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Autore: Little Redbird    19/08/2014    10 recensioni
Londra, 1800 circa.
Come ogni anno, accedere alla sala del ballo in occasione del Carnevale è vietato per Annabeth.
Riuscirà Annabeth, cocciuta sedicenne un po' viziata, a resistere alla tentazione di sbirciare oltre le porte della sala da ballo?
Genere: Commedia, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Il Ballo



Come ogni anno, accedere alla sala del ballo in occasione del Carnevale era vietato per Annabeth. Sua madre l’aveva raccomandata più di una volta, riconoscendo sul suo viso la solita delusione per non poter partecipare a quel misterioso ballo ancora una volta.
Le condizioni per essere ammessi nella sala da ballo, in quella notte speciale, erano solamente due: essere mascherati ed essere sposati. Annabeth avrebbe potuto facilmente rimediare una maschera – cosa che aveva fatto, vista la sua determinazione ad entrare una volta per tutte in quella sala a lei così familiare durante l’anno ma così estranea per quell’unica notte –, la seconda condizione era stata più difficile da aggirare.
A sedici anni poteva già vantare almeno tre pretendenti, ma nessuno di loro l’avrebbe accompagnata, e nessuno di loro le sembrava abbastanza interessante da poterci passare insieme una vita intera solo per partecipare ad una festa. Certo, Jonathan era così ricco che avrebbero potuto vivere per sempre in vacanza, ma questo bastava a compensare il fatto che fosse più basso di lei di almeno dieci centimetri? Sua madre le aveva detto di scegliere quello che la faceva sentire più bella, ma Annabeth si sentiva bella anche senza l’aiuto di nessuno, con loro si sentiva solamente a disagio.
Cercò di liberare la mente da quei pensieri cupi, osservando attentamente la figura che, nello specchio, ricambiava il suo sguardo; i capelli biondi erano stati magistralmente acconciati in voluminosi boccoli da Lisa, sua cameriera personale e confidente; il viso era stato imbellettato e gli occhi azzurri, rimarcati di nero, sembravano brillare.
Annabeth aveva comprato il vestito nuovo di nascosto; aveva imparato un’importante lezione l’anno prima: tua madre riconosce i tuoi abiti. Al vestito, blu con ricami dorati, era abbinata la maschera color oro che le avrebbe nascosto metà del viso. Tutti questi accorgimenti, uniti alla confusione che ci sarebbe stata, l’avrebbero aiutata a mimetizzarsi tra la folla.
Indossò la maschera e si volse verso la porta delle sue camere. Lisa stava entrando con un enorme sorriso in volto, eccitata quasi più di lei.
«Gli hai detto tutto?» le chiese, mormorando cautamente.
L’espressione di Lisa mutò all’istante, divenendo seria e risoluta.
«È pronto» assicurò, annuendo energicamente.
«E tu?» chiese Annabeth, studiando la figura della cameriera.
«Pronta a mettermi a letto» confermò con un sorriso.
Annabeth pensò che fosse così esaltata perché probabilmente non aveva mai dormito in un vero letto in vita sua. Quelli nell’ala della servitù di certo non meritavano di essere definiti letti.
Del resto, Lisa era l’unica a somigliarle vagamente; i biondi capelli stopposi erano stati raccolti in una treccia, così da dissimularne la lunghezza. Benché avesse solo tredici anni, era già ben formata e, più importante del resto, era l’unica di cui si fidava, e l’unica così scellerata da darle ascolto.
Si assicurò che Lisa prendesse il suo posto sotto le coperte e, col cuore in gola per l’eccitazione, aprì lentamente la porta.
Fuori, ad aspettarla, c’era Aidan, cugino di Lisa e stalliere nella loro casa a Londra.
Annabeth, osservandolo, si chiese se quella famiglia avesse una qualche specie di segreto per far crescere i loro ragazzi così alti.
Aidan la squadrava dall’alto del suo metro e ottantacinque; gli occhi scuri, dietro la maschera, sembravano sereni. Indossava il completo nero che Annabeth gli aveva inviato tramite Lisa e sembrava fosse a suo agio in quella mise; poteva davvero passare per un ricco ragazzo Londinese.
«È meglio se parli il meno possibile» gli sussurrò scontrosa.
Temeva che dal suo modo di porsi, certamente più rozzo di quello di un giovane ben educato, potessero intuire la loro mascalzonata.
L’espressione del ragazzo si incupì, rivelando il fastidio causato dal tono di Anna.
«Lo stesso vale per te» sussurrò con voce profonda.
Annabeth si sentì arrossire. Davvero non sapeva perché si stesse comportando in quel modo, dopotutto era lui a farle un enorme favore e non il contrario. Anzi, lui sarebbe finito in guai più grossi di quelli che aspettavano lei, se qualcuno li avesse scoperti.
«Andiamocene da questo corridoio» suggerì brusco, «o va a finire che ci sgamano (*) prima ancora che arriviamo al primo piano.»
Annabeth annuì, rincuorata dal tono di lui, che si era addolcito un po’ di più ad ogni parola pronunciata.
«Mia madre è venuta a controllarmi circa un’ora fa» disse, osservando l’orologio in fondo al corridoio del terzo piano. «Dobbiamo solo cercare di evitare la servitù e gli eventuali invitati ritardatari.»
Aidan le lanciò un’occhiata, poi, facendo un cenno con la testa, la invitò a seguirlo al piano inferiore.
Cercando di fare il minor rumore possibile con i tacchi che picchiettavano insicuri il pavimento della lucida scalinata, Annabeth si interrogò sui motivi che avevano spinto il giovane stalliere ad accompagnarla in quella folle avventura.
Quando Lisa le aveva detto – tutta euforica come sempre – di aver trovato un accompagnatore abbastanza sconsiderato da seguirla al ballo in maschera, Anna non avrebbe mai immaginato che intendesse il suo serio e scontroso cugino. Anche se Aidan aveva solo un anno in più di lei, era sempre stato molto maturo e riservato. Aveva avuto modo di osservarlo le volte in cui era andata a prendere la sua Lola per portarla a fare una cavalcata; con la scusa di spazzolare il pelo color caramello della sua giovane cavalla, aveva avuto tutto il tempo per decidere che, oltre ad essere meno socievole di Lola, era bello come pochi giovani della sua età. Perfino la sua bellezza era seria. Non era il tipo da preoccuparsi di sistemare i capelli quando conveniva o di portarli della lunghezza suggerita dalla moda del momento, i suoi riccioli castani, corti fino alla nuca, non cambiavano mai – e lei non voleva che lo facessero.
Si scoprì inaspettatamente affezionata a quei tratti familiari, a quel naso che virava verso sinistra, a quegli occhi marroni incredibilmente profondi. Forse, si disse, era perché lo conosceva da tutta la vita, forse vederlo in giro per la tenuta l’aveva abituata a pensare che fosse sempre lì, quasi fosse di sua proprietà.
Concentrata com’era sui suoi piedi - e su pensieri che iniziavano ad essere incoerenti -, andò a scontrarsi proprio con la schiena larga di lui, perdendo la maschera nell’impatto.
«Scusa» mormorò impacciata. «Ero distratta.»
Aidan la osservò rimettersi la maschera, trafficando con i nastrini.
«Dovremmo stare vicini» le sussurrò avvicinando il viso al suo. «I camerieri di guardia davanti alla sala devono credere che siamo sposati.»
Quando fu tornato a distanza di sicurezza, lontano dal suo orecchio, Annabeth si accorse di avere la bocca secca. Annuì stordita, inspirando a fondo il buon profumo di Aidan.
Poggiò la mano sul braccio che lui le offriva e si preparò ad entrare nell’atrio principale. Sotto la stoffa della giacca che aveva comprato per lui, il braccio di Aidan era fermo e forte; lo strinse, infinitamente grata di essere con qualcuno che avrebbe saputo cavarsela in caso di guai.
Erano nell’atrio al primo piano, poco distanti dalla porta in legno di noce che li separava dalla festa e che attutiva la musica che veniva suonata nella stanza, gli bastò voltare a sinistra e si trovarono di fronte all’entrata.
Ad assicurarsi che non entrassero ospiti indesiderati – come Annabeth, ad esempio – c’erano i due camerieri più grossi che avessero mai lavorato per loro.
«Ti sta bene il blu» le disse Aidan, fermandosi.
«È per questo che non lo indosso mai» rispose, confusa da quell’improvvisa sosta. Sperava che non avesse cambiato idea.
Aidan le si parò davanti, mettendo tra loro la distanza di poche dita. E proprio le sue, di dita, snelle e callose, corsero a sollevarle la spallina destra del vestito, poi, come se non ci fosse appena stato un terremoto di sensazioni dentro di Anna, le porse di nuovo il braccio, posando la propria mano su quella di lei.
«Cerca di parlare il meno possibile o ti riconosceranno» le sussurrò.
Annabeth annuì obbediente; non avrebbe potuto parlare nemmeno se avesse voluto: le gambe le tremavano ancora per le sensazioni appena provate e dubitava di riuscire a formulare una frase di senso compiuto.
Il muscolo del braccio di Aidan si era irrigidito e, lanciandogli un’occhiata, Annabeth si accorse che aveva raddrizzato la schiena, sembrando ancor più alto di quel che già era.
«Il barone di Villafiorita e sua moglie» si annunciò, ostentando altezzosità.
Annabeth non aveva pensato che potessero essere richiesti nomi ad una festa in maschera, ma del resto sua madre l’aveva sempre scoperta prima ancora di arrivare al primo piano.
I camerieri si lanciarono uno sguardo e, facendo un inchino, si spostarono per farli passare.
Annabeth sbarrò gli occhi, sorpresa, e sorrise ad Aidan.
Quando spinsero le porte non fu come Anna l’aveva immaginato. Nella stanza c’erano pochissime persone, circa venti, non un centinaio come si era aspettata. Osservò confusa lo sconosciuto che suonava il piano, accompagnato da una bella donna che cantava. Gli ospiti stavano davanti al lungo tavolo che di solito veniva usato per il rinfresco. Rivolti verso le pareti c’erano almeno quindici separé, ognuno con un dipinto diverso sulla facciata.
Lentamente, Aidan la condusse al tavolo; nessuno dei presenti si voltò a guardarli, troppo occupati ad ascoltare colei che stava parlando.
Annabeth riconobbe la voce di sua madre.
«Come ogni anno, sarò la prima a pescare» stava dicendo.
Annabeth si alzò sulle punte dei piedi, poggiandosi ad Aidan per poter sbirciare al di sopra delle spalle degli ospiti.
Sua madre, che indossava un abito ed una maschera rosa, pescò un biglietto a caso tra i tanti messi alla rinfusa sul tavolo, fece vedere al resto delle persone ciò che vi era scritto – collina – e si diresse verso il separé su cui erano raffigurate delle colline.
Toccò a suo padre pescare – lo riconobbe dai radi capelli. Mostrò il biglietto agli altri e si diresse al separé con la luna.
Aidan aveva ormai capito quello che stava succedendo e cercò di portar via Annabeth prendendola per i fianchi, ma lei era troppo curiosa di capire il gioco.
Quando la settima persona ebbe scelto il proprio biglietto e si fu diretta verso il paravento  con le colline, dietro cui era nascosta sua madre, Anna sfuggì alla presa delicata di Aidan e pescò il proprio biglietto.
Con il cuore in gola, Aidan la guardò andare dietro il paravento che raffigurava un bosco – rendendo grazie che fosse uno dei pochi ancora vuoti. Ansioso di raggiungerla prima che lo facesse qualcun altro, pescò il proprio biglietto e, sebbene vi fosse scritto “monti”, si diresse dietro quello cui vi era dipinto il bosco.
La ragazza lo osservò delusa.
«Non capisco» confessò, fissando il divanetto davanti a lei. «Tutto questo mistero per una festa in cui ci si nasconde per sedersi e bere sherry?» domandò, indicando il tavolino dei liquori.
«In realtà è whiskey» la corresse Aidan. «E credo che dovremmo andarcene prima che qualcuno ti scopra e tragga conclusioni affrettate.»
Ma Annabeth si sedette, rilassando le spalle per la frustrazione.
«Davvero, Anna, dobbiamo andarcene quanto prima» cercò di convincerla ancora una volta.
«Non capisco!» ripeté.
Annabeth si tappò la bocca, la musica si era fermata, facendola quasi scoprire. Dall’altra parte della sala si udì un risolino.
«Ora dobbiamo andarcene sul serio!» esclamò imbarazzato Aidan.
«Perché la musica si è fermata?» gli chiese invece lei.
Ma lui non la stava più ascoltando. La prese per i fianchi con un braccio, sollevandola dal divano, e con la mano libera le fece segno di restare in silenzio.
Aidan cominciava a pentirsi di essersi fatto convincere da quella matta di Lisa. Ammetteva che l’idea di passare la serata con Anna l’aveva stuzzicato non poco.
Da quando la ragazza aveva imparato a cavalcare, due anni prima, la osservava scorrazzare con Lola per tutta la tenuta; con i capelli biondi spettinati ed i vestiti sporchi di erba e terriccio, sarebbe quasi potuta sembrare una di quelle ragazze meno agiate che gli chiedevano di baciarle. Sarebbe stato molto lieto di baciare Annabeth, ma non era una cosa fattibile, non in quel momento almeno.
Con cautela, uscì dal riparo del separé, trascinandosi dietro un’allibita Annabeth. Valutò la possibilità di uscire da dove erano entrati, ma sarebbe di certo sembrato strano, alle guardie, che loro due uscissero così presto. Se si fossero chiusi in biblioteca sarebbero rimasti intrappolati fino alla fine della “festa”. L’unico modo per uscire definitivamente di lì era il giardino.
Lasciò andare Anna, pur tenendola per mano, in modo che non potesse sfuggirgli. Aprì il balcone che affacciava sul giardino e, come a volerne coprire il rumore per facilitargli le cose, qualcuno gemette.
Aidan, arrossendo vistosamente, si voltò a guardare la sua compagna di sventura.
Annabeth, paonazza, aveva sbarrato gli occhi e la bocca e lo fissava scandalizzata. Alzando le gonne, corse fuori dalla stanza, trascinando Aidan con sé.
 
 
«Non posso credere di essere stata così stupida» dichiarò sottovoce, nonostante fossero ormai al sicuro, all’ombra di un melo. «Tu l’avevi capito!» lo accusò. «Non potrò più guardare in faccia i miei genitori, non dopo ciò che immagino stiano facendo!»
«Dovresti calmarti» le suggerì Aidan. «L’importante è che nessuno ti abbia vista. Stavi per mettermi in un grosso guaio.»
Annabeth spalancò di nuovo gli occhi azzurri, fissandolo incredula. «Avrebbero pensato…»
«Esattamente»le confermò, prima che terminasse la frase.
Aidan si tolse la giacca; nonostante l’aria fosse ancora troppo fresca per stare in maniche di camicia, lui si sentiva terribilmente accaldato. Posò l’indumento sull’erba e lo indicò alla ragazza.
«Siediti» le disse togliendosi la maschera e passando una mano trai capelli per spettinarli. «Dovremmo aspettare un po’ prima di rientrare, Anna.»
Annabeth si accomodò sulla giacca e non si sorprese quando lui le si sedette vicino.
«Perché mi chiami Anna?» domandò togliendosi la maschera. Aveva bisogno di distrarsi da ciò che aveva da poco realizzato.
«Perché è il tuo nome» le rispose lui, asciutto.
«Dovresti chiamarmi signorina Annabeth» gli fece presente.
Aidan la guardò.
«Mi farebbe sentire un estraneo» ammise. «Come se non ti avessi vista toglierti le caccole dal naso fino a sei anni» le disse sorridendo.
Annabeth avvampò, prima per quel ricordo imbarazzante e poi per lo splendido sorriso di Aidan.
«Come facevi a sapere che ci sarebbe stata una coppia che si chiamava Villainfiore?» chiese, nell’ennesimo tentativo di cambiare argomento.
«Villafiorita» la corresse lui.
Come suonava bene l’italiano, pronunciato dalle sue labbra.
«Perché li ho invitati io» le spiegò, catturando di nuovo la sua attenzione. «Ho detto a Lisa di spargere la voce tra le cameriere che i baroni italiani sarebbero stati al ballo e le cameriere hanno fatto il resto. In un’ora il pettegolezzo era già arrivato alle stalle.»
Annabeth lo guardò ammirata, lei non sarebbe mai riuscita a pensare a qualcosa di simile.
«E ovviamente ho scelto un nome italiano poiché così non avremmo dovuto parlare troppo.»
«Peccato che il tuo bel piano non sia servito a molto, dati i risvolti» gli disse con un risolino.
Aidan fece spallucce.
«Ora posso chiederti una cosa io?»
Annabeth annuì, curiosa di sapere cosa le avrebbe chiesto.
«Non ho capito perché non ti vesti di blu» confessò Aidan.
Anna lo guardò divertita. «Poiché ogni volta che indosso qualcosa di blu c’è sempre qualcuno pronto a complimentarsi perché “il blu fa risaltare i miei occhi”. Ho sentito questa frase così spesso ai ricevimenti che potrei dirla al contrario!»
«In realtà, io credo che l’azzurro faccia risaltare molto di più i tuoi occhi, soprattutto al sole» sussurrò guardandola di sbieco, cercando di cogliere ogni sua minima reazione. «Il blu fa risaltare i tuoi capelli» continuò, prendendo una soffice ciocca tra le dita. «E quando vesti di rosa» mormorò rauco avvicinandosi, «le tue labbra catturano sempre la mia attenzione.»
Il cuore di Annabeth galoppava impazzito nel petto; lasciò che lui le sfiorasse le labbra con le proprie, non opponendo alcuna resistenza, abbandonando tutte le difese.
Quando Aidan si scostò, carezzandole una guancia, Annabeth seppe che nessuno sarebbe mai più riuscito a baciarla a quel modo, e che nemmeno lo stesso Aidan avrebbe dovuto riprovarci, perché era sbagliato.
E invece si trovò a sussurrare: «Domani andrò a cavallo.»
«Cosa?»
«Domani» ripeté, «verrò a prendere Lola alle stalle. Appena sorge il sole.»
Aidan continuava a guardarla confuso.
Annabeth si alzò, ansiosa di correre in camera sua prima di cambiare idea e rovinare tutto.
«Aspettami domani» gli sussurrò implorante.
Aidan le sorrise sereno.
«A domani» le rispose.
La guardò correre via sotto la luce pallida della luna.
Sapeva che non avrebbe avuto null’altro che qualche dolce bacio da lei, a causa della differenza di rango, ma si trovò comunque a sperare che arrivasse in fretta l’indomani.
 
 
 
 


 Questa storia ha partecipato ad un contest indetto da un blog, ma alcuni errori le hanno impedito di classificarsi, così l’ho ripresa e corretta, nella speranza che possa allietare la vostra giornata. (Sono ancora in fase "parliamo in stile ottocentesco" lol)
 
* Aggiungo un appunto al verbo “sgamare”, poiché mi è stato fatto notare da alcune persone - e colgo l’occasione per ringraziare quelle che me l’hanno fatto notare con garbo e non con superbia - che suona male, a causa del periodo storico. Ho voluto lasciarlo anche dopo aver effettuato la revisione perché, come ho spiegato, a parlare è Aidan, un ragazzo che non ha ricevuto un’educazione signorile come Annabeth, e che quindi si esprime in modo un po’ più rozzo, rispetto a lei. Sarebbe stato sbagliato, invece, scrivere che Annabeth dicesse una cosa simile.
 

Red
 
   
 
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