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Autore: Gmergots    14/08/2014    0 recensioni
Ancora una volta amore, avventura, coraggio e giustizia sono le parole-chiave, nonché i temi dominanti di una storia che ha come protagonista una "eroina".
"-Io non voglio andarmene! - mi sforzo di non piangere, ma devo mettercela veramente tutta.
- Immaginavamo che avresti reagito in questo modo. È per questo che non te ne avevamo ancora parlato, stavamo solo aspettando il momento giusto. Dobbiamo andarcene, Bessie –
Ritraggo le mani, facendole scivolare sotto quelle ruvide e callose dello zio e mi alzo da tavola correndo in camera. Mi lancio sul mio letto lasciando sbattere la porta e sfogo le lacrime che ormai non sarei più riuscita a trattenere. Pensano che sia una bambina? Che non sia in grado di ragionare? Mi rigiro su un fianco asciugando il viso sulla piega del lenzuolo. Si aspettavano che non sarei stata d'accordo e hanno ben pensato di fare tutto loro. Comunque sia, io non me ne voglio andare e non me ne andrò; non mi interessa se l'esercito verrà anche qua, potrebbe essere solo che una fortuna per me e per loro. Non ho paura, né intenzione di arrendermi."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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C’è una grossa quercia al centro del prato, intorno tutto il bosco. L’aria è pulita, fresca, leggera. È una sensazione piacevole, tolto il terriccio bagnato che si appiccica alle suole. I raggi del sole svelano pozzanghere nascoste qua e là fra l’erba rendendole specchi di luce. Se non fosse per queste, stenterei a credere alla pioggia di stanotte. È incredibile come sia sufficiente un po' di sole per dimenticare un temporale. In ogni modo i segni, quelli restano. Mi avvicino al grande albero in via di spoliazione che sempre mi accoglie sotto le sue fronde come se fossi un piccolo uccellino da proteggere. Da qui sotto divento padrona di tutto questo meraviglioso piccolo mondo. In primavera si riempie di fiori bianchi; ne raccoglievo dozzine di mazzolini e li portavo a mia madre. Adorava i fiori ed erano forse l'unica cosa in grado di farla sorridere, per questo glieli portavo. È difficile da spiegare ma, anche quando era ancora in vita, erano rari i momenti in cui potevo sentire pienamente la sua presenza, d'altronde sembrava che nessuno potesse. Era come se vivesse in un'altra dimensione in cui consumava un'inspiegabile infinita tristezza. Quando le portavo quei fiori, solo allora sembrava realmente viva, potevo sentirla davvero. Purtroppo erano momenti molto brevi, poi chiudeva gli occhi e inspirava quanto più riusciva il loro profumo, quasi volesse trasferire quella poca vita dentro di sé; mi ha portato a chiedermi se l'essenza vitale possa essere considerata un'energia trasferibile, sì, insomma se sia veramente possibile cederne parte della propria ad un altro essere vivente. Io credo di sì ma, un po' come per le trasfusioni di sangue in cui è indispensabile avere lo stesso gruppo sanguigno, deve esserci una certa compatibilità. La vita di mia madre e quella di quei fiori erano di certo compatibili: entrambe pure, fragili, delicate; e infatti quando infine espirava, emetteva un sospiro quasi sollevato. Forse la facevano davvero stare un po' meglio; tuttavia quella poca vita non era sufficiente, lo capivo dai suoi occhi così spenti, così lontani, persi in chissà quali mondi. Io non potevo fare niente di più che portarle quei mazzolini ed era diventato una specie di dovere, visto l'effetto che avevano su di lei. Ricordo che li invasava per perpetuare la loro vita ancora di qualche giorno. Poi i fiori da bianchi diventavano giallognoli, si piegavano su loro stessi e appassivano. E lei con loro. Era mio padre a svuotare il vaso e ad assicurarsi che ne andassi a raccoglierne degli altri. Farfallina, va' a prendere i fiori per la mamma. Mi sembra ancora di sentirla, quella sua vociona rauca e profonda, ma dolce. Credo sapesse che ci sarei comunque andata di mia iniziativa. Pensare a loro mi fa male. Mi fa ancora male. Mi fa sempre male. Sento delle lacrime scivolare lente sulle mie guance. Comunque sia, è così che ho iniziato a frequentare questo posto, per fare scorta di fiori, poi sempre più spesso; è come se soltanto qui riuscissi a essere me stessa e a non sentirmi fuori posto. Non c'è mai nessuno; posso cantare, urlare, piangere e nessuno mi sentirà. Questo posto è diventato il custode delle mie emozioni e nessun altro può conoscerle, perché nessun altro sa come raggiungerlo e nessun altro sa che vengo qui. Mi frugo nelle tasche sperando di trovare un fazzoletto, ma c'è soltanto la scatolina dei fiammiferi colorati che mi ha regalato Fabrizio. Dopo che la scuola è stata chiusa, ha iniziato a lavorare con suo padre e, per festeggiare il suo primo guadagno, ha deciso di spenderlo in regali per tutta la famiglia. Questi li ha comprati da Wale, uno dei venditori clandestini, quando ancora passava da Anthos ogni primo sabato del mese; spacciava cianfrusaglie di ogni tipo, inedite e introvabili nei villaggi perché prodotte esclusivamente per chi abita all'interno delle mura. La maggior parte della merce di Wale, contrariamente a quella degli altri commercianti clandestini, non aveva una vera e propria utilità; si trattava piuttosto di oggetti unici nel loro genere, per lo più di carattere decorativo o puramente ludico. Per esempio, a rendere speciali questi fiammiferi, è la sostanza che fa produrre dalla loro fiamma un fumo colorato; anche se per me, a renderli speciali è stato più che altro il gesto di mio cugino. Un giorno dovrò ripagarlo di tutto quello che fa per me, e anche Gerard, la zia e Ginevra. Se non fosse stato per loro, chissà che ne sarebbe adesso della mia vita.
   
 
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