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Autore: bemyronald    13/08/2014    9 recensioni
«Come puoi contare su di me se... se io cedo?» disse Ron, sussurrando le ultime parole.
«Non puoi trattenerti per sempre. Non è sbagliato cedere. Se... se tu dovessi cedere... ti prometto che sarò io forte per te. Ma ti prego, tu promettimi che mi cercherai se ne avrai bisogno... per favore, Ron...» implorava Hermione, mentre con la mano gli accarezzava la guancia. Quel tocco lo rassicurava così tanto. Ron la fissava e la vedeva così bella, così vera. Gli occhi arrossati dal pianto, i capelli disordinati raccolti in una treccia e i riccioli sfuggiti che le accarezzavano il profilo, le labbra sottili, quasi disegnate.
«Possiamo provare ad essere forti e fragili insieme» disse all'improvviso Ron a voce bassa senza staccare gli occhi dai suoi. «Possiamo... possiamo essere l'uno il sostegno dell'altra... possiamo esserlo insieme...»
[...]
E avrebbero pianto insieme.
E avrebbero riso insieme e non ci sarebbe stato nulla di sbagliato nel farlo.
Non c'era davvero nulla di sbagliato nel ritagliarsi brevi attimi per sentirsi bene.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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È stato come un pugno andato dritto al cuore, 
è stato come ghiaccio che non ha colore. 
Chissà per quanto tempo dovrò attendere
e quante notti addosso dovrò stringere.
È come scivolare via,
abbandonarsi e perdersi così.
E piangerò se piangerai 
e riderò se riderai.
Tu dammi amore senza dirlo mai
 

- Chiudi gli occhi.





 
Ron si chiese per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare quelle continue fitte alla testa. Come se un martello pneumatico battesse insistentemente, quasi a volergli fracassare il cranio. Se riusciva a scivolare in un sonno leggero, seppur agitato, era solo perché il suo corpo sfinito glielo implorava, ma ogni ora, non un minuto in più non uno in meno, si svegliava di soprassalto aspettando di trovarsi prigioniero a Villa Malfoy o nel mezzo di un bosco a lui sconosciuto, nel vecchio sacco a pelo, senza né Harry né Hermione. Ma non era altro che disteso su un letto a lui tanto familiare, che quell'ultimo anno nessuno aveva occupato. Ogni qualvolta gli incubi tornavano a fargli compagnia, apriva di scatto gli occhi e cominciava a guardarsi attorno freneticamente come se fosse certo che si trattasse di un'illusione, ma poi le tende rosso e oro scostate, e le sagome di Harry, Hermione e Neville, apparentemente addormentati, lo riportavano alla realtà, confermando il fatto che fosse a casa, che Harry e Hermione fossero lì, e che tutto fosse giunto ad una fine. 
Già, era tutto finito e loro avevano vinto, erano tutti lì ed erano vivi. E avrebbero dovuto esultare, stringersi la mano, abbracciarsi e gridare di gioia fino a quando non avessero avuto più fiato in gola, cominciando ad assaporare quella libertà a loro negata per molto tempo. Sì, ce l'avevano fatta, avevano vinto. Ma a quale prezzo?
Ron si voltò così bruscamente sul lato destro, che batté con la testa sulla spalliera del letto. Imprecò sottovoce con la testa fra le mani che ancora doleva. Non c'era verso di riaddormentarsi stavolta, nonostante si sentisse completamente stanco, ma il suo cervello sembrava non volesse dargli tregua. Guardò l'orologio da polso posato sul comodino, il regalo dei suoi 17 anni, sporco e un po' ammaccato ma ancora intatto, anche lui era sopravvissuto. Segnava le 3 del mattino. Sbuffò. 
Avevano aiutato molto durante il pomeriggio, non prima di qualche ora di sonno (la McGranitt li aveva praticamente obbligati), e verso sera, quando i loro fisici avevano cominciato ad implorare un meritato riposo, fu data a tutti quelli rimasti al castello la possibilità di usufruire dei loro vecchi letti a baldacchino per poi ripartire il mattino seguente. La Torre Est era rimasta intatta, a differenza della Torre Ovest, occupata dalla Sala Comune dei Corvonero, completamente distrutta.
E così era cominciato l'insopportabile dormiveglia di Ron, accompagnato da una testa dolente, un corpo dolorante e un incolmabile vuoto che non avrebbe saputo descrivere a parole, ma che pesava più di qualsiasi altra cosa avesse mai provato in vita sua. 
Stanchezza fisica e mentale. Un mix perfettamente distruttivo.
Non aveva pianto, Ron, non una lacrima era scesa dai suoi occhi. Il nodo alla gola, gli occhi lucidi che bruciavano, sì, ma nemmeno una lacrima era sfuggita al suo controllo. Era riuscito incredibilmente ad impostare un autocontrollo che non credeva nemmeno di possedere e a reggere Hermione che era inevitabilmente crollata tra le sue braccia. Poi era arrivata Ginny che ostentava la sua stessa espressione dura e determinata. Ron sapeva che lo faceva per la mamma, non poteva di certo crollare quando c'era lei che aveva un bisogno quasi vitale della spalla di sua figlia su cui piangere. Ma anche Ginny, lontana dalla mamma e dal papà, lontana da Fred... aveva ceduto e si era lasciata abbracciare da suo fratello. 
Ron pensò a Bill. Pensò a quanto si fosse mostrato forte anche lui, pensò alla stretta incoraggiante del fratello sulla sua spalla che aveva avvertito nel momento in cui lui aveva visto per la prima volta il corpo di Fred in Sala Grande. Era pulito, in ordine, circondato dai suoi fratelli, con quell'inconfondibile accenno di sorriso e un'espressione rilassata, la più rilassata che avesse mai visto. Sapeva per certo di essere sbiancato, per un attimo tutto aveva cominciato a girare e si era lasciato cadere su una sedia, temendo di svenire da un momento all'altro. Poi aveva captato la stretta forte e decisa di Bill e si era voltato per guardarlo. Bill aveva cominciato a piangere silenziosamente senza mollare la presa su Ron. 
Non cedere. Continuava a ripetersi. Ron, non devi cedere. Fallo per loro. 
Fece un lungo e profondo respiro.
Ron non pianse. Anche in quella circostanza, riuscì ad impedire alle lacrime di liberarsi e al nodo alla gola di sciogliersi. Aveva giurato a se stesso che non sarebbe crollato davanti a sua madre o a suo padre. Non poteva permettersi di essere debole, non poteva per se stesso e per gli altri. Il dolore che lo divorava doveva tenerselo per sé.
Pensò a George. Lui non c'era quando tutti si erano riuniti attorno a Fred. Non lo vide durante pasti, in infermeria, nella Sala Comune o in Sala Grande, da nessuna parte. George aveva passato ore a vagare tra i prati che circondavano Hogwarts, e poco prima che il sole tramontasse l'avevano visto seduto sulla riva del Lago Nero. Ginny aveva suggerito di lasciarlo in pace. E dopo un po', un urlo lacerante aveva raggiunto la Sala Comune attirando l'attenzione dei presenti. Lui, Harry, Hermione e Ginny videro, dalle finestre, tre figure strette tra loro. Anche Charlie e Percy avevano ceduto davanti alla sofferenza di George e alla loro, lasciandosi andare ad un abbraccio.
Ron fece vagare lo sguardo sulla familiare stanza che lo circondava: i letti lasciati vuoti da Harry e Neville, quelli intatti di Dean e Seamus, un materasso aggiunto per Hermione, anch'esso vuoto. Dovevano essersi riuniti in Sala Comune, probabilmente necessitavano di un po' d'aria fresca, e lui non ne aveva molta voglia. In realtà non aveva voglia di nulla, né di aria fresca, né di dormire o di star sveglio, non aveva voglia né di compagnia, né di parlare o ascoltare, voleva stare solo con se stesso e con quel pesante vuoto allo stomaco.
Qualche minuto dopo, udì la porta del dormitorio aprirsi e cigolare, chiuse gli occhi fingendo di dormire. Solo quando sentì dei passi lenti ed ovattati, avvicinarsi man mano, che collegò subito ad Hermione, istintivamente riaprì gli occhi.
«Ciao» disse lei con un debole sorriso, poi borbottò "Nox" e la luce sulla punta della bacchetta si spense.
«Ciao» la salutò Ron con voce flebile.
«Siamo in Sala Comune» riprese Hermione, con una nota d'ansia nella voce. «Ci sono anche Harry, Ginny, Neville... c'è Luna e qualcun altro...»
«Nessuno riesce a chiuder occhio?» chiese Ron.
«No... cioè, io ci ho provato dopo che... insomma, dopo quell'incubo ma mi sono risvegliata dopo un po'... e anche Harry era sveglio così siamo scesi... sai, per prendere una boccata d'aria...» disse prima di tirare un lungo e stanco sospiro, accomodandosi poi sul bordo del letto di Ron. Lui si scostò lasciando una parte del letto libera e, picchiettando con la mano sul materasso, le fece segno di stendersi. Hermione, lentamente, si distese sul fianco, accanto a lui.
Ron notò che aveva gli occhi rossi e gonfi, circondati da profonde occhiaie, e sembrava nervosa. Continuava a mordersi il labbro inferiore come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa, ed evitava accuratamente di guardarlo negli occhi. Solo quando sembrava avesse preso coraggio, si decise a guardarlo.
«Tu... tu stai bene?» disse in un sussurro. Ron non rispose, non acconsentì né fece alcun segno di negazione. Non disse nulla. Si limitò a fissarla in silenzio.
Cosa poteva dire? Cosa si dice quando il dolore ti lacera dentro, attimo per attimo, e tu cerchi di nasconderlo perché sai che non puoi permetterti di essere debole? Ma sai anche che le lacrime e quel nodo alla gola non ti daranno pace fino a quando non saranno liberi di esternare la sofferenza alla quale non potrai opporti per sempre.
E quel vuoto? Quel maledetto vuoto così pesante da sopportare. E fa male, quel dolore che ti causa. Ti penetra fin dentro le ossa, riesci a sentirlo ovunque, riesci a vederlo negli occhi delle persone che ti circondano. Riesce a scavare fin dentro l'anima, e tu sai benissimo che non sarai mai in grado di riempirlo, quel vuoto, nemmeno se avessi la possibilità di vivere cento anni. E cerchi disperatamente di opporti al grido di dolore che lotta per uscire dalla tua gola. Ed è questo che fa più male: l'essere in bilico tra l'esercitare un autocontrollo e l'esplodere.
No, Ron non stava bene. E proprio in quell'istante sentì che stava per precipitare.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime, le labbra cominciarono a tremare. Si sentì mancare il fiato.
La prima difesa era del tutto crollata.
«Ron...» il sussurro angosciato di Hermione arrivò come un pugno dritto in pieno stomaco. Non poteva sopportare di vedere le persone che amava soffrire così, non poteva sopportare di leggere il dolore nei loro occhi, non poteva sopportare di sentirlo nei loro sussurri
E quelle inutili barriere che innalzava? Doveva proprio mostrarsi diversamente da come si sentiva?
Ron non era fatto di carta, nessuno lo è. E le difese che ci si ostenta a metter su, crollano prima o poi, è inevitabile.
Proprio come la seconda difesa di Ron, che cadde non appena Hermione allungò un braccio per accarezzarlo in viso. Quel dannato nodo alla gola si sciolse, e finalmente Ron liberò quelle lacrime che erano diventate il peso peggiore che avesse mai sopportato. 
Hermione, all'istante, avvicinò a sé il capo di Ron, in modo che il suo volto fosse nascosto. Lo strinse forte, e Ron si lasciò completamente andare.
Pianse.
Pianse per Fred e per la mamma. 
Pianse per George, pianse per gli occhi spenti di papà.
Pianse per Ginny e per i suoi fratelli.
Pianse per Remus e per Tonks. Per il piccolo Teddy.
Pianse per i suoi migliori amici. Per il dolore che li tormentava.
Pianse per tutto quello che avevano passato negli ultimi mesi.
Pianse per Hogwarts. La loro casa, distrutta.
Pianse per l'adolescenza bruscamente interrotta.
Pianse per il futuro incerto che li attendeva tutti.
Pianse.
Pianse come mai aveva fatto in vita sua.
Piangeva forte, Ron, contro il petto di Hermione. Si aggrappava alla sua maglia, come un gesto disperato. Come se fosse l'unico appiglio alla quale appoggiarsi, solo per sentirsi un po' più protetto ed in salvo.  
Come se fosse la terra ferma in un mare mosso. Un mare in tempesta.
Come se lei fosse l'unica di cui avesse veramente bisogno.
Anche Hermione piangeva mentre lo stringeva a sé, con la guancia appoggiata sui suoi capelli rossi e scarmigliati.
Avrebbe voluto dirgli tante cose. 
Voleva dirgli che poteva piangere quanto voleva, che non c'era bisogno che si mostrasse forte con lei. Voleva dirgli che lei sarebbe stata forte per lui, che gli sarebbe stata accanto e che avrebbero superato quel dolore insieme.
Ma non riuscì a dire nulla, più sentiva i singhiozzi di Ron mischiarsi a quel pianto forte e disperato, più avvertiva il suo corpo tremare e sussultare, e più si sentiva inerme. Cosa avrebbe dovuto fare davanti a tutto quel dolore? Le forze le venivano meno, proprio come le parole. Non ci sarebbero stati libri da consultare, non quella volta. E la sicurezza di Hermione continuava a vacillare. Si sentì mozzare il fiato. 
Capì che l'unica vera soluzione era piangere.
Per le parole ci sarebbe stato tempo.
In quel momento, Ron, aveva solo bisogno di piangere, di liberarsi di quel malessere che tanto si era ostinato a nascondere e controllare.
"Uno non può provare tutte quelle cose insieme. Scoppia".
"Solo perché tu possiedi la varietà di emozioni di un cucchiaino non significa che siamo tutti così".
Per una strana ragione le venne in mente quella breve conversazione avvenuta in un pomeriggio qualunque, in Sala Comune.
"Uno non può provare tutte quelle cose insieme. Scoppia." aveva affermato lui. 
Già, scoppia. Perché uno non può opporsi per sempre alle emozioni, quindi alla fine Ron aveva ragione: scoppia. 
Sorrise scioccamente a quel ricordo, e pensò che Ron di certo non aveva la varietà di emozioni di un cucchiaino. Gli posò un bacio tra i capelli e lo strinse più forte a sé. E stretti in un abbraccio, permisero alle loro lacrime e al loro dolore di mescolarsi. Alle loro anime di avvicinarsi, di comprendersi.
Dopo un'ora, o forse più, Ron parve essersi calmato. Era ancora abbracciato a Hermione ma aveva smesso di piangere, nonostante tremasse ancora un po'. Non si allontanò subito da lei, sentiva la sua mano accarezzargli i capelli e lasciò che quel tocco lo rilassasse. Adesso poteva dire di sentirsi più leggero. Adesso, dopo aver liberato l'angoscia, poteva dire di sentirsi un po' meglio. Adesso, tra le braccia di Hermione, poteva dire di sentirsi al sicuro
Si scostò da lei che non appena percepì il suo movimento, sciolse la presa. Ron si stropicciò gli occhi che bruciavano, mentre Hermione si tirava su a sedere ed evocava un fazzoletto che poi porse a Ron.
«Grazie» farfugliò Ron, mentre si asciugava gli occhi e le guance di un rosso acceso. Fece una serie di lenti respiri per tentare di calmare il tremito e prese a fissarsi i piedi. 
«Mi dispiace» bisbigliò con voce roca e incrinata. «Mi dispiace davvero se non riesco ad essere forte...» mormorò poi, come per giustificarsi. 
Hermione coprì la sua mano con la propria e Ron alzò lo sguardo su di lei che scosse leggermente il capo.
«Sei già stato forte abbastanza, Ron» disse fissandolo negli occhi e cominciando ad accarezzargli la mano. «Hai resistito così tanto per i tuoi genitori, per i tuoi fratelli. Ti è sembrato poco? Be', non lo è stato. Sei stato così coraggioso...» disse con un mezzo sorriso. «E con me non devi innalzare alcuna barriera... io... io non voglio che tu stia così... così male...» aggiunse subito dopo.
«Come puoi contare su di me se... se io cedo?» disse Ron, sussurrando le ultime parole. 
«Non puoi trattenerti per sempre. Non è sbagliato cedere. Se... se tu dovessi cedere... ti prometto che sarò io forte per te. Ma ti prego, tu promettimi che mi cercherai se ne avrai bisogno... per favore, Ron...» implorava Hermione, mentre con la mano libera gli accarezzava la guancia. Quel tocco lo rassicurava così tanto. Ron la fissava e la vedeva così bella, così vera. Gli occhi arrossati dal pianto, il taglio sulla fronte pronto a rimaginarsi e tutti quei segni sul suo viso, i capelli disordinati raccolti in una treccia e i riccioli sfuggiti che le accarezzavano il profilo e le labbra sottili, quasi disegnate.
«Possiamo provare ad essere forti e fragili insieme» disse all'improvviso Ron a voce bassa, come colto da un pensiero, senza staccare gli occhi dai suoi. «Possiamo... possiamo essere l'uno il sostegno dell'altra... possiamo esserlo insieme» sussurrò avvicinandosi ad Hermione che piegò l'angolo della bocca accennando un sorriso. Ron non seppe perché desiderava avvicinarsi a lei, qualcosa continuava ad attirarlo. Forse il semplice bisogno di sentire un po' del calore umano. Sentì il cuore battere all'impazzata contro la gabbia toracica, lo stomaco in tumulto mentre si avvicinava sempre più ad Hermione, che lo fissava immobile, rossa in viso.
«Insieme» bisbigliò Hermione contro la sua bocca.
«Insieme. Te lo prometto» e prima che potessero aggiungere altro, Ron annullò quei pochi centimetri che li separavano e la baciò. Era la prima volta che lo faceva, dal momento che il loro primo bacio era stato un’iniziativa di lei. Cominciava davvero a sentirsi meglio. Lo sfogo e adesso quel bacio... e la sua famiglia piangeva Fred, mentre lui, per un momento, aveva provato a liberarsi di quel peso. Non poteva...
Dov'era finita la sua volontà di essere forte ed essere di supporto alla sua famiglia? Perché si stava lasciando andare a qualcosa che potesse farlo sentir bene? E se l'avesse dimenticato? Non poteva permetterselo...
Si staccò all'istante da lei.
«Ron?» bisbigliò Hermione che lo fissava preoccupata. Ron si mise una mano sugli occhi, avvertì nuovamente le fitte alla testa. «Cosa c'è? Ti senti male?» 
«Non posso... non ora che tutti piangono Fred... io... io come posso permettermi di star bene... non ora... è sbagliato... e se poi lo dimentico? Oh, scusa...» balbettò agitato, portando entrambe le mani al volto. Hermione non parlò per un po', sembrava stesse riflettendo. Sospirò.
«Ron, essere felici non vuol dire che poi dimenticherai Fred» disse Hermione, allontanò dolcemente le mani dal volto di Ron e gliele strinse. «Lui è... è tuo fratello. E credi che voglia vedervi infelici?» Ron la guardò e scosse leggermente il capo. «Proprio Fred... non credo lo voglia» riprese Hermione con un mezzo sorriso mentre scacciava via con la mano una lacrima di commozione. Poi si avvicinò a lui e senza pensarci oltre, lo abbracciò. 
«Non è sbagliato...» sussurrò al suo orecchio, mentre lui rispondeva all'abbraccio. Rimasero in quella posizione per alcuni minuti. Lui sentì un piacevole calore invaderlo, il viso in fiamme. 
Quando si allontanarono, Ron prese guardarla, un po' in imbarazzo. Hermione aveva le gote di un rosso acceso ed erano bagnate e aveva gli occhi leggermente umidi che lo guardavano con dolcezza e determinazione. Gli stessi occhi intelligenti che oramai conosceva a memoria, da anni. Loro potevano essere cresciuti, cambiati, maturati, ma gli occhi di Hermione erano sempre gli stessi e sempre speciali, per lui. 
Avvertì di nuovo quello strano formicolio allo stomaco e il cuore accelerò il suo battito. Proprio come era accaduto qualche minuto prima, una forza sconosciuta alla quale non riuscì ad opporsi, fece in modo che si trovasse a pochissimi centimetri dalla bocca della ragazza. Percepì le sue dita accarezzargli la guancia e il suo caldo respiro. Esitò un istante, ma quando fu lei ad avvicinarsi e a poggiare le labbra sulle sue, Ron la baciò. Di nuovo. 
Ma questa volta fu diverso. Questa volta si lasciò completamente andare a quelle nuove emozioni, mentre le accarezzava un braccio con movimenti lenti. Non c'era la guerra che incombeva e loro erano decisamente più tranquilli adesso... riuscì a pensare in un attimo di lucidità, l'ultimo, prima che ogni altra cosa, ogni altro pensiero fosse annullato dalla sensazione delle labbra di Hermione che si schiudevano al suo tocco esitante. La baciava lentamente e aveva le labbra morbidissime e lui poteva sentire il sapore delle lacrime. Sentiva le sottili dita sul collo esitare, quasi a voler chiedergli il permesso per accarezzarlo, mentre lui le sfiorava la guancia bagnata. E sembrava così piccola, Hermione, ed era bello che lo fosse cosicché lui potesse racchiuderla tra le sue braccia anche per cominciare a sentirla un po' sua.
Dopo parecchi lunghi istanti... o forse mezz'ora... o forse parecchi giorni di sole... Ron si staccò appena da lei.
«Oh...» disse Hermione arrossendo e abbassando gli occhi. Ron la fissò per un po', poi scosse la testa come per scacciare i troppi pensieri.
«Io... be', ecco... miseriaccia...» borbottò grattandosi la testa, poi fece un fischio basso. Alzò lo sguardo impacciato su Hermione che scoppiò a ridere portandosi una mano alla bocca. Era una risata vera e genuina, come non ne sentiva da tempo. Anche lui rise come non faceva da tempo. Ed era bello farlo con una tale leggerezza e sentire il suono della risata di Hermione, limpida e contagiosa. 
La guerra era finita, avrebbero dovuto ricominciare e forse... forse qualcosa avrebbe potuto cambiare anche in meglio. Ma non avrebbero dimenticato, no. Nessuno avrebbe dimenticato Fred. Mai.
E loro due sarebbero ripartiti insieme. Avrebbero pianto ancora, avrebbero continuato a condividere quel dolore e sarebbero stati l'uno il sostegno dell'altra, proprio come si erano promessi quella notte. E avrebbero riso insieme e non ci sarebbe stato nulla di sbagliato nel farlo. Non c'era davvero nulla di sbagliato nel ritagliarsi brevi attimi per sentirsi bene.
E forse, per una volta, Fred Weasley sarebbe stato completamente d'accordo con Hermione. E avrebbe riso anche lui all'immagine di Ronnino Piccino che bacia una ragazza. Hermione Granger, per giunta! Sì, avrebbe riso anche lui, senza ombra di dubbio.



 
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Angolo di un'autrice insonne: il ritorno.

Eh la miseria, ma quanta angoscia, Jessica! Oddio, sì, non so proprio che mi prende. Ci ho messo tre notti per scriverla e un paio di pacchetti di fazzoletti (no, va be', non esageriamo, lol). Dopo aver scritto 'Sii la mia luce' (per chi non la conoscesse: anche lì ho voluto trattare il tema della morte di Fred dal punto di vista di Ron), non credevo che sarei tornata a toccare questo argomento così delicato. Be', ultimamente sono un po' giù di morale (un po' troppo), per cui il mio stato d'animo chiedeva urgentemente uno scritto così angosciante. Spero di aver toccato in modo abbastanza delicato la faccenda, ci ho messo il massimo dell'impegno anche perché la morte di Fred è una cosa che mi tocca parecchio. 
Che cosa dite? Sono riuscita a rendere l'idea di un Ron testardo che vuole a tutti costi rimanere forte per la sua famiglia? E Hermione come vi è sembrata? Spero si capisca cosa intenda Ron con: «Possiamo provare ad essere forti e fragili insieme» non so perché, ma all'inizio mi sembrava geniale poi rileggendo, temevo non potesse essere proprio chiaro quello che lui intendesse dire. Insomma, volevo rendere chiaro il fatto che non ci fosse nulla di male nel sentirsi fragili in questi casi, è più che normale, quindi nel caso in cui uno dei due avesse avuto un attimo di abbattimento, l'altro l'avrebbe sorretto e viceversa. Non so, davvero credevo fosse una buona idea all'inizio, lol. Una cosa che non mi convince molto (per la prima volta), è il titolo. Non mi piace, non lo trovo molto originale, anche se forse è giusto perché racchiude un po' quello che è il tema della storia... non lo so, forse lo cambierò più in là cwc sì, sono un po' in ansia (come ogni volta, alla fine di una storia) :P
Vorrei solo dire grazie, come sempre, a coloro che leggeranno e recensiranno questa storia. Spero mi facciate sapere cosa ne pensate, anche in poche righe *fa gli occhi dolci* e grazie anche ai miei lettori silenziosi che si limitano ad inserire le storie tra le preferite/seguite. Grazie, grazie davvero!!!
Credo sia tutto! 
A presto con quella "famosa" storia a capitoli che vi annunciai nelle note dell'ultima fanfic postata ma che, ahimè, non è ancora pronta, non del tutto ;)
Un abbraccio

Peace, love & Romione 
Jess

 


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