Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Chamelion_    16/09/2008    5 recensioni
Serve coraggio e gran sicurezza per spingersi a sciogliere un sorriso che è come un ponte sospeso a metà, di cui è certa l'origine e incerta la meta.
Ispirata a uno di loro che ho incontrato a Ortigia, in una notte afosa e piena di gelo interno. Uno di loro con cui ho stretto un contatto breve e apparentemente invisibile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



La cosa più bella è osservare.
In silenzio, immobile, mentre solo la mia pelle respira all'insaputa di tutti, e un tiepido sorriso si allarga sotto la bella maschera porcellanea. Tutti sanno che sono qui, eppure nessuno ne è consapevole. Come statua nel mezz della città, all'angolo della piazza, tra questi antichi monumenti che dormono e sussurrano storie vecchie di secoli, io sono come il ponte tra loro e questi concreti fantasmi di storia, che sotto sotto li intimidiscono.
Passano a decine: di giorno, di sera; da soli, in coppia, in gruppo; lentamente, di fretta; assaporando ogni passo, oltrepassando spicciatamente la piazza.
Alcuni fingono di non vedermi, come temessero che possa rincorrerli esigendo con la forza la mancia che non hanno voluto darmi -non hanno capito proprio niente di quello che faccio. Altri, passandomi davanti, rallentano, richiamano l'attenzione di chi è con loro indicandomi, abbozzano un timido ed esitante sorriso, a volte poco convinto, verso le due cavità della mia maschera che recitano la parte di un paio d'occhi. Altri ancora, nel vedermi, arrivano perfino a salutarmi con la mano e a fare facce buffe con gli amici: stanno al gioco.
E io, adoro guardarli. Sono piccoli passeri dai colori brillanti che spiccano in un mare di neve, che passano zampettando davanti a qualcosa che guardano o con timore, o con disprezzo, o con fascino. Dipende da che cosa suscita in loro il termine "mimo" o "artista di strada". Da parte mia, non mi importa granché di come mi vedono, ma di come io vedo l'ora. E' importante il fatto che, durante quella manciata di secondi in cui mi camminano davanti, io riesca a catturare un respiro della loro esistenza.
Lo sguardo che rivolgono a me è unico al mondo: è come guardare qualcosa senza la certezza di essere ricambiati, ma avvertendo la forza di un'occhiata e sentendone il peso addosso. Non vedendo oltre la maschera, chi mi guarda si sente guardato, ma non può saperlo con certezza, e non è quindi in grado di sostenere il mio sguardo. Sono disarmati di fronte ai miei occhi invisibili. Difatti, ben pochi di loro riescono a mantenere gli occhi fissi sul mio viso a lungo; di certo, nessuno che stia camminando da solo può farlo. Serve coraggio e gran sicurezza per spingersi a sciogliere un sorriso che è come un ponte sospeso a metà, di cui è certa l'origine e incerta la meta.
Trovo straordinario assistere a quel momento in cui la soggezione spinge un essere umano a distogliere lo sguardo. La gente vacilla di fronte all'ignoto.
E non è la sola loro debolezza che osservo.
Ogni minuto mi passano davanti innumerevoli esemplari di esseri umani: vedo ragazzi per mano, ragazze con borsette griffate che ridono, vecchi che si trascinano, uomini che hanno alzato troppo il gomito, e sono più che mai consapevole che tutit gli stereotipi che si potranno inventare non saranno mai sufficienti per includere in categorie fisse queste creature così affascinanti.
Noto i diversi modi di camminare: quello spedito di chi è sicuro oppure quello di chi ha paura, quello tremante di chi si ferma spesso per guardarsi intorno perché vuole perdersi del tempo per non perdersi delle occasioni, quello lento e insicuro. Mi è capitato, una sera desolata, di vedere un ragazzo disperato; l'avevo capito nel vederlo camminare come se cercasse affannosamente qualcosa a cui conferire un senso. E a un tratto, ha tirato un calcio allo scalino del marciapiede; poi un altro, e un altro ancora. Poi è rimasto fermo a guardare il vuoto, prima di allontanarsi mesto.
Un'altra volta ho assistito al diverbio tra una donna bruttina e quello che presumo fosse il marito. Lei era al telefono e lo rimproverava per i suoi orari "inaccettabili", e il volume della sua voce si alzava e si abbassava a singhiozzo, mentre lei si guardava intorno con discrezione cercando di non attirare la curiosità altrui.
Di questi, e di molti altri viventi della cui vita ho assistito a una scena, ho dimenticato la faccia e la voce, ma non i gesti, i movimenti, non il passo. Non hanno avuto remore a vivere la loro intima vita davanti a me, perché non mi considerano uno di loro. E in effetti non lo sono.
Io, quando vado a comprare il giornale, o al ristorante, o quando faccio ritorno a casa mia, sono uno dei tanti: né più né meno che un viaggiatore bipede che cerca di raggiungere con le gambe il posto dove è già arrivato con la mente.
Ma quando nascondo il mio corpo sotto questo costume, e indosso la mia maschera, sono più e meno di questo. Sono un discreto osservatore, che non può essere osservato perché non raggiungibile con gli occhi e troppo lontano per un comune viaggiatore. Anche se sono qui sulla loro stessa strada. Sono uno specchio fatto di pelle umana.


  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Chamelion_