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Autore: Phantom13    18/08/2014    3 recensioni
"Posato sulla testa cornuta della poderosa e spettrale bestia di pietra, il volatile cominciò a lucidarsi le penne caudali con tutta calma. Certo, doveva andare ad un appuntamento decisamente importante, ma non c’era mai fretta. Conoscendo lei, probabilmente stava ancora dormendo beatamente. Per di più, guai ad arrivare là spettinato."
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Dedicata ad un mio amico ^.^
Genere: Fantasy, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata ad un mio caro amico: "Shinichi e ran amore"!!!
Questa è per te ^.^

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Penne nere e plasma blu
 
 
Gli artigli neri graffiarono lievemente la roccia porosa del gargoyle, appostato sul frontone del tetto del municipio.
Si sollevò il vento, una lieve brezza notturna, che odorava d’autunno. Si poteva ancora sentire l’umidità della pioggia caduta nel pomeriggio, che sarebbe diventata brina, se non neve, con il freddo della notte. Le sue penne nere frusciarono appena, al soffio di quell’aria birichina. Era poco più di una macchia nera schierata contro un cielo altrettanto cupo, invisibile per praticamente chiunque. Ammesso che qualcuno andasse in giro a quell’ora.
Il corvo piegò la testa di lato, guardando pigramente la distesa di strade e viuzze che si snodavano per quella foresta di comignoli e tetti di tegole. Non era un paesello molto grande, ma era molto fitto, con le case tutte unite tra loro, vicinissime le une alle altre. Strani esseri, gli umani. Con tutto lo spazio che avevano, perché ammassarsi a quel modo?
Posato sulla testa cornuta della poderosa e spettrale bestia di pietra, il volatile cominciò a lucidarsi le penne caudali con tutta calma. Certo, doveva andare ad un appuntamento decisamente importante, ma non c’era mai fretta. Conoscendo lei, probabilmente stava ancora dormendo beatamente. Per di più, guai ad arrivare là spettinato.
Finì con calma di rassettarsi la lunga coda arcuata, intanto il vento stava cambiando direzione. Ora soffiava da est, cioè dalle spalle del corvo. L’uccello gracchiò piano, muovendo un passo in avanti, avvicinandosi al limitare della testa del gargoyle. Ne fece ancora uno e poi si gettò nel vuoto.
Non aprì subito le ali, le tenne chiuse per la prima parte della discesa, aumentando follemente la velocità. Le aprì poi di colpo, l’aria fece forza sulle penne e lui schizzò via, in planata rasente, attraversando tutta la piazza ciottolata senza nemmeno dover battere le ali una sola volta. La spinta della caduta gli aveva fornito tutta la velocita necessaria.
Sempre in planata, con le penne primarie che fremevano tagliando l’aria, con il vento che lo spingeva da dietro e con i ciottoli che scorrevano sotto di lui all’impazzata, il maestoso animale si infilò nella strada che gli stava dritta davanti. Gettò tutto il proprio peso a destra per curvare, scartando bruscamente in una via laterale. Battè due o tre volte le ali per guadagnare quota, sterzò a sinistra per evitare di andare a sbattere contro un pozzo che regnava sulla piccola piazza laterale. Il corvo non si fermò, non rallentò, andò dritto avanti, superando il pozzo e proseguendo per un'altra strada.
Sfrecciò tra le case intelaiate di legno, le piccole finestre buie erano le uniche testimoni di quel silenzioso volo in solitaria del grosso corvo nero. Le vetrine serrate dei negozi offrivano un ben magro spettacolo, ai ciottoli della strada cominciò a subentrare il fango. Allo stesso tempo, le case cominciavano a cambiare faccia, i muri ad apparire più sporchi, le tegole più arruffate, le imposte più storte.
Il corvo battè forte le ali, sollevandosi drasticamente d’altezza. Risalì l’intero abitato, librandosi oltre i tetti. La distesa di comignoli fumosi a canna lunga si srotolò davanti ai suoi occhi.
Il corvo orientò un attimo la coda, rimanendo in equilibrio sul vento che ora soffiava lateralmente. Passò in volo radente sopra un piccolo comignolo dal cappello simile ad un fungo. Il fiato caldo che ne uscì sembrò appiccicarsi alle penne del corvo, che gracchiò felice, mentre lo sbuffo nerastro lo sospingeva in alto. Proseguì così, sempre in planata, muovendosi da un comignolo all’altro e sfruttando l’aria ascensionale che ne usciva. Se sbatteva le ali era solo per regolare il proprio equilibrio ai soffi irregolari di vento. Sopra la sua testa, nel cielo, luna e stelle, che fino a poco prima avevano brillato liberamente, cominciarono a soffocare dietro una pesante coltre di nuvoloni bassi.
L’atmosfera generale si incupì ancor di più, le nubi nere schiacciavano quasi il piccolo villaggio.
Il corvo scoccò solo un’occhiata storta al cielo. L’umidità era aumentata, ma l’ambiente generale ora era assai più adatto, tenendo presente chi era la persona che lui stava andando a trovare.
Tra un pensiero e l’altro, i tetti finirono. Il corvo spostò il proprio peso indietro, inclinando le ali in verticale, frenando interamente la propria corsa.
Sotto di lui ora regnava la campagna, o meglio quella che fino a qualche settimana fa era la campagna, tagliata da una sola strada sterrata, ora invasa dai residui della pioggia. Il glorioso campo di grano, che costeggiava le rive di quella strada, era ormai ridotto ad una desolazione unica, una distesa di fango punteggiata da spighe spezzate, grumi di terra smossi e lande di pozzanghere di pioggia o neve sciolta. Certo, quel terreno aveva fatto il suo dovere, nella stagione precedente, ma era comunque uno spettacolo triste, specialmente quelle spighe spezzate, ripiegate su se stesse e abbandonate. Sottili dita di nebbia stavano lentamente strisciando sui resti del campo, provenienti dai terreni boscosi oltre esso. Lembi bianchi, che, come fantasmi, vagavano erranti su e giù per i cambi di battaglia.
Parlando di fantasmi, forse non era il caso di attardarsi ulteriormente. Gli occhi color inchiostro del corvo scintillarono, mentre lui continuava ad osservare l’immota pianura che gli stava di fronte. Un lieve guizzo rivelò la presenza di una piccola volpe che si avvicinava furtiva al limitare della città. Lei e qualche ranocchio era tutta la vita che quel posto aveva da offrire.
Oltre il campo, alla base della piccola collina che spezzava l’armonia di vuoto dell’area coltivata si udì il rintocco di una campana, ad esso ne seguirono altri undici: mezzanotte.
Ma il corvo non attese di certo che finissero di cantare prima di spiccare il volo. Si gettò nuovamente in planata ripida, come aveva fatto prima dalla testa del gargoyle. Evitando questa volta di volare troppo basso, iniziò così la sua traversata per raggiungere la vecchia chiesa, la collina e il cimitero.
I rintocchi della campana terminarono, che lui era già a metà strada. Trapassò un batuffolo di nebbia, gorgogliando di piacere nel sentire il vapore acqueo inzuppargli le penne. Superò il banco di nebbia, due folti gruppi di spighe abbandonate, si specchiò negli abissi di una pozzanghera, sagoma di corvo contro grumose nuvole nere.
La prima, timida brina cominciò a fare capolino, ora sulle creste di fango, ora sulle foglie secche del grano. Ma al corvo non importava, i suoi occhi vedevano solo il campanile e la piccola, minuscola collinetta appena dietro.
Gracchiò, felice, seppur non ci fosse nessuno che lo stava a sentire. Raggiunse la torretta che faceva da residenza alle campane. Per puro scherno, vi fece un giro completo attorno prima di dirigersi alla sua meta finale.
Il cimitero risiedeva alle spalle della chiesetta sperduta, in parte situato in pianura, in parte già in pendenza sui principi dei fianchi della collina. In ogni caso, le lapidi ben scolpite si susseguivano con regolarità, ognuna ornata dai propri fiori. La tomba che cercava lui non rientrava nei canoni, e si trovava un pochetto più scostata dalle altre. Volando basso, il corvo proseguì il suo volo. Superò le lapidi e risalì lentamente la fiancata della collina, più un rigonfiamento del terreno che una vera e propria collina. In ogni caso, raggiunse ben presto il suo obbiettivo.
Prima ancora di vedere la lapide, scorse l’albero. Un vecchio, vecchissimo albero completamente secco, scrostato dalla corteggia, eroso dal vento e dall’acqua, i cui rami si protendevano ancora verso il cielo, sebbene ormai interamente ripuliti da ogni traccia di foglie o rametti minori. Sembravano più artigli, che rami.
Ai piedi di quell’albero, tra le radici ritorte, vi stava una piccola lapide, per altro anche storta, dalla forma circa arrotondata. Quale fosse il nome della persona lì sepolta non si poteva dirlo, il clima e il tempo avevano cancellato le lettere. Si riusciva giusto a leggere le date di nascita e di morte.  
Lì riposava lei, sotto quell’albero morto, sotto a quella lapide, accerchiata dai resti di una vecchia staccionata, della quale rimanevano in piedi soltanto tre pali e due traverse.
Il corvo parve quasi illuminarsi di gioia non appena scorse quella piccola lapide. Gracchiando, si posò sul suo ramo preferito. Rimase un attimo in attesa, gracchiò di nuovo, annunciando la sua presenza.
Nulla di nulla.
Una piuma gli si drizzò sulla sommità della testa, segno di grande irritazione. Gracchiò ancora, e ancora.
Nulla.
Certo che quando quella si metteva a dormire neanche una cannonata riusciva a svegliarla! Stizzito, gonfiando le lunghe penne lanceolate che aveva sulla gola, ed ergendosi in tutta la sua altezza, il corvo lanciò un unico, fortissimo grido mettendoci tutti i suoi polmoni.
E finalmente, qualcosa accadde.
Vi su come una luce bluastra, un increspatura del tutto simile a quelle che si creano negli stagni al lancio di un sasso, che ebbe origine dal terreno davanti la lapide e che avvolse tutto, percorrendo ogni superficie, ogni sassolino, in una sottile scia circolare. Per poi spegnersi subito dopo.
All’epicentro di quel bizzarro fenomeno, si riaccese la piccola luce sotto terra. I granuli di terriccio messi così in controluce creavano uno strano e bellissimo effetto, filtrando quel bagliore, ora palesemente blu. La luce, da sotto, cominciò a salire, aumentando l’intensità luminosa e il contrasto di colore che vedeva schiariti e anneriti le ombre e i sassi del terreno.
Poi, finalmente emerse. Una piccola fiammella gocciolante, un piccolo fuoco fatuo blu bruciava a mezz’aria scintillando. Il corvo gracchiò di nuovo, in saluto, tutto emozionato.
La fiammella si alzò di quota e quando ne raggiunse una che credeva adeguata, si accese come una torcia. La fiamma aumentò enormemente di volume, diffondendosi tutto intorno ma con precisa regolarità, andando a riempire una sagoma ben precisa. Quando l’intera figura fu colmata dalla fiamma blu, questa si restrinse fino a tornare alla grandezza originale, lasciandosi però dietro l’entità che il corvo era venuta a risvegliare.
Una ragazza, mezza trasparente, come composta da un delicato velo blu, nel cui petto il fuoco fatuo ardeva scoppiettando, era apparta in quell’appariscente maniera.
Capire di cosa fosse vestita era ben difficile, vista l’inconsistente natura del suo essere. Giusto appena si potevano identificare con precisione i lineamenti del suo viso, ma i capelli si vedevano perfettamente. Fluttuavano senza ordine in ogni direzione, ignorando o seguendo il vento.
Gli occhi del fantasma si accesero alla vista del corvo, le cui penne nere rilucevano del plasma di lei.
-Corvo!- lo salutò la ragazza. –Sei venuto anche oggi!- ridacchiò lei, librandosi in aria e andando a recapitare un bacino sulla testa del nero volatile, che gracchiò in risposta.
La fantasma sorrise, andando a sedersi sul ramo insieme a lui, il fuoco fatuo palpitò nel suo petto, quando toccò il legno. –Com’è andata la tua giornata?- chiese. –Il mondo dei vivi ha offerto qualcosa di nuovo?-
Il corvo chiuse gli occhi, in un acuto gracchio di felicità, prima di cominciare a raccontare.
-Oh, capisco.- mugugnò la fantasma quando il corvo ebbe finito di riportare le sue vicende di giornata. –Ancora quell’odioso picchio continua a far baccano accanto al tuo nido.- lo spettro digrignò i denti. –Che inconcepibile guastafeste! La prossima volta che lo fa, chiamami! Gli farò venire uno spavento con i fiocchi e i controfiocchi, stai sicuro che traslocherà in due secondi!-
Il corvo gonfiò le penne del capo, in posa bellicosa, lasciando intendere che gli andava benissimo, come idea.
La fantasmina rise alla sua reazione. –Bravo! Così ti voglio!-
Rimasero un attimo in silenzio, guardando entrambi il paesaggio che si stendeva dall’altro lato della collina, quello opposto al campo.
Stranamente, oltre quella rigonfiatura di terra che era il colle, nonché eterna dimora dello spettro, il tempo era bellissimo. Oltre la nebbia che invadeva spudoratamente sempre tutto, il cielo era cristallino, limpido. Il manto d’oblio della notte luccicava di stelle e l’argento della luna gocciolava su alberi e prati, illuminando quasi a giorno le distese di verde che si srotolavano ininterrottamente finchè occhio poteva vedere. I due rimasero un attimo in contemplazione.
-Che ti va di fare questa sera, Corvo?- chiese la fantasmina. Poi si voltò verso di lui, con un’aria di piena sfida. –Scommetto che questa volta arriverò prima io alla tana della famiglia di tassi.-
Il corvo gracchiò d’orrore, sbattè le ali dicendole chiaro e tondo che non sarebbe mai successo nemmeno in un milione di anni.
-Ah! Tu credi?- lo sfidò lei. –Bene, allora, Signor “Falco Pellegrino”, ti farò vedere chi è il più veloce dei cieli!-
Il corvo aveva già le ali aperte, pronto al decollo. La ragazza rise, gettando la testa in dietro, sventolando un attimo i piedi nel vuoto.
-Ai posti di partenza, allora!- esclamò. Insieme, recitarono il conto alla rovescia e schizzarono tutti e due come frecce, mirando al tronco della vecchia quercia che troneggiava la sponda sud del fiume d’argento lunare che tagliava in due la prateria costeggiata dalla foresta, un miglio più a valle.
L’aria frusciava loro attorno, mentre le spire d’acqua del fiume si avvicinavano sempre più. L’unico rumore oltre al vento era il battere frenetico delle nere ali del corvo e le risate della fantasmina.
–Mettici più grinta, Corvo, o vincerò io!- lo ammonì lei, piazzandosi in testa.
Sparirono così, la scintilla blu volante e la scheggia nera al suo fianco, che ora aveva guadagnato terreno dominando di nuovo la gara.
Sul ramo del vecchio albero morto erano rimasti una minuscola piuma e un residuo di fiamma fatua.
 
 
 
  
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