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Autore: S_a_r_a    17/08/2014    1 recensioni
Succede spesso che si creda di essere qualcosa che non si è. O viceversa. Succede che si dia credito solo a una parte della questione, che ci lusinga, ci martirizza o fa comodo, per compiacersi di noi stessi in tutte le forme o autocommiserarci. Succede di perdere la bussola in un mare di definizioni in cui non sappiamo trovare la nostra sintesi. Ma la verità è che si può fare qualcosa di meglio: essere semplicemente se stessi e anche di più, senza etichette, e scoprirsi. C'è sempre una parte che non si conosce della propria personalità, oppure non la si vuole conoscere per scelta. Bisogna credere in se stessi. I personaggi di questa raccolta hanno molto da imparare, come ogni umano. Siamo tutti personaggi di una storia, possiamo vivere qui dentro.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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All by myself




 

Era meraviglioso. La sensazione di volare, il ventre leggero senza sostegno. Una volta cerulea sopra la testa e nuvole spumose sembravano suggerire una bella giornata d'autunno. Non sapeva come fosse possibile, ma poco importava. Poi due braccia comparvero dal nulla e l'avvolsero in cintura per assicurarsi che non cadesse. Sapeva benissimo che era lui. Una testa contornata da un elmetto metallico riempì il suo campo visivo appena si girò per guardarlo. Se avesse dovuto descrivere la felicità non v'era alcun dubbio che sarebbe stata esattamente quello che aveva davanti. Si avvicinarono lentamente. Pochi centimetri separavano i due nasi ormai...

Invece ora guardava il soffitto nella penombra del mattino. Porca miseriaccia.

Sonia si girò scocciata su un fianco, avvolgendosi come una crisalide nel suo bozzolo di lenzuola a pois. Era solo un ingannevole frutto della fase REM delle sette. Per una volta che il suo inconscio si decideva a farle un favore portandola a caso tra le braccia di Magneto c'era da festeggiare. Peccato non essere andati un po' oltre però. Potevano anche far svolazzare qualche macchina insieme, magari in testa a un po' di gente, sapeva che lui sarebbe stato d'accordo. Non solo era un bell'uomo, intelligente e potente da far paura, ma condivideva con lei quel senso delizioso di disprezzo per il genere umano. Lui i non mutanti, lei i mediocri e stupidi non mutanti. Le due cose andavano perfettamente a braccetto, era il suo uomo. Spesso si complimentava mentalmente con la Marvel per aver creato un personaggio tanto perfetto, se non fosse che trovarne uno in carne e ossa era più difficile di manipolare metalli a piacimento senza superpoteri. Perciò si accontentava di qualche fantasticheria.

Si alzò pigramente dal letto, maledicendo la sveglia che sarebbe suonata dieci minuti dopo e il suo cervello troppo vigile per non averglieli concessi a sognare ancora un po'. Andò in bagno strascicando i piedi lungo il corridoio, con l'orlo dei pantaloni che puliva il pavimento. Doveva smettere di mettere pigiami vecchi che le stavano due volte, quando aveva dodici anni forse anche tre. Davanti allo specchio, due occhiaie profonde e una cucciolata di cagnolini felici che la salutavano dalla maglia stavano a comunicarle che, in presenza di un ipotetico fidanzato, avrebbe indossato qualcos'altro o non si sarebbe fatta vedere. Ma sarebbe stata troppo pigra per farlo sul serio, un vero uomo certo non si sarebbe spaventato per inezie simili. Si diede una bella lavata e andò a sgranocchiare svogliatamente qualche biscotto. No, era troppo faticoso masticare, serviva un po' di latte caldo per ammorbidirli. Pensò alla giornata che l'attendeva: due ore di matematica, una di inglese, storia e filosofia. Poi grazie al cielo di nuovo a casa. Non perché non le piacesse la scuola, non le piaceva la gente che c'era a scuola, si intende. Però tutto sommato le materie del giorno avrebbero reso la sofferenza del giorno più breve, almeno non c'era italiano. Odiava italiano e quella lagna interminabile della Ricchetti, che partiva a biascicare qualche cosa su Foscolo e terminava chissà come sui suoi gatti. Avrebbe apprezzato di più la letteratura da sola e senza imposizioni istituzionali, senza dubbio.

Giunto il momento di vestirsi, si fermò un momento davanti all'armadio. Il suo obiettivo era dare meno nell'occhio possibile come ogni giorno. Fece mentalmente la conta dell'ordine in cui aveva messo ultimmante le poche paia di jeans che aveva e scelse quelli che stavano nell'oscurità da più tempo, poi una maglia e una golfino di cotone nero. Infilò le solite scarpe, agguantò con una mossa fluida il cappotto che indossò velocemente e uscì con lo zaino in spalla.

La sferzante arietta di novembre non la svegliò come sperava, ma intanto diede quella botta di vita necessaria ad affrontare metà giornata. I lunghi capelli non pettinati si impregnarono di quella piacevole umidità che li gonfiò all'istante, ma Sonia non ci badava, tanto non avrebbe potuto combatterli comunque. Aspettò l'autobus seduta alla fermata, guardandosi i piedi. Forse era il caso di andare a far spese, la punta delle scarpe era rovinata, le suole poi, anziché repellere, assorbivano acqua come spugne dalle pozzanghere. Mentre lei studiava quale calzatura sarebbe stata più funzionale, i suoi compagni di scuola giungevano alla pensilina. Purtroppo alcuni – troppi - abitavano nel suo quartiere ed era costretta ad affrontare il viaggio insieme a loro, ma badò bene a nascondere metà faccia nella sciarpa, per precauzione.

Finalmente il veicolo giunse davanti a loro e per poco non fece il bagno a tre sbarbine starnazzanti transitando un po' troppo veloce su una pozza a ridosso del marciapiede. Ecco una divertente occasione persa, pensò subito Sonia. Salì insieme agli altri e diede il via al rito speciale di ogni mattina. L'abitudine spingeva ogni gruppetto a posizionarsi in posti prestabiliti, come a costituire un ordine nell'ecosistema dell'autobus, così ogni membro del branco che via via si aggiungeva poteva ritrovare gli amici. Probabilmente era l'unica cosa che trovava davvero interessante dei suoi compagni: la disposizione, come animali che marcavano il territorio e sceglievano il luogo migliore da cui osservare gli altri o fare giochi stupidi cercando cose gialle sulla strada. La logica spingeva tutti, incondizionatamente, e li legava con fili invisibili.

Ecco che saliti i gradini dell'entrata vedeva la giungla perfettamente ordinata. Alla sua sinistra, i dark con i loro giacchettini di pelle borchiati e gli anfibi ridevano come iene, al centro i tamarri sportivi con i pantaloni da educazione fisica già addosso che parlavano di qualche partita della domenica e in fondo, dalle parti del conducente, le fighettine spocchiose che guardavano i ragazzi – quelli al centro ovviamente - e probabilmente tramavano quale farsi alla festa della scuola di sabato. Sonia cercò un posto libero il più al riparo possibile da quella fauna. Per fortuna lo trovò vicino al finestrino di fronte a lei, davanti ai metallari sghignazzanti e dietro ai calciatori gesticolanti. Nessuno dei due gruppi l'avrebbe guardata, erano troppo presi dai loro affari, e questo era ciò che voleva. Si ripeté che era solo l'ultimo anno e non avrebbe più dovuto dovuto fare quella strada dopo gli esami, per farsi forza. Si rilassò istantaneamente, mentre la confusione imperversava intorno a lei lasciandole il suo spazio prezioso.

I primi minuti di viaggio furono tranquilli e regolari, poi a una fermata qualcuno catturò la sua attenzione involontariamente. Michele, quel tipo fuori di testa che le aveva presentato Giorgia tempo prima, a volte si dimenticava che frequentavano la stessa scuola. Lo guardò discretamente avanzare tra i branchi del mattino. Come passò le ragazzine, quelle gli lanciarono occhiate di scherno che tanto lui non poteva vedere, e se anche le avesse viste le avrebbe compatite. Nell'osservarlo Sonia l'avrebbe potuto descrivere solo con...nero. Capelli, giacca, calzoni, anfibi. Nero. Distolse lo sguardo quando era ormai vicino per non sembrare interessata o invadente, aspettandosi che la superasse per andare a sedersi coi darkettoni cui aveva fatto cenno dietro di lei. Grade fu la sorpresa quando invece si fermò proprio di fianco a lei e la salutò. Esibì un accenno di sorriso impacciato e aspettava una risposta.

Allarme rosso, allarme rosso, agire naturalmente, non fare passi falsi, ripeto,non fare passi falsi.

Sonia ringraziò che non ci fosse una superficie riflettente, non voleva vedere che espressione idiota si fosse impossessata del suo viso prima di riuscire a spiccicare un semplice ciao.

"In che classe sei tu?"

"5 D"

"Quasi quasi ci andrei l'anno prossimo, ti va di farti bocciare con me? Così posso copiare tutti i tuoi compiti! Giorgia dice che sei brava e la aiuti spesso in matematica". Ecco che il sorriso di Michele si allargò, aveva una faccia proprio buffa.

"Non direi, miro ad andarmene il prima possibile", anche Sonia si sciolse un pochino, ma restava sul chi vive.

"Peccato, io invece potrei non riuscirci, finché Raspadori mi mette 4 e fa pressing sugli altri a seguire il suo esempio." Michele abbassò gli occhi con finto dispiacere.

"Ce l'ho anche io, e non mi sembra così atroce tutto sommato", rispose Sonia sinceramente.

"Non vale, tu sei anche una bella ragazza, io non posso nemmeno contare sul fascino del mio pizzetto". Come faceva ad avere la battuta pronta a ogni cosa? Sonia era sconcertata. E soprattutto non era abituata a ricevere complimenti di quel genere da ragazzi. Si gongolò per un attimo, poi ricordò che provenivano dal pulpito di un deficiente, quindi non valeva un gran che. Lo diceva sicuramente a tutte per fare il simpatico.

"Non è certo per questo che non mi mette 4", si affrettò a dire Sonia, con una punta di veleno sulla lingua nemmeno tanto mascherata e un sorriso sornione.

"Non ne dubito". Michele si fece serio all'istante, capendo che quel modo di fare non l'avrebbe aiutato nel mostrarsi suo amico.

Sonia notò che aveva sulla spalla una cuffia penzolante da cui usciva un rumore .

"Non ti dà fastidio ascoltare la musica così alta?", chiese.

"Questione di abitudine. Vuoi provare?". Michele avvicinò l'auricolare all'orecchio di Sonia prima che lei potesse dire qualcosa in contrario e la reazione non fu delle migliori. Non appena il suono le investì il timpano, si scostò bruscamente all'indietro con sguardo orripilato e Michele rise di gusto.

"Beh, adesso vado, ci vediamo!" E proseguì andando dai suoi amici dietro e lasciando Sonia alle sue riflessioni.

Erano stati cinque minuti molto stressanti, non ci era abituata. Si scosse un momento come a scrollare la sensazione di disagio di dosso. Sperava che fosse un caso incontrarlo quella mattina, ma non sapeva che invece avrebbe preso il suo stesso bus ogni giorno per fermarsi a parlare cinque miseri minuti con lei.







Mi dispiace per l'attesa, gli esami e un po' di vacanze mi hanno tenuto lontano dalla storia, però sono tornata :) chissà che non ci sia occasione che qualcuno di nuovo ci incappi e la legga! Saluti a tutti e, come sempre, spero piaccia e mi facciate sapere ciò che vi passa per la testa, bello o brutto che sia.
 

  
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