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Autore: fedsurvives    14/08/2014    3 recensioni
Dopo la fine della seconda stagione, Oliver Queen si trova a dover affrontare una nuova vita, totalmente diversa da quella che aveva vissuto fino ad ora. Come se non bastasse, un nuovo e misterioso nemico appare all'orizzonte, portandogli via l'unica cosa a cui tiene realmente. Il problema? È un nemico senza volto, un personaggio che non si mostra, una persona che deve essere scoperta prima che possa fare del male vero. In una già complicata situazione personale e familiare, il Vigilante dovrà intraprendere una nuova battaglia per riportare a casa ciò che ha di più caro al mondo.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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→ Capitolo I
~ THE OPEN DOOR

 
 
Il cuscino non gli era mai parso tanto scomodo come ora. Pareva quasi innaturale trovare il proprio volto sprofondato tra i lembi di quella dolce e morbida superficie, così strano che non poté fare a meno di girare la faccia verso la più vicina fonte di luce. La sua pelle ruvida fece un sottile rumore mentre i suoi occhi raggiungevano quel candido velo di bianco emanato da uno degli schermi dei supercomputer di Felicity. Non era la prima volta che dormiva là dentro, nel nuovo covo, certamente molto più umile rispetto a quello che era riuscito a piazzare sotto al vecchio Verdant. Isabel Rochev era riuscita comunque nell’intento di fare piazza pulita di tutti i possedimenti della famiglia Queen ed aveva praticamente ridotto Oliver sul lastrico. Il ragazzo era stato davvero fortunato ad avere amici come John Diggle, Roy Harper e Laurel Lance, che lo avevano aiutato a rialzarsi. La nuova tana di Arrow era situata, ironia della sorte, a The Glades, il quartiere che proprio il Vigilante aveva provato a salvare dalla pazzia omicida di Malcolm Merlyn. Roy era riuscito a trovare questo posto grazie alle sue conoscenze della gente del luogo, ovviamente non facendo parola riguardo a che cosa servisse. Se Oliver Queen era ormai ben lontano dall’essere un plurimiliardario, l’eroe di Starling City non doveva assolutamente cambiare in nulla. Anche se in mezzo a mura più semplici, c’era tutto ciò che serviva al Team Arrow per continuare la missione di mantenere in estrema sicurezza la città intera.
I muscoli delle braccia si tesero, mentre Ollie alzava il proprio busto dalla scomoda posizione che aveva assunto, voltandosi nei secondi successivi affinché si potesse ritrovare seduto sul materasso di fortuna che era riuscito a recuperare. Quella stanza pareva sempre più scura ogni volta che apriva gli occhi dopo un sonno più o meno profondo, ma si stava pian piano abituando a questa nuova abitazione. Tutti si erano offerti di ospitarlo, ma aveva rifiutato categoricamente. Necessitava di tempo da trascorrere da solo, per superare pian piano tutto ciò che era accaduto: la partenza di Thea, la morte della madre, la rovina della sua famiglia in toto. Portò le gambe a scoprirsi dal lenzuolo chiaro che aveva usato per coprirsi durante la notte, posizionando poi i piedi direttamente sul freddo pavimento. Le sue mani andarono subito ad unirsi con il suo volto: in questo modo cercava di darsi una svegliata. Le dita passarono rapidamente dalla fronte al naso, fino ad arrivare alla bocca e al mento, dove sentirono la solita barba incolta che era solito portare.
Si alzò. Lo fece ancora una volta usando le proprie braccia per tirarsi su ed indossò successivamente dei pantaloni comodi, già pregustando ciò che aveva preventivato di fare. Il passo successivo fu un rapido salto in bagno, dove si sciacquò la faccia per potersi svegliare completamente. Non aveva sognato o, se lo aveva fatto, non ricordava nulla. Era strano. Strano non avere incubi, con tutto ciò che stava passando. Dell’isola ne aveva avuti praticamente per mesi, eppure ora sembravano essere spariti. Ma una sola notte di vuoto non sarebbe bastata ad averne la certezza. Si guardò allo specchio, seguendo con lo sguardo le piccole gocce d’acqua che gli rigavano il viso, che sparirono successivamente grazie ad un asciugamano.
Il vecchio covo era certamente meglio. Qui era piuttosto stretto a dire la verità, sembrava un appartamento da scapoli, in disordine e confusionario. Gli mancavano per lo più tutte le sue attrezzature da allenamento, quelle che avrebbe continuato ad usare se avesse avuto più spazio. Felicity aveva raccolto tutto, mettendolo temporaneamente in un box vicino a casa sua. Anche il nuovo covo era temporaneo, ma serviva proprio perché il mondo criminale, a Starling City, non dormiva mai.
La bionda esperta di computer e tecnologia era appena arrivata. Scese dalla propria automobile per raggiungere velocemente l’ingresso di quel palazzo praticamente disabitato, dirigendosi verso il primo piano interrato. Aveva le chiavi, si erano dovuti organizzare in questo modo ora che la vecchia base era praticamente perduta. Ma il sorriso di Felicity Smoak pareva ugualmente raggiante. Pensava già alle gradite notizie che avrebbe portato ad Oliver, immaginando il suo sorriso caldo e raro dipingersi tra le sue labbra sempre serrate nell’immagine di un volto scuro e a tratti rattristito. Inserendo la chiave corretta nella serratura ed entrando, non si meravigliò di trovare Ollie intento a picchiare il sacco da boxe, l’unico strumento di fortuna che erano riusciti a raccattare per questa misura momentanea.
« Mai una maglietta.. certe abitudini non cambiano mai, eh? » Esclamò, chiudendosi la porta alle spalle, mentre appoggiava un sacchetto di carta scuro su uno dei tavoli presenti nella stanza principale. Il Vigilante era nella stanza subito dopo, divisa unicamente da una sorta di arco presente tra i muri. Si poteva vedere ogni cosa e, ovviamente, Felicity non poté fare a meno di porre il proprio sguardo sul fisico dell’ex milionario, cosa che le piaceva fare assai. Tutti sapevano del suo debole per Ollie, forse persino lui, ma per il momento nulla era andato nel verso giusto. C’era stato un “Ti amo”, ma alla fine si era rivelato unicamente un piano ben congegnato per sconfiggere una volta per tutte Slade Wilson. Alla fine avevano deciso di lasciar perdere, di annotare quella frase come un’ottima recitazione per un fine decisamente più importante. Per la Smoak, però, era significato molto più di quello. Ma per il momento, avrebbe lasciato le cose così.
Oliver vide la bionda ragazza entrare solo nel momento in cui proclamò quella sua osservazione, del tutto veritiera. Quando si allenava non portava mai una maglietta, più per comodità che per altro. Non si vergognava delle proprie cicatrici e dei segni che l’isola aveva lasciato su di lui, perché rappresentavano tutta la forza che aveva guadagnato grazie a quell’esperienza. I lati negativi erano molti, ma i positivi lo aiutavano ogni giorno. Sorrise, prendendosi una brevissima pausa da ciò che stava facendo. Un mezzo sorriso, più che uno intero, ma in questo periodo bastava. Lei era l’unica a riuscirci, l’unica che sapeva come far arrivare questi mezzi sorrisi. E se Felicity si stava interrogando su ciò che era successo qualche settimana prima, con quella “farsa” contro Slade, anche lui stava facendo esattamente lo stesso. La situazione, tuttavia, era seriamente troppo complicata per riuscire ad instaurare una conversazione su tutto ciò.
« Ho portato un caffè. So che non mangi al mattino, ma ho portato ugualmente qualche ciambella. Al massimo le mangerò io! » Ridacchiò, sommessamente, l’esperta di computer, non distogliendo lo sguardo dall’eroe di Starling City. Certo, era strano trovarsi qui, a The Glades, un luogo che aveva significato molto nella storia della città, un quartiere che portava ancora le cicatrici dei piani malvagi di un pazzo megalomane. Il ragazzo si avvicinò, era abbastanza palese il fatto che non si fosse svegliato da molto. Il volto era leggermente assonnato e delle leggere occhiaie erano presenti sotto gli occhi, segno inequivocabile di quanto dormisse in realtà: poche ore.
« Grazie. » Le iridi di Ollie puntarono direttamente su quelle di Felicity, mentre le labbra emettevano un mezzo sorriso, di quelli sereni e contenti. Era bello vederlo così, o almeno era ciò che pensava la bionda al momento, tralasciando il fatto che avesse vicino la persona di cui era segretamente innamorata, a torso nudo. Ricambiò il sorriso, per poi allontanarsi di pochi passi, giusto quelli sufficienti per raggiungere la sedia vicina alla scrivania, dove i tre schermi dei computer erano stati sistemati per il momento. Nessun segnale dalla polizia, nessun allarme, nulla che potesse cambiare questa giornata che poteva benissimo essere targata come tranquilla. Ma si sa, tutto può cambiare nel giro di un attimo, anche se questa ipotesi pareva ben lontana dalle menti dei due.
Oliver si gustò il caffè, macchiato leggermente con del latte parzialmente scremato. Non era abituato a certe attenzioni, anzi: sapeva bene che la sua aiutante lo faceva unicamente perché era in un periodo no della sua vita. Ne stava passando davvero troppe, anche se ora sembrava tutto tacesse. Slade Wilson era stato imprigionato e non avrebbe mai avuto modo di uscire di lì, Isabel Rochev era morta, anche se le sue azioni alla Queen Consolidated avevano comunque portato gravosi danni nella sua vita, Malcolm Merlyn sembrava sparito. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, se non i soliti piccoli criminali che alimentavano il male nella città, specialmente a The Glades.
« Ho trovato un posto perfetto. È grande a sufficienza per metterci tutto e potresti anche viverci. È una casetta indipendente ed ha un seminterrato che è perfetto. L’unico problema è che dovremo trovare un modo per pagarla! » La notizia che Felicity gli stava dando lo riportò per qualche istante alla realtà, estremamente differente da quella che la sua mente gli stava facendo ripercorrere. Se c’era qualcuno in grado di trovare un bel posto, quella era sicuramente la Smoak. Ci sapeva fare, non c’era dubbio.
« Forse un modo c’è. » Replicò Oliver, prima che la ragazza potesse ricominciare a parlare. Era decisamente loquace. « La Queen Consolidated si è presa tutti i possedimenti della mia famiglia.. ma ne ha tralasciato uno. » Non specificò ulteriormente, sicuro che la ragazza bionda avesse già intuito tutto. In realtà, Felicity corrugò la fronte, provando a scrutare il volto di Oliver, come se potesse dargli la risposta che il ragazzo, invece, pareva non volerle dare. L’illuminazione arrivò pochi istanti dopo e si poté notare dal movimento delle sopracciglia della Smoak.
« Il Queen’s Gambit! » L’esclamazione di Felicity portò ad un sorriso leggermente più acceso sul volto di Ollie, cosa che confermò l’esattezza di tale affermazione. La nave di suo padre era stata ritrovata dalla madre e messa al sicuro. Il segreto non era venuto fuori, tant’è che lo yacht era rimasto esattamente dov’era. L’idea del Vigilante era di venderlo al miglior offerente e, con le sue conoscenze all’interno della mafia russa, sicuramente avrebbe trovato un buon acquirente. « Ottima idea! Dobbiamo subito metterci in movimento. Prima ce ne andiamo da qui, meglio è! » La Smoak sembrava ora raggiante, quasi avesse finalmente constatato che, forse, si poteva tornare alla vita di tutti i giorni, quella del covo con il Team Arrow in azione.
Oliver bevve un lungo sorso di caffè, per poi appoggiare il bicchiere sul tavolo più vicino e raggiungere velocemente la propria camera, indossando poi una T-Shirt scura. Prese successivamente il cellulare, sul quale vi erano alcune chiamate da parte di John Diggle ed un relativo sms. « Devo andare. » Affermò, tornando verso la sua segretaria preferita, con un sorrisetto dipinto in volto. La ragazza bionda ricambiò, annuendo e seguendo con lo sguardo il ragazzo mentre usciva da quell’abitazione.
« Buona giornata! » Esclamò, prima di riporre la sua totale attenzione su uno dei computer. In quanto esperta informatica, il suo compito era tenere traccia delle cose che succedevano in città, collegandosi con la radio della polizia. Avere il padre di Laurel a conoscenza del loro lavoro li aiutava ad avere una copertura ed ora la cosa era più importante che mai. Felicity sentì la porta aprirsi di nuovo, ma non si voltò nemmeno. Sicuramente Ollie aveva dimenticato qualcosa. « Se stai cercando le chiavi della moto, non le ho viste! » Disse, non distogliendo l’attenzione dallo schermo che stava focalizzandosi sulla ricerca di qualunque cosa che fosse relativo a crimini. Si era creato uno strano silenzio, sicuramente troppo solido. Perché Ollie non parlava? Decise di voltarsi, ma non fece in tempo: di colpo fu come se il buio avesse invaso la stanza e una chiara sensazione di claustrofobia cominciò a divagare nella sua mente. Aveva un cappuccio in testa o, comunque, qualcosa che le bloccava la vista. Sentì delle mani forti afferrarle i polsi e legarli e proprio in quell’istante si rese conto di ciò che stesse succedendo. Provò seriamente ad urlare, un nome, il suo, quello di Oliver. Ma niente da fare anche in questo caso, perché erano nel piano seminterrato e lui era appena andato via. Questa era The Glades, avrebbe dovuto aspettarselo. Si sentì letteralmente sollevare ed essere portata via, ma non riusciva a capire più nulla.

 
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Il motore si spense abbastanza velocemente, facendo un rumore non troppo assordante. Oliver si tolse il casco nero, prima di dare un’occhiata al luogo in cui era finito, un luogo decisamente familiare. Il palazzo dove Diggle aveva il suo appartamento era ormai un luogo di ritrovo, specie il piazzale che era posto proprio di fronte all’ingresso, lo stesso su cui John stava attendendo l’arrivo di Ollie.
« Ehi, che si dice a The Glades? » Esordì l’uomo di colore, avvicinandosi bonariamente all’ex miliardario, che lo osservava con un mezzo sorriso in volto.
« Niente di nuovo. Ma penso ce ne andremo presto da lì. Felicity ha trovato un posto. » Replicò Oliver Queen, dando la meravigliosa notizia al suo alleato. Certo, era un gran cambiamento, ma ultimamente il ragazzo, anche di fronte alle news più positive, non faceva grandi sforzi nel mettere in risalto la sua gioia. L’aver perso ogni cosa non aiutava il suo umore a decollare come si doveva. I due si avvicinarono successivamente all’automobile scura di Diggle, sulla quale salirono subito dopo. John, al posto del guidatore, mise in moto l’automobile.
« Dove siamo diretti? » Nonostante il lavoro fosse praticamente inesistente, dato che Oliver non poteva certo permettersi una guardia del corpo, l’uomo accanto a lui non riusciva proprio a smettere di comportarsi ancora come tale.
« Mio caro amico, è arrivato il momento di fare un tuffo nel passato. » John si voltò verso di lui, provando a percepire il significato di quelle parole sibilline, ma non ci riuscì. Per Ollie, invece, il tutto era abbastanza chiaro. L’unico suo possedimento ancora esistente era lo yacht che era stato recuperato da Moira, lo stesso che l’aveva portato a naufragare sull’isola. Rivederlo voleva dire riportare alla memoria tutti quei momenti: il naufragio, quella che pensava fosse la morte di Sarah, il padre che si tolse la vita. Momenti che, sicuramente, avrebbe preferito cancellare dalla sua testa.
Il viaggio non fu poi così duraturo, ed infatti in poco più di un quarto d’ora raggiunsero un magazzino fuori città, il luogo dove Felicity aveva scoperto ci fosse quella nave, l’unico luogo rimasto nascosto agli azionisti della Queen Consolidated. Il primo a scendere dall’automobile, una volta che essa venne fermata, fu proprio Oliver, nervoso, ma in fondo anche desideroso, di vedere quella “cosa”, di capire che cosa avrebbe rappresentato per lui. Anche lo stare lì, di fronte a quella costruzione, così anonima, non riusciva a farlo stare tranquillo. Il solo sapere cosa ci fosse dentro gli donava una certa inquietudine.
« Andiamo Diggle. » Disse, fermo e deciso, al proprio amico, mentre ritornava sui propri passi. No, non avrebbe aperto quella porta e non avrebbe rivisto nuovamente quella dannata nave. Non poteva e non voleva. John non osò fiatare di fronte a quella richiesta, risalì semplicemente sull’auto e mise in moto, il più velocemente possibile.
« Cosa c’è là dentro Oliver? » Domandò, mentre ritornava sulla strada principale, quella che li avrebbe riportati a Starling City. Sapeva di correre un rischio grosso chiedendo questo genere di cose, ma voleva capirci di più. La sua non era curiosità, era solo volontà di aiutare quello che ormai considerava quasi come un fratello.
« Ricordi che non devono tornare a galla. » Replicò, in maniera piatta e quasi incolore, Oliver Queen. Avrebbe avuto tante cose da dire su quel magazzino, per il suo contenuto. Ma non riusciva mai ad aprirsi su suo padre, su ciò che quella nave aveva rappresentato per lui. L’isola l’aveva certamente rafforzato, l’aveva cambiato radicalmente, ma era anche vero che quello era stato un periodo orribile della sua vita. Cinque anni di inferno, cinque anni che avrebbe volentieri evitato. Cinque anni in cui l’oscurità aveva trovato la chiave d’accesso per entrare dentro di sé. No, non avrebbe mai potuto parlarne, almeno non ora. Era troppo presto. Forse nemmeno tra dieci anni sarebbe stato il momento giusto. Certo, aveva iniziato a raccontare qualcosa sia a Diggle che a Felicity, ma niente di serio, niente che dicesse davvero tutto il dolore, fisico e mentale, che aveva provato durante quegli anni e di cui portava i segni tuttora indelebili sul corpo: quelle cicatrici che l’avrebbero segnato per sempre, ricordandogli dove fosse stato e chi fosse diventato.
Trascorsero altri venti minuti circa, forse qualcosa in più, e l’automobile di John si fermò poco distante dalla costruzione abbandonata dentro cui era stato trasportato tutto l’essenziale per la squadra di Arrow. I due uomini non parlavano più, probabilmente era il silenzio a parlare per loro. Diggle ci sarebbe sempre stato per Oliver, ma sapeva bene quando era il momento di tacere e di lasciargli spazio. Cosa che, invece, Roy Harper non aveva ancora imparato perfettamente. Il ragazzo più giovane stava arrivando proprio di fronte a loro, con la solita faccia scura e imbronciata.
« Vi stavo aspettando. » Non ricevette alcuna risposta, se non una pacca sulla spalla da John Diggle. Quello era uno dei segnali che implicava l’assoluto silenzio, perché Ollie non era di buon umore, anche se negli ultimi giorni quella era diventata una tradizione ormai. I tre entrarono silenziosamente all’interno del covo, percorrendo i corridoi che portavano nel seminterrato. Il Vigilante, tuttavia, si fermò per qualche istante davanti alla porta. C’era qualcosa che non quadrava.
« Beh? » Era ancora Roy, l’irrequieto, l’impertinente, l’impaziente Roy a parlare, con quella sua felpa rossa che raccontava perfettamente il fuoco che aveva dentro. Si scorse appena per cercare di capire che cosa ci fosse di strano, ma anche lui dovette subito ritrattare i suoi pensieri. Non era stato il cattivo umore di Oliver a farlo fermare di fronte all’ingresso, ma la porta stessa, che era ancora semiaperta.
« Sono certo di averla chiusa. » Affermò fermamente Ollie, guardando i suoi due compagni. Diggle si fece subito avanti, inserendosi tra i due più giovani e andando subito verso l’ingresso, entrando con prudenza e circospezione. Ma non vi era nessuno all’interno, nulla che potesse far pensare ad un furto con scasso o ad un intrusione. Tutto era in ordine.. salvo la sedia di Felicity, che era a terra, rovesciata. Oliver e Roy entrarono subito dopo, notando le medesime cose notate poco prima da John. Non appena l’ex miliardario si avvicinò agli schermi notò un biglietto rosso, un biglietto che non lasciava più alcun dubbio rispetto a cosa fosse successo.
La tua Felicity ora ce l’ho io.” Ollie deglutì, sentendo un forte mal di testa cominciare a propagarsi sulla sua fronte. Passò il biglietto a John, facendolo quindi leggere anche ai suoi due amici. Il silenzio ora regnava assolutamente sovrano, sembrava addirittura essere arrivato il gelo. Per la prima volta, nessuno aveva il coraggio di dire qualcosa, nemmeno Roy. Solo Ollie fece un gesto di nervosismo, prendendo uno degli schermi dei computer e lanciandolo contro la porta, la stessa porta che era rimasta aperta. Il rumore echeggiò all’interno della stanza, prendendo il posto delle solari battute che era solita fare Felicity Smoak.

 
 

Avevo già preannunciato qualcosa a qualcuno, ma ecco qui che la mia fantasia diventa realtà. Una sorta di "prequel" della mia precedente fanfiction, prendendo come spunto il rapimento di cui si è parlato proprio in quella One Shot. Questa volta, però, ho voluto farne una Long Fiction, semplicemente perchè credo di dover approfondire molto di più questa storyline e vedere dove mi porterà. 
Per me è la prima volta che tento una cosa del genere, perciò spero che sia comunque piacevole da leggere.
Un saluto a tutti!
  
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