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Autore: Lilium125    14/08/2014    6 recensioni
E' la prima e vera fanfic che scrivo, sono un po' agitata, ma eccomi qui. Ho preso coraggio e ho voluto scrivere una storia riguardante uno dei miei racconti preferiti: Peter Pan.
In questa fic non mi riferisco al film, al cartone animato o quant'altro, mi sono limitata ad utilizzare il mondo e l'universo già esistenti e i nomi...
Questo primo capitolo è stato un po' una prova, per cui è un po' corto. Spero vi piaccia la mia versione!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si sbatté la porta alle spalle, furente, urlando imprecazioni e stringendo i pugni. Si avventò sul letto, afferrò i cuscini e cominciò a prenderli a pugni, a morsi, gridando più forte che poteva, la voce ovattata da quei soffici cuscini che a poco a poco stavano perdendo l'imbottitura di piume. Affannata, esausta per lo sfogo, si lasciò cadere sul materasso ormai completamente sfatto.

Non era giusto, non era assolutamente giusto. Un ombra sulle tende della sua stanza attirò la sua attenzione, e sembrava prendersi gioco di lei. Le faceva 'ciao' con la mano e la ragazzina si morse le labbra e chiuse gli occhi, per non esplodere di nuovo dalla rabbia: era ancora lì, non poteva essere la sua fantasia, non poteva essere tutto frutto della sua mente. Quell'ombra esisteva davvero, perché non volevano crederle?

La prima volta che raccontò ai suoi genitori cosa succedeva di notte, quando le uniche luci nella sua cameretta erano quelle dei lampioni sulla strada, la guardarono straniti. Liliam aveva giurato che c'era un'ombra dalle sembianze umane che, a differenza delle altre, si muoveva, vagava per la stanza e a volte si avvicinava a lei.

La notte a volte fa brutti scherzi, Lily. E anche il sonno. Non pensarci più, tesoro”

Ma non poteva trattarsi del sonno, della notte, di tutte quelle sciocchezze. L'ombra continuò a presentarsi saltuariamente, capitò anche alcune notti di seguito. Ma in quel momento, dopo la terribile litigata con i suoi genitori nel pomeriggio, Liliam non aveva assolutamente voglia di vederla, soprattutto a prendersi gioco di lei.

Io e tua madre ne abbiamo discusso a lungo, tesoro, ed abbiamo deciso che forse dovresti parlare di questa 'ombra' a questo signore... vedi, parla con molti ragazzi e saprà sicuramente darci delle risposte. Cosa ne dici?”

Ad un medico! Avevano chiamato uno psichiatra per farla curare! Credevano fosse pazza! Lily emise un gemito per trattenere un altro urlo, afferrò il cuscino che aveva morso prima e lo lanciò contro l'ombra, che si scansò abilmente.

« Cosa diavolo vuoi da me? Perché IO? » sbottò contro il profilo nero che immediatamente s'infilò sotto la finestra e d'istinto Liliam corse ad aprirla per affacciarsi. Guardò di sotto, ma non c'era nulla, solo lo squallido giardino spoglio e scuro. Si voltò a guardare sul cornicione a destra e a sinistra, ma di nuovo l'ombra non c'era. Eppure si sentiva osservata. Lentamente rientrò nella sua stanza, il pavimento coperto di piume e lenzuola. Si distese sul letto, respirando piano. Era troppo stanca per continuare a pensarci, era esausta e sapeva che la notte dopo, sicuramente, la radice di tutti i suoi problemi sarebbe ritornata.

Chiuse gli occhi, quando sentì parlare piano, in lontananza. Trattenne il respiro per sentire meglio, e il cuore le impazzì in petto quando si accorse che la voce non era quella dei suoi genitori. Si alzò di scatto e cercò di capire da dove provenisse, si concentrò e sembrava venire dal piano superiore.

Aprì piano la porta, camminando a piedi nudi per non far rumore e si fermò di nuovo, un brivido gelido che le percorse lungo la schiena. Non esisteva un piano di sopra, e nemmeno la soffitta.

C'era solo una piccola mansarda usata come ripostiglio dove Liliam si nascondeva da bambina, ma ormai da anni nessuno ci entrava più. Attraversò il corridoio lentamente, in punta di piedi sulle piastrelle fredde, tendendo le orecchie per sentire ancora quella voce e cercare di capire cosa dicesse. Salì la piccola rampa di scale e si fermò di fronte alla porta, tendendo le orecchie il più possibile, poggiandosi con la guancia sul legno freddo.

« Non credi che possa bastare? Sta piangendo, forse non è giusto... dici? Dovrei chiederle scusa? IO? Sei tu che l'hai fatta piangere e... » la voce si ridusse a poco più di un sussurro « E poi come diavolo le spiego che tu sei la mia ombra? »

Liliam si morse ancora la lingua per non farsi scappare un gemito di sorpresa. Voleva entrare nella stanza e scoprire chi fosse a parlare, un ragazzo sicuramente più grande di lei dalla voce, ma voleva anche continuare ad ascoltare, a capire cosa stesse succedendo. Schiacciò più forte l'orecchio contro la porta.

« Non so... non credo sia una buona idea. Probabilmente hai ragione, ma non ne vale la pena, non è lei che cerchiamo. Sono settimane che... sì lo so, corrisponde alla descrizione, però... andiamo, per una volta stai dalla mia parte! » ci fu un silenzio pensante, che a Liliam sembrò infinito, poi un sospiro e non sentì più parlare. Non sapendo cosa fare, attese, speranzosa di qualche altra parola che le desse risposte e non solo domande. Ancora silenzio.

Prese fiato e cercò di aprire la porta più silenziosamente possibile, fortunatamente non fu tradita da alcun cigolio: la schiuse appena, quel tanto che le bastava per intravedere nella stanza. C'era effettivamente un ragazzo, magro, seduto un po' ingobbito e coi capelli arruffati. Era alto, stava voltato di spalle e non si era accorto della porta che si era aperta. Guardava fuori dalla finestra della piccola mansarda, accanto a lui l'ombra che aveva tanto tormentato Liliam, le fece salire un moto di rabbia che riuscì a reprimere a stento. Cosa doveva fare? Entrare o andare ad avvertire i suoi genitori?

"L'ultima volta che hai parlato ai tuoi genitori, ti hanno creduto pazza, hanno chiamato un medico!" le disse una vocina nella sua testa. Presa ancora dalla collera, spalancò la porta. In un attimo il ragazzo si voltò e l'ombra si nascose dietro di lui, che si alzò di scatto.

« Chi sei? » domandò subito Liliam, parandosi avanti alla porta, come se il suo esile corpo potesse bloccare quello alto e forte dello sconosciuto. Questi guardandola si irrigidì, cercando con gli occhi una via di fuga: si voltò verso la finestra, si arrampicò sul davanzale, pronto a saltare di sotto.

« Codardo! » gridò istintivamente Liliam, già con le lacrime agli occhi, la mente colma di domande e il cuore straripante di sentimenti. Lo sconosciuto, che si stava per lanciare, si fermò di botto e la guardò, evidentemente seccato per l'epiteto che si era appena guadagnato.

« Come hai detto? »

La gola di Liliam si seccò, il ragazzo aveva occhi profondi e grandi, un'espressione greve illuminata appena dalla luce della luna. Le si avvicinava piano, ma nonostante la paura Liliam si costrinse a non arretrare. Deglutì.

« Ti ho chiamato codardo » esalò senza fiato, eppure non distoglieva lo sguardo dai suoi occhi, cosa che le costava una gran fatica.

« Ti ho chiamato codardo... » riprese quando lo sconosciuto non continuava. « Perché mi perseguiti da giorni, forse da settimane ormai, e ora tu... » la frase le morì tra le labbra, quando il giovane, con pochi rapidi passi, spazzò la distanza tra loro, l'ombra sempre alle calcagna.

« E ora io fuggo via? E' questo che vuoi dire? » si avvicinò così tanto a Liliam che lei fu obbligata ad indietreggiare appena, continuò a guardarlo negli occhi con sfida, ma non trovò il coraggio di rispondere o di annuire. Lui la guardò intensamente negli occhi, prima di allontanarsi a sua volta.

« Bene. Ombra, credo che abbiamo trovato ciò che cercavamo » in risposta, ci fu un sibilo, come un soffio di vento e il giovane ghignò.

« Avevi ragione, sì, ma ora non farla troppo lunga » afferrò Liliam per un polso e subito le coprì la bocca con la mano: presa dal panico, cercò di dimenarsi, di mordergli la mano, di tirare calci, ma niente, era troppo forte per lei. La trascinò verso la finestra, la strinse forte e con un salto salì sul davanzale, lottando con Liliam per far salire anche lei.

« Non costringermi... a usare le maniere... forti » annaspò il giovane, mentre la tirava sul bordo della finestra. Lei, in un ultimo disperato gesto, cercò di spingerlo via, ma lui la trascinò con sé giù, verso il giardino nero.

   
 
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