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Autore: Atsukih    16/08/2014    1 recensioni
E come le persone non si accorgevano di lei e lei rimaneva con la possibilità di toccare ciò che restava dalla sua infanzia, giorno dopo giorno, nel silenzio più totale, si accorse di essere morta, ma nulla cambiò. Restava sempre la solita realtà vuota, in cui lei camminava avanti e indietro, traballante, mentre i bambini curiosi diminuivano, e le sue speranze insieme a loro.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Questa è solo una prova, ed è ispirata dalla canzone di Gumi "The hanged girl in the haunted house." Vi consiglio di leggere la ff ascoltandola.
Buona lettura.^^


"Si dice che il fantasma di quella ragazza impiccata infesti ancora il luogo della sua morte."
Era la leggenda che vociferava dalla festa estiva di inizio Giugno, precisamente da quel tramonto caldo, con le voci mosse dalla brezza tra le lanterne rosso papavero, sulla grande casa abbandonata lontano dalla città.
Eppure, sembrava che fosse solo una storiella fatta per spaventare, come quelle di ogni anno: tutti i ragazzi, infatti, ridevano tra loro entrando con la loro torcia luminosa nell'ampio luogo, e, nonostante la loro paura dopo un po' li facesse tremare la luce (che sembrava meno luminosa ai loro occhi spaventati) , non trovarono mai niente o nessuno lì dentro, solo il cappio, che dimostrava, appunto, la morte di lei. Ma non c'era nulla di strano, il suo suicidio era testimoniato, anche se quella corda lasciava un brivido nei loro animi.
Invece, lei era lì,e forse era passata più volte davanti ai ragazzi, guardandoli coi suoi occhioni imploranti dietro gli occhiali ma rimanendo ferma, a testa china, coi capelli scuri che le andavano sul volto.
Perchè nessuno riesce a vedermi? ripeteva più spesso, mista all'ombra, oppure affacciata a guardare il cielo e le luci che lo riempivano, ogni tipo di luce: da quella delicata delle stelle e quelle colorate e scoppiettanti che acclamavano l'estate, alle scintille dei fuochi lontani. Passava il tempo così, china sulla staccionata e lo sguardo fermo rivolto verso l'alto, un gamba leggermente piegata e la gonnellina color mare con leggeri risvolti che andava d'accordo con la maglietta candida adornata da linee rosee ed una cravatta rossa passione che ricadeva delicatamente sulle mani, per la posizione in cui era messa.
Nonostante la sua invisibilità dinanzi le persone, credeva di essere viva, stringendo quel campanellino arrugginito come memoria d’infanzia, e guardando una foto rovinata di lei e quelli che forse sono i suoi parenti od amici, ma impossibili da riconoscere: troppo rovinata, troppo vecchia. Quanto tempo era passato? Era stata lei a renderla così?Piangeva, e le sue lacrime ricadevano sui visi indecifrabili del suo passato.
E come le persone non si accorgevano di lei e lei rimaneva con la possibilità di toccare ciò che restava dalla sua infanzia, giorno dopo giorno, nel silenzio più totale, si accorse di essere morta, ma nulla cambiò. Restava sempre la solita realtà vuota, in cui lei camminava avanti e indietro, traballante, mentre i bambini curiosi diminuivano, e le sue speranze insieme a loro.
E anche Agosto finì.
Nella delicatezza più totale, mentre il suo cuore si infrangeva, iniziò a scomparire, perdendo ricordi, sensazioni e tutto ciò che si era dissolto nei mesi, finché di lei non rimase solo quel che effettivamente era: dei contorni colorati, come i disegni dei bambini, solo perfettamente calcolati.
“Quella che è solo una leggenda estiva deve finire insieme all’Estate. No?”
Però.
Però.
L’unico viso che lei riconobbe, uno dei tanti ragazzini curiosi, particolarmente scettico, che le aveva voltato le spalle mesi prima senza riuscire a vederla, capii.
Lui capì una serata noiosa destinata a non finire mai, poco prima che lei se ne andasse, dalla foto dimenticata sotto troppi libri caduta, che guardò solo distrattamente, ed il loro sguardo s’incontrò mentre guardavano la stessa foto tenuta in luoghi diversi, ed i visi comparvero, ed i tasselli del puzzle che si era distrattamente scombinato tornarono.
 
… C’era una ragazza qualche anno fa, ed i miei amici mi prendevano in giro per come la guardavo, con l’aria incantata di un innamorato.
Non so come, ma successe che la sua migliore amica, nonché una ragazza del gruppo, “scomparve” davanti a lei, o così disse, prima di scomparire oltre al bosco. Venne trovata impiccata, si era impiccata, la ragazza forse troppo sensibile di cui ero innamorato.
 
Corse. Corse a lungo, fino ad entrare nella villa morta, con le lacrime agli occhi, e la vide: era bellissima, come allora, ma era scolorita dal tempo, dalle lacrime e dall’estate che finiva.
I loro sguardi si incrociarono, e lei sorrise, come per perdonarlo, o per fargli capire che aveva capito, o chissà. Ed i suoi lineamenti allora sembrarono proprio disegnati da un bimbo, fino a sparire in una debole luce, lasciando il campanellino d’infanzia rotolare davanti al ragazzo, che non urlò, o parlò, o niente: rimase impassibile, raccogliendo l’oggetto e pianse in silenzio, salendo le scale.
Il cappio, era ovviamente, ancora lì.
Quel cappio, da cui nacque tutto.
Quel cappio, con cui finì l’estate e la vita di lui, insieme allo storia di entrambi.
Ora, per sempre.
  
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