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Autore: Scintilla    14/09/2008    3 recensioni
Lucy sbatté la palpebre bagnate di lacrime.
-Kouta?-
No, solo fumo.
Genere: Triste, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I confusi effetti del fumo sulle linee illusorie dei sogni

I confusi effetti del fumo sulle linee illusorie dei sogni

 

 

Lucy è seduta sulla panchina del parco. L’umidità si solidifica intorno ai lampioni, intrappolando le particelle di luce in sfere luminose. Alcuni bambini, strillando come scimmie, stanno tornando a casa. Un paio si dondolano ancora sull’altalena, ridendo.

Una bambina la indica. I suoi abiti sporchi attirano l’attenzione, a quanto pare. Si promette di procurarsene di nuovi il prima possibile. I panini che ha rubato dal negozio qualche giorno prima sono finiti. Dovrebbe anche andare a caccia.

I passi e le voci dei mocciosi sono ormai lontani. Lucy si alza e si dirige verso il cancello. I bambini sulle altalene stanno ancora ridendo. Lucy vi passa in parte senza fermarsi. Un attimo dopo, i loro corpi cadono come sacchi vuoti.

Lucy tira le labbra in un ringhio. Ha sempre odiato le risate degli uomini, sempre.

 

La pioggia scende dalle nuvole color grigio arrabbiato. Lucy, avvolta nell’accappatoio, passeggia per il giardino. L’acqua inzuppa il cotone raffinato, le accarezza i seni nudi turgidi per il freddo, le scorre sulla pelle appena lavata.

I capelli fradici le gelano la testa. Avverte il cuoio capelluto umido e intirizzito.

Si accarezza una ciocca. Le estremità delle dita sono cianotiche. Forse dovrebbe cercare un vestito più caldo e asciugarsi i capelli. Entro domani dovrà già essere lontana da quella casa, o potrebbe venire scoperta. Meglio usufruire di tutto ciò che quella villa le offre.

Ma la naturale doccia fredda le fa bene. È come se venisse pulita da sangue immaginario.

Scioglie il nodo alla vita e fa cadere l’accappatoio. Continua a camminare, i piedi si sporcano di fango ed erba, la chioma fradicia le riga la schiena come uno straccio bagnato. Le gocce scivolano dalle ciocche al collo, dal petto al pelo pubico, dalle cosce alle ginocchia, dalle caviglie nel fango.

Alza le mani al cielo e si lascia dominare da quella pioggia violenta e, in quel momento, sacra.

Sotto la pelle affogata, il cuore batte come un fiume in piena.

 

Lucy rientra nella villa. Vicino al portico, l’accappatoio è ormai infangato e sporco.

Sale con i piedi nudi le scale e rientra nel bell’appartamento ricco. Si dirige verso la cucina. Lascia impronte scure dietro di lei. Apre il frigorifero e beve un the al limone. Mentre distrugge la lattina, osserva il cadavere di donna sdraiato per terra. La sue pelle è pallida, ma non c’è alcun ematoma, alcuna traccia di sangue. Una morte pulita. Per ora.

Allunga i vettori verso di lei e strattona il corpo, facendolo danzare in una macabra danza.

Lucy si siede sul tavolo e inizia a cibarsi delle fette di roast beef crudo. La donna inizia a camminare in modo innaturale, un burattino sorretto dai suoi vettori. Ha gli occhi chiusi.

Lucy le ordina di aprirli. Le palpebre rimangono sigillate. Un attimo dopo gli occhi esplodono, lasciando solo due buchi sanguinanti nel cranio. La gelatinosa parte bianca scivola sulle guance, per terra.

Lucy si porta il bicchiere alle labbra e sorseggia acqua e zucchero.

 

Lucy, vestita, sta fissando l’uomo abbandonato sulla poltrona in soggiorno. La televisione è accesa, inonda la stanza di luce artificiale e voci concitate. Lucy osserva il viso immobile. Non ha nemmeno avuto il tempo di stupirsi. Nota una biro infilata nel taschino della camicia. Lucy la prende con un vettore, portandosela davanti agli occhi per studiarla. Osserva con attenzione il cappuccio lucido, la cannuccia trasparente, l’inchiostro accumulato verso la punta.

Gli occhi insensibili dei personaggi televisivi assistono allo scempio del cadavere.

Lucy lascia la stanza, lasciandosi dietro la salma rovinata. La biro gli ha penetrato la tempia, trapassandogli la testa da una parte all’altra, e gli ha forato il petto e lo stomaco.

Ora la penna giace per terra, insanguinata, rovinata, spezzata per il violento impatto con il cranio.

 

È ormai notte, e Lucy, lavata, pulita, profumata, infilata nel pigiama rosa della figlia maggiore, sta cercando di dormire. L’infantile abatjour proietta nella stanza tante figure luminose: stelline, soli, fiori, cuori.

Il materasso è morbido, le coperte sono soffici, il lenzuolo è profumato. Lucy dovrebbe essere tranquilla, ora.

Eppure c’è qualcosa che la disturba, come una ferita irritata.

Non ha fame, non ha sete, non ha freddo, ma non sta bene.

È come se temesse i mostri sotto il letto, come una bambina piccola.

L’indomani qualcuno entrerà nella villa e scoprirà tutto. Faranno un bel funerale alla famiglia al completo. Padre, madre, figlia, fratello ancora nella culla.

Non che a lei importi. Solo, a lei una cerimonia funebre non la farà mai nessuno.

La pare di sentire il pianto del neonato riecheggiare per la casa, come un fantasma. Quando è entrata in casa, stava piangendo. Quando ha ucciso i genitori, stava piangendo. Quando l’ha visto nella culla, stava piangendo. Quando l’ha ucciso, stava piangendo.

Forse sta piangendo anche adesso.

Lucy infila la testa sotto le coperte.

 

Lucy si pettina davanti allo specchio. Alla fine della giornata i suoi capelli saranno spettinati e sporchi come prima, ma non importa. Si aggiusta il colletto della camicia. Le piacciono quei nuovi vestiti.

Prima di uscire, nota qualcosa sul tavolo all’ingresso. È una piccola scatola di carta. La solleva. La apre. La infila in tasca. Ce ne sono altre tre vicino. Prende anche quelle. Esce e chiude la porta dietro di sé.

 

Le luci delle case lontane sfrecciano davanti ai suoi occhi. Lucy tiene la testa appoggiata contro il finestrino freddo del treno, in un confuso dormiveglia. Non ha così sonno da dormire, non è così sveglia da fare piani per i giorni seguenti. Che poi, quali piani?

Viaggiare, scappare, vivere fra animali, senza mai vedere un solo essere come lei. Lei è l’unico esponente della sua razza, probabilmente. Non è giusto. Così sembra che sia lei ad essere una bestia, e che tutti gli altri siano i veri umani. Ma la verità è l’incontrario.

-Stupide scimmie…- mormora.

Nutrirsi, uccidere, scappare, rubare, viaggiare, uccidere, mangiare, dormire, scappare,… Una vita randagia.

Avere paura, temere, rimpiangere, ingelosirsi.

Sì, anche quello.

Innamorarsi.

No, quello mai.

-Kouta…-

Chissà come sta Kouta? Chissà se ha anche una madre, oltre alla sorella e al padre uccisi da lei. Oh. Sono gli unici omicidi per cui si vorrebbe scusare. Kouta sta male ed è colpa sua. Probabilmente ora c’è quella mocciosa che lo teneva per mano a stargli vicino, a tentare di risollevarlo dallo shock. Shock causato da lei.

Pensieri pericolosi. Lucy si riscuote. Deve fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

Infila una mano nello zainetto. Ah, la scatola di quella mattina.

La apre. Un accendino e una sigaretta le scivolano in mano.

Ha già visto altre volte persone accendere e usare cose simili. Forza, ora tocca a lei.

 

Il cilindro di carta incendiata si sta bruciando fra le sue mani. Il fumo vola verso il soffitto del treno, le penetra nel naso e da lì si riversa nei polmoni.

Le lascia una sensazione amara sulla lingua, la stordisce leggermente.

Aspira un’altra boccata. Il fumo le irrita la gola, si infila veloce nel sangue. L’odore è acre.

Gli occhi le lacrimano. Il tabacco vortica dentro di lei.

 

Lo scomparto si apre e un uomo compare sulla porta. Dopo aver infilato la valigia nel bagagliaio, si siede di fronte a Lucy.

-Dovresti spegnere quella sigaretta, signorina.- Il tono è cortese, solo leggermente irritato.

Lucy lo guarda con occhi lucidi e stanchi. Un attimo solo e quella testa rotolerà sul pavimento.

Sospira e appoggio la fronte sul vetro. Il vettore esce dalla tempia, l’uomo rabbrividisce. Ha appena avvertito una stranissima sensazione, indescrivibile come l’atto di morire o nascere.

Guarda la ragazzina come se lei potesse rispondere al suo sguardo interrogativo.  Ma gli occhi di lei ormai sono catturati dalla città notturna. Decide di non disturbarla.

Non si arrabbia nemmeno quando si accende un’altra sigaretta.

 

Lucy sospira. Una nuvola di fumo si alza dalle sue labbra. Perché uccidere quell’uomo, poi? La domanda giusta sarebbe “Perché NON ucciderlo?”, ricorda a sé stessa. Ma non importa. Tanto sarebbe inutile. Cosa cambierebbe per lei?

Nulla.

Ha sonno. È stanca. Vuole andare a letto. Nella sua casa. Casa che non ha. Che non ha mai avuto.

Un’altra boccata alla sigaretta.

Kouta.

Il fumo sale negli occhi.

Kouta.

La gola è irritata.

Kouta.

Inizia a piangere.

È sempre lui il problema. Kouta, Kouta e Kouta.

L’unico essere umano che non ucciderebbe mai, ne andasse della sua stessa vita. Il suo amore.

Vorrei tanto essere abbracciata da Kouta.

Non è nemmeno in grado di dire se questa frase l’abbia pronunciata o solo pensata.

Il vecchio desiderio che non ha mai smesso di ardere.

Ora brucia insieme al fumo.

 

Le gambe sono piene di mozziconi, ormai. La cenere insozza i jeans. Quante già ne ha fumate?

Il fumo ha invaso lo scomparto. La nebbia irritante si impiglia dentro di lei. Nei capelli, nella pelle, negli occhi.

Le figure al di là del vetro perdono nitidezza. I colori si sciolgono, i bordi si confondono, le forme tremolano. Come un sogno annacquato.

Forse è la pioggia che cade incessante, forse è il vapore che si appiccica al vetro, forse è la stanchezza, forse è il fumo nelle narici e sopra gli occhi.

Tossisce.

L’uomo se ne è andato. Non se n’era accorta. Meglio così.

La gola, il naso, i polmoni protestano.

La realtà perde consistenza. Si scioglie.

Kouta.

Ancora lui.

Kouta che la abbraccia.

Il vecchio desiderio.

Kouta che la bacia.

Fantasia.

Kouta che la prende per mano.

Bugie.

Kouta che la porta a casa.

Sogno.

Kouta che le sfila dalle labbra quelle sigaretta fumanti, che le toglie la cenere da dosso, che apre la finestra per farle respirare aria fresca.

Kouta. Oh, Kouta.

Perché sei qui, Kouta?

Il tabacco annebbia la mente e incendia i sentimenti.

Fumo, non smettere. Continua a illudermi, non cessare di proiettare i miei sogni sulle nuvole confuse.

Ti prego. Ti prego.

Oh, Kouta. Oh, casa. Oh, calore. Oh, famiglia. Oh, mamma. Oh, papà. Oh… lacrime?

 

Lucy si infila ancora una sigaretta in bocca. Gli occhi sono rossi per l’aria sporca.

Guarda il suo riflesso. Oh, sono senza corna.

È solo il fumo.

Oh, sto piangendo.

È solo il fumo.

Oh, non mi escono più i vettori.

È solo il fumo.

Oh, voglio continuare così. Solo un po’. Solo un altro po’.

 

La piccola fiammiferaia accende i suoi fiammiferi uno dopo l’altro. Non si riscalderà, ma almeno morirà felice. Circondata dai suoi desideri.

Lucy spinge la lingua impastata contro il palato. Si affoga nell’ennesima nuvola irritante.

La sua giacca, il sedile, il pavimento, i suoi jeans sono imbrattati di cenere più o meno calda.

Tanti cadaveri di carta e tabacco la ricoprono. Alcuni hanno ustionato i vestiti.

La lingua le duole. Ha spinto inesperta le sigarette in bocca, persa fra i fumi illusori.

Un paio le ha anche infilate all’incontrario, dalla parte incandescente.

Sta male. È stordita. Piange.

Ma non mi importa.

Sono… felice…

E il treno continua la sua corsa, nella notte piovosa. Veloce e ignaro di trasportare la regina dei Diclonius, Lucy, la futura sterminatrice dell’umanità. Una ragazzina che ora piange e piange, sporca e intossicata, aggrappata alle fragili illusioni di fumo ingannevole.

 

 

Kouta, perché sei qui?

È solo il fumo, Lucy.

 

 

 

Piccola one shot su Lucy.

Nel periodo fra l'incidente con Kouta e la sua cattura, sappiamo che Lucy visse randagia uccidendo umani. Ma mentre lo faceva, nacquero altri diclonius, silpelit per l'esattezza.

Nel manga non hanno ancora spiegato il motivo della loro nascita.

Mi piace pensare che sia stata Lucy a infettare umani, da cui poi sono nati i vari silpelit.

Non so se lei sappia di questo "passaggio di virus" o meno, ma credo che questi contatti non siano avvenuti di proposito.

In un momento di debolezza, come quello che narro qui, mi pare più plausibile.

Ho disseminato indizi sulla sua complicata e contorta personalità, spero che questa mia interpretazione di lei piaccia.

Lucy che si sente in colpa? Bhe, non proprio, non sarebbe lei. Ma Lucy che si fa certe domande e si sente a disagio, questo mi pare più che possibile.

 

Strange inside, fanfiction by Asmesia alias Scintilla

 

 

  
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