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Autore: Pseudonimo Letty    17/08/2014    1 recensioni
Ambientata dopo il film "La principessa e il ranocchio".
Tra le vie di New Orleans, le vicende di Tiana e i suoi amici si mischiano a quelle di una ragazza con un grande sogno nel cassetto.
Tra una canzone jazz e l'altra, la magia ritorna a percorrere le strade della città mezzaluna
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buondì, popolo di EFP!
Dopo un'intera era geologica ho deciso di continuare questa storia. Buona lettura ;) 

 

 

Ametiste Stregate

 

Il giorno dopo, i rumori della festa furono sostituiti dal silenzio che pervadeva la chiesa.

Soltanto la voce gentile del prete rompeva la pace in quel sacro edificio, pronunciando la formula del matrimonio. Due “Lo voglio” si aggiunsero alla sua voce, affievolendosi dopo alcuni istanti e lasciando il posto alla melodia della marcia nuziale.

Appena i due consorti uscirono dal portone della chiesa, una cascata di riso e petali bianchi li investirono. Le voci delle persone si confondevano tra di loro, arrivando alle orecchie degli sposi come un unico grido di augurio e allegria.

Emily, raccolto il velo lunghissimo, si apprestò a salire sul calesse con Mark. Entrambi avrebbero raggiunto gli ospiti appena questi si fossero accomodati dentro (e fuori) il ristorante scelto per il pranzo nuziale.

In pochi minuti, gli invitati si diressero verso il “Tiana’s”, dove li attendevano tavoli agghindati come gioielli, camerieri volenterosi e un pranzo degno di un re.

 

Appena l’ultimo ospite si fu seduto, la coppia fece il suo ingresso in sala.

Emily indossava il vestito bianco e “sobrio” da sposa, ma aveva lasciato a casa il magnifico velo che aveva indossato per compiacere almeno un poco Katy.

Il pranzo sembrò non finire mai, eppure nessuno parve annoiarsi quel giorno.

Emerald e Katy erano state messe ad un tavolo differente da quello dei testimoni dello sposo;  questo non dispiacque alla mora, la quale, lontano da William, si sentì a suo agio per tutto il giorno.

Fuori dal locale, un’orchestra suonava per intrattenere le persone e, approfittando della musica, molte coppie sgusciarono fuori a ballare.

Emerald e Katy decisero di piazzarsi sul balcone proprio sopra l’entrata del ristorante.

“Accidenti, ho mangiato così tanto che potrei digiunare per un mese!” commentò Katy toccandosi il ventre.

“Hai ragione, anche io mi sono rimpinzata di ogni ben di Dio” assecondò Emerald l’amica.

“Ad ogni modo, ieri sera Bernie mi ha chiesto tutti i balli. Ti rendi conto? Non ha ballato con nessun’altra ragazza per tutta la sera!!” disse la ragazza con una nota di emozione nella voce.

“Sono contenta per te. Bernie mi ispira fiducia e scommetto che anche oggi ti chiederà di ballare” considerò la mora fissando il ragazzo in questione seduto ad un tavolo all’aperto.

“Sai invece chi è che ispira fiducia a me?”

“Chi?” domandò Emerald.

“William Darcy. Carissima, ti do un consiglio: non fare la preziosa. Lo sai quante ragazze invidierebbero il modo in cui ti guarda??” domandò convinta e con tono severo la castana, mettendosi le mani sui fianchi.

“Non mi sono nemmeno accorta che mi guardasse” rispose disinvolta Emerald, lisciandosi le pieghe del vestito.

“Ah davvero?” domandò con un mezzo sorriso le castana, puntando repentinamente il biondo sotto di loro con un dito.

Era vero: stava guardando dalla loro parte.

Emerald scostò subito lo sguardo, fissando il fiume oltre il molo. Quando guardò nuovamente in direzione del biondo non lo vide più.

“Sta venendo qui” le rispose indifferente Katy, fissandosi le unghie delle mani, come se avesse letto nel pensiero dell’amica.

“Cosa?” domandò la mora sgranando gli occhi.

“Emy,” cominciò la castana, avvolgendo i fianchi dell’amica in un abbraccio amichevole “sposalo. Uccidilo il giorno dopo… e poi facciamo a metà dell’eredità” disse sorridendo furbescamente. Entrambe scoppiarono a ridere un attimo prima che arrivasse William.

“Io vado a prendere da bere” disse la castana avviandosi velocemente verso le scale.

 

“Wow… Davvero una bella festa” commentò William dopo alcuni attimi di silenzio.

“Ti diverti?” domandò atona la ragazza.

“Sì, certo, ma se devo essere sincero, sono rimasto leggermente sorpreso nel vedere la band” disse puntando il dito contro il gruppetto.

Sicuramente stava puntando il trombettista, Louis.

“È davvero singolare quel vestito da alligatore… Non è nemmeno carnevale” disse con un mezzo sorriso.

Emerald restò leggermente interdetta. Com’era possibile che non se ne fosse accorto?

“Veramente Louis È un alligatore” disse tranquillamente “è mio amico, ed è molto simpatico” finì sorridendo.

“Davvero?” domandò il biondo per poi ridere divertito.

“Sì, quando torno a casa di solito mi fa compagnia per un po’ di tempo”

“No dai, sul serio, chi è?” finì alzando le spalle.

“Te l’ho detto, è un alligatore”

“… Stai scherzando? È impossibile!” commentò con tono spocchioso il biondo.

A quella risposta il sorriso della mora cominciò a sfumare in un’espressione più seria.

“Siamo a New Orleans, quaggiù tutto può succedere” disse con voce convinta.

“Tutto meno questo” rispose scettico il ragazzo. “Cosa può permettere ad un animale di parlare?”

“La magia. E qui di magia ce n’è a bizzeffe” rispose convinta Emerald.

“Cosa? Magia? Ma dai”

La mora rimase zitta, con un’espressione seria in viso.

“Ho girato tutta l’America e non ho mai trovato magia sul mio cammino. Questo posto è diverso dagli altri, ma non penso proprio che sia la magia a renderlo tale. Anzi penso che una parte di questa diversità dipenda dalla convivenza serena tra le varie razze… Dopotutto sapevo che qui al sud la discriminazione razziale fosse più elevata, ma qui invece… è diverso… è una cosa strana non trovi?” rispose il ragazzo ridendo leggermente.

Questo era troppo.

“Quindi pensi questo? Che la Louisiana sia solo uno stato stravagante ed eccentrico?” domandò per poi avviarsi per le scale, seguita a ruota dal biondo.

“Non ho detto questo…”

“Voi gente del nord pensate di sapere tutto, ma riguardo a questo posto non conoscete neanche la metà della sua storia. Ritengo un atteggiamento alquanto arrogante il modo in cui commentate ogni cosa, non sapendo neanche spiegare perché siamo differenti dagli altri stati” commentò seriamente mentre scendeva le scale.

Pensa di sapere tutto… E invece… Non si rende conto di quanto sia importante la magia…

“Ma… Fermati! Perché te la prendi così tanto?” le chiese.

“Me la prendo con chiunque pensi che la magia non esista… E con chiunque creda che io sia una bugiarda”

“Credi davvero che esista la magia?” le domandò con sguardo incredulo e saccente.

“Sì. E adesso, se può scusarmi, signor Darcy, preferisco passare il mio tempo con persone che non mi diano della cieca credente ignorante” disse avviandosi di nuovo verso la sala principale, lasciandosi il biondo alle spalle.

Quella conversazione aveva fatto salire in lei una rabbia amara; una rabbia che covava dentro di sé da quando… Da quando sua madre…

No, doveva calmarsi. Non aveva tempo per i ricordi... Per QUEI ricordi.

Sgusciò tra la folla, stringendo al petto la sua collana.

 

Per tutta la giornata il povero Darcy continuò a cercare Emerald con l’intento di parlarle.

Arrivò la sera; molti degli ospiti erano già andati via e gli ultimi (incluso William), una volta salutati gli sposi, si ritirarono nelle loro dimore.

In cucina, un’indaffarata Emerald affrontava a colpi di spugna la pila di piatti sporchi di fronte a lei.

Da una delle porte della cucina sbucò Tiana, con altre 2 pile di stoviglie, una per mano.

“Ferma, Tia! Aspetta che ti aiuto” esclamò la mora correndo verso la donna e prendendo una delle due pile.

“Grazie Emi; e grazie anche di tutto l’aiuto che mi hai dato oggi”

Emi rispose alla sua coetanea con un dolce sorriso.

“Ah, ho saputo della novità… Congratulazioni”

“Chi te lo ha detto?”

“A me Naveen, ma ormai lo saprà tutta la città” “… Oh no….” commentò Tiana fingendosi sconvolta, ma sorridendo alla fine della frase.

“Non essere negativa, pensa alle cose positive invece: avrai una piccola Tiana che scorrazzerà per il ristorante”

“Oppure un piccolo Naveen che strimpella l’ukulele con il padre”aggiunse Tiana ridendo al pensiero di un bambino musicista.

Ci fu un minuto di silenzio fra le due donne, finché non fu Tiana a intavolare un nuovo discorso.

“E tu invece? Niente di nuovo riguardo alla tua situazione sentimentale?” domandò con un sorrisetto furbo.

“Chi? Io? Stai scherzando? Io non piaccio a nessuno!”

“Cosa hai appena detto? Su questo ti sbagli, mia cara. Anzi, per provartelo ti informo che il signor François Collins ti ritiene davvero una bellissima donna. Proprio ieri mi ha chiesto di aiutarlo ad organizzare una cenetta per voi due”

“Il signor Collins? Tia! Se ti riferisci al tuo favoloso primo sommelier ti faccio notare che viene da una famiglia troppo più in alto della mia”

“E da quando la posizione sociale è un ostacolo? Guarda me: ho sposato un principe, eppure non ho problemi, anche perché abbiamo il nostro lavoro ed io sono sempre stata indipendente”

“Non intendo dire questo. Lo sai cosa intendo: François… O meglio i suoi genitori non mi vedono di buon occhio, perché non sono della loro stessa razza”

“Emy” disse Tiana, avvolgendo con un braccio la schiena dell’amica “è un bene che tu non sia come la famiglia di François. Però non rinunciare ad un possibile futuro felice soltanto perché ti si presentano ostacoli sul cammino. Evita di usare troppo questo e dai una possibilità a questo” finì posando un dito prima sulla testa e poi sul cuore dell’amica.

“Ti voglio bene, Tia” rispose la ragazza abbracciandola “Ma sinceramente ancora non sono pronta per sposarmi. Ho tante cose da fare; devo prendermi cura di mio padre e di Nullah; ancora è troppo piccolo per restare da solo con lui”

“Come sta tuo padre?”

“È rimasto a casa. La gamba gli fa molto male e tocca a me pagaiare per il Bayou”

“Nullah non ti aiuta?”

“Certamente, mi aiuta sempre a casa; e in questi giorni è lui che aiuta papà mentre io sono a lavorare. Ma anche lui ha i suoi impegni… Sai… con Mamma Odie”

“Ah già, lo so bene. Quanti anni ha adesso?”

“Tra sei mesi precisi compirà dieci anni” disse Emerald sorridendo serena “… Sembra passata un’eternità; è cresciuto così velocemente, specialmente da quando Mamma Odie ha deciso di prenderlo con sé come allievo”

“Sono contenta per te, Emy, dopotutto lo hai allevato tu quasi come un figlio”

“Già… Forse è anche per questo che non ho voglia di sposarmi: ho già il mio bambino, un marito non mi serve” rise la mora tornando a lavare i piatti.

“E poi, lo sai Tia… Qual è il mio più grande sogno nella vita” aggiunse Emerald. Tia si limitò a fissare l’amica con sguardo complice e un sorriso sincero.

 

“Grazie Tia. Queste erbe sono perfette per gli impacchi che servono a mio padre!”

“È il minimo con cui ti posso ringraziare per il lavoro che hai fatto oggi, Emy. Grazie ancora dell’aiuto di oggi. Porta i miei saluti a tuo padre; e anche a Nullah”

“Senz’altro, Tia. A presto” disse Emerald salutando l’amica con un abbraccio.

“Hey, Emerald, non sarà meglio che tu resti qui in città stanotte? È già buio, non sarà pericoloso?” domandò Naveen preoccupandosi per lei.

“Non ti preoccupare Naveen. Le tenebre non mi spaventano e a quest’ora il fiume è tranquillo” commentò la mora sorridendo alla coppia di sposi per poi voltarsi e avviarsi verso il molo dove aveva ormeggiato la chiatta.

Emerald inspirò profondamente l’aria salmastra che aleggiava in quella parte di città. Si sentiva per la prima volta in tutta la giornata finalmente tranquilla.

Uff, che giornata. Tra il matrimonio di Emily e Mark e la discussione con William Darcy non sono riuscita a rilassarmi per tutto il giorno. Per fortuna che a quest’ora potrò pagaiare in santa pace” pensò guardandosi attorno.

La città sembrava un mondo parallelo, in quel momento della sera. Le strade erano deserte e, sotto la luce ambrata dei lampioni, l’ombra di Emerald sembrava giocherellare con quei cerchi di luce.

Dopo essersi guardata intorno per alcuni istanti, prese coraggio e decise di riempire quel silenzio così pieno di nebbia…

“L is for the way you look at me…

O is for the only one I see…

V is very very extraordinary…

E is even more than anyone that you adore…”

… La canzone di Nat King Cole risuonò nelle stradine senza intaccare la pace della notte; al contrario, la voce di Emerald, lieve come un sospiro di vento e armoniosa come le stelle in cielo, dava a quell’atmosfera un tocco magico.

Mentre riempiva con la voce le note che sentiva nella testa, si immaginò come avrebbe voluto vivere: immaginò il lungo abito di seta adattarsi perfettamente al suo corpo, i capelli morbidamente sciolti sulle spalle, i caldi riflettori che rendevano l’ambiente colorato e brillante… E la musica. Oh quella musica; il Jazz e tutte le sue più piccole sfumature. Quella musica che amava; che avrebbe voluto far scaturire dal suo cuore per donarla al mondo come un dono prezioso…

Emerald era ambiziosa, non ci poteva fare niente: aveva sempre sognato di camminare su un palcoscenico, di cantare note di ogni sfumatura e tono, di ricevere gli applausi della folla in delirio.

L’ultima nota sfumata uscì dalle sue labbra, perdendosi nella luce dei lampioni. Come sempre, il sogno di una vita sfavillante e non più rilegata alle sponde del Bayou, finì troppo presto per Emerald. Come ogni volta che finiva di cantare, vide la folla e i musicisti dissolversi come nebbia davanti ai suoi occhi; e si ritrovò improvvisamente sola.

 

“Ahaha, brava. Complimenti, Meticcia, hai davvero una voce angelica”. Una voce canzonatoria nel buio la destò completamente dai suoi pensieri. Alla luce di un lampione comparve un ragazzo.

“Ei, fratello, non è la ragazza che ti ha schiaffeggiato giorni fa?” domandò un altro ragazzo, comparendo sotto un lampione, questa volta alla sinistra della ragazza.

“Sì, è proprio lei, fratellino” rispose una terza voce, mentre un terzo ragazzo compariva sotto un lampione.

I tre fissarono ridacchiando Emerald, mentre quest’ultima iniziava a sentirsi in pericolo.

“Ei, Mulatta, perché ci guardi in quel modo? Senti mi dispiace se sono stato scortese con te” disse questo avvicinandosi barcollante. Emerald capì subito dall’andatura e dalla bottiglia che aveva in mano che i ragazzi erano ubriachi.

“Ma vedi, a volte non ragiono. Quindi mi voglio far perdonare” finì fermandosi a un metro da lei.

Emerald capì che doveva scappare subito se non voleva finire intrappolata; fece due passi indietro, credendo di avere abbastanza spazio per fuggire. Non si era accorta però che erano comparsi altri due ragazzi alle sue spalle. Quando urtò il petto dei due, capì di essere stata circondata.

“Dove vai? Il caro Tom vuole farsi perdonare, ti farà un bel regalino, vedrai” disse il ragazzo più massiccio alle spalle di Emerald, alitandole in faccia. Un forte odore di liquore le arrivò alle narici; era talmente forte che la nauseò.

Fece per allontanarsi da lui, ma questi le afferrò il polso sinistro.

“Lasciatemi, brutti farabutt…” cercò di pronunciare, prima che una mano le tappasse la bocca.

Vide gli altri due ragazzi avvicinarsi e tentare di immobilizzarle le gambe. Emerald, in preda al panico, iniziò a urlare e a scalciare, cercando di divincolarsi dalla stretta al polso e a quella sulla bocca.

Riuscì a dare un calcio a uno dei ragazzi, ma questi non si fermò e riprese a tentare di fermarla.

Emerald, stremata, chiuse gli occhi solo per un istante. Credeva di non avere più scampo….

I ragazzi emisero uno dopo l’altro un grido sommesso. Uno per volta, lasciarono la presa sulla ragazza e caddero a terra disorientati.

Emerald osservò intorno a sé: non c’era nessun’altro. Eppure qualcuno l’aveva liberata. Doveva cogliere l’occasione e scappare. Senza pensarci due volte, iniziò a correre senza una meta.

“Inseguiamola, sta scappando!” sentì gridare alle sue spalle.

Emerald corse quasi in apnea, per paura di fare rumore con il respiro. Sentiva il gruppo a pochi metri di distanza e sembravano intenzionati a fargliela pagare.

Finì in una piccola piazzetta illuminata. Doveva trovare un posto sicuro dove nascondersi…  Ma dove?

All’improvviso colse con la coda dell’occhio qualcosa che si muoveva. Scattò verso un vicolo in penombra, per evitare di essere vista e restò ammutolita da ciò che vide.

Un’ombra distorta passò alla luce di un lampione….

“Un’ombra … senza padrone?”

La strana figura scura le fece cenno di seguirla, puntando prima verso una stradina dall’altra parte della strada e facendole un gesto che voleva dire “seguimi”.

Emerald  non se lo fece ripetere due volte. Appena l’ombra sgusciò verso l’altro capo della strada, lei la seguì veloce come una scheggia.

“Eccola! L’abbiamo in pugno!” sentì gridare ancora alle sue spalle. Emerald strinse i denti, cercando di non cedere alla paura e cercando di non voltarsi a guardare.

Si concentrò sulla figura che, davanti a lei, apriva un percorso in mezzo a stretti vicoli e strade sconnesse; per un istante sembrava che la Notte, captando le sue urla, avesse voluto aiutarla a scappare da quei manigoldi.

Finì in un vicolo cieco.

“E adesso? Nuit, aide-moi!” proferì a bassa voce, mentre sentiva le voci del gruppo farsi più forti ogni secondi di più.

L’ombra, strisciando a terra, si avvicinò alla luce del lampione, si raddrizzò in posizione eretta e indicò una porta di scuro legno. Emerald, senza aspettare altro tempo, girò il pomello ed entrò, chiudendo subito dietro di sé.

 

Restò per alcuni istanti accucciata accanto alla porta, con la mano serrata sul pomello, in caso qualcuno di loro fosse voluto entrare. Ma dopo alcuni istanti si rese conto che non sentiva nessun rumore provenire dall’esterno. L’improvviso silenzio la spinse a tirare un sospiro di sollievo.

Il cuore le tamburellava nel petto e aveva un groppo in gola, ma almeno era salva….

“Il negozio è chiuso”

Una voce profonda  la fece voltare. Il cuore le mancò un battito, quando si accorse di stare fissando l’Uomo Ombra.

In principio non riuscì a pronunciare nessuna parola; quegli occhi viola, come due luminose ametiste, la fissavano con tale intensità che per un attimo Emerald pensò che l’uomo potesse leggerle nell’anima tutto il timore che provava.

“M-Mi dispiace, Signore, non-non volevo disturbarla… D-davvero” cercò di scusarsi la ragazza, in preda al timore di averlo adirato. Aveva sentito storie così raccapriccianti su di lui che soltanto il pensiero di trovarsi nel suo negozio la paralizzava dalla paura.

Velocemente, si tirò in grembo il borsone, capovolgendolo senza farci caso.

Ebbe appena il tempo di veder scivolare fuori il barattolo di erbe, che subito emise un “No!”.

Ma il barattolo, miracolosamente, non cadde. Sembrò restare sospeso in aria. Ma guardando più attentamente verso la direzione della parete, Emerald si accorse che qualcuno, o meglio qualcosa, stava sorreggendo il vasetto.

L’ombra di Facilier, distorta in una posizione innaturale, reggeva con una mano il barattolo. Senza proferire parola, l’ombra le tese l’oggetto; voleva che Emerald lo riavesse.

La ragazza si sentì improvvisamente tranquillizzata da quella creatura della notte. Il suo gesto non sembrava nascondere attacchi o pericoli, perciò tese la mano verso l’oggetto e lo riprese.

“Merci, ma chère Nuit” proferì con un mezzo sorriso. Non sapeva neppure lei il motivo per cui l’aveva chiamata a quel modo.

L’ombra, evidentemente allegra, fece una capriola in aria e si riavvicinò al suo padrone, riposizionandosi come quest’ultimo in posizione eretta. Fu in quel momento che l’uomo riparlò.

“Ti hanno fatto del male?” domandò tendendo una mano per aiutarla a rialzarsi.

“Che cosa?” domandò Emerald istintivamente. Non ricordava più che stesse fuggendo da quei ragazzi.

“I ragazzi fuori di qua sembravano molto arrabbiati con te”

La ragazza notò che l’uomo teneva ancora la mano tesa verso di lei. Dopo aver ripreso respiro decide di afferrarla.

Quando la sua mano venne stretta dalle dita affusolate dello stregone, Emerald trattenne una smorfia di stupore: la mano dello stregone era calda e la sua stretta era delicata anziché dura come lei si aspettava.

“No, sto bene. La vostra ombra mi ha guidata fin qui e… Sono entrata senza nemmeno bussare” disse volgendo lo sguardo a terra, ancora intimorita dallo stregone.

“Mmmh, capisco. Dunque sei stata tu ad aprirle la porta, vero?” domandò Facilier all’ombra che, prontamente, si tolse il cappello e fece un inchino con un sorriso furbo.

Emerald rise silenziosamente, ma un’improvvisa fitta alla mano sinistra la obbligò a stringere i denti.

“Il polso sinistro… Mi fa molto male” commentò vedendo che l’uomo era tornato a fissarla. Senza commentare, le fece sollevare il braccio all’altezza di una delle candele accese. Su tutta la circonferenza del polso era chiaramente visibile una striscia violacea, segno che l’avevano afferrata in quella zona.

“Sediamoci al tavolo. Basterà una fasciatura per curarlo” disse indicandole il tavolo in fondo al breve corridoio. La ragazza, nonostante fosse contraria, si trovò a seguirlo in silenzio.

Mentre l’uomo le fasciava il polso, Emerald non proferì parola; nella sua testa una marea di pensieri si facevano strada e si scontravano tra loro, in preda al dubbio.

Fin da bambina Emerald sapeva che personaggio fosse l’Uomo Ombra: non c’era nessuno a New Orleans che non fosse a conoscenza dei suoi poteri da stregone voodoo. Lei, che aveva studiato da Mamma Odie, sapeva che era un bokor* dai grandi poteri e che doveva stargli lontano se non voleva cadere in qualche sua trappola e rimetterci la pelle.

Fino ad allora non lo aveva mai incontrato personalmente e quell’improvvisa vicinanza l’aveva scossa non poco.

Lentamente, si strinse al petto la collana che teneva sempre con sé, cercando di infondersi sicurezza.

“Ecco fatto. Tra qualche giorno non sentirà più male, signorina….?”

“Emerald. Oh, voglio dire, signorina Martin” rispose per poi correggersi avvampando come un peperone per quella troppa confidenza.

“… Signorina Martin” finì a frase l’uomo, tenendo la sua mano sopra quella dorata della ragazza.

“Oh, è meglio che vada, devo ritornare alla zattera per torn…” “… Se posso darle un consiglio, signorina, le suggerirei di restare in città per questa notte” proferì l’uomo, prima che la ragazza aprisse la porta per andarsene.

“Quei ragazzi saranno andati via a quest’ora, non mi ritroveranno” commentò Emerald voltandosi a fissare l’uomo negli occhi.

“Non è di loro che dovrebbe avere paura. Qualcos’altro si sta aggirando in città. Non è sicuro, per una signorina, andare in giro al buio e da sola”

Quell’ultima frase turbò Emerald.

“Q-Qualcosa…?” pronunciò fissando con la coda dell’occhio la porta. Istintivamente portò la mano di nuovo al ciondolo sul collo.

“Con un amuleto come quello credo proprio che non vi succederà nulla, se resterete in città e troverete rifugio in poco tempo” commentò l’uomo indicando la collana.

Emerald si strinse l’amuleto al petto.

“Devo andare” disse prima di aprire la porta e fuggire.

 

Facilier restò per alcuni secondi a fissare la porta che cigolava. Quella ragazza era fuggita così in fretta che nemmeno l’aveva richiusa. Dopo essersi ripreso, richiuse l’uscio e  si rimise al lavoro: prima che Emerald piombasse nel negozio, stava riempiendo la borsa di cuoio con tutto quello che poteva servirgli per compiere il suo incarico.

Maldestramente, nel sollevare uno dei talismani protettivi, fece cadere alcune candele spente sul pavimento.

“Non sembri molto tranquillo, Facilier” commentò con voce serpentina l’Ombra. Aveva notato il repentino cambiamento nell’uomo alla vista della ragazza.

“Sono solo un po’ scosso. Tutto mi sarei aspettato, fuorché lei… ” disse Facilier.

“Carina vero?” chiese l’Ombra con una nota di burla nella voce.

“Sicuramente la dea Erzulie** è stata molto generosa con lei. Non mi stupirei sei lei stessa fosse una reincarnazione della dea” commentò ripensando alla bellezza di Emerald.

Quando aveva visto il suo viso, alla luce delle candele, aveva pensato che fosse un’allucinazione; senza dubbio, era la ragazza più bella che avesse mai visto in tutta New Orleans. Ma c’era anche qualcos’altro oltre al semplice aspetto in quella ragazza… Qualcosa di più spirituale, di più etereo.
“Ad ogni modo ricordati che non sei qui per lei” proferì amaro il famiglio, interrompendo i pensieri dello  stregone.

“Hai ragione.” disse prendendo da uno scaffale un lungo bastone affilato ad un’estremità.

“Andiamo, abbiamo del lavoro da fare” proferì l’ombra per poi spegnere tutte le candele con una semplice giravolta.

 

*Bokor (Bocor, Bòkò) = Sacerdote che pratica magia nera ed è più coinvolto nella stregoneria che nella guarigione.
** Dea Erzulie = dea della parola, dell’amore, dell’aiuto, della buona volontà, della guarigione, della bellezza e della fortuna, ma è anche deal della gelosia, della vendetta e della discordia.

 

A.A.: Se siete arrivati fino a qui, vi meritate una medaglia per la pazienza. Spero che questo chilometrico capitolo sia stato soddisfacente. Al prossimo capitolo!

P.Letty

   
 
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