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Autore: EdenGuns    17/08/2014    0 recensioni
Il raggiungimento della maggiore età è così agognato ed aspettato che sembra che debba accadere chissà quale miracolo quando il giorno arriva davvero.
Thomas, invece, non ci aveva mai fatto più di tanto caso. Aveva i suoi amici, la sua ragazza, sua madre. Nulla gli mancava, a parte la figura a forma di punto di domanda di suo padre, così vicino ma così lontano. La banalità della sua vita normale che si scontra con la morte, il lutto, la scoperta delle menzogne con cui era cresciuto. La decisione di cambiare, di tornare a vivere. Di rinascere.
Isobel, Katharine, Ares, la Congrega, il Clan, le Sylie, Baal. Soulcreek ed Amarante.
Un vortice di oro, sangue e zaffiri. Occhi color pece, sorrisi taglienti. Il mondo che cambia, o forse solo il suo cuore.
« I carry my crucifix under my deathlist,
Forward my mail to me in hell.
Liars and the martyrs, lost faith in The Father,
Long lost in the wishing well.»
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Livin’ on the edge

 

 

 

Thomas adorava i pancakes di sua madre. Ne avrebbe mangiati a quintali. Quando ne sentiva il profumo quasi si sentiva sollevare, come galleggiasse a qualche centimetro da terra attirato dalla scia della deliziosa fragranza, in una specie di surreale scena di cartone animato.
La mattina del suo diciottesimo compleanno si svegliò con quel meraviglioso profumo, che gli si era insinuato nelle narici come una calda tentazione. Non appena aveva schiuso gli assonnati occhi verde primavera un fastidioso raggio di sole che filtrava dalle tapparelle semiabbassate lo costrinse a richiuderli. Con un piccolo mugolio allungò la grande mano dalle dita lunghe ed affusolate a cercare il cellulare, avvicinandoselo successivamente al viso per guardare l’orario.

10.31

La tentazione di tornare a dormire era forte, ma mai quanto quella di mettere i denti su quei delicati e soffici piaceri appena pronti. Sbadigliando così dal sonno che ancora lo pervadeva, Thomas scese dal letto, rabbrividendo appena al tocco dei piedi al pavimento gelato. Sentiva una vecchia canzone anni ’60 provenire dalla radio accesa in cucina, e così, quasi stancamente, aveva seguito la breve strada fino alla stanza dove sentiva la madre trafficare.

« Thomas!» Disse lei col suo pesante accento francese, che non aveva mai perso nonostante gli innumerevoli anni passati in America. « Volevo portarti la colazione a letto, ma ti sei svegliato prima del previsto.» Spiegò, dispiaciuta di non essere riuscita a fare quella piccola sorpresa al figlio.

« Tranquilla, mamma, apprezzo il pensiero.» Asserì lui con un gran sorriso, mentre ricambiava il caloroso abbraccio della donna.

Quasi soffocava in quella stretta, affogando tra i profumati capelli biondi di lei che sapevano sempre di lavanda e miele. « Mamma, mamma, vorrei sopravvivere al giorno del mio compleanno.» Mugolò il ragazzo, ridendo appena dell’apprensione della donna.

« Non mi sembra vero che il mio bambino compia diciott’anni!» Disse lei in tono tragico, mentre lo liberava dal suo abbraccio.

Tra divertite risate alla fine Thomas si era seduto all’ampio tavolo, picchiettando le dita sul liscio mogano. « Hai fatto i miei pancakes preferiti?»

« Certo, mon amour.» Rispose lei con un dolce sorriso aggraziato, mentre preparava il piatto con la sua colazione e un bicchiere di arancia rossa appena spremuta.

Una volta servito ringrazia la madre, iniziando così a mangiare con grande soddisfazione nello zittire l’insistente brontolio dello stomaco.  La donna lo guardava con amorevole sguardo, le mani sui morbidi fianchi e l’esile fisico avvolto da una delicata vestaglia viola. Era molto bella, nonché molto giovane. Lo aveva avuto poco più che ventenne, dopo essersi innamorata follemente di un marine in missione in Francia. Incinta di diversi mesi l’aveva seguito in America, l’aveva sposato e poi era rimasta a fare la casalinga, sostenuta dallo stipendio più che soddisfacente del marito generale in marina, di dieci anni più grande di lei. L’unico problema era che lui a casa non c’era quasi mai. Così aveva dovuto crescere il figlio praticamente da sola, preoccupandosi di mandare avanti la casa con i propri sforzi. Ma mai si sarebbe pentita di tutto ciò che aveva fatto, perché la gioia che provava nell’avere suo figlio superava tutto quanto.

« Sempre buonissimi.» Disse Thomas, la bocca piena.

Con una dolce risatina lusingata la donna si schermì dal complimento, facendo un piccolo gesto con la mano. « Sono felice ti piacciano.»

Con un gran sorriso entusiasta Thomas continuò a mangiare, accorgendosi successivamente del continuo lampeggiare del suo cellulare. Letto il messaggio da parte di Isobel, la sua ragazza, lanciò uno sguardo a sua madre, intenta a pulire le padelle. Sapeva che non le andavano a genio i nightclub o le discoteche, ma l’idea di festeggiare il suo diciottesimo compleanno al Twilight Hotel lo faceva impazzire. Settimane di propaganda per quella nuova apertura, manifesti che ritraevano uno scuro edificio bizzarramente invitante, pieno di strane ombre e luci, come se si rincorressero sulla superficie in pietra della discoteca in un’affascinante danza. Aveva già aperto il sabato prima, e tutti quelli che vi erano andati erano rimasti strabiliati da ciò che avevano visto. Sembravano tutti così estasiati, ne parlavano come una delle migliori esperienze che si potesse fare nella vita. E lui era dannatamente curioso di vedere com’era. Dicevano che c’erano stati spettacoli con fuoco, danzatrici spettrali, serpenti e tutto ciò che di più pericoloso ed incredibilmente attraente ci fosse.

Quasi perso nei suoi pensieri, sussultò visibilmente nel sentire la madre scuoterlo.

« Thomas, sembravi incantato!» Esclamò lei, alzando di qualche ottava il tono di voce, solito di quando si preoccupava.

« Scusa, ma’. Ero solo pensieroso.» Minimizzò lui, rivolgendole un sorriso tirato.

Senza quasi ascoltarlo, lei aveva preso a fare una paternale alle sue orecchie molto conosciuta, riguardo la tecnologia e tutto ciò che comportava. Ormai insofferente, Thomas si alzò dalla sedia, andando a posarle un bacio sulla guancia e uscendo dalla stanza, direzione bagno.

Doccia. Ho bisogno di una doccia.

Una volta sotto il getto caldo tutti i suoi nervi si stesero, lasciando spazio a un lieve torpore che lo cullava nella più concreta tranquillità. Così poteva pensare alle parole giuste per convincere la madre. Nonostante l’avesse vagliata, sapeva che l’idea del “Ormai ho diciott’anni e faccio quello che voglio” non avrebbe funzionato, così era passato a tattiche più furbe.

Dopo essersi asciugato e vestito era tornato alla carica, nella testa un filo incompleto di frasi per lo più senza senso che si susseguivano. Una volta di fronte alla madre, che stava leggendo comodamente seduta in poltrona Cime Tempestose per la milionesima volta, si schiarì leggermente la voce, assumendo il più angelico dei sorrisi che riuscì a trovare.

« Sai, ma’, Isobel ha una sorpresa per me.» Cominciò, quasi dondolando sui talloni.

« Oh, che dolce ragazza, spero ti piacerà.» Commentò lei, alzando lo sguardo dal libro per sorridergli amorevolmente.

« Andiamo al Twilight Hotel, stasera, sai, quel locale…»

Il viso di sua madre si storse in una smorfia alquanto irritata. « Thomas, non so quante volte ti ho detto che odio quei posti! Tanto più quello!»

Il ragazzo la guardò in silenzio mentre dava vita a uno sproloquio su quanto lei ritenesse le discoteche il degenero della società. Con un piccolo sospiro, lui cercò di controbattere, ma sembrava una battaglia persa in partenza. « Non tornerò tardi.»

« Non mi interessa! Non voglio ti accada nulla di male, e quel posto non mi ispira di certo fiducia! Dicono che ci sono ragazze che ballano nude, che la droga circola e che danno alcolici ai minori di ventun anni!»

Non male, anzi.

Quasi gli avesse letto nel pensiero, sua madre si inasprì ancora di più, alzandosi dalla poltrona e brandendo il libro come fosse un predicatore di religioni. « Non fare quella faccia!»

Thomas deglutì, abbassando appena lo sguardo. Non ci avrebbe rinunciato, assolutamente no.

« Okay, mamma.» Si limitò a dire, cercando di assumere un tono di resa e acconsenziente.

Per sua fortuna sua madre aveva cieca fiducia in lui, così non ebbe problemi a liquidarla e ad andare a progettare un piano di fuga per la sera con Isobel.

 

Suo padre chiamava solo due volte all’anno: al suo compleanno e a quello di sua madre.

Si era quasi abituato ad avere una figura vacante nella sua vita, poiché le uniche volte in cui vedeva suo padre erano occasioni tragiche o straordinarie. Eppure si ricordava, da piccolo, di tutti quei compleanni passati sulle sue gambe a soffiare le candeline, o i grandi mazzi di rose rosse che portava a sua madre. Poi, improvvisamente, le sue visite si erano fatte sempre più rare, fino a divenire così sporadiche da renderle quasi inesistenti.

Sua madre affrontava tutto con un gran sorriso di fronte a lui, ma l’aveva sentita piangere nel freddo del suo vuoto letto, più volte.

Quando sentì il telefono fisso suonare e la madre chiamarlo, nemmeno si stupì. L’euforia che lo aveva pervaso nei primi tempi era sparita, lasciando spazio a un notevole senso di risentimento.

« Thomas, auguri.»

Tono di voce composto, come si addice a un generale: la sua voce non lasciava trasparire alcuna emozione. « Grazie papà.»

« Come stai, figliolo?»

« Non c’è male, tu?»

« Tutto tranquillo. Mi passi la mamma?»

A volte si chiedeva se avesse fatto qualcosa per farlo diventare così freddo e distaccato. Le poche volte che gli parlava gli sembrava di sentire crescere uno strato di brina su di sé. Dopo aver chiamato la madre era tornato in camera sua, cercando di pensare positivo per non rovinarsi la giornata.

Preso il cellulare tra le mani compose goffamente il numero di Isobel mentre si infilava una felpa. Rispose al primo squillo: « Ehi, ci sei riuscito?»

« No, per questo ho bisogno di una buona scusa per poter venire lo stesso.»

Lei rimase un attimo in silenzio, e lui se la immaginò pensierosa sdraiata a pancia in giù sul suo ampio letto, nella sua stanza esageratamente rosa.

« Puoi sempre dire che vieni da me e che poi rimani a dormire.» Concluse infine, con un piccolo sospiro.

« Esco alle dieci di casa, vi aspetto all’angolo, mh?»

« Okay, amore. Siamo io, te, Jake e Sam, arriviamo in macchina puntualissimi, giuro!» Promise, ridendo gioiosa.

« Allora a stasera, piccola.»

Chiusa la chiamata si gettò sul letto supino, le braccia e le gambe larghe, il cellulare chiuso nella grande mano. Dopo esser rimasto a pensare cosa indossare per diverso tempo, alla fine si era addormentato, quasi come se la scelta dei capi avesse funzionato come conta delle pecorelle.

 

« Thomas?»

La voce di sua madre lo svegliò dal sonno profondo in cui era caduto.

« Che ore sono?» Chiese in un mugugno, stropicciandosi gli occhi con le mani.

« Le sette e trenta.»

Aveva dormito per almeno sei ore. Sua madre si stupiva ogni volta nel notare quanto un adolescente maschio potesse dormire durante il giorno, nonostante le piene ore di sonno notturne. Thomas scattò a sedere con un piccolo grugnito, guardando la donna con aria smarrita.

« Stasera vado da Is, sto a dormire da lei.» Disse, portandosi una mano a scompigliarsi appena i capelli scuri.

Sua madre rimase a guardarlo per diversi secondi, come in disappunto, poiché non approvava che passassero la notte insieme senza essere sposati, ma alla fine cedette. « Okay, mon amour.»

Lui le rivolse un gran sorriso, convintissimo che in quel modo non lo avrebbe mai scoperto. « Grazie, mamma.»

Si alzò per darle un bacio sulla guancia e corse a cenare.

Dopo aver riempito lo stomaco di una deliziosa zuppa ai porri e zucchine, andò a darsi una veloce sistemata, e a preparare le proprie cose. Si erano fatte quasi le nove, ed essendo ancora totalmente indeciso su cosa mettersi, decise di affrettarsi e raggiungere il proprio armadio piuttosto spoglio. Aperte le ante vi si appoggiò ai lati con le mani, corrugando la fronte nel cercare qualcosa di adatto.

Dopo diversi minuti di inutile meditazione, era tornato all’idea principale: la camicia nera che era rimasta a guardarlo piegata su un ripiano per tutto il tempo. Un paio di jeans ed era pronto.

 

Una volta fuori di casa, si stupì dell’incredibile freddo e del gelido vento che tirava. Era il diciannove dicembre, ma le temperature erano nettamente più basse della media. Era come se la luna avesse portato con sé una coperta di ghiaccio che si era adagiata con spietatezza sulla città. Le strade erano buie e deserte, gli unici rumori che si sentivano provenivano da qualche isolato di distanza, e dalla direzione opposta in cui stava andando lui.

Con le mani in tasca e il mento affondato nel bavero del cappotto si convinse che non correva alcun pericolo, e così continuò a camminare in direzione del parco a passo svelto, dove sarebbero passati a prenderlo i suoi amici. Riusciva a vedere gli alberi a qualche centinaio di metro di distanza, così decise di aumentare il passo, dato che era quasi l’ora dell’incontro. Una volta arrivato davanti al cancello arrugginito chiuso da una rozza catena diede un’occhiata al cellulare, mandando poi un veloce messaggio a Isobel per chiederle tra quanto sarebbero arrivati. Mentre premeva invio, un fruscio di foglie lo fece sussultare. Voltò il viso per guardare nel buio un eventuale pericolo, ma non vedeva altro che fronde e siepi.

E’ il vento, piantala di fare la femminuccia.

Con un piccolo sospiro si voltò di nuovo verso la strada, desiderando ardentemente che i suoi amici arrivassero al più presto possibile.

E poi ancora, un fruscio, seguito però da un lungo guaito tra l’animalesco e l’umano. Thomas aveva il cuore in gola: gli batteva così forte che gli sembrava di sentirlo spingere per uscire. Si voltò di nuovo, ma ancora non vide niente: solo buio. Ormai spaventato, fece alcuni passi in avanti, venendo quasi investito da un auto che non aveva nemmeno fatto caso stesse arrivando. Aveva frenato all’improvviso, inchiodando a pochi millimetri da lui. Impaurito e con i fanali della macchina sparati negli occhi, si sentì immensamente sollevato nel riconoscere i volti sgomenti dei suoi amici, che si erano tutti spinti verso il parabrezza per vedere chi fosse quel demente apparso dal nulla in mezzo alla strada. Corse velocemente alla portiera del passeggero, salendo in macchina con il fiato spezzato.

« Ma da dove cazzo sei uscito?» Chiese ancora a bocca aperta Sam, il ragazzo alla guida, con i capelli biondi scompigliati e il viso puntellato dall’acne.

« Parti, amico.» Disse Thomas in tutta risposta, mentre Isobel gli si faceva vicina per assicurarsi che stesse bene.

Tempestato di domande durante il tragitto verso il locale aveva liquidato tutto l’accaduto come “una piccola distrazione causata dalle cuffie”, che tra l’altro non aveva. Ma nessuno sembrò farci caso.

Nonostante ancora il lieve senso di inquietudine che lo pervadeva a causa di quello strano episodio, la sua mente l’aveva giustificato come un animale selvatico.

Cos’altro può essere, sennò?

« Dio, guarda quant’è figo.» Sentì dire da Isobel, e così alzò lo sguardo, inquadrano il Twilight Hotel, che si ergeva imperioso nella notte gelida.

E in effetti lo era. Un edificio moderno, completamente nero, sembrava quasi fatto di marmo. Grandi luci erano puntate su di esso dal terreno, e ciò gli donava un’aria ancora più affascinante. La fila della gente che voleva entrare era spaventosa: continuava per diversi metri, ed era costeggiata da imponenti transenne in metallo, anch’esse completamente nere.

Una volta posteggiata la macchina e raggiunto il termine della coda, Thomas diede uno sguardo scettico ai suoi amici, che però sembravano già avere in mente qualcosa.

« Mio fratello mi ha dato questo Pass.» Disse Jake, mostrando a tutti il pezzo di carta rilegato in plastica che teneva applicato alla tasca della giacca come fosse un importante uomo d’affari. « Conosce uno dei proprietari, ci lasceranno passare senza fare un minuto di fila.»

Sorpreso per quella meravigliosa notizia, Thomas seguì il ragazzo, mano nella mano con Isobel, fiancheggiata da Sam. Passarono da parte alla fila tra gli sguardi pieni d’odio di chi stava aspettando.

« Prego, signori.» Disse il nerboruto uomo che stava davanti alla porta d’entrata, con aria arcigna e fisico imponente. Sembrava un grosso orso grizzly messo lì in cattività. Lasciarono che lui imprimesse loro sul dorso della mano il simbolo con cui erano sicuri di avere il permesso di entrare e quasi Thomas giurò di aver visto i suoi occhi scintillare di una strana sfumatura ambrata, ma si convinse di averlo guardato solo di striscio, e che quelle particolari luci potevano creare strani riflessi anche negli occhi più comuni.

Guardandosi di sfuggita la mano, rimase diverso tempo a contemplare quello strano simbolo, che sapeva d’antico e di pericolo.

Non vi mise molto però a dimenticare anche solo dell’esistenza dell’uomo e dell’intricato segno, dopo aver messo giù i giubbotti, all’entrata del strabiliante Twilight Hotel.

 

 

________________________

 

Mi pare così strano scrivere (o almeno, pubblicare) su EFP dopo tutto questo tempo. E cambiando totalmente genere! Mi sono buttata nel Sovrannaturale, mio genere prediletto sia di lettura che di scrittura, ed ecco qua. Spero apprezziate, e che magari lasciate un breve commento per conoscere la vostra opinione per migliorarmi e/o correggermi. Con l'auspicio che il primo capitolo piaccia, lascio la mia opera a vostra disposizione.

 

Ringraziando e sperando,


Eden [seize the day, carpe diem

 

N.B. "Livin' On The Edge" è una canzone degli Aerosmith. Loro i diritti, mio solo il piacere di poter ascoltare la loro meravigliosa musica. 

Ogni capitolo avrà il titolo di una canzone, ed a fine pagina non mancherò di aggiungere il nome dell'artista/gruppo cui appartiene il capolavoro scelto.

   
 
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