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Autore: Mirel    13/08/2014    0 recensioni
Dopo anni torno a scrivere qualcosa su EFP, rendendomi conto di quanto il mio modo di scrivere sia cambiato.
Questo racconto lo scrissi qualche tempo fa.
E' la storia di quanto l'essere umano possa essere dipendente dalle parole, e di quanto queste possano avere dei limiti netti ed insuperabili.
E' la storia di un amore nato silenziosamente.
E' la storia di un "ciao" inaspettato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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<Ti amo, cucciolo mio>

Michele non ricordava quante volte avesse sentito sua madre pronunciare quelle parole. Da quando lui ne aveva memoria, prima di andare a dormire, lei lo fissava amorevolmente con quegl’occhi stanchi di una giornata trascorsa tra il cucinare, lo stirare ed il piegare panni, gli sfiorava la fronte con le labbra e gli rimboccava le coperte. Quando era piccolo aspettava con ansia quel momento, perché per lui era una prova del fatto che, qualunque cosa fosse successa durante il giorno, sua madre continuava ad amarlo incondizionatamente.
Eppure, con il passare degli anni, quel rito affettuoso aveva perso ogni suo “magico” valore ed era divenuto semplice quotidianità.

Michele aveva sedici anni ed era sempre stato un bel ragazzo, educato, bravo a scuola e sempre pronto ad aiutare chi aveva bisogno. Un ottimo figlio ed un altrettanto affidabile amico. Allo stesso tempo però era “speciale”, come sua madre lo aveva sempre definito da bambino: a nove anni, per un incidente, aveva perso completamente l’uso della voce. Per quanto si potesse sforzare, dalla sua bocca non usciva alcun suono. Era stato visitato da centinaia di medici, i migliori di tutto il paese, ma il verdetto era rimasto inesorabilmente invariato; da quel giorno Michele era stato costretto a convivere con il proprio silenzio.
All’inizio non era stato semplice, perché aveva dovuto trovare un modo, che non fosse la parola, che gli permettesse di farsi comprendere dagli altri. E a rendere più difficile tutto ciò c’era il fatto che, come tutte le persone, era sempre stato abituato ad utilizzare la voce come  unico mezzo di comunicazione, mentre ora ne era stato privato da un giorno all’altro.
Tutto quello che aveva imparato fino a quel momento andava ricostruito da capo.

Eppure, se all’inizio aveva creduto che quell’incidente fosse stato una disgrazia ingiusta, con il passare del tempo aveva invece cominciato a vederlo come una sorta di evento “fortunato”, perché quel mutismo obbligato gli stava insegnando più di quanto avessero fatto quegl’anni di parole.
Michele non poteva più esprimersi parlando, questo era certo; ma poteva ancora comunicare e, per quanto potesse sembrare contraddittorio, forse molto più degli altri.
Quando si è bambini, rifletteva, si dice tutto ciò che passa per la testa senza pensare troppo alle conseguenze; poi man mano che si cresce le parole assumono un peso sempre più gravoso sia per chi le pronuncia, sia per chi ascolta, diventando così un limite, più che un dono. Imprigionando l’uomo in una ragnatela di parole dalla quale non sa come uscire.
Odio, amore, rabbia, felicità. A Michele bastava osservare la gente per capire quanto questo limite sembrasse invalicabile. Ma per lui era diverso, perché lui nel suo silenzio aveva imparato ad ascoltare. Non più solo le parole. Lui sapeva ascoltare le persone.

Una volta aveva chiesto alla sua migliore amica di spiegargli l’amore. Lei aveva provato a descriverlo, ma poi aveva rinunciato subito dopo. Non si poteva raccontare, gli aveva detto.
Michele all’inizio non aveva capito. Come poteva non riuscire a descrivere una cosa che si provava?
Fu solo quando si innamorò, che comprese il vero senso di quelle parole. La forza che sentiva battere dentro il petto, la violenza con cui pareva dilaniargli il cuore, il fuoco nel corpo, la lingua secca, il battito accelerato. Le gambe mal ferme ed il tremolio di voce. Tutto questo non poteva essere descritto, perché appena si tentava, subito si perdeva tutta la potenza di quell’unico sentimento. Usciva flebile dalle labbra, come un breve sospiro dopo una lunga corsa. E quel soffio, no. Non era nulla di tutto ciò che era stata la corsa. Non poteva riportare il sudore, la stanchezza, la gioia di tagliare il traguardo per primi. Poteva solo darne un’idea confusa.
Gli parevano folli tutti quelli che si sforzavano per dar voce a ciò che fremeva loro nel petto. Non era possibile, perché l’essere umano non aveva ancora inventato le parole adatte.
E così per lui non esistevano frasi sdolcinate, buttate lì per cercare di rassicurare del proprio sentimento la persona con cui lo si condivideva. Per amare gli bastava una carezza fugace, mentre i suoi occhi mettevano a nudo l’anima di lei, leggendola con la stessa facilità con cui si legge un fumetto.
Non vi era il bisogno di dare sicurezza, perché il suo sguardo bastava a fargli capire che lei lo amava. 

Erano trascorsi sessant’anni da quel momento. Quella magica esperienza che gli aveva mostrato quanto lui fosse veramente fortunato e quanto poco invece gli altri si rendessero conto del dono immenso che avevano, della loro comunicabilità celata al di sotto di quell’inesauribile scorta di parole.
Michele era ormai un vecchio zoppo, reduce dalla guerra e rimasto solo. Si era trasferito lontano dalla sua città natale ed ora occupava le giornate riciclando lattine di Coca Cola da utilizzare per costruire strane opere d’arte, che non mostrava a nessuno.
Tutte le mattine si recava al mercato, passeggiando lentamente tra i carretti di frutta e verdura anche senza comprare nulla. Si teneva occupato, per il semplice gusto di fare qualcosa.
Fu durante una di quelle mattinate soleggiate, tra le urla dei pescivendoli e il rumore della gente, che la vide di nuovo. Gli era apparsa per puro caso davanti, mentre cercava i soldi per pagare un cespo di insalata e due cavolfiori per la cena, in tutta la sua bellezza. Era invecchiata, ma ai suoi occhi sembrava sempre la splendida ragazza di un tempo, con i lunghi capelli biondi e gli occhi verdi. Avrebbe potuto riconoscerla tra mille, la donna che non aveva mai smesso di amare.
Si era avvicinato lentamente, con  un lieve imbarazzo e il dubbio che lei avrebbe potuto non ricordarsi chi fosse. Lei aveva alzato lo sguardo, sorridendo teneramente. La sua mano si era alzata a carezzargli il viso. 

aveva sussurrato lui, rimanendo subito dopo divertito dell’espressione incredula che si era dipinta sul volto della donna. Si, perché Michele era tornato a parlare. La sua voce era roca e tremante, non era allenata a uscire da quella gola rugosa in cui per troppi anni l’aveva tenuta nascosta.
Non aveva dimenticato ciò che aveva compreso nel tempo in cui gli era stato impedito di parlare, ma adesso si rendeva conto che per quanto l’uomo possa tentare, deve accontentarsi di quel poco che le sue parole possono esprimere, e che forse la bellezza struggente e la forza di un sentimento sono proprio frutto di quell’impossibilità di mostrare interamente ciò che è celato nel proprio cuore.

  
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