Salve!
Eccomi di nuovo in una fic un po’ strana e un po’
triste, con come protagonista
Misa.
Idea
balzana che mi è venuta alle 2 di notte l’altra
sera XD
Spero
vi piaccia. [La quantità enorme e ripetitiva di Light
è voluta, quindi
non spaventatevi XD]
Buona
lettura ^^
Night
God Moon
“Light…
Light…”
Grande
camera. Nera, sommersa nel più totale e pietrificante buio,
se non fosse stato
per la pochissima luce che infondevano le stelle e la luna dalle
finestre,
insieme ai lampioni di strada.
L’unico
rumore che si sentiva, oltre a quello del traffico di Tokyo, era una
voce
femminea e morbida, poco più che un vago e lamentoso
sussurro.
La
ragazza dormiva, il viso pallido corrucciato in un’aria
preoccupata, un’indefinibile
smorfia di tristezza disegnata limpidamente sulle sottili labbra rosee.
Forse
era solo uno stupido incubo, ad angosciarla tanto.
O
forse no.
“Light…
ti amo, Light…”
Era
malinconica, la ragazza. Le parole, altrimenti dolci che pronunciava,
erano
dette in modo nostalgico e debole, quasi più per
autoconvinzione che altro. Nonostante
la sua perenne energia e l’immancabile ottimismo che ogni
giorno metteva in
bella mostra, dovuto probabilmente alla sua troppa
ingenuità, era triste.
Perché
era triste, la piccola?
Era
notte tarda, già. La sveglia di metallo appoggiata al
comodino lì accanto
lampeggiava con evidenza le 4 del mattino, e fuori si vedeva una lastra
color
pece che colorava il cielo.
E
la casa, quel bel appartamento moderno di centro città, era
vuota e silenziosa.
Beh,
non proprio vuota. C’era lei, la proprietaria
dell’abitazione.
Che,
come ogni altra persona a quell’ora di notte, dormiva
serenamente.
“Light…”
Più
o meno.
Era
agitata, la poverina.
Chissà
cosa stava sognando?
Alla
pallida luce della luna, che filtrava oltre le grandi vetrate sulla
parete
della stanza, si poteva soltanto vedere che aveva un’aria
rammaricata.
Una
visione molto, molto spiacevole. Così giovane,
così bella…
“Light!!”
I
grandi occhi azzurri, cerchiati di un pesante trucco nero ormai colato,
si
aprirono di soprassalto, in seguito ad un urlo spaventato.
Aveva
urlato, sì, svegliandosi dal sonno. Aveva urlato forte.
La
ragazza alzò di scatto la testa che sprofondava nei morbidi
cuscini di cotone,
trascinandosi con sé lunghi ciuffi di lisci capelli biondi.
Il
suo respiro era irregolare, furioso, spaventato e velocissimo in
seguito al
brutto sogno che sicuramente aveva fatto. Anche le iridi accese e
intimidite ne
erano la prova .
Le
minute mani lattee, tipicamente giapponesi, tremavano quasi, appoggiate
al
petto che batteva all’impazzata; poi, con disarmante
velocità, con la mano
destra andò a tastare la parte del materasso accanto alla
sua. E si stupì, la
poveretta, a scoprire che era vuota.
Guardò
vicino a sé.
Nulla,
non c’era nessuno. Non c’era lì il suo
Light.
Il
grande letto matrimoniale che troneggiava nella camera era vuoto, il
posto dove
di solito dormiva il suo ragazzo era freddo.
“Dove
sei, Light?”
Quelle
parole uscirono lente e deboli dalla bocca, così sottili e
tristi da star male.
Ma
nessuno rispose alla ragazza.
“Misa
vuole il suo Light… Vieni fuori…” disse
ancora, meno convinta.
La
sua voce infantile, solitamente acuta e trillante, ora risuonava
fragile e mesta
tra le mura della stanza. Gli occhi oltremare brillavano, illuminati
dai fiochi
bagliori lunari.
No,
lì Light non c’era.
Era
sola, sperduta e spaesata come una bambina durante un temporale.
Spasmodicamente,
si alzò dal letto per mettersi in piedi. La corta gonna nera
della camicia da
notte dondolava da una parte all’altra, seguendo il muoversi
frenetico del
corpo di lei, che impaziente si dimenava, impaurito.
“Forse
Light è in bagno… o in
cucina…” mormorò piano, muovendo
piccoli passi verso l’uscita
della grande camera, che ai suoi occhi si faceva sempre più
spaziosa e cupa.
“…Forse
Light vuole fare uno scherzo a Misa, perché la vuole fare
sorridere…”
Era
scoraggiata, la ragazza. Triste, e assolutamente incapace di pensare ad
una
soluzione, e al perché avesse tanta paura.
Dopotutto,
quella era casa sua, non del suo ragazzo. Se lui non era lì,
non c’era nulla di
strano…
“Com’è
premuroso, Light… Però Misa non sorride,
perché Misa ha paura…”
Si,
aveva paura. Tanta.
Non
per il fatto di essere da sola, ma perché accanto a
sé non c’era l’uomo che
voleva. Anche in mezzo ad un miliardo di persone la ragazza si sarebbe
sentita
sola, se quel miliardo non comprendeva il suo Light.
“Light…
sei di là?” domandò esitante alla casa,
pregando disperatamente che le
giungesse una risposta da quella bella voce profonda e calda che tanto
amava.
Aspettò.
Eccome,
se aspettò.
Ma
la risposta non giunse, e nessuno entrò in quella camera, di
ritorno da una
delle altre stanze. Era proprio sola, in quell’appartamento
troppo grande e
buio da affrontare, in una notte così.
Le
labbra, rosee e perfette, tremavano impercettibilmente.
I
piccoli piedi scalzi, man mano sempre più veloci, superarono
la porta di legno
d’ebano, andando
a perlustrare una sala
dopo l’altra, tutte quelle che l’abitazione poteva
contenere.
Light
non c’era.
Light
non era in salotto, non era in cucina, non era in bagno, né
in terrazza. Light
non era nello studio o in sgabuzzino. E soprattutto, Light non era in
camera da
letto.
“Light…”
Lo
mormorò. Mormorò ancora il suo nome.
“Light…Light…Light…”
Era
bello, quel nome. Le piaceva tanto, o si.
Ricordò
che la prima volta che lo lesse lo pronunciò sbagliato,
perché si scriveva con
il kanji ‘luna’. Che bello… poetico,
quasi.
Yagami
Light..
Notte
Dio Luna.
Nome
splendido.
Esisteva
in quel pianeta un modo di chiamarsi più soave e dolce?
No,
la ragazza trovò la cosa impossibile. Nessuno aveva un nome
più bello di Light,
nessuno era migliore di Light.
Il
suo Dio. La sua Notte. La sua Luna.
Però,
non bastava pronunciare un nome perché i suoi desideri si
avverassero.
E
infatti, per quanto avesse passato un’intera nottata a
mormorare quelle
splendide e tenebrose sillabe, il suo ragazzo non era accanto a lei,
dicendole
che sarebbe andato tutto bene, che l’amava, che non
l’avrebbe mai lasciata da
sola.
Perché
lei era sola.
Quasi
le veniva da piangere, ma si tratteneva. Non doveva, doveva essere
forte.
Alla
fine della sua perlustrazione per la casa, la ragazza tornò
in camera da letto,
rassegnata.
Light
non era lì.
E
dov’era, allora?
“Light…
dove sei? Eri con Misa prima di addormentarti… Misa ti aveva
chiesto se volevi
fare l’amore con lei, ma tu avevi risposto che sta sera avevi
mal di testa,
così sei venuto a letto presto... Se stavi male, dove puoi
essere?”
In
fretta, la mente della ragazza si affollò di mille delle
cose che potevano
essergli capitate.
Forse
era all’ospedale.
Forse.
Forse
papà aveva avuto un altro infarto.
Forse.
Forse
era stato male, e non era semplice mal di testa.
Forse.
“No,
non può essere! Light, dimmi che non ti è
successo niente!” urlò la poverina,
coprendosi gli occhi con le dita. Piccole lacrime compatte si formarono
ai
bordi degli occhioni blu, prima di venir asciugate dalla consapevolezza
che se
fosse accaduta una cosa del genere, lei lo avrebbe certamente sentito,
e si
sarebbe svegliata.
O
comunque, qualcuno avrebbe svegliato lei.
“Si,
Light, tu stai di sicuro bene!” disse forte,
autoconvincendosi da sola,
imitando nel proprio sguardo una sicurezza che non aveva mai raggiunto
in vita
sua, e che di certo non era adatta a lei. Ma ci voleva un po’
di forza, o
almeno credere di averla, per affrontare quella paura.
“Provo
a chiamarti, si! Sono sicura che mi risponderai, che mi spiegherai
tutto e io
capirò benissimo! Io ti amo, Light!”
Si
guardò attorno, correndo velocemente per la camera alla
ricerca del suo
cellulare.
E
finalmente vide un telefono, appoggiato al comodino. Un telefonino nero.
Ma
non era il suo.
Oh,
no. Non era il suo.
Era
quello di Light, quello.
“Hai
lasciato qui il telefono, Light!” esclamò la
ragazza. “Ora come faccio a
chiamarti?”
Corse
vicino al mobiletto dove, immobile, era appoggiato il piccolo cellulare
pece
del suo ragazzo.
Esitante,
lo prese tra le mani, maneggiandolo con attenzione. Lo aprì,
e il minischermo
colorato si illuminò, accecando per un istante i suoi occhi
ormai abituati al
buio.
Si
accomodò sedendosi al bordo del materasso.
Una
notifica lampeggiava allarmata, in attesa di essere letta.
8
chiamate senza risposta. Ore 02.14 am.
Mittente:
Ryuzaki.
“Ryuzaki?”
sillabò debolmente, un po’ stupita.
E
un ultimo messaggio, l’ultimo stato aperto e letto.
La
ragazza, curiosa, lo aprì.
“Per
favore, vieni qui. Ho bisogno
di te, ti supplico.”
Destinatario:
Light Yagami.
Mittente:
Ryuzaki.
Ore
02.37 am.
Rimase
perplessa, lei, leggendo quelle parole.
E
triste, molto triste.
Light
non c’era. Il suo Light non c’era… per
un messaggio di L.
Di
cosa aveva bisogno L, dal suo Light, a
quell’ora di notte?
“Light
è andato al Quartier Generale da Ryuzaki.”
Sospirò,
malinconica, la ragazza.
Chinò
il capo, lasciando che la lunga frangia bionda le andasse a coprire gli
occhi
socchiusi, tra le dita ancora il piccolo telefonino scuro.
Era
sola, completamente sola, in quei attimi tristi.
Il
suo Light non c’era, il suo amore non era lì con
lei… perché qualcuno glielo
aveva rubato, glielo aveva portato via.
Sarebbe
dovuta rimanere sempre sola, guardando L prendersi il suo
Light…
Cosa
provava, la poveretta, in quel momento?
Tristezza?
Amarezza? Sconforto?
Probabilmente
ognuna di quelle sensazioni.
Così
diceva la piccola lacrima solitaria che le rigava la guancia destra, e
scendeva
veloce, giù giù per il mento… fino al
collo chiaro e sottile, dove sentiva un
dolorante nodo proprio nella metà.
“Light
è andato a lavorare, a risolvere il
caso Kira…” sussurrò.
Le
parole le uscivano dalle labbra da sole, dette quasi con
serenità, nonostante
fossero intrise di pianto.
Eppure,
aveva ancora la forza di fare un debole, tirato sorriso ingenuo.
Questo
era successo.
“Ne
sono sicura. E’ andato lì per lavorare sul
caso.”
La
piccola lacrima si frantumò bagnandole il collo.
“Si,
Light sta lavorando. Light sta lavorando…”
Dischiuse
le palpebre, sorridendo mesta.
“Il
mio Light…”
.Notte
Dio Luna.