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Autore: Elissa_    13/08/2014    3 recensioni
Il giorno dopo che i matrimoni gay vengono legalizzati a New York, Charles trova Erik nel suo studio.
La cosa non è tanto strana, di per sé: Magneto lo visita di frequente, il più delle volte per tentare di portarlo dalla sua parte, e in poche, memorabili, circostanze per ricercare aiuto -anche se negli ultimi tempi le sue visite si sono sempre più spesso trasformate da comizi in partite a scacchi, sia in senso letterale che eufemistico, perché dopotutto non sono altro che due uomini troppo vecchi che non hanno altro se non questa complicata cosa tra loro.
Ciò che lo stupisce stavolta è la mise con cui si presenta: non è Magneto, con il suo onnipresente elmetto e il mantello, ma Erik come quando lo ha conosciuto, una maglia a collo alto e dei pantaloni morbidi neri.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno dopo che i matrimoni gay vengono legalizzati a New York, Charles trova Erik nel suo studio.
La cosa non è tanto strana, di per sé: Magneto lo visita di frequente, il più delle volte per tentare di portarlo dalla sua parte, e in poche, memorabili, circostanze per ricercare aiuto -anche se negli ultimi tempi le sue visite si sono sempre più spesso trasformate da comizi in partite a scacchi, sia in senso letterale che eufemistico, perché dopotutto non sono altro che due uomini troppo vecchi che non hanno altro se non questa complicata cosa tra loro. 
Ciò che lo stupisce stavolta è la mise con cui si presenta: non è Magneto, con il suo onnipresente elmetto e il mantello, ma Erik come quando lo ha conosciuto, una maglia a collo alto e dei pantaloni morbidi neri. A Charles viene il sospetto che sia flanella, ma non osa chiederlo: a caval donato non si guarda in bocca, e quando il dono è tanto meraviglioso da lasciarlo inerme, a boccheggiare sulla porta del suo studio, certamente non oserà commentare sull’incarto. 
Si sofferma un secondo ad esaminare la metafora, ma poi scuote la testa e lascia perdere. Ha smesso di negare a se stesso il desiderio e tutti quei sentimenti molto più profondi e complessi che lo legano ad Erik, ma c’è una parte di lui, quella che non è mai stata in grado di separare le loro ideologie politiche da loro stessi, che ancora si vergogna di tutto questo. Messe a tacere le proteste di quella voce, prende un respiro profondo e scivola nella stanza facendo meno rumore possibile. Erik è di spalle: osserva fuori dalla finestra, dove il sole morente riempie di violetti e rossi il cielo. L’unico segno che ha avvertito la sua presenza è il raddrizzarsi della sua schiena.

«A cosa devo il piacere, vecchio amico?» domanda. Solo allora Erik si volta verso di lui. Sorride. Non ha nulla a che vedere con il sorriso enorme ed eccitato dell’Erik ragazzo; è un sorriso quasi nascosto, il genere di espressione che bisogna essere veramente fortunati per avere l’opportunità di cogliere. 

«Niente di particolare.» mente, ma è chiaro che non è particolarmente interessato a farsi credere. Il sorriso resta al suo posto, e Charles non si sente minacciato dalla bugia: nessun proposito di distruzione avrebbe potuto convincere Erik a presentarsi in questo modo.
È sempre stato un giocatore onesto, nonostante tutto.

«Dunque devo preparare la scacchiera?» gli chiede, cercando di celare l’euforia che inizia a pervadergli le membra. Erik è lì. Erik è lì, da lui, in abiti da civile. Erano secoli che non si mostrava tanto vulnerabile. Registra la sua mente, tanto vicina, e non ha bisogno di sfiorarla per sentirsi bene: basta quella presenza per farlo sentire in pace. Potrebbe provare a vedere nella sua mente, capire il perché di tutto questo, ma si accontenta della sorpresa. 
Ormai ci ha fatto l’abitudine, con lui.

«Charles, ti fideresti di me?»
La domanda lo spiazza. Una parte di lui, ancora giovane e ingenua, grida che gli affiderebbe la sua vita; un’altra, quella che ha visto Erik usare i suoi studenti a proprio vantaggio, vorrebbe ridergli in faccia. Ma questo non significa che Charles non gli affiderebbe la propria vita; sono le vite altrui che lo preoccupano.

«Dipende. Lo chiedi a Charles l’uomo o al Professore?»

«All’uomo. Non sarei così sciocco da domandarlo al Professore, vecchio amico. So bene che abbiamo fin troppe divergenze su ciò che è necessario e ciò che può essere considerato tradimento.» replica Erik, senza mancare un battito. Lui concede un cenno del capo all’ultima parte del discorso. Non è il momento di pensare alla guerra.

«In tal caso, la risposta dovrebbe essere altrettanto ovvia.» risponde, con un sorriso. «Sono nelle tue mani, Erik.» aggiunge. Accarezza le sillabe con tutto l’affetto possibile, nonostante l’altro faccia una smorfia e scuota la testa, con l’espressione di quando non erano altro che giovani uomini e lui lo lasciava indugiare in qualcosa che non approvava solo perché lo rendeva felice. «A patto di lasciarmi libero per domattina, ho lezione alle 8 e gli studenti tendono a diventare nervosi se non ci sono.»
Questo gli fa guadagnare una risata di Erik. Si sente fiero di sé come se avesse appena fatto partorire una donna incinta di sette gemelli.

«I tuoi studenti non avranno di che preoccuparsi, ti riporterò prima che la luna sia alta nel cielo.» lo informa Erik.

«Oh, bene. Questo significa che non avremo tempo per una partita?»

«Temo di no, vecchio amico.»

«Posso almeno sapere dov’è che mi porterai?»

«Non riesci ad indovinarlo?» risponde Erik, sibillino. Anche il suo sorriso, ora, ha qualcosa di furbo e fanciullesco, felicità trattenuta a stento. Per qualche secondo Charles rimpiange le sue gambe e la sensazione di mettersi sulle punte per cogliere Erik di sorpresa con un bacio ma, avvicinando la sedia alla finestra e baciando la mano dell’altro uomo, si dice che va bene lo stesso; la reverenza con cui Erik gli bacia le palpebre prima di abbassarsi sulle sue labbra vale molto più di quanto avrebbe potuto immaginare quando ancora le gambe le aveva.

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Alla fine, fuggire di soppiatto dalla villa non è tanto difficile: Charles realizza, mentre Erik lo cala con attenzione fuori dalla finestra, che chiunque con la metà dei loro poteri è in grado di uscire. Appunta mentalmente di parlarne alla prossima riunione con il corpo docente. Possibilmente omettendo la parte in cui è tornato ragazzino che fugge di casa senza farsi notare.

C’è una macchina che li aspetta fuori, con sua grande sorpresa.

«Pensavo avremmo volato fino alla nostra destinazione.» lo stuzzica. 

«Preferisco rimanere in incognito, per questa volta.»

«E librarsi sopra New York non è decisamente un buon modo per tenere un basso profilo.» concorda, mentre Erik lo aiuta a salire in auto. Charles protesterebbe, ma i suoi gesti hanno ben poco a che fare con la pietà e più con il desiderio del contatto fisico. Questo, Charles lo comprende molto bene. «Deduco che andremo in qualche centro abitato?» aggiunge, perché la curiosità sta avendo la meglio su di lui.
Ha ancora le braccia attorno al collo di Erik, anche se è già al sicuro sul sedile. 

«Temo dovrai scoprirlo quando saremo arrivati sul posto.»

Potrebbe fare una cosa infantile come mettere il broncio, tanto è esaltato dalla situazione. Ruba un bacio dalle labbra di Erik solo per convincersi a rinunciare a questo proposito. Quello risponde con il solito entusiasmo, ma quando si separano il viso è contratto in una smorfia.
Per qualche secondo, Charles si sente sprofondare. Abbassa lo sguardo e si osserva le mani, nodose e piene di calli da scrittore.
Il suo disappunto deve notarsi nell’espressione, perché Erik ridacchia e appoggia la fronte alla sua. «Mi fa male la schiena, Charles.» gli spiega. 
«Non ho più trent’anni, sai.» aggiunge, mentre si raddrizza con uno schiocco quasi preoccupante. 

Charles ride, il sollievo che lo rende più leggero di una piuma nel cielo pervinca, e la risata li accompagna per buona parte del viaggio. 

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Arrivano a destinazione in quel limbo prolungato tra il giorno e la notte. La luna fa capolino, una presenza pallida mentre il sole regala i suoi ultimi raggi. 
«New York City, Erik?» mormora, quando le luci della città che non dorme mai li avvolgono. 
«Mi hanno detto che è un buon posto per prendere il caffè.» risponde quello, con nonchalance.
Erik lo aiuta a scendere dalla macchina, le mani che si soffermano un po’ più del necessario sulle sue spalle. Una giovane donna li guarda, ma non stupita o disgustata. È… intenerita. Charles spia tra i suoi pensieri: pensa che siano una bella coppia che si ama da una vita, e vorrebbe dirle che in un certo senso ha ragione, ma, allo stesso tempo, ha decisamente torto.
Improvvisamente capisce il perché degli abiti di Erik: nessuno li riconosce, in questo modo; non c’è nulla oltre le apparenze, oltre i loro maldestri gesti d’affetto che parlano di due persone che sarebbero volute invecchiare insieme ma non l’hanno potuto fare. 
C’è un altro pensiero che coglie nella ragazza, prima di lasciarla andare per la sua strada: “Saranno qui per festeggiare”. E Charles immediatamente ricorda le notizie del mattino, la legge approvata la notte precedente; nota solo in quel momento gli schiamazzi che provengono da qualche strada più avanti, sicuramente la comunità gay che festeggia ancora.
È strano, per lui: il pensiero di sposare Erik non gli è mai parso un’opzione valida, perciò la notizia non lo colpisce con lo stesso impatto che ha sulla folla urlante a poche centinaia di metri da loro; eppure riesce a capirne l’entusiasmo, le lacrime di gioia di alcuni dei suoi studenti quando hanno sentito che sì, potranno sposarsi con la persona della loro vita senza problemi.

Quando Erik comincia a spingere la sedia in direzione di una via più affollata, Charles inizia a realizzare ciò che sta per succedere. Non dice nulla, semplicemente cerca alla cieca la mano di Erik sullo schienale della sedia, la afferra e intreccia le dita alle sue.

È tutto pacificamente normale, tra loro, in modo quasi surreale. È così che potrebbero vivere se non avessero così tanti problemi? Una coppia come tante, che si trova per le strade di New York a guardare le vetrine di negozi dentro i quali non entrerà mai? Fino a vent’anni fa un pensiero del genere sarebbe stato proibito: l’idea di passeggiare tranquillamente con la mano intrecciata a quella di Erik, senza dover incontrare gli sguardi malevoli dei passanti, era poco più che un’utopia. Ora, invece, sembra naturale: nessuno li turba, nessuno li nota.
Il desiderio che questa diventi la prassi gli cala addosso come un mantello, e si sente vecchio, così vecchio e stanco che vorrebbe chiedere ad Erik di riportarlo a casa, al sicuro nel suo letto. Sta per farlo, sta per chiedergli di annullare qualsiasi piano avesse preparato per la serata, perché non sono più ragazzini e una parte di lui inizia a chiedersi se avranno qualcosa di più di questi attimi rubati ad una guerra senza fine, se potranno avere un po’ di pace. Poi Erik gli si para davanti. Si accovaccia di fronte a lui, le mani che gli accarezzano le ginocchia, lo sguardo leggermente commosso. Solleva una mano per appianare le rughe sulla sua fronte, anche se sa bene che ormai sono lì per restarci, quasi sapesse quali pensieri gli stessero attraversando la mente e volesse scusarsi se non possono avere di più. Charles tenta un sorriso, perché nonostante tutto lo ama, lo ama adesso come lo amava a trent’anni e probabilmente come farà il resto della vita. Ricambia la carezza sulla sua guancia, sfiora i capelli argentati e pensa a quanto sia ingiusto che non abbia avuto modo di vederlo lottare contro il suo primo capello grigio. Avrebbe voluto esserci. Si guardano negli occhi per minuti interi, mentre la vita scorre attorno a loro.
 
Il sole è completamente sparito, ma le luci artificiali illuminano la città come se fosse giorno pieno. Gli viene naturale cercare la mente di Erik, come se stesse prendendo un respiro. Spera di non venire respinto. Lo spera così tanto che il suo desiderio si avvera, perché Erik non distoglie lo sguardo ma lo lascia entrare, gli lascia vedere le profondità della sua mente. Ci sono porte chiuse -memento del fatto che non saranno mai solo Charles ed Erik, che Magneto e il Professor X sono parte di loro- ma è ancora Erik, è ancora la mente più spettacolare dentro la quale abbia avuto l’onore di entrare. E sta pensando a lui, gli sta mostrando i suoi sentimenti con una forza tale che Charles avverte un groppo in gola e gli occhi che si inumidiscono. Si rivede poco più che ragazzo, apparentemente sicuro di sé e brillante; a 40 anni, un uomo carismatico e affascinante; a 60, mentre sorride ad Erik dall’altro lato di una scacchiera. Si rivede in questo momento, e l’amore di Erik lo avvolge come se fosse la cosa più importante dell’universo.

Quando si baciano, stanno entrambi piangendo, due vecchi sentimentali che hanno passato tutta la vita ad amarsi ma non hanno avuto modo di invecchiare insieme. Qualcuno fischia di approvazione, e Charles può sentire distintamente un «Certo che si danno da fare, questi due!» ma non è importante. Quello che importa sono le labbra di Erik contro le sue, è la sensazione di essere di nuovo giovane e onnipotente, ma allo stesso tempo così vulnerabile, privo di ogni difesa. È la consapevolezza che Erik l’ha portato qui, in mezzo alla gente, per baciarlo come non aveva potuto nel 1963, perché il mondo non era ancora pronto.
Vorrebbe dirgli che non c’era bisogno di essere tanto teatrali, ma la teatralità è parte naturale di lui, e Charles non vorrebbe averlo in nessun altro modo.

Note necessarie perché altrimenti la mia coscienza piange: *si ripara dai pomodori*
Non so da dove venga questa cosa, quindi non chiedete. E se vi sentite personalmente offesi perché prometteva di essere fluff da carie, e invece è diventata una roba introspettiva e abbastanza malinconica, mettetevi in fila: anche io sto reclamando da Sam il Neurone perché vi assicuro che questo non era il mio intento.
MA COMUNQUE. Ho due doverosi ringraziamenti da fare: il primo a Giulia, che non mi ha mandata a quel paese nonostante io l'abbia tempestata di domande. Senza di lei ci sarebbero stati molti più buchi e incongruenze di quanto mi piacerebbe ammettere.
Il secondo va a Valentina, che mi ha spronata e sclera con me quando la scrittura diventa più un incubo che altro.
Il titolo è tratto da "Chasing cars" degli Snow Patrol, colonna sonora ufficiale (?) di questa fic (aka: la canzone che ho ascoltato da ieri sera alle 6 fino ad ora praticamente senza interruzioni). Non c'entra praticamente nulla ma mettere titoli ad minchiam è sempre stata la mia aspirazione di vita.
Ennniente, se avete una qualsiasi critica/commento da fare, io sono qui ^-^

 
  
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