Angolo dell'autrice:
per la seirie "chi non muore si rivede", eccomi qua con l'ennesimo
esperimento. Non disperatevi troppo: tra scuola e altro la
prossima fiction è ancora molto, molto lontana. Per ora vi tocca
quindi sorbirvi questo... coso. Avviso solo che è il parto di un
Agosto dagli alti e bassi frequenti; morale: se riscontrate qualche
-probabilmente grossa- incoerenza non spaventatevi e fatemelo
sapere.
Avrei troppo da scrivere riguardo questa fic, quindi mi limito al silenzio e vi lascio alla lettura.
Ah, ultima cosa e poi vi lascio veramente andare: ho diviso la
storia in due capitoli pubblicati nel medesimo giorno. Personalmente
ritengo meglio riuscito il secondo rispetto al primo. Se vi scocciate
leggendo il numero uno siete quindi autorizzati a volare direttamente
al numero due ^^ .
Prima HinaNejiTen, prima fic con triangolo (o quadrato?): insomma, un esperimento. Tirate le somme e commentate se vi va.
Capitolo 1: Shinigami
"Ci sono molte stanze sotto la Sala, sotto l'intero Posto delle Tombe, anche sotto noi.
C'è un incredibile groviglio di gallerie, un vero e prorpio Labirinto.
E' come una grande città buia, costruita sotto la collina. Piena d'oro e di spade di antichi eroi e di vecchie corone, piena di ossa, di anni e di silenzio"
Arha parlava come in trance, rapita.
Manan la guardava.
Il suo volto non esprimeva mai niente, a parte la stolida, cauta tristezza.
Ma in quel momento era più triste del solito.
"Già, e tu sei padrona di tutto" disse.
"Del silenzio e del buio"
[Le Tombe di Atuan - Ursula K. Le Guin]
-Dove scappi, Tenten?!-
Non si voltò nemmeno; spinse con più decisione sulle gambe, cercando di mettere quanto più corridoio possibile tra lei e Kankuro.
Uno spiedo schizzò sibilando di fianco alla sua guancia. Con un tuffo riuscì a gettarsi dietro l'angolo prima che una pioggia di aghi le si conficcasse nella schiena.
Tenten si appiattì contro la parete, ansimando. Poteva sentire la suola dei sandali dello shinobi sbattere furiosamente sul pavimento. Non sarebbe riuscita a combattere contro di lui una seconda volta.
Con una mano andò istintivamente a cercare la tasca dei pantaloni: il quarzo gelido della chiave le ferì i polpastrelli sudati. Non poteva perderla; non dopo tutta la fatica che aveva fatto per recuperarla.
Strinse i denti, guardandosi attorno, con il cuore che pulsava furiosamente nelle tempie; le parve di poter già sentire gli ansiti di Kankuro dentro l'orecchio.
Il corridoio nudo si srotolava davanti ai suoi occhi, perdendosi nella semioscurità. A quel punto bisognava giocarsi tutto.
Vide comparire l'intelaiatura scheletrica della marionetta; subito dopo, a un metro di distanza circa, il marionettista. Si lanciavano in avanti, l'una traballando orribilmente sui piedini rachitici, l'altro arrancando goffamente sulle lastre sconnesse del pavimento. In un attimo vennero inghiottiti dal buio, sulla scia del suo clone.
Baka, pensò la kunoichi con un ghigno.
Spezzò i sottili filamenti di chakra che la facevano aderire al soffitto, e con un balzo fu a terra.
Ormai anche lo sferragliare di Karasu si era dissolto.
Bene.
Senza aspettare oltre si voltò e imboccò correndo la strada che aveva percorso prima; sebbene Kankuro non fosse un genio non avrebbe impiegato molto per capire di essere stato fregato. Per allora Tenten voleva aver già concluso la prima fase dell'esame.
Sorrise appena, passandosi una mano sulla fronte: quella era già il suo secondo tentativo di diventare jonin. Il primo era stato un vero e proprio disastro: non era nemmeno riuscita a superare gli scontri individuali.
Una piega amara le attraversò il viso, mentre ripensava alla penosa sconfitta che aveva ricevuto da Sakura; al confronto l'eliminazione dalla selezione Chunin non era stata niente.
Adesso, però, stava andando tutto bene.
L'occhio le scivolò sulla tasca, e un pizzicorio di compiacimento le pungolò piacevolmente lo stomaco.
Tutto perfettamente bene.
Doveva solo fare l'ultimo sforzo di raggiungere le sale superiori del complesso e poi l'uscita. Il più era già stato fatto.
Davanti alla ninja, confisso nel centro della parete scura, si cominciò a delineare un tassello di luce; un'euforia quasi animale le fluì al cervello quando sentì il tintinnio metallico dei kunai giungere soffocato dal quarto di luce al di là dell'apertura.
Shikamaru doveva essere ancora impegnato nel combattimento con Anko.
Perfetto.
Con un ultima spinta si lanciò fuori.
Quando ruzzolò dentro il salone di pietra le sembrò che il sudore le si rapprendesse sul viso; l'aria satura di sabbia le incendiò i polmoni. Tossì.
Non fece in tempo a comprendere cosa accadeva che il frullare vorticoso di un impermeabile color crema le frustò il ginocchio.
Anko Mitarashi, a pochi metri di distanza di lei, sfoderò, con un movimento secco, una carta bomba. Tenten poté solo cogliere il ghigno divertito che le balenò sulle labbra mentre guardava Shikamaru aggrappato a una pietra.
Quando sentì lo sfrigolio dell'ordigno ancora nelle mani della donna si gettò dietro una colonna, appena in tempo per non venir travolta dall'onda d'urto che sconquassò l'androne di roccia. Una polvere pesante si alzò in ampie volute.
Tenendosi un braccio premuto contro la bocca tentò di sondare le pareti.
C'era. Ne era sicura.
Mentre fuggiva da Kankuro era certa di averla vista.
Dov...
Gli occhi della ninja si inchiodarono al di là della terza colonna di destra; era poco più di un tratto scuro in mezzo all'alone grigio e ocra che le danzava convulsamente davanti, ma a lei parve bucasse tutto il resto.
Una scudisciata bollente le attraversò la spina dorsale.
Aveva trovato l'uscita.
Si lanciò in avanti, trattenendo il respiro per non inalare il pulviscolo. Uscì di volata, lasciandosi alle spalle i singulti di Nara.
Un'aria fredda e tagliente le sferzò il viso. Era quello il segno: in gallerie profonde come quelle l'aria era sicuramente segno di un passaggio. La porta d'accesso per la seconda e ultima fase dell'esame era vicina.
Si diede il tempo di esaminare velocemente attorno: era un corridoio come le centinaia che aveva percorso in quei giorni. Le pareti scrostate e piene di crepe erano state ricavate dalla roccia friabile di Suna; a terra lastre grosse quanto Choji erano incastrate a creare un pavimento sconnesso e polveroso. Ogni tanto, aggrappate alla volta arcuata del soffitto, comparivano lunghe e anoressiche sbarre al neon, tutte indiscriminatamente rotte. Quelle catacombe, come le aveva chiamate Kakashi illustrando agli aspiranti jonin il contenuto della prova, si snodavano 95,6 metri sotto il quartiere fatiscente di Suna, esattamente nella 'zona vecchia', per un totale di 117,13 km di cunicoli e grotte scavati nella pietra. Si diceva che anticamente venissero utilizzate dagli abitanti del villaggio per ripararsi dalle frequenti tempeste di sabbia che attraversavano stagionalmente la terra del vento.
Tenten chiuse gli occhi.
Provò a immaginare la calca che si era dovuta ammassare negli androni ciclopici durante la stagione invernale, quando lo Shotaku, il monsone che scendeva dal paese dell'Acqua, spazzava da nord a sud il deserto del Vento: tentò di pensare alle persone che, a una a una, si erano dovute far calare all'interno del pozzo, con la carrucola di legno che danzava pericolosamente nel vuoto. E poi quel salto nel buio per un centinaio di metri, giù, con gli occhi chiusi e l'anima impigliata tra il cuore e la gola, il solo cigolio gracchiante della carrucola a tenere appesa col filo la vita di quel milione di disperati.
Inspirò più profondamente. L'odore fermo e acre della polvere le entrò nei polmoni, facendola lacrimare.
Chissà quanti erano morti lì dentro, schiacciati dall'umidità e dalla mancanza d'ossigeno.
Un getto di aria fredda diradò i pensieri che le si erano affollati nei timpani. A destra, percepì la presenza di un'apertura.
Si ritrovò in una sala più piccola di quella in cui aveva visto Anko e Shikamaru; una fiaccola si dondolava tristemente, appesa al centro del soffitto.
Col respiro mozzo e la bocca socchiusa accarezzò la parete.
“una volta
conclusa la prima fase della prova doverete accedere ai livelli
superiori del complesso; per farlo vi servirà una di queste”
aveva detto Kakashi, mostrando due sfere perfettamente identiche,
delle dimensioni di una noce; nella luce accesa della sera le chiavi,
sia quella nera che quella bianca, avevano preso riflessi cupi.
“La seconda
fase consisterà in un duello a tre: un jonin e due chunin”
“In che
senso? La prova non era individuale?” aveva chiesto Lee.
“Nel senso
che per uscire bisogna essere in due. Non uno di più né
uno di meno.”
“Mi pare di
avere già vissuto una situazione del genere” aveva
sussurrato ironicamente Sakura.
“In altre
parole”, aveva continuato Kakashi “una persona verrà
eliminata, sia che si tratti dello jonin, sia che si tratti di uno
dei due chunin”
“Ma come...”
aveva cercato di insistere Lee.
“Tutto vi
verrà spiegato dal jonin che seguirà la vostra ultima
prova”
Il mozzicone di
candela tremò nell'aria fredda quando Tenten, con il negativo
della piccola sala ancora impresso nelle iridi, si accostò
alla nicchia. Da dentro, nell'oscurità, la testa di un drago
scrutava la parete, pietrificata nel ruggito che non avrebbe mai
emesso.
La kunoichi
toccò delicatamente le fauci della bestia, seguendo il taglio
netto dei canini; sotto la sua mano la fiamma rossa vibrò di
piacere.
Doveva essere
quello il luogo, si disse.
Con lo sguardo
scorse le tre colonne al centro della stanza, interamente ricamate di
quelli che, a prima vista, le erano parsi scarabocchi. Avvicinandosi
aveva capito invece che si trattava di un complesso arabesco di
ideogrammi e simboli; tra ogni segno poi spiccavano, scolpite nella
pietra viva, squame dalle più varie tonalità del rosso.
Rimase ancora
qualche secondo ad ammirare il soffitto ricoperto di fumose,
sbiaditissime lingue di fuoco, prima di voltarsi con uno scatto verso
l'entrata. Non poté nemmeno estrarre un kunai che la volta si
era richiusa con uno schianto.
Rimase
immobile, col cuore che le sbatteva furiosamente nel petto. Le sembrò
di sentire una risata soffocata al di là del muro.
Si morse il
labbro inferiore; i denti le rigarono la pelle come la lama di un
coltello.
Calma. Doveva
restare calma.
Un ronzio
soffocato, una sorta di tosse rugginosa, la fece girare: proveniva da
dietro le tre colonne.
Gli occhi di
Tenten si spalancarono dallo stupore quando vide che, incastrato
nella roccia, stava un terminale. Dallo schermo polveroso una
schermata fissa, quasi fosse stata incisa nel plastiglass, le
riverberò tenuemente il viso.
Si chinò
sul vetro per pulirlo dalla sabbia.
Si trattava di
una mappa: quattro stanze rettangolari, probabilmente gemelle, erano
ordinatamente disposte una di fianco all'altra. Nell'ultima a destra
pulsava un puntino blu.
Poi lo vide:
infossata nell'angolo della plancia comandi, lucida e perfetta, stava
una conca sferica non più grande di una moneta; la sfiorò,
lasciando scivolare l'indice lungo il cerchio pulito dei bordi con
gli occhi che le brillavano dall'emozione. Quando accostò la
chiave nera che aveva tenuto in tasca per una notte alla piccola
cavità, non riuscì a trattenere un sorriso: la
serratura era quella.
Con una leggera
pressione la pietra trovò posto nell'alveo.
Tenten
trattenne il respiro.
La candela
dondolò nella nicchia.
Il terminale
sbuffò.
Non accadde
nulla.
-Cosa?-
La ninja si
rialzò, squadrando l'apparecchio che borbottava quietamente
nell'ombra.
-Non posso aver sbagliato...- mormorò appoggiata alla
tastiera.
-Avanti:
muoviti-
Il vetro le
rispose con un pigolio divertito.
-Muoviti!-
Il grido
rimbombò tra i massi di tufo; la luce dietro lo schermo
vacillò un istante prima di spegnersi con lo sfrigolio aspro
di un cavo reciso.
-Brutto...-
ringhiò la maestra d'armi levando un pugno a mezz'aria.
Il terminale
riprese vita all'improvviso fischiando come una pentola a pressione.
Un secondo puntino, di un blu acceso, palpitava nell'angolo
dell'ultima sala.
Il cuore di
Tenten parve pulsare al ritmo dei pixel, mentre con gli occhi
sbarrati osservava i puntolini trasformarsi da cobalto a verdi.
Con un boato
assordante si aprì un varco nella parete.
La testa di
drago rimase a ghignare sola, con la bocca orrendamente spalancata
sul buio.
°°°
L'aria si era
fatta più fredda, poteva percepirlo dentro le ossa.
Tenten si
strinse nelle spalle, rannicchiata contro la parete di quel salone
immenso, mentre soffiava distrattamente nelle mani chiuse a coppa.
Quando aveva
visto, dalla cima delle scale alte e ripide, lo spazio vuoto le gambe
avevano ceduto: era stato allora che aveva percepito tutta la
stanchezza accumulata in quei giorni di supplizio.
Puntò lo
sguardo in alto; la volta di roccia si perdeva nell'oscurità.
Quanto tempo
fosse passato da quando era stata calata nel pozzo che conduceva alle
gallerie proprio non avrebbe saputo dirlo.
Chiudendo gli
occhi le parve di poter risentire il legno della carrucola
scricchiolare sotto il suo peso, mentre veniva ingoiata dalla sabbia.
I tre giorni di
buio le erano sembrati solo un lunghissimo, rovente incubo. Le grida
soffocate che riecheggiavano in ogni corridoio, l'aria secca e
rugginosa che penetrava fino in fondo ai polmoni, i corpi bianchi e
rigidi abbandonati sulle lastre di pietra: tutto questo un jonin,
aveva spiegato Kakashi, doveva essere disposto a sopportarlo.
Tenten si morse
il pollice.
La fame, la
sete, la sofferenza e ogni altra cosa che dominava la guerra lei
l'aveva accettata; quell'esame non era che la prova finale
attraverso la quale testare il grado di assimilazione di tali
concetti. Eppure, la scatola giocattolo in cui erano stati rinchiusi
aveva qualcosa che andava ben oltre la concezione della morte.
Il terrore che
le era fluito nelle vene come veleno la fece improvvisamente tremare
nella stoffa chiara della giacca.
Era la mancanza
di sonno e lucidità a uccidere in quel luogo. Nella
solitudine, al buio, si faceva strada un pensiero sottile, acuminato
come le zanne di una serpe; strisciava piano, accarezzando la
coscienza con quell'idea di velluto.
Un passo
leggero le fece sollevare la testa e allontanare il peso granitico dei suoi pensieri: nel fondo della sala, esattamente
là dove era l'apertura opposta a quella da cui era entrata
lei, si muovevano due ombre.
La kunoichi si
rialzò aiutandosi con la parete.
L'uomo -doveva
essere un uomo a giudicare dalla larghezza delle spalle-, seguito da
una figura minuta, si diresse con passo deciso verso di lei. Quando
furono abbastanza vicini perché potesse distinguerne i
contorni, Tenten sentì il proprio cuore perdere un battito.
°°°
-Salve, Tenten
san...-
Quando le
labbra di Hinata Hyuuga, a un soffio dalla guancia di Neji Hyuuga, si
schiusero in un sorriso, Tenten sentì ringhiare nello stomaco
una sensazione che aveva sperato di dimenticare.
-Hinata...-
Quello che le
uscì dai denti somigliava a un sibilo.
-Sei arrivata
prima del previsto- disse piattamente Neji, facendo un passo verso la
compagna di squadra.
Lei storse il
naso in una smorfia ironica.
-Mi stavate
aspettando?-
-No-
Il sorrisetto
sul volto di Tenten ghiacciò.
-In ogni caso,
ora che ci siete tutte due possiamo iniziare la seconda fase della
prova. Prima però è meglio che vi spieghi-
Lo shinobi le
scorse con lo sguardo.
-Per accedere a
questa fase- iniziò, distogliendo velocemente l'attenzione dal
collo di Tenten -avete dovuto sottrarre a un jonin una delle due
chiavi che aprono i passaggi per queste sale. Le chiavi, come sapete,
sono di due colori: bianche o nere-
La mano della
maestra d'armi volò alla tasca; la sfera bruna le premette
rassicurante contro la palma.
-L'esame-
continuò Neji -è strutturato in modo tale che, giunti a
questa fase, si svolgano scontri “due contro uno”. Per uscire di
qua, infatti, bisogna essere in due e possedere tutte e tre le
chiavi-
L'espressione
perplessa di Hinata lo fece sbuffare spazientito.
-In sostanza:
ora dovremo combattere tra noi per poter collezionare tutte le sfere-
-Non era uno
scontro “due contro uno”?-
Tenten sostenne
l'occhiata di fuoco che le lanciò il ragazzo.
-Se mi
lasciassi finire di spiegare forse riusciresti a capire. Comunque,
stavo dicendo...- sospirò, chiudendo gli occhi -...il colore
delle chiavi decreterà la coppia che si dovrà formare:
chi le possiede dello stesso colore formerà la coppia contro
cui combatterà il ninja rimasto, sia che si tratti di me o di
una di voi due-
Per Tenten quelle parole ebbero l'effetto di un pugno nello stomaco.
Esattamente come le era successo cinque anni prima, quando il tabellone
elettronico affacciato sul palco di cemento aveva deciso che la sua
avversaria sarebbe stata Sabaku no Temari: prima ancora di staccare la
mano dalla ringhiera, prima ancora di incontrare lo sguardo
incoraggiante di Lee, aveva capito che il suo esame si sarebbe concluso
lì, sulle lastre sbeccate e anonime dell'arena. Il ghigno
che aveva scorto sulle labbra di Temari, negli istanti in cui
l'esaminatore riassumeva tossendo le regole dell'incontro, aveva solo
suggellato un patto già scritto.
Allo stesso modo, ora, mentre alzava la testa e incontrava gli sguardi
lattei di Neji e Hinata puntati su di lei, ebbe la precisa, identica,
dolorosissima sensazione di impotenza.
Il sangue le si ghiacciò nelle vene.
°°°
Si dice che gli
Shinigami, gli antichi dei della morte, avessero la capacità di
leggere, impresso sulla fronte, quanto a ogni persona restasse da
vivere. Si dice anche che gli Shingami potessero trasfigurarsi in
qualsiasi creatura, vivente e non, ma che adottassero le sembianze
umane per scendere nel mondo degli uomini; tutto ciò che
rimaneva del loro originale aspetto, sotto i visi dagli ovali perfetti,
erano gli occhi: due orbite vuote di un bianco accecante.
Di quegli dei dimenticati dall'incenso e dal fuoco ne erano rimasti due, e guardavano Tenten coi loro occhi pietrificati.
-Nera?-
Quello che le uscì dalle labbra fu un soffio. Il volto di Neji sembrava scolpito nel marmo quando le rispose.
-No. Bianca-
Fu allora che
Tenten lesse la propria morte riflessa nei suoi occhi. Le parve che
baluginasse come una data scolpita su una lapide.
Strinse i pugni, inghiottendo il magone che le si era piantato in gola. Avrebbe voluto mettersi a piangere.
-Anche la mia è bianca, Tenten san-
Hinata prese
posizione a fianco del cugino. Il loro stile gemello, la pelle chiara
che pareva cesellata, la delicata nitidezza dei lineamenti: tutto
in loro pareva proporzionato e perfetto. Tenten, nella sua tuta lacera
e sudicia, impregnata di sudore da far schifo, coi suoi quattro kunai e
qualche giochetto da prestigiatore, si sentì orrendamente fuori
posto; uno squarcio nel mezzo della tela.
Notò quanto i fianchi di Hinata e Neji fossero vicini: si sfioravano appena nella penombra.
-Tenten san?-
La bestia assopita nel suo stomaco cominciò a muoversi, sibilando tra le zanne.
Neji era finito semplicemente per accorgersi delle sempre più frequenti attenzioni di Hinata. Hiashi aveva solo dato una vigorosa spinta al destino che teneva le fila del suo augusto clan.
Tenten si sentì soffocare dalle lacrime.
-Tenten?- chiese nuovamente Hinata con una punta di preoccupazione.
I suoi occhi di bambina si macchiarono di paura quando un lume di puro odio lampeggiò nelle iridi della maestra d'armi.
Non poté nemmeno muovere un muscolo che un kunai le si conficcò a due centimetri dal piede destro. Lo sfrigolio della carta bomba incollata al manico dell'arma la colse di sorpresa.
-Spostati!-
Schizzò di lato prima che l'esplosione la travolgesse. Un fumo denso l'avvolse.
°°°
Genma sbuffò. Il grande schermo di latta, che osservava svogliatamente masticando il senbon, gli sorrise ghignante in risposta, piatto e grigio come non lo era stato da tre giorni.
-Se non te ne stessi tutto il tempo a tirarti le dita potresti sperare di non annoiarti, Genma. C'è così tanto da fare...-
Il vetro del computer rifletté sulla polvere il sorriso di scherno che era balenato sulle labbra dello jonin castano.
-Leggere giornaletti è contemplato nel tuo 'tanto da fare' , Ebisu?-
-C-certo che no!- balbettò l'uomo con gli occhiali, facendo sparire maldestramente un libro dalla sgargiante copertina arancione che fino a un istante prima troneggiava sulla scrivania a fianco del ventilatore.
-Allora non mi sembri un granché impegnato...-
-Non capisco di cosa tu stia parland...-
-Tu no. Shizune, invece, se vede questo capisce benissimo- ridacchiò Kotestu, che aveva prontamente tolto di mano Icha Icha Pradise a Ebisu.
-Ehi, ridammelo!-
Mentre l'insegnante tentava di riprendersi con una curiosa torsione del busto il prezioso volumetto, Izumo entrò dal vano scavato nella pietra. Genma lo vide e lo salutò svogliatamente con un'alzata di mano; l'altro fece solo un cenno del capo nella sua direzione prima di sparire nel ripostiglio.
-Ti ho detto: ridammelo!-
-Suvvia, Ebi chan, non scaldarti in questo modo. Non lo rovino mica se ne leggo due pagine...-
-Kotestsu, dammi immediatamente quel libro!-
Genma si scostò un ciuffo dagli occhi mentre guardava il giornalino frullare impazzito da un lato all'altro della stanza. Le urla poi del collega che brandiva una matita per intimorire il Guardiano delle Porte di Konoha gli fecero storcere il naso e riportare l'attenzione alla tastiera.
Venduti per Icha Icha paradise, pensò con un moto di irritazione, mentre rievocava il simpatico scherzetto che Kakashi aveva fatto a tutti loro per incastrarli nell'esame di selezione jonin. Lanciò un'occhiata alla bacheca sgangherata che lui ed Ebisu avevano costruito con gli stecchi dei dango in un momento di pura noia; nell'angolo destro, sotto i vari avvisi lasciati dagli organizzatori della prova e la gigantografia di Tonton che, con zampetta accusatrice e sguardo truce, recitava "Shizune ti vede", spiccava un post-it scritto a caratteri cubitali: Kill Hatake Kakashi.
Quella volta aveva decisamente superato ogni limite. Una serata tra vecchi compagni, un bicchierino di troppo con la promessa di regalare a ciascuno di loro la collezione originale di Jiraia san per due ryo, una pacca sulla spalle e il gioco di Kakashi era stato fatto: il giorno dopo erano stati tutti convocati dalla Godaime e avevano scoperto, non senza una certa sorpresa, di essersi proposti come addetti all'esame di selezione. Quindi bravi, mi complimento con voi per questa scelta, e poi via, spediti con un pugno di marmocchi a Suna, per onorare una volta di più le amicizie tra Villaggi.
Genma scrutò il minuscolo locale che trabordava di computer, pratiche e referti medici, barelle, strumenti di primo soccorso, scatoloni, lattine di birra; il tutto era equamente spalmato su quei sette per cinque metri in cui avevano dovuto vivere tre lunghissimi giorni, gestendo le squadre mediche che venivano inviate a recuperare dalle gallerie chi non era in grado di continuare la prova.
-Che merda...-
-Hai proprio ragione- gli fece eco Izumo che si era gettato su una sedia a fianco. Si passò stancamente una mano sul viso.
-Chi avete recuperato questa volta?-
-Un altro dei nostri-
-Un altro?-
-Già- sospirò il secondo Guardiano di Konoha scuotendo la testa -Quest'anno è stato un disastro: quasi tutti quelli che si erano iscritti li abbiamo dovuti portare all'ospedale centrale in condizioni gravissime. Naruto, per esempio-
Lo sguardo che si scambiarono i due jonin ricordò a entrambi lo stato in cui avevano trovato Uzumaki: incastrato tra gli spuntoni di una trappola a parete, coperto di tagli ovunque, con la mascella spappolata come un prugna, ma ancora vivo e con la voglia di fare lo spaccone.
-Chi...-
-Shino Aburame-
Genma abbassò la testa.
-Anche lui...-
Non riuscì a finire la frase che la copertina del giornalino lo colpì in piena faccia. Kotestu, col braccio ancora proteso nello slancio, sbiancò di colpo, ed Ebisu, aggrappato al collo dell'amico, rimase con gli occhiali storti sul naso e la bocca semiaperta. L'unico rumore che rompesse il silenzio denso improvvisamente calato sulla piccola stanza era il cigolio del ventilatore appollaiato sulla scrivania.
Sotto lo sguardo impaurito di Izumo e quello severo di Tonton, Genma si massaggiò la fronte, serrando le labbra in un'espressione indecifrabile.
-Genma, io...-
-Quante volte ti ho detto- lo interruppe lo jonin più anziano -di fare meno casino, Kotetsu?-
-Io...-
-E quante volte ti ho detto, in questi tre giorni, di agitarti meno e di usare un po' più la testa?- continuò lui. Sbattendo con violenza il libro sul tavolo, la voce gli tremò di rabbia.
-E tu mi hai mai ascoltato? No di certo! No di certo, visto l' atteggiamento da bamboccio che hai! E' decisamente troppo pretendere un comportamento umano da te!-
Ebisu si raddrizzò cautamente le lenti, cogliendo così l'opportunità di asciugarsi il sudore gelido che gli si era rappreso a livello narici.
-Genma, calmati, non è successo nulla...-
-Nulla? Nulla?! E' da tre giorni che mi tocca tener dietro a una masnada di incapaci, chiuso qui dentro, accollandomi quei mocciosi che non sembrano saper far altro che prendere calci nel culo! E intanto Kakashi se la spassa da organizzatore, girando per i migliori locali di Suna. Non lo sopporto!-
-A dir la verità anche tu te la spassi- disse Kotetsu con tono ferito e offeso -Lo sanno anche i muri che quando non sei in servizio ti trovi con Shizune e che poi all'ospedale...-
-Genma, fermo!-
Ma Genma si era già lanciato addosso a Kotetsu, e tutti e due si rotolavano sul pavimento dandosele di santa ragione. Urtando la gamba della scrivania si rovesciarono tutti i fogli accuratamente impilati in quattro ore di lavoro; i due uomini vennero sommersi da una cascata di carta, che si riversò poi sulle lastre color ocra, allagando la piccola stanza.
-La documentazione!- trillò Ebisu. Si lanciò per tentare di salvare quel mare di dati e annotazioni.
-Ebisu, aiutami!-
-Aiutami tu, invece!- abbaiò il ninja con gli occhiali a Izumo, che disperato tentava di dividere i due shinobi -Che sfoghino pure la tensione e gli ardori! Se non consegnamo questa roba intatta ti dico io, invece, come si sfoga Shizune!-
E detto questo ricominciò ad afferrare pagine di pratiche e cartelle, scavalcando i colleghi.
-Ti spacco...-
-Coglione!-
Il pugno che Kotestu aveva indirizzato allo zigomo di Genma si abbattè sul naso di Izumo, ancora piegato nello sforzo di staccarlo dall'altro.
-Porco Kaze...!- urlò Izumo, contorcendosi in una smorfia di dolore.
Kotestsu slanciò preoccupato una mano verso l'amico, completamente dimentico dello scontro.
-Kami, Izu! Ti sei fatto male?-
-No, mi hai fatto bene, brutto idiota!-
Una sottile striscia di sangue colò tra le dita dello shinobi.
-Scu...-
La ginocchiata di Genma gli mozzò il fiato.
Il jonin col senbon afferrò l'altro per il colletto della tuta.
-Ti sbriciolo le ossa- ringhiò a pochi centimetri dal naso dell'amico.
-Provaci-
-Kotetsu!-
-Genma...-
-Driiiiiin!!-
Il trillo acuto del computer centrale zittì tutti all'istante. Quattro teste si voltarono in direzione dello schermo che lampeggiava intermittente nell'aria rovente della stanza.
Ebisu si sistemò le lenti, tenendo con la mano destra una risma di fogli stropicciati.
-Cosa diamine...-
Genma si liberò sgarbatamente dalla presa del Guardiano di Konoha e afferrò una sedia senza staccare gli occhi dalla macchina. Gli altri due rimasero fermi.
Il ticchettio meccanico delle dita di Genma sulla tastiera e il respiro pesante di Kotetsu parevano forare l'umidità stagnante dell'ufficio.
-Cosa succede?-
In un ronzio la schermata divenne più scura. Il ninja al computer si sporse in avanti, assottigliando gli occhi.
-Non...-
-Qualcosa è sicuramente stato. Guarda un po' se...-
-Lo sto già facendo, Ebisu!- sbottò Genma senza voltarsi vero il compagno.
Frammenti di corridoi si susseguivano senza fine, impressi negli occhi scuri dello shinobi. Ogni tanto, dall'alto,si spalancavano saloni immersi nell'ombra.
-E' arrivato un segnale da una delle grotte della area 3, ma non riesco a capire di quale si tratti-
-Sarà finito un incontro?-
-Probabile...-
A Genma morì lo voce. Si buttò in avanti quasi volesse entrare nello schermo con la testa; le iridi gli danzarono freneticamente da un lato all'altro del vetro.
-Porco...-
-Genma, cosa...-
-Vai a chiamare una squadra medica, Izumo. Presto!- tuonò da dietro la spalla.
Il secondo guardiano di Konoha sparì, lanciato per la scala che conduceva alle sale di deposito e ristoro.
-Kotestsu, la barella!-
-Subito!-
Ebisu si chinò sul computer.
-Genma, cosa succede?-
-Ora non c'è tempo: lo vedrai quando raggiungete il salone 19-
L'insegnante si fece cupo.
-Devo andare anche io?-
-Sì-
-Non bastano Kotestu e Izumo per portare il ferito?-
L'occhiata che gli lanciò il collega ebbe l'effetto di una scossa elettrica. Con un veloce cenno del capo si voltò.
La voce rauca di Genma lo fece voltare quando era già sul primo gradino.
-Porta con te un'altra barella, Ebisu-
°°°
Il volto di Hinata era contratto dalla paura, la stessa che aveva letto nei suoi occhi prima di lanciare quella carta bomba. Tenten poteva sentire il respiro rotto e irregolare dell'altra a pochi centimetri dal viso.
La bestia dentro di lei gioì di quell'espressione di puro terrore prima che il dolore le esplodesse nel petto.
Sentì l'aria nei polmoni bruciare e la polvere raggrumarsi nella gola. Tossì a fatica. Il sangue che le uscì dalle labbra macchiò la felpa chiara di Hinata.
-Troppo lenta-
La mano di Neji Hyuuga premette di più sulla sua schiena.
Tenten cadde con un tonfo ai piedi di Hinata.
Quando il suo naso si abbatté sulla lastra di pietra, percepì che qualcosa si era rotto. Il sangue cominciò a colarle lungo la guancia.
Il freddo della roccia sotto la sua tempia, il caldo del sangue che lentamente le rigava gli zigomi, il dolore lancinante che le mozzava il fiato e le faceva vomitare una poltiglia rossa e filamentosa: tutto venne annebbiato dalle lacrime. Tremò scossa da uno spasmo e singhiozzando disperatamente per strappare altro ossigeno inalò la sabbia spessa di Suna.
La sagoma si un piccolo piede le invase la vista prima di ritirarsi sulla destra. I movimenti di Hinata le giungevano ovattati e lontanissimi.
La voce di Neji parve frustarla.
-Prendile la chiave-
-S-sì, Neji kun-
Le unghie di Tenten cozzarono contro la roccia e si spezzarono.
Di tutti i pensieri che le affollavano convulsamente il cervello solo uno era chiaro e nitido, gelido come se fosse stato scolpito nel marmo: aveva perso.
Altre lacrime le scivolarono lungo la guance, offuscandole gli occhi.
Aveva perso la battaglia, l'onore, il rispetto per se stessa. Ma soprattutto, aveva perso contro Hinata. Quella sottile speranza che era rimasta nascosta per lungo tempo era morta: non avrebbe mai avuto Neji. Mai.
La mano di Hinata si protese verso la sua tasca.
La pietra scura, incastrata nella stoffa dei pantaloni parve forarle la gamba.
Una rabbia nera la colse; la sentì ruggire ed echeggiare in ogni angolo del suo corpo.
Rabbrividì e il cuore mancò un battito.
Fu una disperazione che non pensava di possedere a muovere il suo corpo: guidò la sua mano fino alla borsa, le fece estrarre un kunai, le fece serrare il braccio proteso di Hinata in una morsa d'acciaio.
Gli occhi chiari si spalancarono dallo smarrimento quando videro baluginare il rosso cupo di una carta bomba incollata al manico del pugnale.
Con un guizzo la lama lacerò le carne di Hinata.
Lei gridò.
Tenten gridò.
Il rombo di un tuono sconquassò la sala.
Ogni cosa si dissolse nel buio.