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Autore: DonatellaR    19/08/2014    2 recensioni
Squillo di un cellulare.
- Si può sapere dove cazzo sei?
Morgan, suo fratello, deve essersi svegliato da poco. E non l’ha trovata a letto.
- Sono per strada.
Uno sbuffo.
Sa che si sta tirando indietro i capelli con la mano destra. Reagisce sempre così quando qualcosa non gli va bene.
- Che significa per strada? Dove?
Amanda chiude gli occhi ferma sul ciglio del marciapiede. La luce dei pedoni davanti a lei si illumina di verde.
- Non serve tu venga a prendermi.
- Come sei vestita? – parlare con un sordo è uguale.
- Mor, non sono affari tuoi. Non vado in giro nuda.
Ha bisogno di un frappuccino di Starbucks. Certe conversazioni sono indigeribili ad una certa ora del mattino.
- Non ti preoccupare, fratellino. – chiude la chiamata senza attendere replica. Si passa due dita ai lati dell’attaccatura del naso.
Le sarà mai concessa una mente sgombra?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Rabbrividisce muovendo le spalle e girandosi su un fianco.
Il suo materasso è ghiacciato e umido. Aggrotta le sopracciglia in disappunto. Quel cesso di caldaia si è rotta di nuovo. Formulare il pensiero di rabbia successivo genera una scarica di dolore nella sua mente.
Risate. Tintinnare di bicchieri.
Ah, no. Non è tornata a casa la sera prima.
Chissà se ha ancora il vestito?
Apre a fatica un occhio.
Sotto la giacca spunta un vestito lungo di finto chiffon che spopola in giro e ormai si trova pure nelle marche d’abbigliamento dei supermercati. Arriccia il naso alla suola stropicciata delle sue brogues rinforzate sulla punta da una placca di metallo dorata. Sono già da buttare.
Si stiracchia. Le duole ogni giuntura del corpo. Che idea fantastica addormentarsi su un lettino a bordo piscina ad uccidersi di umidità ed insetti molesti.
Sta albeggiando. Si scherma la vista con la mano destra, assottiglia le palpebre. C’è qualcosa scritto sul polso della sua mano sinistra, in controsole non riesce a leggerlo. Si sistema in posizione eretta e strizza gli occhi alle lettere di nero inchiostro impresse sulla pelle.
 
Z O M B I E
 
Il nome di un nuovo locale? La Zombie Apocalypse fa furore dalla West Coast alla East Coast, facile che anche Los Angeles abbia seguito la scia. Doveva proprio essere stata bevuta per entrare in un locale del genere. Ha rifiutato diversi b-movies erotico splatter per la presenza di quei fantocci. Li trova profondamente stupidi. Nel Kansas i film horror erano sempre una scusa per infilarle le mani nelle mutandine e li associa ad un doppio disgusto.
Si massaggia le braccia con entrambe le mani. Deve andarsene.
Si guarda di sfuggita intorno. Rimasugli di una festa sparsi sulla terrazza della collina. Piatti di carta col cibo intatto o smangiucchiato (non sia mai che a Hollywood veramente la gente mangi), tracce di vomito sulle piastrelle di maiolica, bikini bagnati, calpestati e stropicciati. L’assenza di costumi da uomo la dice lunga sul tenore della serata
Sempre meglio svegliarsi in un lettino che distesa a faccia in giù in un vasto salotto. E non può giurare non le sia capitato.
Un uomo tarchiato dai tratti messicani col cappellino da baseball calcato sulla testa si fa strada in quel mare di caos, un rastrello poggiato sulla spalla.
L’istinto la fa sporgere in avanti per chiedere che ore siano. Ha il viziaccio di non portarsi l’orologio dietro, il cellulare antidiluviano abbandonato sulla mensola del suo monolocale. E’ convinta che dichiarare di non averlo sia chic.
Nota qualcosa nella polla della piscina imperiale – kitsch.
Michael Fogarty galleggia a faccia in giù nell’acqua.
Rimane immobile mentre il giardiniere si esibisce in un urlo da scrofa scannata.
Come sembriamo buffi pupazzi quando siamo privi di vita.
 
Non è il primo cadavere che vede.
Suo zio Jack è morto investito da un mietitrebbia. Aveva lasciato acceso il motore. Lo aveva scoperto lei mentre andava a chiamarlo per la cena. Assomigliava orrendamente alle uova strapazzate per cena di zia Beth.
Non rimase colpita dalla sua morte perché non nutriva molta simpatia per il parente. Non era un tipo loquace. Riempiva di grugniti la stanza e il massimo dell’interazione che si poteva avere erano un “si” e un “aha”. Il mondo non l’avrebbe compianto.
Fogarty lo conosce bene. Le ha toccato spesso tette e culo come se fosse roba sua. Il proprietario lo fa fare perché gli dà una mancia maggiore di tutti i quanti i clienti.
Si chiude il cardigan con una spilla da balia. Non vede l’ora di togliersi quelle scarpe del cavolo.
La città si sta risvegliando. I semafori sospesi oscillano pigri al vento caldo californiano. L’alba è pervinca e rosata. Un uomo alla sua destra si sta avviando a posizionare un’insegna a lavagna “Fancy Cuts” scritto in gesso fucsia.
Attraversa senza fretta. Non c’è un’anima.
Perde l’equilibrio per un secondo.
- Stronza di una scarpa! – sputa fuori con astio. Se le toglie sull’altro marciapiede, massaggiandosi le caviglie martoriate.
Decide di procedere a piedi nudi. L’asfalto le gratta i plantari, le fa sentire di appartenere a Los Angeles. L’ha assorbita nel suo DNA, l’ha imbevuta fino al midollo come se l’avesse generata.
E’ diventata aliena con essa. Non guarda, non ascolta, segue il suo percorso egoista. Vede ma non incontra.
Persone e fatti che sarebbero stati etichettati dai suoi concittadini di Augusta come pazzeschi, oltraggiosi, scandalosi, non la sfiorano. A Los Angeles tutto è normale. Anche raffiche di spari in piena notte. Un uomo che perde le braghe per ubriachezza incosciente. Grida di una donna assalita. I sensi si annullano. E se non si riesce ad estraniarsi o ci si ammala o si muore lentamente o si torna a casa.
Squillo di un cellulare.
- Si può sapere dove cazzo sei?
Morgan, suo fratello, deve essersi svegliato da poco. E non l’ha trovata a letto.
- Sono per strada.
Uno sbuffo.
Sa che si sta tirando indietro i capelli con la mano destra. Reagisce sempre così quando qualcosa non gli va bene.
- Che significa per strada? Dove?
Amanda chiude gli occhi ferma sul ciglio del marciapiede. La luce dei pedoni davanti a lei si illumina di verde.
- Non serve tu venga a prendermi.
- Come sei vestita? – parlare con un sordo era uguale.
- Mor, non sono affari tuoi. Non vado in giro nuda.
Ha bisogno di un frappuccino dello Starbucks. Certe conversazioni sono indigeribili a una certa ora del mattino.
- Non ti preoccupare, fratellino. – chiude la chiamata senza attendere replica. Si passa due dita ai lati dell’attaccatura del naso.
Le sarà mai concessa una mente sgombra?
 
Morgan fissa lo schermo dell’I-phone.
Ended call.
Butta il cellulare sul sofà stizzito. Va in bagno e fa scorrere l’acqua del rubinetto.
Sciacquio.
Amanda bada a se stessa fin troppo bene, ma non ha alcuna cura per il suo “futuro”, come direbbe Arnold Greenwood. Non lo chiama più “papà” dall’età di quindici anni.
La settimana prima un’agenzia di modelle gli ha telefonato inferocita per la sua mancata presenza ad uno shooting. Semplicemente sua sorella non aveva voglia di alzarsi.
In una diversa occasione aveva risposto per le rime ad un regista impertinente ed era stata cacciata da un provino.
La sua insofferenza è di tali proporzioni che si era trovata un lavoro al Blue Moon, pur non avendone bisogno per fare dispetto a lui o ai suoi, difficile a dirsi.
Nonostante la contrarietà del padre, la madre versa i soldi sul loro conto. Non quanti erano abituati a casa, sufficienti però per vivere a Los Angeles.
Se sua sorella non bruciasse la sua paga in vestiti e scarpe, non avrebbero problemi. Invece è costretto a cercare concerti extra fuori Los Angeles per arrotondare.
Squillo.
Non può essere lei.
- Mor, porta il tuo culo subito qui. Dovevi esserci per le sette e sono già le sette e mezza.
- Sto aspettando una persona.
- Non me ne frega un cazzo di chi stai aspettando. Se hai dei problemi, non sceglierti questo mestiere, gesù cristo!
Riattacca.
Deve essere la sua mattina fortunata. Telefoni sbattuti in faccia nel giro di quindici minuti.
Non conoscere dove sia Amanda con esattezza gli inacidisce i succhi gastrici. Non può rischiare che Jeff gli levi il ruolo per il concerto. Un roadie dei Red Hot Chili Peppers è pagato più che bene e non può farsi sfuggire questa occasione.
Al diavolo.
Acchiappa il borsone ed esce.
 
Daniel Boyle odia i casi assegnati d’ufficio. Lo fanno sentire un novellino.
Non gli piace tornare indietro e perdere rispetto.
E non gli piacciono le prove da superare.
Soprattutto quando un caso è una bomba a orologeria.
Fogarty era un dannato magnate dell’industria cinematografica. In quell’anno la sua etichetta ha sfornato cinquanta film, al terzo posto dopo la Disney. Un autentico polverone con la stampa ai cancelli.
Grugnisce a ripensare ai giornalisti che si erano appiccicati al suo didietro come zanzare ad una zanzariera. La pressione mediatica immobilizza il suo cervelletto, riducendo la sua voglia di indagare pari allo zero.
Non è obbligato ad occuparsene ma a risolverlo questa volta. Altrimenti non si immagina con precisione cosa possa accadere. Privarlo del distintivo è ancora un’ipotesi paranormale. Ha, però, la netta visione di se stesso in uno stanzino di tre metri per tre circondato da scartoffie amministrative.
Il cadavere è stato trascinato fuori dalla piscina, la scientifica sta prelevando campioni attorno. Un palloncino di lardo gonfio d’acqua.
Si informa sui primi rilevamenti. Non possono affermare nulla di significativo finché non abbiano eseguito delle indagini di laboratorio.
Un sussurro al suo orecchio.
- Ispettore, vuole parlare con la moglie? – un agente accenna alla finestra in alto della villa. Una donna dai capelli corti ossigenati contempla la scena del delitto, la fronte lievemente increspata. Emette un cenno di saluto capendo di essere osservata.
Boyle non è meravigliato dal suo viso sgombro di lacrime. I matrimoni per amore sono rari come l’inverno ad Hollywood. 
Alle persone a bordo piscina è stato intimato di trattenersi ma è sicuro come la morte che la metà di loro non si ricordi come ci è arrivato in piscina.
Vorrebbe archiviare questo caso sedutastante. Michael Fogarty ucciso da un piranha rilasciato dal giardiniere malpagato. La sua supposizione sguazza nella fervida fantasia, pagherebbe affinché si avveri. I delitti patinati sono una spina nel culo. Bucano la carne per lungo tempo.
Dovrà presentare ogni passo dell’indagine al dipartimento e alla stampa. Gioia.
E’ un sadico modo di controllarlo. Se la testa non gli fosse andata in ebollizione per qualche provocazione in sede, magari non sarebbe caduto in questo pasticcio.
La polizia di L.A. è corrotta sin dai tempi della sua fondazione. Ogni dieci anni c’è un giro di boa, una caccia alle streghe che colpisce la metà dei dipendenti, giusto per far vedere che è un posto in cui vige la legalità. Dallo scandalo Rampart l’amministrazione non scende tenera sui reati di minore importanza.
Boyle aveva tollerato lo smercio di sostanze stupefacenti leggere nel suo distretto e aveva passato marijuana sotto banco a colleghi del suo dipartimento dietro pagamento. Gli era stato sospeso il distintivo per sei mesi. E gli era andata di lusso, considerato avrebbero dovuto sbatterlo in galera per almeno tre anni.
Il segreto della sua salvezza risiede nella sua popolarità. Un privilegio che gli è stato spesso più utile di un macigno sulle palle. Non è come Ed Exley di L.A. Confidential. Ha sempre rifuggito la gloria ma quella lo insegue come una puttana che non è stata pagata a sufficienza.
Sfila una sigaretta dal suo pacchetto Camel già mezzo vuoto e stropicciato.
Si avvicina al cadavere sottoposto ai rilevamenti della scientifica. Piega entrambi i lati della bocca ingiù in un’espressione disgustata. A Fogarty è stato scarnificato l’uccello e gli stanno prelevando dei campioni di carne maciullata. Peccato che le piscine non siano infestate da squali assetati di sangue. Caso risolto, chiuso. Invece, l’essere umano, creatura incredibile, è capace pure di sbrindellare a morsi l’apparato genitale di un suo simile.
- Causa della morte?
Il tizio interpellato in tuta bianca si toglie la mascherina blu.
- Dissanguamento.
- Ma…? – indica l’acqua, tirando la nicotina e grattandosi la testa.
- E’ stato buttato dopo nell’acqua. Non ci sono segni di affogamento.
Bella merda. Questa scoperta non restringe di certo il campo. Strizza le sopracciglia tra pollice e indice destri, stressato dalla prospettiva di dover vagliare ogni tipo di ipotesi.
- Detective Boyle?
La moglie di Fogarty si è degnata di fare la sua apparizione, due leggere ombre nere sotto agli occhi. Breve stretta di mano. Un profumo esotico gli stordisce le narici. I tratti della donna sono ispanici e indossa scarpe col plateau che non riescono però a raggiungere la notevole altezza dell’uomo.
- Per servirla. – assume il tono di cortesia che è di prassi con i parenti delle vittime. Accenna al cadavere disteso a qualche metro da lui: - Condoglianze.
Carla Fogarty annuisce impassibile. Aspetta le domande, una lieve tensione nella fronte. Comportamento standard consueto per chi ha subìto da poco uno shock.
- Era al party?
Uno scrollo di testa.
- Ero ad una cena di beneficienza a Cabasas. Aiutiamo le madri ispaniche a dare un’educazione ai propri figli senza crescerli sulla strada.
Daniel sfodera la faccia più apatico-comprensiva possibile.
Porcate. Giocare a canasta sarebbe stata un’occupazione migliore per i loro cervelli.
Ciascun quartiere di quella città è una trincea e non c’è raccolta fondi che lo possa salvare.
- A che ora è tornata?
- Ero ospite di Helen Pedrosa, la signora che ha organizzato la cena. Sono tornata solo questa mattina quando la polizia mi ha telefonato.
Altro granchio. Helen Pedrosa è la consorte del vicesindaco di Los Angeles. La sua sigaretta è arrivata ad una triste metà.
- Verificheremo.
La donna mostra un velo di contrarietà. Boyle non reprime un sorrisetto divertito. Tipetto suscettibile.
 
 
Amanda ha un preciso obiettivo quella mattina: togliersi il cattivo gusto dalla bocca. Prima della doccia, prima del lavoro. Odia avere l’alito di un cinquantenne. Fruga nella borsetta, trovando il suo kit con spazzolino da viaggio. Lo stringe sollevata.
- Heyyy! – una ragazza biondo platino corre ad abbracciarla, le ciocche ondeggianti ai lati degli occhiali da sole. Tintinnio di bracciali, le sta strapazzando la chioma.
Lei stira le labbra sbrigativa. Ha chiamato Jeanette solo perché è l’unica persona in zona e non le va di fare colazione da sola.
Si siedono. Amanda ha una gran voglia di spazzolarsi tutto quello che c’è sul menù.
- Huevos rancheros, pancakes ai mirtilli e café de olla.
La compagna sbianca mentre ordina muesli con yoghurt, frutta e miele.
- Cos’è? Un nuovo club? – l’amica indica la scritta all’interno del polso sinistro di Amanda.
Questa lo copre istintiva. Accortasi del gesto troppo brusco, lo sfrega in imbarazzo. Non sa che rispondere.
- Nah. Una festa.
Jeanette ha distolto l’attenzione facendo spallucce. Affonda il cucchiaio nelle fibre, sgranocchia pensierosa.
- E’ tanto che non vieni al Rhonda. Per non parlare dell’agenzia.
Sono a corto, vorrebbe dirle. Non può permettersi spese extra, anche se la sua tendenza al risparmio lascia a desiderare. Da un mese Morgan gestisce la sua paga che riceve dal Blue Moon, un tiki bar sulla Sunset Strip di West Hollywood. Le ha imposto la museruola da quando ha speso tutti i suoi spiccioli per un paio di scarpe e una borsa su ASOS.
- Mi hanno raddoppiato i turni al bar, un ragazzo se ne è andato senza preavviso. Non ho tempo di organizzarmi per nulla.
Una risatina scema.
- Sai che non ti ci vedo a miscelare cocktail?
Amanda sorride affettata.
- Dovresti passare di tanto in tanto, così vedresti come me la cavo.
- Sicuro, tesoro. Non appena riesco a liberarmi dagli impegni.
Ovvero passare di letto in letto a Calabasas. Può affermare con certezza matematica che quello che indossa non è stato comprato di propria tasca dalla ragazza. Lei non ci riesce in automatico. Forse avere un fratello sempre presente non è da sottovalutare.
Si salutano all’uscita. Amanda spera non raccolga il suo invito. Si scoccia terribilmente se i conoscenti vengono a trovarla sul lavoro.
Si gratta la scritta nera. Diavolo di inchiostro indelebile, dovrà eliminarlo con lo spirito!

 
 
 
   
 
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