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Autore: Frecchan    14/09/2008    4 recensioni
"Light... dove sei?...Light?"
Light.
Era bello, quel nome. Le piaceva tanto, o si.
Ricordò che la prima volta che lo lesse lo pronunciò sbagliato, perché si scriveva con il kanji ‘luna’. Che bello… poetico, quasi.
Yagami Light..
Notte Dio Luna.
Dov'era il suo Dio, quella sera?
[Misa]
[yaoi implicito]
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Misa Amane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Eccomi di nuovo in una fic un po’ strana e un po’ triste, con come protagonista Misa.
Idea balzana che mi è venuta alle 2 di notte l’altra sera XD
Spero vi piaccia. [La quantità enorme e ripetitiva di Light è voluta, quindi non spaventatevi XD]
Buona lettura ^^

Night God Moon

“Light… Light…”

Grande camera. Nera, sommersa nel più totale e pietrificante buio, se non fosse stato per la pochissima luce che infondevano le stelle e la luna dalle finestre, insieme ai lampioni di strada.

L’unico rumore che si sentiva, oltre a quello del traffico di Tokyo, era una voce femminea e morbida, poco più che un vago e lamentoso sussurro.

La ragazza dormiva, il viso pallido corrucciato in un’aria preoccupata, un’indefinibile smorfia di tristezza disegnata limpidamente sulle sottili labbra rosee.

Forse era solo uno stupido incubo, ad angosciarla tanto.

O forse no.

“Light… ti amo, Light…”

Era malinconica, la ragazza. Le parole, altrimenti dolci che pronunciava, erano dette in modo nostalgico e debole, quasi più per autoconvinzione che altro. Nonostante la sua perenne energia e l’immancabile ottimismo che ogni giorno metteva in bella mostra, dovuto probabilmente alla sua troppa ingenuità, era triste.

Perché era triste, la piccola?

Era notte tarda, già. La sveglia di metallo appoggiata al comodino lì accanto lampeggiava con evidenza le 4 del mattino, e fuori si vedeva una lastra color pece che colorava il cielo.

E la casa, quel bel appartamento moderno di centro città, era vuota e silenziosa.

Beh, non proprio vuota. C’era lei, la proprietaria dell’abitazione.

Che, come ogni altra persona a quell’ora di notte, dormiva serenamente.

“Light…”

Più o meno.

Era agitata, la poverina.

Chissà cosa stava sognando?

Alla pallida luce della luna, che filtrava oltre le grandi vetrate sulla parete della stanza, si poteva soltanto vedere che aveva un’aria rammaricata.

Una visione molto, molto spiacevole. Così giovane, così bella…

“Light!!”

I grandi occhi azzurri, cerchiati di un pesante trucco nero ormai colato, si aprirono di soprassalto, in seguito ad un urlo spaventato.

Aveva urlato, sì, svegliandosi dal sonno. Aveva urlato forte.

La ragazza alzò di scatto la testa che sprofondava nei morbidi cuscini di cotone, trascinandosi con sé lunghi ciuffi di lisci capelli biondi.

Il suo respiro era irregolare, furioso, spaventato e velocissimo in seguito al brutto sogno che sicuramente aveva fatto. Anche le iridi accese e intimidite ne erano la prova .

Le minute mani lattee, tipicamente giapponesi, tremavano quasi, appoggiate al petto che batteva all’impazzata; poi, con disarmante velocità, con la mano destra andò a tastare la parte del materasso accanto alla sua. E si stupì, la poveretta, a scoprire che era vuota.

Guardò vicino a sé.

Nulla, non c’era nessuno. Non c’era lì il suo Light.

Il grande letto matrimoniale che troneggiava nella camera era vuoto, il posto dove di solito dormiva il suo ragazzo era freddo.

“Dove sei, Light?”

Quelle parole uscirono lente e deboli dalla bocca, così sottili e tristi da star male.

Ma nessuno rispose alla ragazza.

“Misa vuole il suo Light… Vieni fuori…” disse ancora, meno convinta.

La sua voce infantile, solitamente acuta e trillante, ora risuonava fragile e mesta tra le mura della stanza. Gli occhi oltremare brillavano, illuminati dai fiochi bagliori lunari.

No, lì Light non c’era.

Era sola, sperduta e spaesata come una bambina durante un temporale.

Spasmodicamente, si alzò dal letto per mettersi in piedi. La corta gonna nera della camicia da notte dondolava da una parte all’altra, seguendo il muoversi frenetico del corpo di lei, che impaziente si dimenava, impaurito.

“Forse Light è in bagno… o in cucina…” mormorò piano, muovendo piccoli passi verso l’uscita della grande camera, che ai suoi occhi si faceva sempre più spaziosa e cupa.

“…Forse Light vuole fare uno scherzo a Misa, perché la vuole fare sorridere…”

Era scoraggiata, la ragazza. Triste, e assolutamente incapace di pensare ad una soluzione, e al perché avesse tanta paura.

Dopotutto, quella era casa sua, non del suo ragazzo. Se lui non era lì, non c’era nulla di strano…

“Com’è premuroso, Light… Però Misa non sorride, perché Misa ha paura…”

Si, aveva paura. Tanta.

Non per il fatto di essere da sola, ma perché accanto a sé non c’era l’uomo che voleva. Anche in mezzo ad un miliardo di persone la ragazza si sarebbe sentita sola, se quel miliardo non comprendeva il suo Light.

“Light… sei di là?” domandò esitante alla casa, pregando disperatamente che le giungesse una risposta da quella bella voce profonda e calda che tanto amava.

Aspettò.

Eccome, se aspettò.

Ma la risposta non giunse, e nessuno entrò in quella camera, di ritorno da una delle altre stanze. Era proprio sola, in quell’appartamento troppo grande e buio da affrontare, in una notte così.

Le labbra, rosee e perfette, tremavano impercettibilmente.

I piccoli piedi scalzi, man mano sempre più veloci, superarono la porta di legno d’ebano, andando a perlustrare una sala dopo l’altra, tutte quelle che l’abitazione poteva contenere.

Light non c’era.

Light non era in salotto, non era in cucina, non era in bagno, né in terrazza. Light non era nello studio o in sgabuzzino. E soprattutto, Light non era in camera da letto.

“Light…”

Lo mormorò. Mormorò ancora il suo nome.

“Light…Light…Light…”

Era bello, quel nome. Le piaceva tanto, o si.

Ricordò che la prima volta che lo lesse lo pronunciò sbagliato, perché si scriveva con il kanji ‘luna’. Che bello… poetico, quasi.

Yagami Light..

Notte Dio Luna.

Nome splendido.

Esisteva in quel pianeta un modo di chiamarsi più soave e dolce?

No, la ragazza trovò la cosa impossibile. Nessuno aveva un nome più bello di Light, nessuno era migliore di Light.

Il suo Dio. La sua Notte. La sua Luna.

Però, non bastava pronunciare un nome perché i suoi desideri si avverassero.

E infatti, per quanto avesse passato un’intera nottata a mormorare quelle splendide e tenebrose sillabe, il suo ragazzo non era accanto a lei, dicendole che sarebbe andato tutto bene, che l’amava, che non l’avrebbe mai lasciata da sola.

Perché lei era sola.

Quasi le veniva da piangere, ma si tratteneva. Non doveva, doveva essere forte.

Alla fine della sua perlustrazione per la casa, la ragazza tornò in camera da letto, rassegnata.

Light non era lì.

E dov’era, allora?

“Light… dove sei? Eri con Misa prima di addormentarti… Misa ti aveva chiesto se volevi fare l’amore con lei, ma tu avevi risposto che sta sera avevi mal di testa, così sei venuto a letto presto... Se stavi male, dove puoi essere?”

In fretta, la mente della ragazza si affollò di mille delle cose che potevano essergli capitate.

Forse era all’ospedale.

Forse.

Forse papà aveva avuto un altro infarto.

Forse.

Forse era stato male, e non era semplice mal di testa.

Forse.

“No, non può essere! Light, dimmi che non ti è successo niente!” urlò la poverina, coprendosi gli occhi con le dita. Piccole lacrime compatte si formarono ai bordi degli occhioni blu, prima di venir asciugate dalla consapevolezza che se fosse accaduta una cosa del genere, lei lo avrebbe certamente sentito, e si sarebbe svegliata.

O comunque, qualcuno avrebbe svegliato lei.

“Si, Light, tu stai di sicuro bene!” disse forte, autoconvincendosi da sola, imitando nel proprio sguardo una sicurezza che non aveva mai raggiunto in vita sua, e che di certo non era adatta a lei. Ma ci voleva un po’ di forza, o almeno credere di averla, per affrontare quella paura.

“Provo a chiamarti, si! Sono sicura che mi risponderai, che mi spiegherai tutto e io capirò benissimo! Io ti amo, Light!”

Si guardò attorno, correndo velocemente per la camera alla ricerca del suo cellulare.

E finalmente vide un telefono, appoggiato al comodino. Un telefonino nero.

Ma non era il suo.

Oh, no. Non era il suo.

Era quello di Light, quello.

“Hai lasciato qui il telefono, Light!” esclamò la ragazza. “Ora come faccio a chiamarti?”

Corse vicino al mobiletto dove, immobile, era appoggiato il piccolo cellulare pece del suo ragazzo.

Esitante, lo prese tra le mani, maneggiandolo con attenzione. Lo aprì, e il minischermo colorato si illuminò, accecando per un istante i suoi occhi ormai abituati al buio.

Si accomodò sedendosi al bordo del materasso.

Una notifica lampeggiava allarmata, in attesa di essere letta.

8 chiamate senza risposta. Ore 02.14 am.

Mittente: Ryuzaki.

“Ryuzaki?” sillabò debolmente, un po’ stupita.

E un ultimo messaggio, l’ultimo stato aperto e letto.

La ragazza, curiosa, lo aprì.

Per favore, vieni qui. Ho bisogno di te, ti supplico.”

Destinatario: Light Yagami.

Mittente: Ryuzaki.

Ore 02.37 am.

Rimase perplessa, lei, leggendo quelle parole.

E triste, molto triste.

Light non c’era. Il suo Light non c’era… per un messaggio di L.

Di cosa aveva bisogno L, dal suo Light, a quell’ora di notte?

“Light è andato al Quartier Generale da Ryuzaki.”

Sospirò, malinconica, la ragazza.

Chinò il capo, lasciando che la lunga frangia bionda le andasse a coprire gli occhi socchiusi, tra le dita ancora il piccolo telefonino scuro.

Era sola, completamente sola, in quei attimi tristi.

Il suo Light non c’era, il suo amore non era lì con lei… perché qualcuno glielo aveva rubato, glielo aveva portato via.

Sarebbe dovuta rimanere sempre sola, guardando L prendersi il suo Light…

Cosa provava, la poveretta, in quel momento?

Tristezza? Amarezza? Sconforto?

Probabilmente ognuna di quelle sensazioni.

Così diceva la piccola lacrima solitaria che le rigava la guancia destra, e scendeva veloce, giù giù per il mento… fino al collo chiaro e sottile, dove sentiva un dolorante nodo proprio nella metà.

“Light è andato a lavorare, a risolvere il caso Kira…” sussurrò.

Le parole le uscivano dalle labbra da sole, dette quasi con serenità, nonostante fossero intrise di pianto.

Eppure, aveva ancora la forza di fare un debole, tirato sorriso ingenuo.

Questo era successo.

“Ne sono sicura. E’ andato lì per lavorare sul caso.”

La piccola lacrima si frantumò bagnandole il collo.

“Si, Light sta lavorando. Light sta lavorando…”

Dischiuse le palpebre, sorridendo mesta.

“Il mio Light…”

.Notte Dio Luna.

  
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