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Autore: Francine    16/08/2014    7 recensioni
Ed anche lui, lui che portava nel nome il suono del delitto, lui chiede qualche istante in più. Una manciata appena. Perché ha una missione da compiere, e quell’elmo pesa. Accidentaccio a lui, se pesa. Ha una persona da salutare, prima di incamminarsi verso la Bocca dell’Ade. E se non vi sta già cadendo dentro, in una trottola di dimensioni collassate, è perché lui conosce certi passaggi, certi svincoli, certe scorciatoie. E le segue. Come un fuoco fatuo. E chi lo vede un fuoco fatuo, in pieno giorno, sotto al sole splendente – accecante – di Grecia?
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer Manigoldo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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 La promessa del fuoco fatuo


Esiste un modo migliore di un altro per salutare qualcuno per l’ultima volta?

Lui non sa dirlo; eppure, di separazioni definitive, lui, se ne intende. Dire che la morte è un attimo, che è la fine di un percorso è facile, quando sei dall’altra parte. Dalla parte dei vivi. E la tua anima non ci pensa neppure a varcare quella soglia, a percorrere la strada verso quel termitaio triste e grigio che si staglia aguzzo all’orizzonte, sotto un cielo di melanzana.
Ma quando ti devi incamminare per quel sentiero, come sono pesanti i tuoi passi. Come sono dolorosi. E se l’anima s’impunta, come un mulo che non vuole proseguire, è perché si lascia qualcosa dietro. Qualcosa di non detto. Qualcosa di non fatto. Dei rimpianti. E i rimpianti, si sa, sono veleno che corrode l’anima. Che rendono il trapasso più doloroso. Amaro.
Storie! Lasciare questa vita non è mai facile.

Quando ti battono sulla spalla e ti dicono che basta, la carola è finita e devi lasciare il girotondo per far posto a qualcun altro – coloro che verranno – non ti piace mica l’idea, anche se i tuoi piedi sono pieni di vesciche e le ossa della schiena curve come il giunco intrecciato nei canestri. Non ti va mica, no. Sei lì che chiedi ancora un po’, ancora un attimo, ancora cinque minuti. Ancora, ancora, ancora…

Ed anche lui, lui che porta nel nome il suono del delitto, lui chiede qualche istante in più. Una manciata appena. Perché ha una missione da compiere, e quell’elmo pesa. Accidentaccio a lui, se pesa. Ha una persona da salutare, prima di incamminarsi verso la Bocca dell’Ade. E se non vi sta già cadendo dentro, in una trottola di dimensioni collassate, è perché lui conosce certi passaggi, certi svincoli, certe scorciatoie. E le segue. Come un fuoco fatuo. E chi lo vede un fuoco fatuo, in pieno giorno, sotto al sole splendente – accecante – di Grecia?

Quel precisino di Shion dell’Ariete, certo. Ma lui non vale. Lui sa sempre tutto. Il cocco del Sacerdote. Per cui non si scompone quando l’Ariete si volta e lo osserva. Si sarebbe stupito del contrario.
Sarà il Cosmo? Sarà che Shion conosce cose che agli altri sfuggono, lui compreso?
Non gli interessa. Gli scodella l’elmo del Sacerdote tra le mani, lo sguardo incredulo e terrificato e smarginato dell’Ariete che si posa sul proprio riflesso. È lucido quell’elmo, sì. Lucido e pesante per un piccolo fuoco fatuo. Fuoco fatuo che sfavilla davanti a Shion, regalandogli per l’ultima volta l’immagine del Cancro, con un sorriso soddisfatto – e anche un po’ strafottente – che gli stira le labbra. Missione compiuta.

Ma non può tirare il fiato. La sua sabbia sta scorrendo ad un ritmo forsennato. E lui ha ancora qualcosa da fare. Lui deve trovarla. A tutti i costi. Trovarla e dirle… e dirle… dirle cosa?
Tante cose. Troppe. Non avrà mai il tempo per. Non saprebbe neppure da che parte cominciare il discorso.

Ciao , scricciolo! Scusa se non potrò aspettarti e diventare il tuo fidanzato, ma sono morto.

Bell’inizio.
Ma non può lasciarla, non può lasciare questa vita senza prima averla rivista. Anche solo un’ultima volta. Per portare con sé il suo ricordo. Ammesso che da morti si conservino, i ricordi. Questo il suo maestro non glielo ha mai chiarito con certezza. Gli ha spiegato – e più di una volta – che un’anima che si lascia dietro dei rimpianti non è libera di andare, di passare oltre. Ma il vecchio non gli ha mai spiegato se un’anima si porti appresso qualcosa. Ricordi, sensazioni, sentimenti. Lui crede - spera? - di sì. Altrimenti, che senso avrebbe tutto quest’affannarsi?
Pazienza. Tanto lo scoprirà presto, ormai.

Stringe i denti, ammesso che un’anima possa stringerli, i denti.
Venezia è lontana. Burano, coi suoi merletti, lo chiama seducente come la sirena fa col marinaio. Renderà l'anima in quell'isola che puzza di pesce, ma pazienza. Lei è alla finestra, a far riposare le mani. Piccole. Arrossate. Come i suoi occhi. Dorme abbastanza? Mangia? Non si starà raffreddando, vero? Come può diventare forte se non riesce nemmeno a prendersi cura di se stessa?
E poi le cade qualcosa.
Un rocchetto di filo. Che rotola via. Verso di lui. Lei lo segue, poi si arresta, la mano protesa a raccattare quel rocchetto birichino. L’ha visto. Anche se a Venezia splende il sole. Anche se è solo un piccolo fuoco fatuo. L’ha visto. E ha capito. Sta per piangere. L’enormità della cosa la fa sentire in bilico su di un precipizio. Precipizio che sta chiamando lui e che sfiora lei. Appena. Come il vento che ti gonfia la gonna. E ti regala un brivido di gelo lungo le vene. Perché ti dice «Tranquilla, stellina, tranquilla. Non è ancora il tuo momento.», e tu sai, fin nel midollo, che quel baratro sa essere molto paziente. Fino alla fine del tempo.

Lui sorride. Lei non deve piangere. Non è così che lui vuole ricordarsela. Ammesso che i morti ricordino, sia chiaro. Vuole vedere il suo sorriso. Un’ultima volta. E dirle che lui l’aspetterà. Dall’altra parte. Non importa quanto ci vorrà. Lui spera che sia il più tardi possibile, ma non la rimprovererà di averci messo troppo, perché che senso vuoi che abbia, il tempo, quando sei morto?
Così lui sorride. Sfrontato, allegro, indisponente e solare. Così come lei l’ha conosciuto. Con quell’amore per la vita che solo chi ha convissuto con la morte fianco a fianco comprende. Rispetta. E custodisce come un tesoro prezioso.
Lei sorride di rimando. Uno sfiorarsi appena le mani, un dolore lancinante che lo sconquassa quando le dita di lei attraversano le sue. Ma sorride. E lei con lui. Sorride anche quando lei si avvicina. Sorride anche quando il suo Cosmo non è che un misero brillamento. Un’eco sbiadita che dissolve rimbalzando di roccia in roccia. Ma lui sorride. Anche quando le dice che l’aspetterà. Dall’altra parte, certo. Ma chi l’ha detto che due morti non possano fidanzarsi?

Signorina, vuol concedermi tutti i balli del suo carnet, da qui all’eternità?

E sa che lei ha detto sì. Anche se non ha visto la sua testa andare su e giù, o le sue labbra dischiudersi. Lui sa che l’ha fatto. Ed è questo che gli scalda il cuore mentre precipita giù, nella bocca di Ade, non più come timido fuoco fatuo, no. Ma come una sfolgorante stella cadente che si tuffa nel mare, di notte. Nella vastità dell’infinito. Sicuro che lei lo raggiungerà. Perché l'ha promesso. Ed una promessa è una promessa. Anche se l'hai fatta ad un fuoco fatuo. Il fuoco fatuo di un disgraziato, di un farabutto, di un manigoldo. Una promessa è una promessa. E lui sa che lei la manterrà. Chissà come, chissà quando, ma lei arriverà. Per ballare con lui. Fino alla fine del tempo.

Le donne amano farsi aspettare, no?
   
 
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