Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: JustAWallflower    15/08/2014    5 recensioni
"Ti ho scritto questo, caro amico, perché so che ci sono dei giorni in cui vorresti mollare tutto per sempre.
So che ci sono giorni in cui tutto va male.
So che ci sono dei giorni in cui non ti senti mai abbastanza.
So che ci sono giorni in cui ti guardi e non sai cosa stai vedendo e vorresti prendere quello specchio e spaccarlo in mille pezzi piuttosto che confrontarti con un viso sconosciuto.
So che ci sono giorni in cui sorridere e fare finta di niente non basta.
So che tutto questo fa male.
Ma fa più male annullare ogni dolore che vivere combattendo, perché la sofferenza ti rende più forte, ti rende la cosa più bella mai esistita.
Tutto passa, anche i giorni più bui."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

IT IS WHAT IT IS




Louis Tomlinson correva.
Correva per sentire i suoi muscoli bruciare, il cuore battere furioso, il respiro affannato.
Correva per non pensare a quanto avrebbe voluto andare via. Per sempre.
Correva perché ne sarebbe uscito così stremato da non avere la forza di urlare.
Arrivò alla sua panchina preferita, sulla sponda del lago, contemplando lo scintillio dell’acqua e i magnifici colori del crepuscolo, che rendevano il panorama della sua cittadina una piccola opera d’arte di acquerelli. Si sedette per ammirare quello spettacolo della natura, ma neanche quello servì a ritrovare un po’ di pace. Nulla poteva farlo.
Ultimamente si sentiva così frustrato. No, forse quello non era il termine adatto.
Louis Tomlinson si sentiva tormentato tra la scelta di continuare a vivere oppure morire.
Oh, la morte sarebbe stato così semplice! Anche in quel momento poteva benissimo immergersi nell’acqua e lasciarsi affogare in quella sera di metà estate. Nessuno se ne sarebbe accorto e, quando l’avrebbero trovato, sarebbe stato troppo tardi. Mentre, se avesse continuato a vivere, avrebbe dovuto continuare quella sua vita vuota, fredda, sporca, costretto a dover nascondere quello che era davvero.
Louis si prese la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia e chiudendo gli occhi con un sospiro rassegnato.
Se vivere significava questo, lui non avrebbe più tollerato sopportarlo. Quando li riaprì, notò una lettera sotto la panca, bloccato da un masso grande quanto la sua mano. Preso dalla curiosità, sollevò il masso e l’aprì, non prima di aver letto il destinatario.
A chi crede di non valere niente.
Con le dita tremanti, iniziò a leggere.

 

Caro Sconosciuto,
se stai leggendo questa lettera vuol dire che tu, come me, ti sei seduto su questa panchina e stai ammirando lo stesso paesaggio che io ho ammirato tutte le sere fin da quando ero piccolo.
Io non conosco il tuo viso, non so quale sia il tuo nome, non so se sei vecchio o giovane, uomo o donna.
Non so se ogni volta che vai a dormire ti senti felice e in pace con te stesso, oppure se prima di chiudere gli occhi inizi a piangere sul cuscino.
Io non so niente di te.
Eppure, caro sconosciuto, voglio raccontarti una storia. Forse, quando finirai di leggere questa lettera, ti sembrerà di conoscermi da sempre, o forse no e allora la rimetterai all’interno della busta e magari la getterai in acqua.
Quando ero piccolo ebbi una conversazione con un uomo morente.
Lo incontrai qui, su questa stessa panchina, che osservava il lago.
Portava una tuta malconcia ed era senza capelli. Il suo volto era troppo magro e le sue labbra troppo livide, i suoi occhi infossati e scuri. Sembrava infelice, eppure dovevi vedere come guardava questo lago! Come se avesse di fronte il miracolo compiuto da Dio, come se avesse ricevuto il dono più grande su questa terra!
Mi avvicinai a lui e iniziai a parlargli. Non ricordo il nostro discorso -la memoria di noi uomini non è abbastanza duratura come dovrebbe essere-, però ricordo benissimo i miei sogni di bambino, il mio desiderio di conquistare il mondo.
Lui mi ascoltava con gli occhi lucidi, sorridente, e infine mi disse.
“Figliolo, assicurati di vivere quando ancora puoi.” Non capii cosa volessero dire le sue parole.
Lo guardai andare via, sperando di rivederlo prima o poi, ma quelle parole per me incomprensibili divennero così inutili che me ne dimenticai all’istante. Ora non sono più un bambino, sono cresciuto.
I sogni dell’infanzia non sono più gli stessi e io ho smesso di credere in qualcosa.
Perché la vita, si sa, non ti riserva trattamenti di favore. Ti fa soffrire, ti ferisce, ti fa sputare sangue e poi ti lascia lì steso per vedere se ti rialzi.
E io, mi sono rialzato così tante volte.
Mi sono rialzato dopo tutti i colpi ricevuti, ho stretto i pugni, ho lottato con tutto me stesso.
Ho vissuto per tanto tempo come se recitassi un ruolo: mi comportavo come mi aspettavo ci si dovesse comportare, dicevo quello che sapevo era giusto dire, amavo chi era ritenuto giusto amare.
Ogni mattina, quando il pullman era pieno, cedevo il posto ad una signora che andava a trovare suo marito all’ospedale. Ogni giorno a pranzo mi sedevo in un tavolo della caffetteria con i miei amici e insieme costruivamo il nostro futuro. Quando tornavo passavo sempre dal panettiere vicino casa e lui, aspettandomi vicino alla porta ancora sporco di farina, mi offriva un pezzo di torta appena fatta. Era una vita felice ma, te l’ho detto, per me era quella di un altro: più mi guardavo allo specchio, più non mi riconoscevo. Guardavo i miei occhi, il mio viso, il corpo che cambiava …rimanevo così tanto a fissarmi ma non riuscivo mai a capire chi avessi davanti. Non ero me stesso e neanche qualcun altro.
Quando trascorri la tua vita a fingere si arriva a questo, che non puoi toglierti la maschera senza strapparti la pelle. Mi sentivo sempre così infelice, oppresso, tormentato da me stesso.
Perché avevo un segreto, uno di quelli che devono essere tenuti al sicuro nell’armadio, uno di quelli che non potevano essere mai raccontati, uno di quelli che ti rendevano diverso dagli altri. Amavo chi non era giusto amare ma, per una volta nella mia vita, non me n’è importato e così decisi di raccontare a tutti chi ero veramente.
Devo aver fatto arrabbiare Dio, perché il mondo non l’ha presa bene. La mia famiglia, i miei amici, le persone che vivevano con me…tutti quanti aveva deciso di odiarmi. Mi odiavano, perché amavo un ragazzo. E non è buona cosa per un ragazzo amare un altro ragazzo, dicevano. Da allora, quando la mattina cedevo il posto alla vecchietta che andava a trovare suo marito all’ospedale, lei mi guardava con un misto di ripugnanza e diffidenza e mi voltava le spalle. Se mi sedevo al nostro tavolo nella caffetteria, i miei amici evitavano di guardarmi negli occhi. Quando tornavo da scuola, il panettiere sotto casa non mi aspettava più davanti alla porta con una torta appena fatta.
Arrivavo a casa, coperto da ferite che nessuno voleva vedere e i miei genitori non dicevano mai niente. Forse erano anche contenti della mia sofferenza, credevano che fosse quello che meritavo. Leggevo il disprezzo negli occhi di tutti e non riuscivo a capirli.
Come si fa a trovare l’amore così ripugnante? Chi stabilisce le persone da amare? Sono io quello pazzo, malato, da ricoverare, perché continuo a sostenere che l’amore non dovrebbe essere determinato dal sesso, dal colore o dalla razza?
Alla fine ho smesso di provarci, ma loro non hanno smesso di guardarmi come se fossi la cosa più disgustosa che avessero mai visto. Te l’ho detto, caro sconosciuto, io continuavo a lottare con tutte le mie forze. Ma alla fine sono arrivato a pensare che se quello era vivere, io non l’avrei più sopportato.
Volevo morire.
Oh, non come gli eroi dei film. Quello era per le persone che valgono qualcosa e tutti quanti dicevano che io non lo ero. Io dovevo morire di una morte indegna, perché i mostri sono destinati a questo. Eh già, alla fine ho finito per credere alle loro parole.
Mostro, mostro, mostro, mostro, mostro, mostro.
Sarei morto, ma nessuno si sarebbe ricordato di me, perché nessuno vuole ricordarsi dei mostri.
Finalmente, arrivò quel giorno. Stavo abbandonando questo mondo, con il sangue che fluiva dai polsi e la vista annebbiata.
Sai, ridevo mentre me ne stavo andando. Ridevo, perché avevo sofferto abbastanza e volevo andarmene con il sorriso che mi ero negato per troppo tempo.
Poi ripensai all’uomo sulla panchina. “Figliolo assicurati di vivere quando ancora puoi.”
Le sue parole mi risuonavano nella testa, mentre io giacevo immobile sul mio letto, in attesa. Ricordo che mi disse: “Ragazzo, tu non sai quello che hai. Capirai quando tutto finirà.” Non so chi ha detto che quando stai per morire vedi tutta la tua vita passarti davanti agli occhi, in ogni caso si sbagliava. Io non facevo altro che pensare.
Alle cose che mi sarei perso.
Agli amori che non avrei mai avuto. Al college che non avrei ma frequentato. Ai momenti perfetti e meravigliosi che non avrei mai vissuto. Alla cioccolata calda sorseggiata davanti ad un camino d’inverno. Ai concerti rock. Alle passeggiate di fine estate con le persone che ami. Ai canti di Natale e all’albero da addobbare con la famiglia. Alle risate incontrollate per una battuta stupida. Agli sguardi silenziosi che dicono più di mille parole. Ai capelli scompigliati e al vento sulla faccia. Ai segreti urlati al mondo sulla cima dei tetti.
Al qui ed ora.
Pensavo a tutte queste cose e intanto iniziai a piangere perché, mentre stavo morendo, non mi ero mai sentito così vivo.

Da piccolo ebbi una conversazione con un uomo morente. Adesso non penso più che le sue parole fossero inutili.
La vita passa in un battito di ciglio e l’oro arrugginirà e gli imperi si susseguiranno ingoiati dal mare e tu devi goderti quello che hai perché non sai mai come andrà a finire.
Adesso io ho rincominciato a vivere.
Sono consapevole del cuore che batte, del sangue che circola nelle mie vene, dell’ossigeno nei miei polmoni. Adesso non ho più paura di camminare mano nella mano con il mio ragazzo e so che un giorno le persone smetteranno di fare caso a noi e ci considereranno come loro: umani. E tutti potranno uscire di casa senza una seconda pelle addosso.
Ti ho scritto questo, caro amico, perché so che ci sono dei giorni in cui vorresti mollare tutto per sempre.
So che ci sono giorni in cui tutto va male. So che ci sono dei giorni in cui non ti senti mai abbastanza.
So che ci sono giorni in cui ti guardi e non sai cosa stai vedendo e vorresti prendere quello specchio e spaccarlo in mille pezzi piuttosto che confrontarti con un viso sconosciuto.
So che ci sono giorni in cui sorridere e fare finta di niente non basta.
So che tutto questo fa male.
Ma fa più male annullare ogni dolore che vivere combattendo, perché la sofferenza ti rende più forte, ti rende la cosa più bella mai esistita.
Tutto passa, anche i giorni più bui. 

Con affetto,

H. S.


Louis rimase immobile, con il fiato corto come se avesse continuato a correre per chilometri prima di ricordarsi di respirare.
Quando il sole scomparve dietro le montagne, oscurando tutto il paesaggio, si alzò in piedi e si mise la lettera in tasca, con un grande sorriso ad illuminargli il volto.
Mentre camminava verso casa, iniziò a piovere, ma lui non accelerò il passo. Sentiva i capelli e i vestiti zuppi e le pozzanghere che si allargavano sotto i suoi piedi, ma neanche quello gli importava.
Ora sapeva di valere qualcosa. Ora era consapevole di essere su questa Terra e che poteva ridere, parlare, correre, urlare, pensare, respirare…lui era vivo e quella era la testimonianza di tutta la sua grandezza che nessun altro tranne lui stesso avrebbe potuto comprendere.
E, sapete, non c’è niente di più meraviglioso.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: JustAWallflower