Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Kirathewolf    18/08/2014    7 recensioni
A nove anni di distanza dalla sconfitta di Naraku, Rin è ormai diventata un'adulta e dopo cinque anni di assenza da parte di Sesshomaru, i due si incontrano di nuovo. Questo porterà ad avvicinarli, ma sotto un altro aspetto poiché Rin non è più una bambina e soprattutto lui non sembra essere più il demone algido e sprezzante di una volta. Tutto ciò farà credere a Rin di poter trovare un posto nel mondo ed un futuro sereno con Sesshomaru, ma è costantemente tormentata dal problema della loro natura così diversa che lui sembra accettare faticosamente. Rin allora deciderà di nascondere il suo odore per un po' e intraprendere un viaggio alla ricerca della formula dell'eterna giovinezza, affrontando numerose insidie e minacciosi avversari che bramano come lei di ottenere l'immortalità. Riuscirà il suo disperato amore a farle trovare il coraggio di contare sulle sue forze umane, coronando un desiderio che va oltre il limite?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kohaku, Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru, Un po' tutti | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era già il tramonto e il cielo sembrava esser diventato la tela di un romantico pittore: era dipinto di rosa pastello, arancione e rosso. Gli uccelli in volo rumoreggiavano e si libravano nell’aria tiepida, mentre un profumo di erba fresca e umidità si faceva sempre più greve.
Che spettacolo meraviglioso pensò Rin, respirando l’aria a pieni polmoni. Guardò a lungo l’orizzonte e all’improvviso le spuntò un sorriso gioioso alla vista di un quadrupede che si avvicinava con velocità, fendendo l’erba e le spighe di grano. Rin posò immediatamente a terra la cesta carica di frutta che aveva e fece un gran fischio per richiamare l’animale: un grande cavallo albino.
“Shira! Si può sapere dove eri finita?” disse lei con un tono di rimprovero, andandogli incontro mentre il cavallo le girava attorno un paio di volte per manifestare la sua contentezza.
“Mi hai fatto preoccupare!” continuò Rin, accarezzandolo dolcemente. Prese una mela dalla cesta e gliela porse come premio.
Rin non poteva fare a meno di incantarsi per l’ennesima volta alla vista del suo cavallo di uno spettacolare bianco candido. In quel momento le luci del tramonto baciavano il suo manto splendente, rendendolo a tratti dorato e a tratti rosato. Rin fece un sorriso, ma stavolta c’era qualcosa di triste dentro di esso,perché quel bianco lattescente le aveva liberato dei ricordi che preferiva tenere dentro le sue segrete.
“Si, il tuo manto Shira non è nemmeno paragonabile ai capelli del signor Sesshomaru …” disse allora, con una voce quasi debole e rotta. Si sorprese di poter riuscire a dire ancora il suo nome.
Erano passati nove anni da quando lo aveva conosciuto, nove lunghissimi anni in cui lei aveva cercato di vivere appieno la sua vita, poiché aveva fatto una promessa a se stessa e soprattutto a lui. E ci aveva provato, ma non aveva ancora trovato il suo posto nel mondo. Inoltre lui negli ultimi cinque anni non si era più fatto vedere al villaggio e ciò le aveva causato infinita sofferenza. Kaede le aveva detto che era per il suo bene, perché lei non doveva essere influenzata dalle sue visite saltuarie che le facevano venir voglia di tornare la bambina selvaggia di una volta. Adesso era una donna di diciannove anni, eppure lui non era tornato. Tante volte Rin era fuggita come una ladra nel cuore della notte per andare a cercarlo ovunque si trovasse, ma alla fine tutti trovavano il modo di riportarla sempre indietro al villaggio. Ogni volta la tentazione di scappare era estrema, ma proprio quando Rin decideva di andare a cercarlo, ecco che davanti casa trovava un regalo ancora incartato: uno yukata o un kimono ricamato di stoffe pregiate.
Rin riponeva con cura ogni vestito in un cassettone di legno, e così erano quegli abiti che riuscivano a mantenerla in contatto con Sesshomaru. Toccando la loro seta e le increspature delle cuciture, pensava a lui e al fatto che non si era dimenticato di lei, eppure non si spiegava perché non volesse ancora vederla.
Rin scosse la testa come per scacciare i suoi pensieri fastidiosi e si caricò di nuovo la cesta in braccio.
“Andiamo Shira, fra poco è ora di cena. “ disse all’animale, saltandogli agilmente in groppa. Con una mano Rin strinse il crine del cavallo, mentre con l’altra teneva stretta la frutta che aveva raccolto nei campi. Shira aspettò docilmente che la padrona si sistemasse e poi si incamminò a passo d’uomo verso il villaggio, battendo con gli zoccoli la strada sterrata.
 
Dall’altra parte del campo, nello stesso istante e nello stesso luogo, ma nascosto tra gli alberi del bosco, c’era qualcuno che aveva osservato la scena con scrupolosa attenzione e indagando ogni minimo dettaglio percepibile da quella distanza. Con lieve sorpresa, ammise che se avesse visto quella ragazza girata di spalle, non l’avrebbe nemmeno riconosciuta, non fosse stato per il suo odore inconfondibile.
“ Rin è una donna, ormai.” non poté fare a meno di pensare.
Non era di suo gradimento l’idea di starsene nascosti a spiare una donna, ma quella non era una qualunque.
Non appena si era girata per guardare l’orizzonte, lui aveva potuto scorgere il suo viso. C’era rimasto qualcosa della sua infanzia nei tratti fini, ma quello non era più il viso di una ragazzina ingenua e spaurita. L’unica cosa immutata era quella sua espressione di gioia che aveva sempre avuto. I capelli poi erano cresciuti all’inverosimile e vibravano nell’aria incorniciandole il viso e avvolgendole i fianchi in morbide ciocche castano scuro. Notò che quello che indossava era uno yukata costoso che le donava sul suo fisico smilzo, ma in certi punti pareva starle perfino stretto.
“È diventata molto alta.” fu la sua osservazione “ed è cresciuta molto in fretta.”
Si rese conto che la Rin bambina che aveva conosciuto non c’era più, come non c’era più nemmeno la Rin appena ragazzina che aveva visto l’ultima volta. Di quella bambina visivamente c’era rimasto poco, se non per il fatto che portava uno yukata corto e parlava con un cavallo mangiando un frutto. Quella era proprio una scena da una Rin che sapeva cavarsela da sola, quella che ancora camminava nei boschi a piedi nudi e con le mani sporche di terra. Si, non c’era spazio a dubbi: era lei. L’odore era quello, ma l’essenza si era trasformata, così come si era trasformato il suo viso ed il suo corpo.
***
“Kaede, non trovi anche tu che Shira sia un po’ tesa stasera?” chiese Rin alla vecchia sacerdotessa, mentre la cena bolliva sul focolare.
Shira era nel cortile davanti casa che brucava l’erba, ma si vedeva lontano un miglio che era irrequieta.
La vecchia Kaede si affacciò alla porta spostando la tendina per dare un’occhiata: avvertì nell’aria un’aura demoniaca. Spalancò gli occhi sorpresa, ma poi tornò dentro cercando di darsi un contegno.
“Allora?” volle sapere Rin.
“Non è niente, probabilmente ha il sentore di un temporale.” rispose Kaede, liquidando la faccenda.
“Hai finito con questa zuppa?” continuò la sacerdotessa, controllando che la cena non bruciasse.
“Ancora un attimo e sono pronta!Non ti preoccupare, te ne porterò via la metà.” sorrise la ragazza. Versò la pietanza calda in alcuni recipienti e li richiuse, facendo attenzione a non scottarsi.
“ Ci vediamo più tardi, Kaede!” la salutò Rin un attimo prima di sparire da dietro la tenda.
Si incamminò lentamente per il viale verso casa di Inuyasha e Kagome. Era contenta perché quella sera ci sarebbe stato anche Kohaku, il quale era tornato al villaggio il giorno prima ed era già stato da Sango.
Non appena Rin arrivò a destinazione, spuntarono alla porta Akane, Akira e Naoki.
“Rin sei arrivata finalmente!” esclamò il piccolo Akira, andandole incontro assieme alla sorella Naoki.
“Rin sento da qui che hai messo le rape nella zuppa e non mi piacciono!” si lamentò Akane, facendo un balzo rapido e saltandole addosso per annusare il cibo.
Rin rise, non potendo fare a meno di pensare che l’olfatto della bambina si era sviluppato parecchio sebbene la sua giovane età.
“Akane scendi immediatamente o farai cadere tutto!” intervenne Kagome, che era venuta a darle una mano.
“Hai proprio preso le buone maniere di tuo padre, eh?” continuò la giovane sacerdotessa, tirando via Akane dalle spalle di Rin. “E tu Rin, non dovevi cucinare tutte queste cose per noi!” le disse con il sorriso sereno di sempre.
“Non preoccuparti, mi fa piacere. E poi sai che sono un disastro nel cucinare! Ci ho provato solo perché stasera c’è …” rispose Rin, ma si interruppe a metà frase.
“Kohaku!” esclamò lei non appena vide il ragazzo seduto al tavolo.
Rin lo abbracciò con trasporto travolgendolo come un fiume in piena ed il suo entusiasmo venne ampiamente ricambiato.
“Rin!Non ci vedevamo da un po’, come stai?” chiese lui interessato, sciogliendo l’abbraccio.
“Bene, non mi è successo ancora nulla di particolare.” rispose Rin, mentre sistemava la zuppa in tavola.
Nel frattempo arrivò Inuyasha seguito dalla piccola Akane che gli si era appesa al collo e gli mordicchiava le orecchie.
“Akane smetti, ma insomma! Se non fai la brava mi costringerai ad usare la cicatrice del vento!” sbottò il mezzo demone, tirandola via “sai quanto ci vuole a spazzar via un mezzo demonietto come te?”
“Ma papà, stavo solo giocando!” protestò Akane, mettendosi finalmente seduta tra i due gemelli.
Rin si sistemò davanti a loro, mentre Kagome distribuiva il cibo per tutti. Non poteva fare a meno di osservare i figli di Inuyasha e Kagome. Akane era l’esatta copia del padre:capelli bianchi dai riflessi argentati, orecchie da cane, unghie e canini affilati. Gli occhi però erano quelli marrone caldo di Kagome.
I due gemelli invece erano del tutto umani, ma non si somigliavano poi molto; infatti avevano gli stessi capelli neri di Kagome, ma Akira era identico a sua madre, mentre la bambina Naoki assomigliava più al padre ed aveva anche gli stessi magnetici occhi gialli. Fra i tre, Naoki era la preferita di Rin, ed anche la più timida.
“Naoki come ti è andato oggi il tiro con l’arco?” le chiese appunto Rin, considerandola un po’.
La bambina sorrise rispondendo con un “bene,grazie” e riprese a mangiare indisturbata.
“Stasera non è di molte parole” si scusò Kagome “è solo che crede di non essere ancora abbastanza brava.”
Kagome guardò sua figlia con tenerezza e le versò un altro po’ di zuppa nel piatto, mentre Inuyasha strusciava scherzosamente la testa della figlia:
“Anche tua madre era un disastro all’inizio,sai?” sorrise il mezzo demone al ricordo di una Kagome ancora inesperta.
“E un giorno tirò una freccia che mandò in mille pezzi la sfera dei Quattro Spiriti!”
“Cosa è, papà?” chiese Akira, incuriosito.
“Ah, non sono storie per bambini.” Intervenne Kohaku, mettendo scherzosamente in guardia i bambini.
“Ma a me Rin ha raccontato che era una bambina quando avvenne questa storia!” si agitò Naoki,sistemandosi meglio sulla sedia. Tutto a un tratto aveva lasciato da parte la sua timidezza, cercando di capirci qualcosa in quei discorsi da grandi.
“Si è vero, ma Rin era una bambina diversa.” ribatté Kohaku, chiudendo il discorso. Si voltò appena verso Rin, con lo sguardo pieno di ricordi.
Rin arrossì involontariamente e riprese a mangiare, conversando allegramente fino al termine della cena.
A fine serata, Naoki si era arrabbiata di nuovo con Akane e perciò tentava di morderle un orecchio, così era intervenuto Inuyasha a dividerle, mentre sua moglie sparecchiava la tavola.
“Forse dovrei mettere anche ad Akane una specie di rosario?” si chiese Kagome, ridendo al sol pensiero. No, poteva dire a cuccia ad Inuyasha, ma non alla loro bambina.
Kohaku li salutò con la promessa di tornare presto a trovarli e si propose di accompagnare Rin fino alla casa di Kaede. I due iniziarono a percorrere lentamente il viale sotto al chiarore della luna, i piedi che smuovevano i ciottoli vicino al fiumiciattolo.
“Mi sei mancata, Rin.” ammise Kohaku, voltandosi verso di lei e continuando a camminare.
“Anche tu!” rispose lei festosamente, dandogli una pacca sulla spalla.
Loro due avevano instaurato col tempo un solido rapporto di amicizia, che si rafforzava con la lontananza.
Rin ricordava che Kohaku all’inizio la portava sempre a fare delle passeggiate, ma quando erano cresciuti non c’era stato più tempo per quello. Kohaku era sempre più impegnato con il suo lavoro da sterminatore di demoni, ma ogni tanto tornava al villaggio per venire a trovare tutti. E quando tornava, trascorreva molto tempo con lei raccontandole dei suoi viaggi avventurosi. Rin poteva ancora ricordarsi di quando cinque anni prima gli aveva chiesto di addestrarla. Lei non aveva una necessità particolare di imparare ad usare le armi, ma ne sentiva il bisogno. Conosceva le piante medicinali e curative, sapeva cavarsela in una foresta da sola per giorni senza soffrire la fame e sapeva sopravvivere con dignità, ma a quei tempi non sapeva ancora come impugnare un’arma e difendersi. Rin si era entusiasmata grazie ai racconti di Kohaku, e non perché le piaceva diventare una sterminatrice di demoni, anzi, ma la inebriava la fantasia di viaggiare. E se imparava ad usare le armi e a difendere se stessa, poteva viaggiare senza problemi ed eventualmente aiutare la gente in difficoltà alle prese con demoni maligni e soprattutto i briganti. E forse avrebbe trovato uno scopo per cui vivere.
Quando chiese a Kohaku di addestrarla, all’inizio lui fu contrario, ma poi decise di accontentarla pensando che per Rin fosse solo un modo per evadere dalla realtà monotona che viveva al villaggio. Per questo quando Kohaku tornava dai suoi viaggi, erano soliti esercitarsi all’alba in una prova di combattimento in una radura sconosciuta ai più. Nessuno infatti sapeva del loro segreto, e Rin passava da sola interi pomeriggi tra i boschi ad allenarsi per conto suo, diventando sempre più abile.
“Ti andrebbe domani di andare alla radura?” le chiese Kohaku, quasi come se le avesse letto nel pensiero.
Rin lo guardò estasiata, accettando subito la proposta:
“Stesso posto e stessa ora?” chiese, trepidante.
“Sicuro. A domani, Rin.” la salutò lui, incamminandosi verso casa di sua sorella.
Rin entrò in casa a passi felpati per non svegliare Kaede che dormiva nella stanza adiacente alla sua.
Domani gli mostrerò di cosa sono capace, perché non sono più una bambina e non ho bisogno di nessuno che mi protegga. Pensò Rin mentre si toglieva lo yukata e si stendeva sul futon.
Non ho bisogno di nessuno, nemmeno di te … Sesshomaru.
***
Kohaku la stava aspettando nella radura. Non era molto lontana dal villaggio, ma era un posto sperduto e difficile da raggiungere. Rin però conosceva tutte le scorciatoie per arrivarci in breve tempo.
“Eccomi!” disse, sbucando da dietro un albero.
Portava uno yukata  verde smeraldo corto fino al ginocchio e con dei koi bianchi disegnati. Aveva inoltre messo una cintola di pelle alla vita, munita di vari foderi che contenevano una daga, un pugnale e una spada non molto pesante.
“Dove hai preso questa roba?” le chiese Kohaku, stupito. Tirò fuori una falce di legno.
“L’ho rubata.” sorrise di rimando Rin, facendo spallucce “perché non usi la tua falce invece di questo pezzo di legno?” chiese con disappunto.
“Non voglio rischiare di farti male, è pericoloso.” Rispose Kohaku, mettendola in guardia.
“Sono pronta.” lo incalzò Rin, sguainando la daga.
Kohaku sospirò e si mise in posizione: al suo tre iniziò il duello.
Lui aveva dalla sua la forza, l’agilità e soprattutto l’esperienza di anni, ma Rin non era più un “avversario” da poter sconfiggere a colpo sicuro. Era arrivata da lui la prima volta che non sapeva nemmeno come impugnare un coltello, se non per sviscerare i pesci appena catturati, ma col tempo era diventata veloce ed i suoi riflessi si erano sviluppati al meglio.
Anche quella volta Kohaku avanzava verso di lei lanciandole la falce di legno legata ad una catena, ma Rin parava prontamente ogni colpo e scappava a destra e sinistra come un gatto. Kohaku provò a fare una finta e Rin sembrò cascare nella trappola: era infatti caduta a terra nel tentativo di schivare quell’attacco inaspettato. Pochi attimi prima di essere colpita dalla sua falce di legno, Rin sguainò un pugnale che lanciò contro l’arma di Kohaku, facendole cambiare bruscamente traiettoria. La falce cadde a terra, il pugnale conficcato nel legno.
“Sei migliorata.” ammise lo sterminatore, mentre avvolgeva la catena tra le sue mani per riprendersi la falce. Staccò il coltello dalla finta arma e lo lanciò a Rin, che lo prese senza indugio dalla parte dell’elsa.
Continuarono per parecchio e Kohaku dopo del tempo si rese conto che Rin cominciava a perdere in resistenza, così che avanzare divenne sempre più facile.
Quando si ritrovarono vicini, Kohaku la disarmò di tutto ciò che disponeva e la buttò a terra, bloccandola alle spalle per non farla scappare.
“Sei promettente,Rin, ma devi imparare che saltare come un grillo alla lunga stanca. Perciò ricordati che combattere non è solo schivare, ma anche ferire.” la incoraggiò con un buffetto amichevole.
Si, Rin era diventata molto più abile nell’allenamento, ma le restava da imparare come combattere al meglio senza un eccessivo dispendio di forze.
Kohaku guardava Rin sotto di lei che aveva i capelli sparsi sul prato ed il fiato corto, lo yukata imbrattato di terra. Il viso di lei era sempre candido, ma in quel momento le guance le si erano colorate di un rosso caramello.
“Rin …”
Kohaku si spostò appena per permetterle di muoversi, lasciandole libere spalle e braccia.
“Ti arrendi?” le chiese, facendo per alzarsi.
Rin non rispose, ma prese svelta un pugnale che teneva infoderato ad una cinghia di pelle legata ad una gamba, nascosta sotto lo yukata estivo. La ragazza si tirò su velocemente e bloccò Kohaku, puntandogli il pugnale alla gola.
“ Ti sei distratto, caro amico mio.” rise allora lei, rinfoderando le armi.
Kohaku rise e l’aiutò ad alzarsi:
“Hai fatto un buon lavoro.” la lodò lui. “Io ora devo assolutamente andare, ma tornerò presto Rin, e allora mi batterai.”
Rin allora lo abbracciò strappandogli la promessa di portarle una nuova arma e rimase a guardarlo andare via, fino a diventare un impercettibile puntolino scuro nel bosco.
Rimase per una buona mezz’ora da sola nella radura a guardare l’alba, poi decise di fare ritorno a casa.
Non fece nemmeno qualche passo che sentì un rumore provenire dagli alberi dietro di lei, qualcosa come uno scalpiccio sulle foglie. Rin sguainò la sua daga e la tirò abilmente alla corteccia dell’albero da dove proveniva quel rumore insistente. Quello era il suo avvertimento.
Si girò per vedere di chi o cosa si trattasse, e quello che vide le cambiò per la seconda volta la vita. E per sempre.
“Sesshomaru …” 
  
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