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Autore: Caramell_    18/08/2014    7 recensioni
Vicino alla casa abbandonata degli Hale c’è un lupo. Un lupo vero, fatto di carne e peli e artigli e zanne affilate come coltelli.
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Vicino alla casa abbandonata degli Hale c’è un lupo e Stiles non riesce a toglierselo dalla testa.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fanciullo, io già non ero come gli altri erano;
né vedevo come gli altri vedevano.
Edgar Allan Poe

 

 

 

 

~

 

 

 

Vicino alla casa abbandonata degli Hale c’è un lupo. Un lupo vero, fatto di carne e peli e artigli e zanne affilate ed è la prima volta che Stiles lo vede e, davvero, si chiede come diavolo ha fatto a non notarlo prima, perché quello più che un lupo sembra un cavallo, un cavallo molto grosso, peloso, pericoloso e cattivo e brutto come la fame, che ringhia come se volesse saltarti addosso da un momento all’altro e divorarti – no, peggio, farti a pezzettini e poi mangiarti lentamente, pezzo per pezzo – e maledizione, dovrebbe smetterla di fare certi pensieri, perché non aiutano, non aiutano per niente.
Comunque, Stiles si rende conto della sua presenza solo dopo anni di visite clandestine e già questo di per sé è strano, perché ha sempre avuto un occhio di riguardo per quel posto e si ricorda ogni cosa, ogni dettaglio – ogni tavola bruciata, ogni vetro rotto e pezzo di lamiera lasciato lì a marcire – di quella dimora in disuso. E forse è da considerarsi una cosa strana e malata e inquietante, ma Stiles non ha mai dimenticato niente e ha fissato quell’immagine nella sua mente come fosse incisa a fuoco.
Lo trova accoccolato su quello che rimane delle scale del portico e, mio Dio, crede di non aver mai visto una bestia di quelle proporzioni. Talmente nero da confondersi con la notte e con due occhi enormi, gialli e cattivi, per non parlare dei denti e degli artigli e di tutta la carrozzeria da pericoloso serial killer e uhm quello sarebbe davvero il momento migliore per scappare, se solo Stiles non fosse paralizzato dalla vita in giù, perché si, il suo cervello ha deciso di svignarsela e lasciarlo lì completamente affogato nel panico.
I ringhi che emette gli rimbombano in testa e gli trapassano il corpo e Stiles lo vede schioccare la mascella e snudare i canini e ok, crede – è sicuro – di essere lì lì dal farsela addosso. S’incolla al cofano della jeep e prende a fissare il lupo da lontano e lo vede ancora fermo là, dove l’ ha trovato quella sera stessa, tra i legni bruciati delle scale malandate d’una vecchia proprietà in disuso da anni. E, magari, si dice, potrebbe provare a fare un passo in avanti, forse non gli farà niente o meglio, non l’attaccherà e non tenterà di mangiarlo, e allora potrebbe dimostrarsi un po’ più coraggioso del solito e tentare, almeno, di muoversi ed andargli più vicino, ma, a quanto pare il vero problema è che lui non si sente abbastanza audace, non quella sera e, a dirla tutta, probabilmente nemmeno in quelle a venire e finalmente le sue gambe gl’obbediscono e salta in macchina più in fretta che può e, con le mani tremanti e le ginocchia di gelatina, mette in moto e s’allontana il più velocemente possibile, mentre si prepara mentalmente, volente o non, ad una delle tante, lunghissime ed estenuanti, notti insonni della sua vita.


Vicino alla casa abbandonata degli Hale c’è un lupo e Stiles non riesce a toglierselo dalla testa. Il giorno dopo è la prima cosa che dice a Scott, in mensa, quando l’amico è davvero concentrato su qualcosa che non siano gli occhi di Allison, il naso di Allison, le labbra di Allison e qualsiasi altra parte del corpo che appartenga ad Allison ed è uno di quei momenti rilassanti e perfetti, per confessioni di questo tipo, perché Scott non ha l’aria imbambolata da babbeo innamorato e potrebbe ascoltarlo seriamente, una volta tanto. E allora Stiles racconta tutto, l’aspetto di quel qualsiasi-cosa-sia-ma-sono-convinto-che-non-sia-un-cane e parla, parla come suo solito per quasi dieci minuti di fila e solo alla fine si rende conto di non aver ripreso fiato nemmeno una volta, durante il racconto e ok, ora si sente meglio, decisamente, eppure Scott non sembra essere dello stesso preavviso, perché lo guarda con gli occhi fissi e la ruga di preoccupazione che ha da un paio di mesi a questa parte è ancora più nitida e marcata lì, sulla sua fronte. Ma Stiles riprende a parlare e ignora quella visitatrice severa e pensa che a lungo andare Scott gli crederà, deve farlo.
- Ti giuro – dice – ti giuro Scott che era enorme e io davvero non ho mai visto un cane di quelle dimensioni. Oh, ma sono sicuro che non fosse un cane, perché era troppo grosso, troppo brutto e troppo aggressivo per essere un cane e aveva degli occhi gialli terribilmente inquietanti e…
- Tu stai scherzando.
- Cosa?
- Stai scherzando, vero? – e Stiles davvero vorrebbe guardarlo negli occhi e sorridere e dire che si, sta scherzando, che non c’è nessun lupo davanti alla casa abbandonata degli Hale e ch’è stato tutto un sogno, ma lui l’ ha visto, l’ ha visto sul serio e non può fare a meno di sentirsi un po’ deluso, forse anche ferito perché Scott lo sta guardando come se fosse un pazzo criminale con un piede nella fossa e ad un passo dall’essere soppresso e c’aveva sperato tanto, al suo appoggio, ch’era partito in quarta e non s’era preoccupato dell’assurdità della storia vera che stava raccontando.
- Io so che non mi credi – dice allora, la testa infossata nelle spalle e la forchetta che gli balla tra le dita – io so che non mi credi – ripete – ma io ero là e lui era là, con me e io l’ ho visto – e Scott a quelle parole scuote la testa e stringe i denti, perché non è la prima volta, in tutto quel tempo, che Stiles lo prende da parte e gli racconta delle sue visite notturne e sa ch’è importante per lui, che non può farne a meno, ma a volte vorrebbe prenderlo per le spalle e scuoterlo e gridargli in faccia di smetterla e di dormire, la notte, incede di andare gironzolando tra macerie e vetri rotti – ti dico che era accovacciato davanti al portico di casa Hale e stava fermo e sembrava dormisse, poi mi sono mosso e deve avermi sentito, perché si è alzato di scatto e ha cominciato a ringhiare e Dio, avresti dovuto vederli, i suoi artigli, sembravano quelli di una tigre e, d’accordo, tu non puoi saperlo perché non c’eri, ma le sue zanne erano ancora più spaventose e io era lì lì dal farmela sotto dalla paura e non riuscivo a fare altro che pregare che non mi mangiasse pe…
- Stiles
- …rché, si, non sarebbe stata una gran bella morte, in mezzo al bosco, sbranato da un lupo geneticamente modificato con due occhi gialli da far spavento e, cavolo, non mi ricordo proprio bene, ero troppo impegnato a trattenermi dall’urla…
- Stiles
- …re come una ragazzina, ma doveva avere anche la bava alla bocca, è ovvio e tutta l’atmosfera richiamava un po’ quella d’un film horr…
- Stiles
- Cosa?
- Che diavolo vai blaterando?
- Scusa? – e Scott lo vede strabuzzare gli occhi come quei personaggi dei cartoni che, da bambini, guardavano insieme la domenica sera e pensa che Stiles non sia cambiato affatto, non su quello almeno, e un po’, sotto sotto, ne è terribilmente felice – Ma, cavolo, amico, mi hai sentito si o no? Ti ho detto che c’è…
- …un lupo davanti alla casa abbandonata degli Hale, si, ho capito – completa per lui e, sul serio però, crede di avere un principio di emicrania.
- E allora perché me lo chiedi? – gli fa il verso Stiles e si, adesso ricomincerà con uno dei suoi soliti discorsi a piede libero, Scott ne è perfettamente certo – Ascolta, so che pensare a qualsiasi altra cosa che non sia Allison ti fonde i neuroni, ma cerca di ascoltarmi,  è importante ed è forse la cosa più eclatante successa negli ultimi anni in questo paese di mummie e vecchie signore e…
- Stiles – lo blocca allora Scott, un pizzico di rimprovero nella voce – ora ti farò una domanda e tu devi rispondermi sinceramente, d’accordo?
- Amico, pensi che sia un imbecille? – lo rimbecca Stiles – che diavolo ti salta in…
- Stiles
- Oh, va bene, va bene – e Scott lo vede poggiare la forchetta che ha tanto torturato fino a quel momento e fissarlo negli occhi con tanta attenzione che quasi scoppia a ridere. Quasi, però – fa la tua domanda, vedrò che posso fare – e Gesù, a volte vorrebbe picchiarlo, perché si sta nascondendo di nuovo e Scott ormai ha perso il conto di quante volte gli ha chiesto di non farlo, non con lui.
- Pensi davvero – riprende – che se la città sapesse, anzi no, se la polizia sapesse, che una bestia del genere s’aggira a meno di qualche chilometro dalla città, la lascerebbe scorrazzare per i boschi come se niente fosse?
- Ma…
- Niente ma, Stiles – l’interrompe ancora – e poi, diamine, tu l’ hai almeno mai visto un lupo? Nessuno in questa scuola, nessuno qui in città vede un lupo da anni e anni e, lascia che te lo dica, è improbabile oltre ogni dire che proprio tu l’abbia visto, ieri, a mezzanotte, tra le macerie d’una casa abbandonata e quasi maledetta dove le uniche cose che si possono distinguere sono pezzi di legno e finestre rotte – si ferma un momento e prende un grosso respiro e guarda Stiles negli occhi un secondo solo, un secondo in più, poi scuote un po’ la testa e ruota il polso in segno di resa – perdonami, ma sembra la trama di uno di quei film di serie B che mi costringe a vedere Allison il sabato sera.
Quando finisce di parlare dà una spinta un po’ troppo brusca al vassoio davanti a lui, afferra lo zaino e se lo carica in spalla e si volta ed esce dalla mensa, perché non vale aspettare, sa benissimo che Stiles non ha una risposta e la pausa pranzo è finita. Eppure non riesce a smettere di preoccuparsi, ché tutto è cambiato da quel giorno – Stiles è cambiato – e vorrebbe fare qualcosa, qualsiasi cosa, per farlo tornare com’era prima di quella dannatissima notte all’ospedale ed è terribile quella sensazione d’impotenza che gli paralizza i muscoli ogni volta che viene a sapere delle sue visite notturne, è terribile la consapevolezza di non poterci fare niente, se non sommergerlo di raccomandazioni e proibizioni da genitore apprensivo.
- Scott – si sente chiamare all’improvviso – Scott – ed era prevedibile che Stiles lo seguisse, no? Ma adesso non importa ed è meglio dimenticarsi di quella storia, ché la sua prossima lezione sta iniziando, anche se, in realtà, non ha idea di cosa tratti e, sinceramente, non gl’interessa, non quando Stiles è così vicino a lui e gli parla ad un palmo dal naso, con gli occhi un po’ più aperti e il petto che s’alza e s’abbassa per la corsa.
Scott si sente afferrare per una spalla e scocca a Stiles un’occhiata in tralice, ad un passo all’aula già piena.
- Scott, ti prego, sai che non ti mentirei mai e tu…
- Voglio che tu mi prometta una cosa, Stiles – e diavolo, Stiles vorrebbe tanto che Scott la smettesse d’interromperlo in quella maniera e di fare quella faccia così seria, perché s’allontana troppo dall’immagine dell’amico d’infanzia così sorridente che si porta come ricordo – voglio che tu smetta di uscire di notte.
- Cosa?
- Devi promettermi che smetterai di prendere la jeep e arrivare fino a casa Hale a guardare pezzi di legno inutili solo perché credi che ti faccia sentire meglio. Promettimelo – e Stiles ha quasi paura della nota disperata che avverte nella sua voce e sarebbe disposto a promettergli tutto, anche la vita sfilacciata che gl’è rimasta, ogni cosa, eccetto ciò che gli ha appena chiesto e allora sospira in un modo tanto impercettibile che Scott quasi non se ne accorge.
- Sai che non posso farlo – sussurra alla fine e vede Scott storcere le labbra e chiudere gli occhi, mentre le sue spalle si stringono e pare, tutto insieme, essersi fatto più piccolo e indifeso d’un bambino.
- Allora – una pausa – starai attento? Per me? – e davanti a tutto quell’amore fraterno Stiles sorride d’un sorriso timido e appena accennato e promette l’unica cosa che è capace di mantenere.
- Si – dice – questo posso promettertelo. Sei più sereno adesso? – e il sorriso che legge sul suo viso lo riempie di dolcezza.

 

Stiles non ha nemmeno dodici anni quando sua madre li lascia. Suo padre comincia a bere e trascorre l’anno peggiore della sua vita, rischia di perdere il lavoro e di non tornare più indietro e lui rimane inerme, vicino a lui, chiuso in casa o sotto la luce del sole, a chiedersi perché e che cosa ci fosse di sbagliato in lui, mentre il suo mondo s’appanna e si contorce in macchie opalescenti e Stiles sarà sempre grato a Scott, a Lydia e ad Isaac, a loro e alle loro famiglie, ché hanno provato ad aiutarlo e sono riusciti a farlo tornare a scuola quando non ricordava nemmeno come si facesse a camminare. Sono diventati parte della sua vita e hanno riempito quel vuoto enorme che il destino ha voluto donargli portandogli via sua madre e Stiles ricorda perfettamente le coperte in pile di Lydia e il suo divano scomodo e troppo corto per le sue gambe, il suo profumo tra i cuscini e le ciocche rosse e il latte al miele che lo svegliavano la mattina, il letto enorme di Isaac e i suoi calci negli stinchi, le loro partite a carte ad orari improponibili e gli abbracci fraterni e le pacche sulle spalle, e poi ricorda Scott e il suo calore, quando la notte si riscopriva a tremare e a piangere nel sonno, i baci tra i capelli e parole smozzicate sussurrate in un orecchio, le mani di Melissa e i piedi freddissimi di Scott, le sue occhiate gelide e l’amore che gli leggeva negli occhi e le loro lacrime e i loro sorrisi, le porte di legno sempre aperte e il concetto, allargato, di cosa significhi la parola famiglia e, alla fine, ricorda d’aver capito, allora, la forma più vera e pura dell’amore, le tante e infinite forme che possiede, il suo modo di portare sollievo e distruggere tutto e per questo, solo per questo, per quello che gli hanno dimostrato, in quel momento Stiles pensa a Scott e si sente un verme, mentre parcheggia la jeep tra le fronde degli alberi e si ritrova a fissare, ancora, le macerie di casa Hale.
Sono sempre lì, sempre uguali e un suo giorno d’assenza non ha cambiato il mondo né quel piccolo pezzo di terra abbandonata, ma, stranamente, come ogni volta che le vede, Stiles si sente un poco meglio e la testa smette di fargli male e il suo cuore un po’ si tranquillizza e non sembra essere ad un pizzico dal collasso. L’unico, non proprio trascurabile problema, potrebbe essere quella specie di essere oscuro vomitato dall’inferno che, con sua somma fortuna – non sia mai qualcuno lassù decida in altra maniera – è ancora lì, accucciato tra legno bruciato e bottiglie rotte. Al che Stiles comincia a credere d’essere stato maledetto da piccolo, perché, diavolo, non è possibile che un lupo – e si, non dirà mai il contrario, ché quel coso potrebbe essere di tutto ma non un normalissimo, innocuo cane da guardia e, il giorno dopo, a scuola, affronterà Scott e gli farà rimangiare quella sua idea balorda – abbia scelto il suo posto segreto per dormirsela alla grossa e ululare alla luna.
Comunque sia, decide, lui non ha intenzione d’andarsene, non quella volta, ché appena varcata la soglia di casa, l’intero appartamento gli sembrerà troppo vuoto e solitario e buio e stretto e parole fantasma gi s’insinueranno nelle orecchie e lui finirà a letto, sveglio come se aspettasse di morire da un momento all’altro, penserà a suo padre e sentirà rumori in cucina solo alle quattro passate e sarà terribile, come sempre, terribile e solitario e inutile e patetico e Stiles ne ha abbastanza di essere patetico, almeno per quella settimana.
Allora rimane a distanza e appoggia la schiena al cofano e il rumore riempie il silenzio e muove le fronde degli alberi e il lupo lo sente e scatta in piedi e, sotto la luce della luna, Stiles riesce vederlo per intero e gl’osserva il muso e le zampe e lo stomaco e gli sembra, in quella calma tombale, di sentirne addirittura il respiro.
L’animale arriccia il muso e prende a ringhiare e il cuore di Stiles ha un sussulto e una scarica di paura e adrenalina gli serpeggia lungo la schiena, ma rimane fermo dov’è, solleva il mento e tenta – fallendo miseramente, oltretutto – di smettere di tremare come una donnetta e, davvero, dovrebbe smetterla d’ascoltare quel suo stupido intuito che da un po’ di anni a questa parte non ha fatto altro che metterlo nei peggiori casini del mondo.
Sospira e tenta di calmarsi, mentre sente il cuore scoppiargli nel petto e comincia a sentirsi, ogni secondo che passa, la preda scema e l’agnello sacrificale. Ok, forse dovrebbe smetterla di pensare. E intanto quell’essere geneticamente modificato continua a ringhiare e uno scricchiolio sinistro di legno bruciato e vetro sporco s’espande nell’aria ad ogni suo passo e Stiles lo vede girare intorno e accostarsi sempre di più alla casa e un sollievo spontaneo si fa strada dentro di lui, quando si rende conto che non l’attaccherà, non quella notte, perché lo vede abbandonarsi vicino all’asse scura del portico, poggiare la testa sulle zampe e voltare il muso nella sua direzione e ok, a quel punto Stiles crede di sentirsi parecchio orgoglioso di se stesso e un sorrisino nervoso gl’occupa la faccia, ché, diciamocelo gli viene permesso di rimanere da una specie di cerbero dagli occhi gialli e il suo ego potrebbe averne abbastanza per i prossimi dieci anni. Non che possa muoversi molto, in realtà, eh, rimane comunque confinato vicino alla sua jeep, ma il solo essere lì, anche se non da solo e sorvegliato a vista, gli porta una tranquillità appena accennata e, davvero, è qualcosa di cui ha terribilmente bisogno in quel momento.
Si dà una calmata, quindi, si solleva con le braccia e poggia il sedere sul cofano e rimane lì così, la testa in direzione d’una porta d’ingresso ormai bruciata, occhi negli occhi con il lupo-cane più grosso e spaventoso del secolo e non è una cosa normale, non lo è per niente, ma Stiles non s’è mai considerato troppo normale e un’esperienza simile è sicuro non l’abbia mai fatta nessuno e, dopotutto, la considera un’immane figata – oltre a cominciare a chiedersi se non sia ora di cercare una buona casa di cura.
Abbassa gli occhi e ruota la testa e poi torna a fissarsi su quella specie di coso enorme. È spaparanzato tra le macerie e lo guarda fisso e ringhia basso, le orecchie sollevate e il pelo ispido, e quel suono pare la colonna sonora d’un film troppo surreale per essere vero. Un film un po’ troppo lungo, di un ragazzo e del lupo che faceva da guardia alle sue ultime, desolate, lacrime di bambino.

 

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Sono anni che Stiles si sveglia nel cuore della notte completamente sudato dalla testa ai piedi, col richiamo, amorevole, di giorni di carezze e ninna nanne pacifiche. Sono anni, da quando sua madre se n’è andata, che non riesce a chiudere occhio la notte, che aspetta di sentire la porta della camera di suo padre sbattere, mentre cresce nell’ansia smisurata che l’unico suo punto di riferimento rimanga ucciso in uno scontro a fuoco. Sono anni, migliaia e migliaia di giorni, milioni di minuti, miliardi di secondi, durante i quali non riesce nemmeno a guardarsi allo specchio, per paura di vedere, nel proprio riflesso, l’immagine, sbiadita e confusa e inutile, del suo più grande desiderio di figlio.
Sono anni che fa sogni orribili, che prova a contenere la rabbia e la solitudine e la disperazione, che abbraccia suo padre quando entrambi non sanno cosa fare per sfuggire ai rimpianti, che prova a camminare da solo, che cade di faccia nel fango, che sente la mano di Scott sul cuore e gli abbracci di Melissa sul petto. Sono anni e sembrano millenni.
Ma, alla fine, sono solo due settimane – due lente, pigre, sorprendenti, inaspettate e meravigliose settimane – che il ricordo della morte l’ ha ormai abbandonato, che è rimasta solo la voce di sua madre e i suoi sorrisi e le sue mani calde e Stiles riscopre l’amore che li ha legati e li legherà per sempre ed è sorprendente, si dice, davvero sorprendente, perché non c’è mai riuscito nessuno – né Lydia, né Isaac o Scott – se non, dopotutto, una delle creature più improbabili del mondo e nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe successa una cosa simile, eppure Stiles ringrazia il cielo, il mondo e le intere costellazioni per avergli mandato, tra nebbia e sconforto, l’abbraccio di Derek.

 

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È all’imbrunire del terzo giorno che Stiles comincia a parlare. Ormai non aspetta nemmeno che cali la notte per alzarsi dal letto e correre in mezzo alla desolazione. Si posiziona col culo sul cofano della jeep e intreccia le gambe e come fa da un paio di sere a questa parte, punta lo sguardo verso il portico della casa e scorge la sagoma, imponente, del suo nuovo compagno notturno. Quella volta sembra molto più calmo e tranquillo del solito, meno propenso ai ringhi e alle sue solite voglie da animale con la rabbia; non fa altro che fissarlo con quei suoi enormi occhi gialli e Stiles ormai crede d’essersi abituato a quel suo sguardo assassino molto più di quanto sia propenso ad ammettere, ma comincia a pensare che quel silenzio tombale sia imbarazzante – il che è strano, visto che, a rigor di logica, lui non dovrebbe nemmeno esserci lì e che, dopotutto, sono anni che rimane in silenzio sotto la luna – oltre che oltremodo sciocco visto che, adesso, sono in due e sono insieme. E, ok, se solo Scott potesse leggergli la mente o se potesse farlo una sola persona quantomeno sana di mente, direbbe che s’è completamente bevuto il cervello e che avrebbe bisogno d’uno strizzacervelli, perché non è normale né sicuro tutto quello che sta facendo.
Comunque, gira e rigira, dopo essersi dato del babbeo almeno un centinaio di volte, si porta le ginocchia al petto e, lanciato un ultimo sguardo al suo silenzioso amico, lo trova accovacciato tra la cenere e la terra, gli occhi chiusi e il muso appoggiato alle zampe, porta la testa all’indietro e fissa gli occhi sul cielo che gli circonda la testa. Fissa le stelle e le trova infinite e fredde e meravigliose e schiude le labbra e prende un grosso respiro e – è in sere come questa che mi manca più di ogni altra volta – sussurra e sente il lupo muoversi e i vetri sfrigolare tra loro e abbassa di nuovo il viso e lo vede in piedi, completamente sveglio, gli occhi che luccicano nell’oscurità, il muso arrotolato, i denti splendenti sotto la luce della luna e Stiles solleva un sopracciglio e arriccia un angolo della bocca, come se trovasse strano non ricevere domande o ordini e ringhi e – sai uhm mia madre – continua – lei, ecco, lei è morta – e l’animale inclina la testa e pare averlo capito e compreso e Stiles pensa, definitivamente, di stare impazzendo – se n’è andata quando non ero nemmeno al liceo e beh, non è rimasto molto di cui vivere, dopo quello – e le ultime parole quasi gli muoiono in bocca, mentre sente ancora gli occhi pizzicare e la testa scoppiargli. Il lupo è ancora lì, forse un po’ più vicino, forse un po’ umano davanti ai suoi occhi.
- Scott mi ha aiutato molto, però – dice poi, il viso scoperto e il vento che gli accarezza la nuca – lui è il mio migliore amico – si ferma un attimo e l’osserva muoversi in circolo e continuare a fissarlo – e anche Lydia e Isaac e Allison, c’era anche lei. Sono stati pazienti con me, soprattutto quando correvo da loro a notte fonda. Lydia beh, Lydia è la ragazza più bella della scuola, ha lunghi capelli rossi e due occhi profondi e Allison uhm Allison è come Scott per me, la sua migliore amica, cioè, e lei, lei ha un sorriso dolcissimo – deglutisce e si ferma un attimo, il cuore un po’ più veloce – e poi c’è Isaac – riprende, le mani a giocherellare con le cinghie dei jeans – lui è entrato nel nostro gruppo da poco, non così poco in realtà ma uhm è un buon amico, forse un po’ troppo pessimista però – una pausa – oh, e bara a carte – borbotta alla fine – e io lo becco sempre e gli dico di smetterla di fare certe cretinate perché cavolo non sono mica cieco, ma lui risponde che non è vero e che sono io a barare e allora di solito finiamo ad azzuffarci sulla prima superficie piana disponibile fino a che non riusciamo più a respirare, perché vedi lui, lui vive da solo e anche se facciamo rumore non c’è nessuno che viene a bussare o a lamentarsi alla sua porta – e Stiles davvero non riesce a capire perché si senta in dovere di spiegare la situazione dei propri amici ad un lupo pidocchioso a guardia di una casa abbandonata eppure – cioè no – rettifica – ha un coinquilino in realtà, ma Boyd non dorme mai lì perché di solito rimane da Erica e – si ferma ancora e si dà uno sguardo intorno. Il lupo è seduto tra la polvere, con gli occhi socchiusi e le fauci dischiuse, pare studiarlo e forse decidere se saltargli alla gola o meno. Naturalmente Stiles lo ignora o, almeno, prova a farlo e – Erica è la sua ragazza – riprende – di Boyd, intendo – e, a quel punto, il lupo sembra davvero capirlo, perché Stiles lo vede abbassare le orecchie e rilasciare un breve ringhio basso – quindi Isaac è sempre solo e di solito ci facciamo compagnia a vicenda – conclude con una scrollata di spalle. Abbandona la testa all’indietro e un rumoroso sospiro gli si condensa tra i capelli ed è profondamente consapevole di star facendo una cretinata, di pronunciare parole vuote e inutili, ma va bene così, per una volta non deve renderne conto a nessuno.
- Scott spesso dice che sembriamo una coppia – riprende allora, un sorrisetto sulle labbra e gli occhi chiusi – Scott è il mio migliore amico, ricordi? Te ne ho parlato prima. Bene. Lui ride e dice che ci comportiamo come dei fidanzati, ma credo che non gli piaccia questa situazione e che uhm ne soffra, almeno un po’, e io continuo a dirgli che non è come pensa, ma Scott è la persona più testarda e lenta e ottusa che abbia mai conosciuto ed il solo fatto che ancora non si sia messo con Allison ne è la prova. Sai, lei gli va dietro da un anno o giù di lì, ride alle sue battute anche quando toccano livelli di squallore inumani e, fidati, le battute di Scott li raggiungono spesso, scioglie i capelli in sua presenza e gli sorride di continuo e probabilmente l’intero liceo sa che ha una cotta per lui, ma lui è troppo impegnato guardarmi le spalle e a preoccuparsi per me per darle retta e forse un po’ mi sento in colpa. Giusto un pochino. Giusto parecchio. Perché da quando mia madre è morta Scott non fa altro che trattarmi coi guanti di velluto e gli sono grato, davvero, ma non gl’ho spiegato spesso che dovrebbe smetterla di pensare a me come il fratellino da proteggere e servire e darsi una mossa e guardarsi intorno, ché, accidentalmente, potrebbe esserci qualcuno che non vede l’ora di parlargli di una certa cosa. Non che mi ascolti molto, in realtà, la maggior parte delle parole che pronuncio non gl’arrivano nemmeno al cervello, eppure dovrebbe capirlo perché, santo cielo, c’è un limite a quanto uno può essere cieco, no? Lydia dice ch’è perché è maschio e i maschi non capiscono mai niente e allora gli rispondo che sono anch’io un maschio, ma che comunque ho capito e lei alla fine mi sussurra che, in realtà, Scott è tutto su un altro pianeta e che davvero non riescono a capire come faccia ad andare avanti così. A me non dispiace in realtà. Non troppo spesso. Scott è solo uhm Scott e se cambiasse, se diventasse come Jackson, per esempio, ma, mio dio, chi vorrebbe essere come Jackson? probabilmente non andremmo più molto d’accordo. Sai, lui è uhm è tipo la mia ancora di salvezza, Scott dico, non Jackson. Jackson è più lo stronzo di turno, ma non è così male, in fondo, molto in fondo e Lydia è pronta a giurare che non sia terribile come prova a farci credere. Lei è la sua ragazza, sai? Stanno insieme da un anno, più o meno, e, ogni volta che li vedo insieme, lui non mi sembra così cattivo e lei pare un poco più felice. Ecco, si, dicevo; Scott è una specie di orso salva-tutti. Come, per esempio, quella volta che…

 

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Il quarto giorno – notte – scoppia a piovere più o meno verso l’una del mattino. Stiles ha le gambe accavallate e le braccia conserte e sta spiegando al lupo e alle foglie degli alberi le rudimentali basi del lacrosse, quando un tuono distrugge il silenzio e una goccia fredda gli precipita sul naso. Sobbalza e impreca a mezza voce e sente un uggiolio arrivargli alle orecchie, mentre la pioggia precipita dal cielo e gl’inzuppa i vestiti.
S’infila nella jeep più veloce che può, ma l’acqua gli s’infiltra comunque nel cappuccio della felpa e Stiles se la sente scivolare lungo la schiena e sotto le mutande e, cavolo, non ci voleva proprio una cosa del genere, non alle due del mattino, col condizionatore rotto e la macchina più scassata del secolo, perché si, lui adora e venera la sua vecchia jeep azzurra, ma a volte – in situazioni come quella, ad esempio – sarebbe ben felice di donare un rene per averne una fresca di vernice e col riscaldamento a palla.
Si circonda il busto con le braccia e scuote forte la testa e mille goccioline ghiacciate si schiantano contro i vetri, mentre un rumore ovattato prende a circondarlo. Infila la chiave nelle toppa e ruota il polso, ché per quella sera va bene così e, a quanto pare, gli conviene tornare a casa. Dà un’ultima occhiata alla radura desolata e fissa gli occhi sulle macerie e Stiles è perfettamente sicuro che non dovrebbe essere così e probabilmente deve essere parecchio assonnato e confuso per vedere una cosa simile, perché il suo nuovo compagno di giochi – alias quella specie di lupastro geneticamente modificato – è ancora immobile lì, in mezzo alla radura, sotto l’acqua gelida e il vento sferzante. Ha il muso sollevato e il pelo completamente zuppo e l’acqua gli cola sugli occhi e tra le zampe e ok, Stiles non è mai stato una cima in scienze o in qualsiasi altra materia scolastica, ma dev’esserci qualcosa che non va, ché nessun animale con un po’ di buon senso e spirito di conservazione rimarrebbe sotto la pioggia a prendere freddo.
Non che gl’importi, dopotutto, ma quell’immagine, quella fotografia anomala al chiaro di luna, ecco, quella diapositiva bagnata e scolorita crede gli rimarrà impressa in mente per molto tempo, perché – e potrebbe metterci la mano sul fuoco – Stiles crede di non aver mai visto, in tutta la sua vita, una cosa più triste di quella.

 

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Stiles non ha mai messo piede in casa Hale. È sempre rimasto fuori, in mezzo al bosco e tra le macerie, perché entrare lì dentro gli sembrava un’invasione troppo sacrilega per metterla in atto. Non che non volesse farlo, s’intende – quella sua dannata curiosità non s’acquietava un minuto – ma era come se gli fosse sempre mancato il coraggio, ché lì dentro, probabilmente, non avrebbe travato niente oltre morte e desolazione e, davvero, credeva d’aver avuto a sufficienza fino a quel momento.
E la sua idea è ancora quella quando, quattro giorni dopo quell’acquazzone violento, torna alla pianura della casa abbandonata e parcheggia e scende dalla macchina e, questa volta, trova il lupo in piedi e sulle gambe ritte, il muso puntato verso di lui e gli occhi enormi ed è allora che Stiles comincia a pensare a lui come un guardiano, un signore della foresta incaricato di proteggere il rudere che la infesta. Non è cambiato niente, si dice, in quei suoi giorni d’assenza. Le macerie sono ancora lì e così la polvere e la cenere e l’odore di morte e la solitudine che striscia tra il legno, quel suo animale solitario e il sibilo del vento tra le finestre rotte. Non è cambiato niente e questo, un po’, fa paura.
Stiles vede la sua nuova creatura preferita girare in tondo e ringhiare basso, voltarsi di nuovo verso di lui e superare i legni bruciati e i vetri rotti e infilarsi in casa, la coda lunghissima sfiorare terra, il pelo scuro sotto la luce della luna e Stiles non è molto sicuro di quello che dovrebbe fare o forse no, ad essere sicuro è sicuro, il punto è che non crede sia davvero la cosa giusta da fare, ché comunque è come invadere un territorio straniero, un pezzo di terra e di storia e tragedia, un ricordo fatto di lacrime e fiamme altissime e non sarebbe giusto, non lo sarebbe per niente, ma, traditori, i suoi piedi si muovono da soli e calpestano resti d’omicidio e morti violente e, a questo punto, non c’è niente da fare, pensa, qualcun altro ha deciso per lui – più o meno.
Se solo Scott l’avesse saputo l’avrebbe ucciso.


È rimasta in piedi una sola stanza, in realtà. Il fuoco ha divorato tutto e lasciato ben poco da vedere e appena Stiles ci mette piede e scorge il vuoto e i mobili frantumati e la cenere e le ragnatele che gli penzolano in testa, allora decide che quella è stata la peggiore e più stupida idea del secolo e prova a fare marcia indietro e a tornare sui propri passi, ma un ringhio più che minaccioso gli sibila al lato e allora deglutisce e prova a non svenire, ché è intrappolato in una casa diroccata, solo, in piena notte e con un lupo a pochi passi di distanza e, cosa peggiore, è tutta colpa sua.
Si guarda intorno e storce il naso e gli occhi prendono a pizzicargli e la polvere e le ragnatele sembrano penetrargli nel naso e bloccargli il respiro e, all’improvviso ha un disperato bisogno di sedersi da qualche parte e riposarsi un po’, perché fa quasi male – di un dolore sordo e lontano e ridicolo – essere circondato da legno bruciato e mobili e letti da un piede soltanto.
Fa un passo in avanti, deglutisce e appoggia il sedere sul pavimento logoro e la luce della luna gli batte sulle spalle e sulla schiena e gli rischiara i capelli e riempie gli occhi e, sotto quella sua carezza fredda, Stiles localizza il suo fedele amico notturno. Lo vede accoccolato vicino a quella che doveva essere una piccola tavola in legno, i piedi logori, bruciati e neri come la pece. Ha le zampe intrecciate e il muso puntato verso di lui e Stiles gli guarda gli occhi e quasi si sente svenire, ché non sono gialli e orribili e minacciosi come immaginava all’inizio, ma sono gli occhi più belli che abbia mai visto, azzurri e brillanti come niente al mondo e ah, Stiles non credeva che un lupo potesse avere occhi così ma, in realtà, non credeva nemmeno che avrebbe mai visto un lupo, perciò
C’è un silenzio assurdo in quella casa, uno di quei silenzi di tomba non troppo rassicuranti e Stiles addirittura riesce a sentire il proprio cuore battere e sbattere contro la gabbia toracica e il rumore mischiarsi al respiro d’un pacifico animale di montagna e al suono, dolce, di tamburi indiani al tramonto.
- Loro avevano un figlio – dice nel buio, perché si, Stiles non ha mai sopportato il silenzio, soprattutto quando è inquietante e spaventoso e presagisce delitti e omicidi da film horror – le persone morte qui dentro, intendo. Credo si chiamasse Derek – sussurra e, con suo sommo stupore, una lacrima gli rotola via dagli occhi e gli sporca il viso – l’ho letto una volta sui fascicoli di mio padre – spiega e in risposta riceve un ringhio, un rombo basso nelle orecchie – dicono sia l’unico sopravvissuto – deglutisce e prende un ampio respiro, quella lacrima solitaria ormai asciutta e alza il viso e si guarda intorno e la rovina gli colpisce gli occhi e secca il cuore – lui – riprende, la voce flebile come un soffio di vento – c’era una sua foto sul dossier della sua famiglia e uhm lui aveva, ha due occhi bellissimi e – si ferma ancora e fissa l’angolo oscuro in cui crede sia rintanato il lupo, si passa una mano tra i capelli e s’attorciglia un paio di ciocche intorno all’indice – e probabilmente adesso è il più lontano possibile da qui – ragiona e si lascia andare ad una risatina nervosa – non lo biasimo, naturalmente – bisbiglia e – sarei scappato anch’io – confessa alla fine – lo faccio sempre.
Abbassa la testa e prende a tormentarsi le mani – tu uhm tu sai che vengo qui più o meno ogni notte, no? – riprende e, cielo, quella deve essere la notte delle novità e la cosa, sul serio, l’intera situazione, ha dell’incredibile – lo faccio per mio padre, in realtà. Oddio no, non proprio. Lo faccio per me – confessa – perché non voglio sentirlo piangere.
Solleva il viso e si porta una mano dietro la nuca, storce la bocca e il naso e – succede da quando è morta la mamma – rivela e gli occhi già gli pizzicano e gli bruciano e probabilmente scoppierà a piangere di nuovo e farà, di nuovo, la figura della femminuccia, sempre che possa succedere davanti ad un lupo, s’intende – papà torna a casa e s’infila nella sua camera e io lascio la porta socchiusa e sento tutto, ogni cosa, davvero e niente, è solo che a volte esco e vado al bagno e lo sento piangere. Di solito lo fa quando beve – e ok, Stiles non può crederci, ma sta davvero raccontando la storia della sua vita ad un lupo che, accoccolato tra la cenere, con le orecchie dritte e la testa inclinata, pare anche ascoltarlo attentamente. Ha bisogno d’uno psicologo, decisamente.
- Quando lo sento viene da piangere anche a me perché beh, perché non sono i genitori che dovrebbero piangere. Loro sembrano fatti di pietra, sono lì e ti proteggono, ci sono e affrontano qualsiasi cosa e ti sorridono quando sei tu a piangere e io – Stiles si ferma un momento e sospira e gli si bagnano le ciglia e fa di tutto per trattenersi, ché s’è ripromesso che non avrebbe versato più nemmeno una lacrima se non per le cose davvero importanti – io mi sono sentito così sperduto in quel momento, come se avessi perso la peggiore catastrofe del mondo e ho sentito e visto mio padre crollare e disperarsi come non aveva mai fatto ed è stato allora che ho capito. Lui era la mia roccia e mia madre era la sua. Ed entrambi abbiamo perso. Ho capito, certo, ma cosa potevo fare? Cosa si può fare quando ogni tuo punto di riferimento ti si sbriciola davanti agli occhi? Qualcosa si è preso mia madre, qualcos’altro sembra essere lì per mio padre e, Dio, io sono solo…me e sembra così misero, io lo sembro, al confronto e non so nemmeno cosa dovrei fare e alle volte mi sento talmente inutile e superfluo che… – e a questo punto si blocca di nuovo e si strofina piano gli occhi, solleva le ginocchia e se le stringe al petto, fa un ultimo, lento sospiro e seppellisce la testa tra le ginocchia e una nuvola nera sembra prendere vita sulla sua nuca e quasi si dimentica di non essere solo, in quella casa abbandonata sotto la luce della luna, almeno fino a che non sente qualcosa di piccolo e umido e caldo sfiorargli le dita. Stiles sussulta, sorpreso, e solleva la testa di scatto e…oh, quel suo compagno notturno è proprio lì, a nemmeno un passo da lui, enorme e pacifico come lo era le loro prime volte e sembra scrutarlo e giudicarlo, mentre avvicina il muso alle sue braccia e rilascia bassi ringhi innocui.
Stiles trema un po’ e ritira la mano e fissa, con gli occhi spalancati e la bocca aperta stile pesce lesso, quell’enorme ammasso di pelo e artigli e zanne e pezzi di cielo e la paura si dissolve e si nasconde – proprio là, vicino allo stomaco – e stende di nuovo il bracco e raccoglie il respiro del lupo tra le dita. Ha il pelo morbidissimo e Stiles non l’avrebbe mai detto e un minuscolo sorriso prende possesso delle sue labbra, quando prende a muovere la mano e l’animale, in risposta, muove un po’ le orecchie e sbatte gli occhi.
Stiles tira su col naso e si molla un pizzicotto su una guancia, come ad assicurarsi di non stare sognando, di averlo davvero davanti, quel cattivissimo predatore di foreste che, completamente ignaro dei suoi scervellamenti inutili, si scosta da lui e gli si posiziona alle spalle e Stiles sente il proprio cuore accelerare i battiti e quasi arrivargli in gola e il tonfo sordo che riempie il silenzio e la notte quando il lupo gli s’accoccola vicino, con la pancia sul pavimento. E lui rimane immobile, gli occhi spalancati fino all’inverosimile e una preghiera imprigionata tra le labbra, cosa che, a quanto pare, non va proprio giù al suo nuovo amico, perché prende a ringhiare e a sbattergli la coda contro un fianco, a schioccare la mandibola e a far scintillare i denti e uhm Stiles prova a rilassare le spalle e a spingersi un poco all’indietro e oh, quell’ammasso di pelo è caldissimo e soffice fino all’inverosimile contro la sua schiena. Poi lo sente emettere qualcosa che è simile ad uno sbuffo, quando si spinge un po’ più in basso e poggia la testa sul suo ventre teso. In quella posizione Stiles riesce a sentire il suo stomaco alzarsi ed abbassarsi e la cadenza del suo respiro entrargli nelle orecchie ed è così rilassante, così pacifico e terapeutico quasi che si lascia andare ad un lungo sospiro di sollievo e un sorriso enorme prende possesso della sua faccia. È un sogno, si dice, tutto un sogno, non c’è bisogno di preoccuparsi, non adesso, tanto vale goderselo.
– Sei morbidissimo – sussurra e in risposta riceve uno scontroso ringhio basso e quello che pare uno sbuffo – rimarrò qui per un po’, se non ti dispiace – uno scricchiolio, un rumore di passetti e un grugnito – proprio così, in questa posizione – un brontolio e il principio di un latrato – non mi mangerai, non è vero? – domanda poi, con un filo di voce – non credo che lo farai, ma beh, sempre meglio assicurarsene – e il lupo ringhia di nuovo e sbatte violento la coda sul pavimento logoro e ok, Stiles è sicuro di essere appena riuscito a farlo arrabbiare, ma non importa, non così tanto, ché è tutto un sogno e lui, per la prima volta dopo anni e anni di notti insonni, non vuole fare altro che continuare a dormire.
Scott sarebbe fiero di lui.

 

~


In realtà Scott vuole ammazzarlo. Se possibile, nel modo più lento e doloroso possibile, perché non si scompare così all’improvviso, non si scompare e basta e Stiles quella mattina non era nel suo letto e a suo padre è venuto un mezzo infarto, l’ ha chiamato che non erano nemmeno le sei del mattino e, ad un passo dallo svenimento, gl’ ha chiesto dove fosse quello sciagurato di suo figlio.
Scott non ha mentito, o meglio, non proprio e, per parlare chiaro, gl’ ha potentemente salvato il culo e poi, tranquillizzato lo sceriffo e tentando di non farsi venire un attacco di panico, s’è infilato un paio di vecchi pantaloni sgualciti e una maglietta non particolarmente pulita e s’è letteralmente catapultato in macchina, perché c’è un solo posto, sulla faccia della terra, dove Stiles potrebbe nascondersi e fargli venire un crepacuore allo stesso tempo e Scott è preoccupato da morire, ché è comunque una casa abbandonata, in un bosco, piena di vetri e pietre e oggetti appuntiti e chissà cos’altro e uhm anche un cane, ora che si ricorda.
È lì dieci minuti dopo e parcheggia la macchina vicino a quella che a riconosciuto essere la jeep di Stiles e ah, tira un minuscolo sospiro di sollievo e afferra il cellulare. Compone il numero e rimane in attesa, ma, a quanto pare, come sempre quando succede qualcosa di importante, Stiles decide d’ignorarlo e il telefono suona a vuoto e lui non sente niente.
Apre la portiera e poggia i piedi per terra e, un po’ curioso, dopotutto, prende a girare la testa a destra e a sinistra e a guardarsi intorno. Apre e chiude la bocca un paio di volte, a mo’ di merluzzo e comincia a chiedersi che cosa esattamente ci trovi Stiles in un posto simile, perché è solo...desolante, oltre che deprimente e parecchio inquietante, un ammasso di spazzatura e pezzi di metallo e vetro sparsi ovunque e foglie morte e radici e rami secchi e poi c’è la casa – in realtà no, più quello che ne resta – e anche quella è un disastro. Lastre di lamiera e cocci pendono dal tetto e dal portico, le finestre sono completamente distrutte, delle scale rimane ben poco, interi pezzi di legno bruciati ai bordi giacciono tra la polvere e ragnatele grandi quanto la sua testa circondano la porta d’ingresso e l’intero quadro appare così squallido, sotto la luce pallida del sole mattutino, consumato e inutile che Scott decide che parlerà un’ultima volta con Stiles e che, con le buone o con le cattive, farà in modo che non si muova più dal suo letto, non durante la notte.
Prende a camminare tra la polvere e prova, non senza qualche imprecazione non proprio signorile, a salire i gradire che lo separano dall’entrata. Mille scricchiolii gli riempiono le orecchie e arriccia le labbra e scuote la testa, seccato e sulle spine.
- Stiles – chiama e varca la soglia e prova a vedere qualcosa, tra tutto quel buio e – Stiles – riprova un po’ più forte – Stiles, diavolo, dai, esci fuori. Tuo padre è preoccupato da far schifo e tu...oh porca di quella… – ora, Scott non è mai stato un tipo scurrile, né facilmente impressionabile, ma, in questo caso, sfido chiunque, data la sua posizione di migliore amico e fratello – sempre metaforicamente parlando, s’intende – a non dare di matto o, quantomeno, a non smuoversi di una virgola, perché ha trovato Stiles e l’ ha trovato vivo e tutto intero e questo è ok, un passo avanti, ma il punto cruciale, quello che lo sconvolge tanto, in pratica, è lo stato in cui l’ ha trovato. Stiles sta dormendo, dorme sereno, accoccolato su un fianco, dorme come non l’ ha mai visto fare, scaldato dalla luce ancora debole del sole e in quella che crede sia l’unica stanza decente della casa, ma a Scott cade comunque la mascella per terra, ché dietro di lui c’è un uomo, nudo, muscoloso, con la faccia da serial-killer incattivito e nudo – e, davvero, non ha idea del perché la cosa l’ abbia colpito tanto – e Scott vede le sue braccia forti circondare Stiles e stringerselo al petto e spostare lo sguardo da lui alla bella che gli dorme in braccio e uhm soffermarsi su Stiles un po’ più del dovuto, arricciare le labbra e socchiudere gli occhi e, infine, spostare una mano e immergergliela tra i capelli, carezzargli la fronte e il viso e le guance e poi guardarlo con una tale dolcezza, una tale gratitudine che Scott già comincia a sentirsi di troppo. Sposta il peso da un piede all’altro, un pochino a disagio, e apre la bocca come per dire qualcosa, ma l’uomo seduto sul pavimento di casa Hale solleva di nuovo quel suo braccio tutto muscoli e si porta un dito vicino alle labbra e gli mima di fare silenzio, poi torna ad abbassare lo sguardo e a fissare il volto rilassato di Stiles e le sue mani scheletriche e le sue gambe sottili e Scott probabilmente deve essere impazzito – Stiles deve averlo contagiato – perché, a quel punto, la sua personale campanella del pericolo si zittisce di colpo e, alla fine, decide d’andarsene e di lasciarli lì, insieme, a fare qualsiasi cosa stessero facendo prima del suo arrivo – e no, non vuole sapere in cosa consiste questa cosa – e annuisce una sola volta e fa dietrofront, torna sui suoi passi e si precipita in macchina. Infila le chiavi nella toppa e ricostruisce nella mente l’immagine di quei due abbracciati, rannicchiati su un pavimento coperto di polvere, rinchiusi in una casa in rovina e, stranamente, si riscopre a trovare l’idea estremamente romantica e troppo dolce e melensa persino per i suoi gusti.
Scuote la testa e prende un respiro profondo. Poi scoppia a ridere, per l’assurdità della situazione, per il suo comportamento, per quello di Stiles e lancia un ultima occhiata al rudere e alla desolazione che acquista baciato dal sole.
Al loro prossimo incontro Stiles avrà parecchie cose da spiegargli.

 

 

 



























Note: Oddei, finalmente sono riuscita a pubblicarla. Quasi non ci speravo più. Questa è l' One-shot più travagliata nella storia delle One-shot. Ho dovuto riscriverla tre volte - sempre diversa, per lo più - e poi ho avuto problemi nel pubblicarla. A proposito: qualche anima pia che mi aiuti, vi prego; non riesco a cambiare il carattere alla scrittura, cosa che riuscivo a fare col mio vecchio computer e questa cosa mi fa facendo impazzire. Quindi se qualcuno sa come si fa, lo prego di spiegarmelo. Grazie in anticipo.
Ora, passando alla storia. Ci sono particolarmente affezionata - e non solo perchè mi ha fatto tribolare. Spero si stata una buona lettura e che i personaggi non siano risultati troppo OOC. A voi la parola, comunque. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Giudizi negativi o positivi è la stessa cosa. Adoro riceverne.
 

  
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