere alla tortura è stata pensare a Rick e
al futuro che
volevamo con lui. Proprio come quando il cecchino ha mirato al petto di
Kate,
anche in questo caso è stato l’amore dello
scrittore a mantenerci in vita.
Oltre all’intervento di Bracken.
E
così è tornata l’ossessione per il
senatore.
Quella che ci
aveva consumato nei primi anni dopo la
scomparsa di mamma.
Ma questa volta
sentivamo di essere vicini alla meta.
Naturalmente, le cose si sono complicate, di mezzo
c’è stata una fuga, un
sequestro lampo, un combattimento e ricordi.
Un fiume di
ricordi ha invaso la memoria di Kate.
Ricordi di
Johanna e di Roy Montgomery.
Che era morto
per proteggere Kate e che le aveva fornito la
chiave per risolvere l’omicidio di sua madre sin dal loro
primo incontro. Proprio
i preziosi elefantini che da sempre adornano la scrivania di Beckett
contenevano
la risposta a tutte le nostre domande. Racchiudevano una registrazione
audio: la
prova della corruzione del senatore Bracken che aveva ricattato Raglan,
Montgomery e McAllister. E la dimostrazione definitiva della sua
colpevolezza
in merito all’assassinio di Johanna Beckett.
Quando abbiamo
arrestato quel lurido bastardo… oh, spero che
il linguaggio scurrile non vi abbia offeso, ma comprenderete bene che
di fronte
a lui mi è praticamente impossibile rimanere distaccato e
neutrale. E poi le
persone vanno chiamate con il loro nome e concorderete con me che
William
Bracken rientra di diritto nella categoria dei bastardi, anzi, ne
è l’esponente
di maggior spicco. Ma non distraiamoci. Dicevo, quando abbiamo messo le
manette
a quell’infame ho avuto la sensazione che finalmente mamma
potesse riposare in
pace.
Non solo.
Adesso
finalmente Kate poteva ricominciare a sorridere, vivere
ed essere felice senza sentirsi in colpa.
Pensavo che
ormai niente avrebbe
più impedito a Kate e Rick di stare insieme, di coronare
finalmente il loro
sogno d’amore. Avevamo superato ogni prova, compresa quella
sciocchezza del
primo marito sposato a Las Vegas e che avevamo rimosso da cuore, in cui
in
realtà non è mai stato, e cervello. E invece, le
cose sono andate diversamente.
Il destino,
ancora una volta, ci
ha messo di fronte a un enorme ostacolo: a pochi minuti dal matrimonio,
una telefonata
improvvisa ci ha comunicato una notizia agghiacciante. L’auto
di Rick era in
fiamme in fondo a una scarpata. E io lì ho avuto la
percezione che non sarei
sopravvissuto anche a questo dolore, che mi ha squarciato proprio come
quando
abbiamo saputo di mamma. L’inquilino del loft era da tempo
diventato
proprietario di una parte di me. E senza di lui, quella parte di me
sarebbe
morta e per Kate sarebbe stata la fine. Come qualcuno ha detto, non si
può
vivere con un cuore a metà.
Nota
dell’autrice
Mai
un po’ di pace per questo povero Cuoricino, vero?
Un’altra annata
costellata da episodi rocamboleschi finché a pochi minuti
dall’agognato
matrimonio arriva quella terribile telefonata e il cuore di Kate riceve
l’ennesimo bruttissimo colpo.
E
ora?
Vi
aspetto sabato per l’epilogo della storia e vi ringrazio
ancora una
volta per avermi dedicato il vostro tempo ed essere arrivati fino qui.
A
presto,
Deb