Chapter one_
Il silenzio che regnava nella camera da letto di Tetsuya,
completamente assorto nella lettura di un romanzo – un giallo –, venne
interrotto dalla vibrazione e dalla suoneria del cellulare, che lo colsero
inaspettatamente. Terminata di leggere una frase e memorizzato il punto in cui
aveva interrotto la propria lettura, allungò la mano destra verso il comodino
sul quale era posato il telefono. Non appena lo schermo fu entro il suo campo
visivo posò le iridi cerulee sul nome del contatto che lo cercava, notando con
un filo di stupore che si trattava della propria ex allenatrice. Si affrettò a
mettersi seduto, mentre apriva la chiamata e sistemava il dispositivo in
prossimità dell’orecchio.
«Pronto?»
«Scusa il disturbo, ma
ho bisogno di farti una domanda. Sai cos’è successo a Momoi-san?»
Kuroko
tacque per qualche istante, interdetto: fu assalito dal dubbio di aver letto
male il nome del contatto, aveva tutti i motivi per credere che quella non
fosse Riko Aida. Uno di questi era che, sino a prova
contraria, lei non avrebbe avuto motivo per cui porgli un quesito simile, e di
sicuro non in modo così brusco. Ma dovette ricredersi, dato che la voce che era
risonata nel suo timpano era proprio quella che lui associava alla ragazza.
«Riko-san?»
dovette ammettere a se stesso che come risposta non suonava tanto sveglia e
acuta, specie udito il tono confuso e perplesso da lui usato, eppure fu l’unica
cosa che gli venne naturale fare. Dall’altra parte sentì provenire un sospiro
stanco.
«Sì, Kuroko-kun, sono io. Scusa se ho risposto in modo così
avventato.»
«Nessun problema.» il
ragazzo sorrise alla cornetta, rilassandosi un poco contro la testiera del
letto. «Piuttosto, mi hai chiesto di Momoi?»
Aida rifletté un
attimo, arrivando alla conclusione che dovesse essere alquanto strano per Tetsuya sentirsi porre una domanda simile da lei. Per
questo motivo, senza dilungarsi nei dettagli, gli spiegò ciò che era successo.
«E per tutto il tempo
non ha cambiato minimamente espressione facciale.» concluse, sospirando
nuovamente.
Mentre la maggiore parlava,
un offuscato ricordo si affacciò alla mente di Kuroko.
Frammenti di una conversazione avvenuta mesi prima fra lui e Daiki iniziarono a confondergli vagamente le idee,
ancorandolo ad un silenzio meditabondo.
«Pronto?»
«Sì, ci sono ancora –
rispose lentamente, i pensieri che si facevano più definiti – Riko-san… Hai presente Aomine-kun?»
Non ricordava
con precisione per quale motivo li avesse incrociati, se doveva esser sincero. O
meglio, non c’era un motivo valido che
giustificasse quell’incontro. Era un semplice pomeriggio piovoso, probabilmente
di metà marzo, e lui aveva lasciato la propria scrivania – invasa da libri ed
appunti – solo perché sua nonna gli aveva gentilmente domandato di andare a
fare la spesa.
Ovviamente non
avrebbe mai lasciato che uscisse lei, non con quel tempo per di più, ma si
ripromise di impiegare il minor tempo possibile: aveva da prepararsi al meglio per
gli esami di fine anno, anche se dopotutto non aveva problemi a scuola.
In ogni caso, Tetsuya si ritrovò a ringraziare la propria previdenza
quando una goccia di pioggia lo colpì sul naso. Sfilò l’ombrello pieghevole che
aveva in precedenza inserito nella borsa della spesa, lo aprì con cautela e lo
posizionò al di sopra del proprio corpo, riprendendo il tragitto verso casa.
Osservava in
silenzio la pioggia, o meglio, le gocce che cadevano dall’ombrello; perso in
chissà quali pensieri, quasi non notò le due figure ad una cinquantina di metri
da lui. Assottigliò leggermente gli occhi, in modo da oltrepassare almeno con
lo sguardo la vaga cortina d’acqua che lo separava dai giovani poco distanti.
«Ohi, Satsuki. Ti vuoi levare da sotto l’acqua?!»
Un Aomine alquanto adirato sbraitava contro una Momoi immobile, lo sguardo fisso sulla cappa plumbea che
sovrastava la città. Manteneva le palpebre socchiuse quanto bastava per
proteggere gli occhi, mentre il resto del corpo rimaneva indifeso ed esposto all’acqua.
Avvicinandosi, Kuroko poté notare l’inespressività su quel viso chiaro;
contemporaneamente, Daiki lo aveva individuato e
riconosciuto, e si apprestava a raggiungerlo ed affiancarlo sotto il riparo.
«Aomine-kun.» pronunciò, in segno di saluto, Tetsuya. E ricevette, come risposta, un sonoro e
spazientito sbuffo. Entrambi mantenevano le pupille incollate all’immagine di Momoi, che lentamente mosse il capo nella loro direzione.
«Tetsu-kun.»
Probabilmente
per la prima volta, la voce di Satsuki risonò priva
di alcuna inflessione, benevola o non. E nemmeno Kuroko
nascose lo stupore nel vederla raggiungerli a passo lento, senza che sul viso
le si dipingessero emozioni.
«Momoi-san, va tutto bene?»
«Sì.»
Percorsero il
tragitto verso casa di lei quasi in completo silenzio, senza che nessuno dei
due ragazzi si risparmiasse occhiate perplesse – e talvolta preoccupate – in
direzione dell’amica. Giunti a destinazione quest’ultima li salutò con enfasi
inesistente, lasciando che il piccolo ombrello fosse da riparo a sole due
figure. Quando si fu richiusa la porta di casa alle spalle, si mossero verso
casa di Daiki.
«Aomine-kun.» l’interpellato rivolse la propria attenzione
verso Tetsuya, rispondendo con un verso inarticolato.
Ancorò le iridi scure e dense a quelle terse e limpide dell’ex compagno,
intimandolo silenziosamente di porgli il quesito che gli leggeva in faccia.
«Cos’ha Momoi?»
Uno sbuffo,
seguito da silenzio, furono la premessa alla risposta di Daiki.
«A quanto pare, Satsuki ha subito un forte trauma.» esordì quello,
abbassando gli occhi in un gesto pieno di apprensione «E ha sviluppato una
particolare forma di apatia.»
ëvë
Riko
era davvero stanca: si era sdraiata da qualche minuto, dopo aver vagato su siti
e siti, e le sue palpebre si stavano abbassando molto lentamente. Stava ancora
rimuginando, sempre meno presente, su quello che aveva letto a proposito
dell’apatia, rigirando fra due dita una ciocca di capelli castani.
Non esistevano delle
motivazioni precise alla base di tale condizione psicologica, ma di sicuro il
trauma subito dalla ragazza doveva essere stato davvero pesante.
E ancora Aida si
chiedeva cosa potesse essere successo… Il resoconto
di Kuroko aveva di sicuro estinto un suo dubbio, ma
aveva dato vita ad altri, relativi al primo.
“Cosa sarà mai
successo, effettivamente?”
“Ci
sarà un modo per aiutarla…?”
Nonostante
stanchezza, la ragazza si rigirò sul fianco destro, fissando la luce della
lampada che stava sul comodino. La sveglia digitale che la affiancava segnava
un quarto all’una di notte. Sospirò, arrendendosi all’idea di non riuscire a
dormire; le era capitato, a volte, di soffrire di improvvisi – e per fortuna
brevi – attacchi di insonnia, che tuttavia la tormentavano anche per diversi
giorni.
Sperò,
mentre si dirigeva in cucina per prepararsi una tisana, che quello non fosse il
caso. Mentre l’infuso scaldava si sedette davanti alla televisione, la accese e
fece zapping per qualche minuto, sino a trovare un documentario storico sul
Medioevo occidentale. Lo seguì, per così dire – più per ammazzare l’attesa che
per reale interesse – con espressione spenta sino a che la tisana non fu
pronta. La mescolò con qualche cucchiaino di miele e un goccio di liquore, che
si era premurata di portarsi dietro dalla casa in cui abitava per occasioni
analoghe.
L’abitudine
di prendere un poco di alcol per dormire l’aveva presa dal padre, che come lei
a volte soffriva d’insonnia, e l’aveva sempre preferito all’utilizzo di farmaci
e sonniferi. Bevve la miscela a lunghi sorsi, altra abitudine ereditata da Kagetora, beandosi del calore benefico lungo la gola, per
poi ritornare nella propria camera. Si stese nuovamente sul letto,
sbadigliando, e rivolgendo il proprio ultimo pensiero al lavoro che l’aspettava
la mattina seguente.
ëvë
Era
passata già una settimana dall’incontro con Momoi, e Riko si stava già preparando psicologicamente al suo arrivo.
Chissà
quanto sarebbe durato, quel trasloco. Insomma, nella sua vita le era capitato
tantissime volte di sentire – e anche di pronunciare – la famosa frase fatta
“Le cose cambiano”. La stessa Satsuki, nel giro di un
anno, era cambiata radicalmente.
Nonostante
tutto, forse a causa dell’indole ottimista e speranzosa di Aida, era disposta a
credere che la convivenza sarebbe durata per tutto il tempo necessario. Sperava
solo che non ci fossero risvolti negativi.
Se
entrambe si fossero trovate un impiego sarebbe stato facile andare avanti, lei
già guadagnava abbastanza come cameriera in un locale durante la maggior parte
dell’anno, e quando questo chiudeva per ferie si impegnava con lavoretti
part-time come quello che stava svolgendo da circa cinque giorni. Ogni mattina
si recava allo studio di un’agenzia viaggi, con il compito di sistemare l’archivio:
si trattava di un piccolo sgabuzzino stracolmo di scatole e documenti, e tutto
ciò che le toccava fare era riordinare.
Un
gioco, insomma, per una come lei. Nonostante la sua camera apparisse un campo
di battaglia, con gli abiti spiegazzati e gli oggetti letteralmente buttati
ovunque, il letto perennemente sfatto e l’armadio incasinato, la sua scrivania
era sempre in perfetto ordine. I libri in un cassetto, i quaderni in un altro,
la cancelleria in un altro ancora; gli appunti perfettamente suddivisi per
materia ed argomento, situazione analoga per i testi universitari. Il pc, quasi perennemente collegato alla presa, era stracolmo
di ricerche e documenti organizzati in cartelle in modo sistematico, così che
lei potesse trovare ciò di cui aveva bisogno il più velocemente possibile. Lo
stesso valeva per gli schemi delle diete e degli allenamenti di cui si serviva
quando ancora era l’allenatrice del club di basket della Seirin.
Già,
la squadra; al pensiero le veniva sempre da sorridere, e a volte da piangere.
Ogni tanto si domandava cosa facessero tutti gli altri, mentre lei era intenta
a studiare per l’Università o a servire i clienti al bar, e si dispiaceva del
fatto di non sentirsi più con tutti. Sfortunatamente, gli unici con cui aveva
rapporti continui erano Hyuuga, Kiyoshi
e Hizuki, mentre gli altri li sentiva meno spesso,
alcuni quasi mai.
Stava
tirando fuori da un ripiano alto una pila disordinata di documenti, quando
sentì vibrare il cellulare nella tasca dei jeans. Lo afferrò, non appena ebbe
le mani libere, che ormai aveva smesso di squillare; indagando lo schermò, notò
l’icona di chiamata persa.
“Da
Junpei”.
Sorpresa,
ma non troppo, si affrettò a richiamarlo. Non era raro che si sentissero per
telefono, ma solitamente non capitava di mattina.
«Ohi,
Riko.» non negò a se stessa che era sempre piacevole
sentire quella voce calda chiamare il suo nome, la faceva sentire sempre un po’
più giovane.
«Ciao,
eh!» ribatté ironicamente, sedendosi. «Come mai mi cerchi a quest’ora?»
domandò, dopo aver dato una rapida occhiata all’orologio appeso al muro, il
quale segnava le dieci e dieci.
«Per
caso ti disturbo?»
«No,
no, figurati.» sorrise, abbandonandosi allo schienale della sedia «Dimmi pure.»
Percepì
una sorta di esitazione provenire dall’altro capo della cornetta, poi un
sospiro.
«Il
fatto è che Kiyoshi ed io volevamo passare un
pomeriggio in compagnia di un’amica.»
Ah,
ecco! Quasi Aida non scoppiò a ridere, sentendo il palpabile imbarazzo presente
nelle parole dell’altro: quel “Kiyoshi ed io” lo
aveva messo davvero con le spalle al muro. Nonostante i due avessero una
relazione, o almeno un rapporto stabile, da poco più di un anno, lei sapeva che
per Hyuuga era davvero arduo parlare al plurale. Non che non fosse contento
della propria situazione, ma sia Riko che Teppei si rendevano conto del suo estremo orgoglio, e non
perdevano tempo a schernirlo affettuosamente.
«Uh,
e io dovrei essere il terzo incomodo fra voi due piccioncini?» la ragazza finse
un cipiglio contrariato, giusto per stuzzicarlo un po’. Dall’apparecchio,
tuttavia, non udì la voce di Junpei, bensì un’altra
altrettanto familiare.
«Neh,
Riko, è da molto che non ci si sen-teh-»
il saluto di Kiyoshi venne interrotto bruscamente, e
a parlare fu nuovamente l’ex capitano della squadra di basket della Seirin.
«Idiota.»
ringhiò, riferito al compagno, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione
ad Aida «Allora, che ne diresti se domani pranzassimo insieme?»
«Con
molto piacere!» fu la risposta, pronunciata con tono ilare, non appena la
ragazza si fu ripresa da un improvviso attacco di risa.
Accordatisi
riguardo il luogo dell’incontro e salutatisi, Riko
tornò al proprio lavoro, forse un po’ troppo spensieratamente. Senza
accorgersene, scendendo dalla scala di cui si era servita per raggiungere un
ripiano troppo in alto, perse disgraziatamente l’equilibrio e fu quasi un miracolo
se non cadde di schiena, o di testa. Tuttavia non fu assolutamente una
sensazione piacevole sbattere l’osso
sacro al pavimento, tanto che dovette mordersi ferocemente il labbro
inferiore per non imprecare. Strizzò le palpebre con forza, ricacciando
indietro le lacrime di dolore che inevitabilmente sfuggirono al suo controllo. Dopo
diversi minuti si decise a sollevarsi, aiutandosi con i ripiani dello scaffale
al quale era poggiata. E ovviamente, mentre
si alzava sfregò accidentalmente il retro delle caviglie alla base dello
scaffale. Oltre il danno la beffa, insomma. Emise un verso soffocato, stando
bene attenta a non compiere movimenti bruschi o affrettati, e riuscì –
finalmente – a mettersi in piedi. Raggiunse poi, senza fretta, la scrivania
coperta di pile ordinate di documenti, e di conseguenza la sedia. Vi si
accomodò cautamente, in modo da non peggiorare ulteriormente la situazione del
proprio fondoschiena e, quando ci fu riuscita, tirò un vero sospiro di
sollievo. Si sfregò le gote arrossate ed umide, allontanandosi i capelli dalla
faccia e facendo schioccare le dita proprio
come una signorina fa abitualmente.
«Beh,
meglio tornare al lavoro adesso.» si disse, affacciandosi sui fogli e
riprendendo ad ordinarli.
ëQuesto
primo capitolo ha un paio di miei headcanon, e ne
avrei aggiunto altri, ma sembravano inopportuni. Almeno ora. Piuttosto,
abituatevi, perché questa storia sarà colma
di headcanon particolari; non dimenticate che si
parla di una Slice Of Life in cui le protagoniste
sono studentesse universitarie eh.
*Akuma no Tsuno*
Ecco
che, a due settimane ed un giorno dalla pubblicazione del prologo, torno con il
primo capitolo di questa long.
Eh,
finalmente ce l’ho fatta a concluderlo. È stata più dura del previsto, ma ce l’ho
fatta~
Come
l’altra volta, il testo è stato betato da s p a n k e Anis Paranoid (sappi che, a forza di cambiare
nickname, nell’elenco dei messaggi privati mi esce sia “Aimi_chan”
che il tuo attuale nick. Sei diabolica.). In ogni
caso, trovate il link dei loro profili nel prologo, e vi chiedo cortesemente di
darci un’occhiata~
In
ogni caso, ecco qui che viene svelato un particolare della trama; una delle
beta si è già fatta un’idea sul trauma di Satsuki, e
le devo dire che non è quello che lei pensa. Ma pian piano vi darò qualche
assaggio uwu
Chi
ha recensito il prologo mi perdoni, appena avrò concluso le note mi appresterò
a rispondere. L’ho fatto per un motivo, comunque: sarà quasi un “avvertimento”,
per far notare che la storia è stata aggiornata. In pratica, risponderò alle
recensioni del capitolo precedente quando sono in procinto di pubblicare l’aggiornamento.
Detto
questo, spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi svelo un
dettaglio: nel corso della narrazione avverranno delle modifiche nel mio stile
/!\. Finora non mi sono dedicata troppo alle descrizioni, e questo perché è un’Introspettiva;
ricordatevi anche che siamo in una storia
di Metamorfosi, ok?
Io
vi lascio, vado a rispondere alle recensioni; un abbraccio a chi ha letto il
prologo e il primo capitolo, vi ringrazio molto~