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Autore: InuAra    19/08/2014    11 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non ammetterò impedimenti al matrimonio di due menti sincere.
L'amore non è amore se si altera di fronte a degli ostacoli.
 Oh no, è un punto fissato per sempre che osserva le tempeste e non ne è mai scosso.
È la stella cui si riferisce ogni barca alla deriva.
 
Sonnet 116 – William Shakespeare
 
 
 
 
 
Avete presente uno di quei bizzarri magici momenti in cui provate una tale felicità - mista ad una insana euforia – che non riuscite a trattenerla e vi sfugge di mano, andando a illuminare, volenti o nolenti, il vostro sguardo e regalando alla gola un fastidioso pizzicore, per eliminare il quale vorreste solo urlare a squarciagola la vostra gioia?
 
Avete presente proprio uno di quei momenti, in cui, pur provando tutto questo, sarebbe meglio nasconderlo accuratamente, ma temete che il corpo vibrante, i movimenti affrettati, i sospiri, le risatine improvvise vi tradiscano irreparabilmente?
 
Ecco, a palazzo Tendo due ragazzi stavano vivendo esattamente uno di questi momenti.
 
C’è da chiederlo?
 
Proprio loro: Ranma e Akane.
 
E la cosa andò avanti per un po'.
 
Almeno fino a quel giorno.
 
Ancora un tramonto, uno soltanto, e anche quel pomeriggio sarebbe scivolato via.
 
E poi…
 
Ranma fu richiamato al presente.
 
“Come dite, mia signora?”
 
“Dico che siete distratto, oggi, Ranma-kun… Non volete raccontare alla vostra padrona cosa vi impensierisce?”
 
Ah già, si trovava in una delle tante stanze di passaggio della ricca dimora, dove era stato incaricato da Soun-sama di recapitare alla giovane moglie un ricco ventaglio dipinto, come dono per il viaggio che avrebbero dovuto intraprendere quella sera stessa.
 
Niente di impegnativo, giusto una quindicina di miglia, il tempo di raggiungere uno dei loro vassalli e discutere di alcune questioni amministrative.
 
Un giorno o due lontani dal palazzo.
 
Quanto bastava per…
 
“Perdonatemi, Kodachi-sama”
 
Che idiota, non doveva farsi beccare con lo sguardo perso nel vuoto, a contare i minuti che lo separavano da…
 
Si affrettò a raccogliere il ventaglio che era sfuggito lascivo dalla bianca mano di una Kodachi che, circondata da numerose ancelle, non lo perdeva di vista un momento.
 
“Devo andare, Soun-sama ha bisogno di me”, e con elegante rapidità riuscì a congedarsi prima che la donna potesse dire qualcosa.
 
Non era il padre ma la figlia che avrebbe voluto vedere, in quel preciso momento.
 
Desiderio mosso principalmente dalla necessità di trovare nello sguardo di lei la certezza che stava accadendo tutto realmente.
 
E non solo da quella necessità, ovviamente.
 
Ma doveva aspettare, e tenersi impegnato. Era possibile che quel dannato pomeriggio il tempo si fosse dilatato, per non decidersi a scorrere?
 
 
 
***
 
 
 
E così quel giorno era arrivato, alla fine, il primo giorno utile tra tanti, quello giusto.
 
Oh, non erano poi passati tanti giorni, in fondo, si disse Akane mentre camminava su e giù davanti alla porta del solaio, dove una trafelata Obaba stava frugando tra involti vecchi e polverosi.
 
Eppure le era sembrata un’eternità.
 
Non riusciva a stare ferma, non riusciva a stare nel presente.
 
La sua mente vagava tra le imminenti ore future e le immagini del recente passato che le balenavano improvvise.
 
Un turbinìo di emozioni indomabili.  E al centro, lei, sballottata irrimediabilmente, eppure così lucida.
 
Tutto era stato ponderato, nulla era stato lasciato al caso, nonostante si sentisse in quel momento impulsiva come mai nella vita. 
 
A stento trattenne una risata, ricostruendo l’espressione di Ucchan, che solo nove giorni prima, accogliendola in camera a tarda notte, si era lasciata sfuggire più di una lacrima al racconto sconnesso ed infervorato di quella pazza dichiarazione di matrimonio. Non aveva potuto non ridere, di nervoso e felicità, contagiata dalla sua principessa, e questa volta non si era impedita di abbracciarla con trasporto, al diavolo l’etichetta!
 
E poi era arrivato il momento dei ‘nonnini’, che tanta parte avevano avuto nell’indirizzare i loro cuori…
 
‘Quei due saggi vecchiacci!’
 
Accidenti a Ranma e a quella sua faccia impenitente! Quanto erano in debito con loro! E lui continuava ad apostrofarli con così poco rispetto…
 
Sorrise, scuotendo la testa. La verità era che era molto legato a loro e gli voleva un gran bene, anche se non l’avrebbe mai ammesso… E loro ne volevano a lui. E a lei, in maniera incondizionata.
 
Altrimenti non avrebbero trovato per loro quella inaspettata benefica soluzione. Se di ‘benefica soluzione’ si può parlare quando si architettano un matrimonio segreto e una fuga d’amore.
 
 
“Ascoltatemi bene, ragazzi miei… Akane-chan, tra nove giorni tuo padre e la sua sposa”, Obaba represse a stento una smorfia, “partiranno per un paio di giorni, un viaggio stabilito da tempo, che non può essere rimandato. E Kuno andrà con loro”
 
“Io stesso persuaderò Soun-sama a portarselo appresso…”, aggiunse Happosai, “…in quanto futuro erede delle sue terre”
 
Questa volta fu Akane a reprimere a stento una smorfia.
 
“La sera della loro partenza”, continuò l’anziana donna, “sarà il momento giusto. Poche guardie e maggiore libertà di movimento”
 
“Sì, ma come faremo a uscire dal palazzo non visti?!”
 
“Pazienta, ragazzo, pazienta!”, lo ammonì il vecchio.
 
Akane semplicemente assisteva, incredula, a quello scambio.
 
Come era possibile anche solo immaginarlo? Uscire da… palazzo?! Lei…?!
 
“La mattina dopo, come ogni decimo giorno del mese, ci farà visita il mercante dalle coste orientali. Hachiro, un mio vecchio amico. Non farà domande se io gli darò in custodia due grandi barili, chiedendogli di frustare senza tregua i cavalli fino ai boschi intorno a Hakata, per poi scaricarli nella macchia e andarsene senza voltarsi. Una volta che sentirete il carro allontanarsi uscirete dai vostri due nascondigli. Lì non sarete troppo lontano dal porto. E, vestiti come sarete in maniera dimessa, nessuno vi farà troppe domande quando salirete su una delle barche che ogni giorno salpano per la Cina”
 
Come se questa parola le spettasse di diritto, Obaba si intromise nel discorso: “E una volta approdati a Yangzhou, nella mia Cina, cercate la locanda ‘Ko-Lun’. Lì vi accoglierà una mia vecchia conoscenza. Le ho già scritto spiegandole ogni cosa. Chiedete della signora Nodoka (1) e sarete come a casa vostra”
 
“Nodoka? Sicura che non stai perdendo colpi, vecchia? Ci mandi in Cina a casa di una donna giapponese?”
 
Una gomitata di Akane ben assestata impedì al ragazzo di continuare a dare sfogo alla sua strafottenza.
 
“Curiosi, eh, i casi della vita, caro ragazzo? Lei nata in suolo nipponico si è ritrovata a gestire una locanda nella mia terra, e io, amazzone cinese, eccomi qui da decenni al servizio della venerabile famiglia Tendo”
 
Akane le lanciò uno sguardo carico di riconoscenza e questo bastò a lenire il breve cedimento nostalgico di Obaba.
 
“Comunque, è una brava donna: sarà per voi una madre finchè sarete lì”
 
Una madre. Per lei e per Ranma, che non ne avevano avuta una… E poi il mare, la Cina, una nuova vita…
 
 
 
“Akane? L’ho trovato”
 
Si riscosse da quei pensieri, troppi tutti insieme, e guardò la vecchia donna uscire dalla soffitta con i bianchi capelli scompigliati e lo sguardo fiero.
 
“L’ho trovato finalmente, l’avevo nascosto davvero bene, ma sapevo che si trovava qui”
 
Akane la guardò interrogativamente. Ancora non capiva.
 
Si era imbattuta in Obaba circa una mezzora prima, mentre schivava quattro portantine cariche di regali per il suo matrimonio.
 
Quello con Kuno ovviamente, i cui preparativi erano cominciati da nove giorni e che si sarebbero fermati soltanto la sera precedente la celebrazione.
 
Se tutto andava secondo i piani, lei sarebbe stata molto lontano, quel giorno.
 
“Akane, vieni con me, c’è una cosa che devo darti”
 
Non aveva aggiunto altro e lei l’aveva seguita, tanto per non pensare al resto.
 
E così si era ritrovata davanti a quella soffitta, ad aspettare di capirci qualcosa.
 
Tra le mani piccole e nodose della vecchia spuntava ora una scatolina di ebano intarsiato.
 
Nel posarvi gli occhi Akane fu scossa da un impercettibile sussulto, non sapeva neanche lei perché.
 
“Aprila”
 
Un movimento lento e la principessa scoprì ciò che la scatolina custodiva: un piccolo anello di oro grezzo.
 
“Era di tua madre, bambina. Mi ha chiesto di conservarlo per lei: voleva che tu l’avessi in dono il giorno delle tue nozze”
 
“Era…della… mamma?”, ancora non poteva crederci, mentre la voce le si assottigliava e le si rompeva appena.
 
Obaba annuì compiaciuta.
 
“E’… è bellissimo!”
 
“Le piaceva molto questo anellino, così, senza pietre preziose, diverso da tutti gli altri”
 
Akane riuscì solo ad annuire.
 
“La tua mamma ti assomigliava molto, sai? La sua bellezza era lo specchio del suo spirito. Semplice e forte, incantava chiunque incrociasse il suo sguardo”
 
La sua bambina cominciò a piangere sommessamente e Obaba comprese.
 
“Non temere, piccola mia. La vita ci regala sorprese inaspettate. Non smettere mai di avere fiducia nell’animo degli altri. Arriverà il momento in cui tuo padre capirà perché stai facendo tutto questo. Ti ama profondamente, sai? E’ solo che non sa più leggere nel cuore delle persone, perché ha smesso da tempo di leggere nel suo. Sii forte, bambina, e ricorda che non sei sola”
 
“Lo so”
 
Semplicemente le sorrise.
 
“Grazie, davvero”
 
E semplicemente l’abbracciò, mentre con una mano si infilava all’anulare sinistro quel piccolo anello.
 
 
 
***
 
 
 
“Ryoga, ma la vuoi piantare di stringere a quel modo il mio kimono? Va benissimo così!”
 
Si trovavano nell’angusta stanzetta del ragazzo con la bandana. Quest’ultimo stava armeggiando da qualche minuto con la cinta del codinato, cercando di dargli un’aria sobria ed elegante, senza successo.
 
“Non va affatto bene, Ranma, accidenti a te! Devi essere perfetto! Come diavolo vuoi presentarti al tuo matrimonio?”
 
“Splendido come sempre, mi pare ovvio!”, si mostrava incurante e scherzoso come al solito, ma stava tentando di smorzare la tensione che gli attanagliava lo stomaco dal momento in cui aveva visto la luna sorgere mollemente fuori dalla finestrella dell’amico.
 
E ogni volta che veniva pronunciata la parola ‘matrimonio’, ovviamente.
 
“Splendido un corno, con questo corto kimono improvvisato… E’ l’unico di colore scuro che sono riuscito a recuperare, quello che si avvicina di più a un kimono da cerimonia, ma è vecchio e rovinato e ti sta pure un po’ largo…”
 
“Andiamo! Non darai importanza a queste cose?! E poi lo sai che dobbiamo essere vestiti non troppo diversamente dal solito. Se mai qualcuno dovesse irrompere nella mia stanza, non avremmo alcuna scusa se fossimo realmente vestiti da… da sposi!”
 
A quella parola una scarica di adrenalina lo attraversò irrefrenabile.
 
“Che idea balzana poi, questa di celebrare il matrimonio nella tua stanza…”
 
“P-perché mai? La mia stanza va benissimo e poi lo sai che sono stati i due vecchi a consigliarlo: per loro è il posto più sicuro e riservato. E’ una stanza dimenticata in egual misura dalla servitù e dalla nobiltà. Chi avrebbe interesse a entrarci?”
 
“Ah ah! Su questo ti dò perfettamente ragione! Su, fatti guardare…”
 
Ranma fece un giro su se stesso, di nuovo canzonatorio.
 
“Piantala di fare l’idiota… Mmm, accettabile, ma manca qualcosa… Ah, ci sono!”
 
 
 
***
 
 
“Ci sei, mia cara? Manchi solo tu e siamo pronti a partire, tuo fratello ci aspetta già in carrozza”
 
Nella penombra della grande camera gli occhi della moglie quasi lo abbagliarono. Eppure la voce di lei era così flebile che gli si strinse il cuore.
 
“Sto poco bene, mio caro, una terribile emicrania… Sarà colpa della luna piena… Non me la sento proprio di mettermi in viaggio”
 
Diverse ancelle le ronzavano intorno, chi le poggiava una pezza fresca in fronte, chi chiudeva accuratamente la finestra per impedire alla luce lunare di filtrare.
 
“Allora posso restare con te, Kodachi, cara…”
 
“No! Non è necessario, Soun, marito mio… Sono stanca è ho solo bisogno di dormire. Tu parti pure. Domattina sarai a destinazione e non avrai perso tempo prezioso”
 
Le posò un leggero bacio sul dorso della mano.
 
“Sarò presto di ritorno, riposati”
 
Al buio, in un silenzio innaturale, le labbra della giovane donna si piegarono in una smorfia di soddisfazione.
 
*Deve amare molto il nostro signore*, riflettè l’ultima ancella nell’atto di chiudere la porta dietro di sè, *per sorridergli anche dopo che lui ha lasciato la stanza da un pezzo…*
 
 
 
***
 
 
“Ecco qua!”
 
In un unico gesto, Ryoga si era sfilato un magatama (2) di osso e pietra, lucidato e ben tenuto, e l’aveva legato al collo di Ranma.
 
“Tutto un altro aspetto!”
 
“Ma… ma Ryoga… questo è il tuo magatama, ce l’hai da sempre, è il tuo portafortuna… Io non…”
 
“Sciocchezze! Ryoga Hibiki può certo farne a meno! Tu, piuttosto! Ne avrai bisogno molto più di me! Tienilo e non fare tante storie…”
 
Era vero, quella specie di monile, nella sua semplicità, gli conferiva un’aria più elegante, adatta alle circostanze.
 
E poi era l’unico ‘tesoro’, se così si poteva chiamare, che possedeva quel suo bizzarro compare. E se ne stava privando per lui! Era un gesto che valeva mille parole.
 
“Grazie… amico!”
 
Ma l’accenno di imbarazzo maschile che cominciava ad aleggiare nella stanza fu presto spezzato dal sordo rumore di zoccoli e ruote che si insinuò dalla piccola finestra e a cui si sommò il cigolìo lontano e il tonfo del grande portone di ingresso.
 
“Partiti. Sono… sono partiti”
 
Ancora Ranma non riusciva a crederci.
 
“E così è proprio vero… tra pochi minuti mi sposo…”
 
Un sorriso ebete si fece largo sul suo volto e il cuore in tumulto avrebbe voluto esprimere in un unico grido l’euforia, la paura, il desiderio, l’incoscienza di quella decisione segreta, della notte che li avrebbe sorpresi insieme e del mattino che li avrebbe portati lontani da lì in un’avventura eccitante e pericolosa. Il ragazzo deglutì rumorosamente.
 
“Accidenti a te, Ranma! Perché ti metti a fare discorsi seri, ora!”
 
Per il povero Ryoga tutto quello era davvero troppo. Ci aveva provato a evitarlo, oh se ci aveva provato! Ma quell’idiota si metteva a usare certe parole e lui… lui non era riuscito più a trattenersi ed era scoppiato in un pianto disordinato. Tentava di nascondere sgraziatamente gli occhi nella manica destra e contemporaneamente assestava un pugno a quella sottospecie di deficiente, stando attento a non sgualcirlo troppo però, mentre con la bocca impastata dalle lacrime si raccomandava: “Vedi di non farla soffrire!”
 
“Lo farò, stanne certo!”
 
A suon di pacche sulle spalle abbracciò con foga il proprio testimone e lo trascinò in corridoio, verso la propria stanza, dove Obaba e Happosai stavano preparando le ultime cose.
 
 
***
 
 
“Ucchan! Ucchan… Sto facendo la cosa giusta, vero?”
 
“Certo che sì, Akane-san! Respirate…”, una stretta alle spalle e la sposa si era rassicurata, confortata dallo sguardo limpido della sua confidente.
 
“Non c’è tempo da perdere, Ranma è già dentro che vi aspetta, con Ryoga e gli altri… ma prima…”, Ukyo arrossì, “Ho un regalo per voi. So che non potete vestirvi da sposa, come vorrebbe la tradizione e come voi meritereste… Sarebbe rischioso e per me sarebbe stato impossibile portare fin qui inosservata anche solo un kimono bianco, ma…”
 
Tirò fuori da sotto il proprio yukata un involto di candida stoffa, avvolgendone con uno svolazzo il capo della principessa.
 
“Questo è quanto di meglio sono riuscia a fare…”
 
Akane non riusciva a credere ai propri occhi.
 
Quando la sua ancella poteva aver confezionato quel velo improvvisato, se non di notte?
 
Se la immaginò, alla luce di una candela solitaria, quando nessuna delle compagne poteva sorprenderla, intenta a cucire assieme pezzi ricavati da lenzuola e biancheria.
 
La abbracciò di slancio, piena di una gratitudine senza parole.
 
“Andiamo, andiamo adesso!...”, si schermì Ukyo, “Aspettano solo voi”
 
 
 
Come lei varcò la soglia, lui si voltò e i loro occhi si incatenarono.
 
Immobili.
 
Lui lì, in piedi, ad aspettarla.
 
Lei lì, sospesa tra il passato e il futuro.
 
Tutto assunse un senso.
 
Le paure si dileguarono, l’ansia si vaporizzò, lasciando posto a una calma liquida e calda.
 
In quegli occhi blu come quella notte di luna lei trovò tutte le risposte che cercava.
 
In quegli occhi profondi come i segreti del mondo lui scovò il significato della sua stessa esistenza.
 
Avanzò lentamente, senza smettere di guardarlo un secondo e come gli fu accanto le bastò sfiorargli una mano per dare sfogo a tante parole, senza neanche un suono.
 
Happosai e Obaba ricacciarono indietro le lacrime. Dovevano rimanere lucidi.
 
Distogliendo volontariamente lo sguardo dalla coppia, cominciarono a mormorare formule e a dare inizio al rito.
 
Appena dietro di loro, Ukyo e Ryoga aspiravano a stringersi l’uno all’altra, senza ardire però neanche sfiorarsi.
 
Avevano tremendamente bisogno di calore in quel momento in cui, alla luce tremolante di un paio di ceri, in quella piccola stanza spartana, osservavano da dietro per l’ultima volta quel velo raffazzonato e quel’assurdo codino.
 
Non avrebbero dimenticato per molto tempo quella prospettiva privilegiata.
 
In loro, il contrasto tipico di chi ama davvero: felici per la felicità altrui, preoccupati per i rischi che correvano, addolorati per la separazione inevitabile…
 
Chissà quando li avrebbero rivisti…
 
Sospirarono contemporaneamente e nell’accorgersi della singolare coincidenza, si scrutarono con la coda dell’occhio.
 
Non sarebbero rimasti soli...
 
No, non era solo questo.
 
Avrebbero continuato ad avere accanto la persona giusta. Già, la persona giusta.
 
In silenzio, Ukyo sentì le guance bagnarsi copiosamente.
 
Ryoga doveva essersene accorto ancora prima di lei, perché già le stava porgendo un fazzoletto.
 
Gli occhi ancora fissi sulla sua signora, che stava prendendo in quel momento un sorso del sakè sacro, la ragazza prese il fazzoletto e facendosi coraggio fermò con un gesto fulmineo la mano di Ryoga prima che trovasse la strada del ritorno.
 
Un sussulto di entrambi, e con una naturalezza inaspettata dieci dita si intrecciarono tra loro, in un muto consenso all’unione che veniva celebrata poco più avanti.
 
Poco più avanti dove si celebrava un matrimonio in un silenzio ovattato, non solo per evitare ogni minimo rumore che potesse rivelare la loro presenza, ma perché non c’era bisogno di parole.
 
Gli occhi di Ranma e Akane parlavano da soli.
 
 
 
***
 
 
 
Chiuse gli occhi, in attesa, mentre la sabbia nella clessidra scorreva al buio per la seconda volta.
 
I predatori non hanno clessidre da girare, ma sanno aspettare il momento opportuno.
 
Conoscono le regole della foresta e le assecondano per uscirne vittoriosi. Ogni volta.
 
Lei sapeva che la grande casa aveva i suoi tempi.
 
Ma a un certo punto della notte anche una grande casa come quella dorme di un sonno profondo e ignaro.
 
Ancora cinque clessidre, e sarebbe arrivato il momento giusto anche per lei di uscire dal suo nascondiglio e agguantare la preda.
 
 
 
***
 
 
 
Come tutti furono usciti, furtivi e sorridenti, lui si voltò di scatto verso di lei, rosso in volto, il corto kimono leggermente di sbieco.
 
Rossa lo era anche lei, in modo ancora più evidente a paragone di quel velo bianco che le pendeva un po’ storto sulla fronte.
 
Osservarono la loro improbabilità e scoppiarono a ridere di gusto.
 
A rompere il silenzio fu Akane.
 
“Siamo…siamo sposati!”
 
“Oh kami, sì!”
 
Le sussurrò lui –ma avrebbe voluto urlarglielo-, correndole incontro e sollevandola da terra.
 
“E domani saremo lontani da tutto questo!”
 
Tornando a terra, lei sentì che i suoi piedi poggiavano su qualcosa di morbido e il loro sguardo cadde simultaneamente sul futon che era stato steso e benedetto da Obaba.
 
“Hai… hai paura?”
 
Akane lo guardò con un sorriso talmente luminoso che almeno a lui la paura passò di colpo.
 
“Potrei risponderti: ‘Ho una paura matta di tutto quello che ci aspetta’; e allo stesso tempo: ‘Neanche per sogno!’, che non ti mentirei!”
 
“Lo so, è così anche per me! E sai che ti dico? Che non mi importa! L’unica cosa che mi importa è stare con te-”, non riuscì a concludere la frase che già la stava baciando, stringendola a sé, come per paura che fosse un sogno e potesse dissolversi tra le sue dita. Ma se era un sogno voleva continuare a sognare.
 
“Mia moglie! Questo maschiaccio è mia moglie… ancora non ci credo…”
 
Lei non reagì alla provocazione, ma reagì al bacio con altri baci, desiderosa di zittire il proprio cuore in tumulto, a suon di quei baci.
 
Senza riuscirci, ovviamente.
 
Una raffica di baci che alla famigerata tecnica delle castagne che padroneggiava suo… -oh kami!- suo marito, avrebbe fatto concorrenza per precisione e velocità.
 
E per stordimento dell’avversario, ovviamente.
 
“Mio… ma-marito…”, si dava appena il tempo di ansimare, tra un bacio e l’altro.
 
Si ritrovarono non si sa come sdraiati sul quel futon, scarmigliati e senza fiato, il velo tutto da una parte, il kimono di lui per metà fuori dalla cinta.
 
In questi momenti può un ‘Sei bellissima’ disarmare anche la più crudele delle guerriere?
 
Oh, sì che può.
 
E in questi momenti può un ‘Ti amo’ far divampare un incendio improvviso in terra e al contempo entrare in risonanza con la purezza del divino?
 
Oh, sì che può.
 
E può la luce della luna delineare ciò che poco prima era appannaggio unicamente del buio, mostrando paesaggi inesplorati: vallate e colline, cascate improvvise, boschi notturni e piane innevate?
 
Oh, sì che può.
 
In momenti come questo, si può percepire il segreto del cosmo vibrare nel proprio ventre e svelarlo all’altro, per ritrovarsi insieme non più ‘uno’, non solo ‘due’, ma parte del ‘tutto’.
 
Questo scoprirono Ranma e Akane quella notte.
 
Scoprirono che una notte può avere un tempo infinito e infinite morti e resurrezioni, e durare un soffio. 
 
Scoprirono che una notte può liquefarsi in lava bollente e sudore e può essere scossa da brividi poco dopo.
 
Scoprirono che si può fermare un momento per una parola, uno sguardo, una lacrima, un bacio all’anello della madre.
 
E che ci si può far trasportare dalla corrente di un fiume immaginario senza fiatare, o urlare silenziosi la gioia irrefrenabile, sciogliendosi poi in abbracci, discorsi sconnessi, carezze e perdendosi in suoni, odori, ricordi frastagliati.
 
Quello che scoprì Akane fu che anche se non era mai uscita dalle mura di quel palazzo, aveva conosciuto il mondo intero, quella notte.
 
E quello che scoprì Ranma fu che quella stanza era solo un luogo, un luogo come tanti, ma che la donna che dormiva nuda tra le sue braccia era la sua donna, era il suo rifugio.
 
 
 
***
 
 
 
Un uomo, nella notte, scoprì di aver dimenticato a casa delle carte importanti, indispensabili per le trattative.
 
Sorrise mestamente al proprio compagno di viaggio, mentre la carrozza invertiva la direzione di marcia e scivolava sulla strada come sull’olio.
 
“Vostra sorella è una moglie eccellente. Ma a quanto pare avere una moglie troppo giovane obnubila la mente dei mariti”
 
 
***
 
 
Il serpente attende le tenebre per sguisciare via dalla propria tana e insinuarsi negli anfratti, taciturno e letale, in cerca della preda.
 
Lei sgattaiolò fuori dalla propria stanza, senza fare alcun rumore. Sinuosa nei movimenti, si addentrò al buio in anticamere e corridoi.
 
Il serpente si acquatta, striscia, scivola freddo calcolando la distanza che lo separa dalla preda.
 
Lei si appiattiva contro i muri. E avanzava, inesorabile, verso quella porta.
 
Il serpente, quando individua la preda, si raggomitola qualche istante prima di sferrare l’attacco, il tempo di far vibrare un’ultima volta la lingua contro i denti pregni di veleno, per saggiarne l’affilatura.
 
Lei osservò quella porta chiusa, strinse gli occhi e sorrise, affondando i denti nel labbro inferiore.
 
Nel momento in cui guizza contro la preda, il serpente è mosso da una sola ossessione: desidera più di ogni cosa avvinghiarsi a quella preda e sentirla dimenarsi e soccombere inerme tra le sue spire.
 
Nel momento in cui il fremito crebbe nel suo corpo fino a materializzarsi nell’ossessione che la divorava da settimane, lei vi si abbandonò e irruppe in quella stanza, con il solo scopo di sfogare il proprio istinto sulla carne fresca di quel ragazzo.
 
 
Quello che incrociarono gli occhi smarriti di Ranma, svegliato di soprassalto da un rumore improvviso, furono gli occhi rossi e spalancati di Kodachi.
 
La sovrana ebbe appena il tempo di notare la pelle nuda della sua figliastra tra le braccia di quell’uomo, immobile e stranito davanti a lei, ricacciare indietro un conato di vomito, sentire il disprezzo e l’umiliazione annebbiarle la vista, che d’istinto squarciò l’aria con un urlo disumano e inorridito.
 
Se avesse saputo mantenere la lucidità che di norma le era solita, avrebbe piegato quella situazione ai suoi più fidi servitori: il ricatto e la vendetta.
 
Ma ormai aveva urlato e nell’eco di quel grido, mentre Akane, improvvisamente sveglia, si copriva terrorizzata con un lenzuolo, rimbombarono dei passi sempre più vicini, e accadde l’inaspettato.
 
Prima di potersi domandare chi stesse accorrendo con tanta solerzia, Kodachi si ritrovò davanti nientemeno che Soun Tendo. Dietro di lui, Kuno Tatewaki e diverse guardie.
 
“Che sta succedendo?! Sono appena rientrato per prendere dei documenti e ripartire immediatamente che sento questo…”
 
Ma le parole gli morirono in gola.
 
Vide la figlia nuda e in lacrime.
 
Vide quel ragazzo che aveva amato come un figlio mezzo svestito guardarlo pietrificato.
 
Sentì l’odore forte della stanza e dell’amplesso, e non capì più nulla.
 
Si avventò su Ranma e strattonandolo per il codino lo sollevò da terra e lo scaraventò un paio di metri più in là, mentre nelle orecchie gli rimbombavano i singulti che Kodachi, di nuovo padrona di sé, stava manovrando con astuzia, apparentemente giustificandosi col fratello: “Io ho sentito delle urla… Ho avuto paura e sono corsa in direzione di queste urla… Akane, figliola, stai bene? Ti ha fatto del male?... Oh, temo di non essere arrivata in tempo… Non me lo perdonerò mai!”
 
“Cosa le hai fatto? Tu… schifoso traditore!”
 
Ranma non riusciva a reagire contro quelle mani che lo avevano salvato, nutrito, accarezzato, anche se ora lo stavano pestando di rabbia.
 
“Soun-sama… mio signore… vi prego… Non vi ho tradito… Io… amo… vostra figlia!”
 
Si difendeva come poteva, cercando un appiglio in quegli occhi iniettati di sangue.
 
“Padre! No! Fermatevi!! Vi prego!”
 
Akane si aggrappò al braccio di Soun, coperta a malapena dal lenzuolo, tentando di placare i colpi diretti a Ranma.
 
“Non è come pensate!! Non c’è stata nessuna aggressione… Io e lui ci siamo sposati in segreto! Io… io lo amo, padre! Lui è mio marito ora, è il marito che ho scelto!”
 
“Che cosa?!”
 
Soun, attonito e sconvolto si scrollò di dosso la figlia, che rovinò contro due guardie, le quali, prontamente, su cenno di Kodachi le bloccarono gambe e braccia, immobilizzandola.
 
“Giù le mani da Akane! Maledetti! Non toccatela!!”
 
Ma quella distrazione gli fu fatale.
 
Nel trambusto della dinamica Ranma non si era accorto che Kuno gli era arrivato alle spalle e aveva alzato la spada sopra di lui, per sferrare un colpo violento con l’elsa di ferro contro la sua nuca.
 
“Insolente spregevole villano! Come osi rivolgerti alla tua principessa con tanta confidenza?!”
 
L’ultima cosa che vide furono gli occhi di Akane che si dilatavano in un’espressione di orrore.
 
L’ultima cosa che udì fu l’urlo di lei.
 
“Nooooo!!! Ranma!!!!”
 
Poi fu l’oblio.
 
 
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Ciao a tutti!!!
 
Direi che finalmente stiamo entrando nel vivo! Capitolo davvero sofferto… che ne pensate?
 
Ringrazio con tutta me stessa coloro che trovano il tempo di leggermi e soprattutto coloro che mi commentano.
Per chi non lo fa, sappiate che anche poche parole sono per me fonte inesauribile di gioia! ;-)
 
Un abbraccio,
 
InuAra
 
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Note
 
(1)
Mi spiace deludere i fan delle signora Nodoka, ma devo precisare che in questa storia lei NON è la madre di Ranma, è semplicemente un personaggio che ha un’altra funzione. Ma è pur sempre un personaggio con il volto e l’indole della signora Nodoka che tutti conosciamo.
 
(2)
I Magatama sono monili in forma ricurva utilizzati in epoca antica come ornamenti.
Il minerale più pregiato era la giada. Molto apprezzato nell'antichità si ricavava solitamente da denti di animali, ripuliti e lucidati. Questi gioielli sono legati alla divina Amaterasu, la dea del sole. Si ritiene che questi gioielli abbiano il potere di allontanare gli influssi maligni e, al tempo stesso, che siano di buon auspicio e portatori di un destino luminoso.
 
 
 
 
  
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