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Autore: GreedFan    20/08/2014    4 recensioni
Nascere su Nenya significa entrare a far parte di una delle tre Categorie.
Non c'è scampo dalla classificazione: i Beta contribuiscono con il loro lavoro alla costruzione di una società più solida, gli Omega procreano e crescono le nuove generazioni, gli Alfa, semplicemente, dominano. Ciascuno secondo la propria natura.
Lienhard Heisenhover, però, intuisce che c'è qualcosa di storto nella gerarchia delle classi sociali - un pezzo del puzzle non collima, l'ombra della menzogna si avviluppa alle fondamenta di una civiltà solo apparentemente solida. A volte basta la pressione lieve di un frammento di ghiaccio per spaccare la più dura delle rocce.
«Il fuoco insegna parecchio». Sussurrò, gli occhi di Joseph nei suoi. «Se non te prendi cura si spegne. Se non lo controlli ti scotta non appena abbassi la guardia. Ma il bello è che a volte si spegne o ti brucia lo stesso, anche quando ci hai messo tutto l'impegno possibile».
«Mi ricorda qualcuno».
«Dovrebbe. Quella di essere imprevedibili è una prerogativa di tutti gli uomini».
«Di alcuni più che di altri».

[Omegaverse]
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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θ.


Joseph se ne andò qualche ora dopo l’alba, ancora assonnato per la notte in bianco. Lo salutò con un’alzata di spalle e un cenno forzato, buttandosi nell’abitacolo di un veicolo che slittò via senza rumore.

Lienhard non riusciva a scacciare la sensazione che gli sviluppi sarebbero stati tutt'altro che rosei, ma sapeva di non poterci fare niente. Rientrò nel bungalow con un senso di pesantezza nell'animo, una speranza disperata che si agitava da qualche parte tra il nervosismo e il senso di colpa − ti prego, ti prego, ti prego non odiarmi − e si sdraiò sul futon sfatto. Gli effetti del calore si facevano di ora in ora più labili e ben presto non avrebbe avuto più scuse per non tornare alla vita reale, al mondo di bugie che lo aspettava dentro le mura di Fegith.


Una volta aperta la porta dell’appartamento, Lienhard capì che i suoi progetti di riposo e meditazione sarebbero andati in fumo. Lo sguardo gli cadde immediatamente su un foglio di metallo dai contorni arrotondati, che qualcuno aveva fatto scivolare sotto la porta e che era rimasto a prendere polvere sul pavimento per almeno un paio di giorni. Impossibile fraintenderne l’apparenza, i ghirigori sottili sulla superficie lucida: era un Invito.

Piegarsi sulle ginocchia e raccoglierlo fu più faticoso di quanto pensasse. Entrata a contatto con le sue dita, la lamina di metallo si prese un paio di secondi per la scansione delle impronte digitali e poi s’illuminò, contorcendosi a mezz’aria come una foglia trasportata dal vento autunnale.

Che Lienhard ricordasse, nessuno dei suoi parenti compiva gli anni in quel periodo e non c’erano party accademici in vista. Rimanevano poche altre opzioni, visto che la sua fama di facinoroso lo rendeva inviso alla maggior parte dei salotti eleganti di Fegith.

Irrigidendosi nella forma aggraziata di una rosa avvolta da una corona di spine, il biglietto dissipò ogni dubbio. “Redthorn,” pensò Lienhard, contenendo a malapena il disprezzo, “perché mai i Redthorn mi mandano un Invito?”.

«Lienhard Heisenhover» la voce computerizzata si dipanò dai petali della rosa come una ninnananna «sei ufficialmente invitato alla presentazione in società di Elenoire Redthorn, che si terrà il…»

Ascoltò le indicazioni con lo sguardo fisso e la bocca semiaperta, incapace di riscuotersi dal torpore che l’aveva colto di fronte ad un evento tanto inatteso. Se il Gerarca – o chi per lui – aveva deciso di invitare anche gli Heisenhover alla cerimonia di presentazione in società della sua figlia più giovane, alla festa sarebbero stati presenti tutti i nobili e i personaggi politici più abbienti di Fegith. Non riusciva a spiegarsi, altrimenti, perché i Redthorn avrebbero dovuto accogliere in casa loro una famiglia con la quale i rapporti – per usare un eufemismo – non erano mai stati particolarmente intimi.

Conosceva la ragazza, Elenoire, solo di vista: doveva avere sedici anni, ormai, i tratti slavati del ramo principale dei Redthorn e quegli occhi alieni, tra il celeste chiarissimo e il violetto, che assomigliavano a pietre senza vita. Lei e Maryanne, l’unica altra femmina nella nidiata del Gerarca, erano entrambe alfa. Si trattava di estranee per lui – e di un tipo non particolarmente gradito, tra l’altro – ma disertare un invito formale senza validi motivi era un gesto che la sua posizione precaria non gli consentiva. Suo padre, che aveva basato una carriera sui rapporti diplomatici, non glie l’avrebbe mai permesso.


◦○◦

Kaïre era riuscito a mobilitare gli altri prima di quanto pensasse, complice la psicosi collettiva ingenerata dal tradimento di Wieke Sommer. L’organizzazione di Thomas Heisenhover aveva, come presupposto fondamentale, la fiducia assoluta che i membri nutrivano gli uni per gli altri: erano stati scelti perché affidabili, devoti alla causa, e scoprire l’esistenza di una falla in un tessuto che credevano privo di strappi era stato un brutto colpo, per tutti.

Il magazzino periferico che avevano scelto per incontrarsi ospitava una vasta selezione di ricambi per vetture a trazione magnetica, impilati in scatole di ultraneoprene imbottito che raggiungevano il soffitto. Era un posto ideale per discutere di faccende private, con le pareti di cemento spesse un paio di metri e un complesso sistema di schermatura a onde radio che lo proteggeva da microspie e microfoni nascosti; apparteneva ad una delle tante società fantocce di Thomas Heisenhover, gestita da uno dei luogotenenti che presiedevano all’incontro.

Saleem Chandra, questo il suo nome, era un ometto così basso che, seduto su uno scatolone, non arrivava a sfiorare il pavimento con la punta delle scarpe. Magro, la pelle scura e il volto cadente, rugoso, aveva uno sguardo acuto che sembrava scandagliare gli oggetti e le persone su cui si posava; in contrasto con la moda corrente, sul suo naso adunco ballonzolavano un paio di occhiali dalle lenti rotonde, e le mani macchiate mostravano i segni della vecchiaia.

«Se quello che Kaïre ci ha raccontato corrisponde a verità, la situazione potrebbe rivelarsi peggiore di quanto immaginassimo». Gracchiò «La Via delle Lanterne è sempre stata una zona franca per la vendita di Progestal, e non possiamo permetterci di perdere i traffici in quel quartiere. Oltretutto l’aggressione ai danni di Kaïre era molto diversa dalla procedura di un regolare arresto: perché usare un soldato in borghese, quando basterebbe inviare una pattuglia in qualsiasi punto del quartiere per arrestare decine di venditori?».

«Magari non volevano che la notizia arrivasse fino a noi». Beatrisa Zajitzeva grattò il pavimento con un piede, innervosita, e sbuffò «Forse pensavano di catturare Kaïre e farlo sparire dalla circolazione senza divulgare la notizia dell’arresto, per non metterci subito in allarme. Quello che mi chiedo è se il soldato puntasse direttamente a Kaïre o stesse cercando uno spacciatore come un altro nella Via».

«Ecco, questa è una questione su cui mi soffermerei un po’ di più». L’uomo che aveva parlato, alto e segaligno come cero, stava appoggiato alla stessa pila di cassette su cui sedeva Kaïre. Robert Ianisov, unico altro omega tra i luogotenenti del Ministro, trattava l’albino con una cortesia untuosa che somigliava alla solidarietà, e riservava ai suoi colleghi niente più che fredda indifferenza. «Non so se cogliete,» continuò «l’enormità del problema, nel caso in cui la prima opzione fosse quella vera. Basterebbe un test del DNA come quello che viene fatto in caso di arresto per rintracciare parentele che nessuno di noi vorrebbe venissero alla luce».

«E se cercano me significa che già sospettano qualcosa».

«È assurdo». Beatrisa fece schioccare la lingua contro il palato «Gli unici a sapere del coinvolgimento di Heisenhover siamo noi, e la nostra fedeltà è stata messa alla prova più volte. A meno che…»

«Che cosa vorresti insinuare?». Una beta bassa e grassottella, le forme generose strizzate in una tuta di lattice contenitivo, si mise le mani sui fianchi e squadrò Beatrisa con astio «Non puoi mettere in dubbio l’onestà di chi ha lavorato una vita per Thomas Heisenhover».

«Ti senti chiamata in causa, Deehar?».

«Non esagerate». La voce profonda di Mikahel Ribic, un uomo alto e ben piazzato che se ne stava discosto dagli altri, con le mani in tasca, interruppe il litigio sul nascere. Mikahel aveva un passato turbolento alle spalle, costellato di pene detentive nelle carceri speciali di Fegith e risse tra i viottoli dei quartieri bassi, ma non era uno stupido e tantomeno un uomo da prendere sottogamba. Alto quasi un metro e novanta, con la costituzione di un lottatore e la pelle devastata dalle cicatrici – si era sempre rifiutato di farsele rimuovere – si occupava di evitare che il traffico di Progestal a Fegith venisse controllato da altri gruppi criminali. Con che mezzi, Kaïre non era mai stato ansioso di saperlo.

«Che cosa proporresti di fare, Ribic?». Chandra si aggiustò gli occhiali sul naso con un sorrisetto ironico.

«Beatrisa,» Mikahel si rivolse direttamente alla donna «la tua posizione non ti permette di investigare?».

«Ho già rischiato parecchio per identificare Wieke Sommer, e in quel caso sapevo esattamente dove e cosa cercare. Sono un soldato semplice, accedere ad informazioni riservate richiede moltissimo tempo per me. Una soluzione più semplice sarebbe intensificare i controlli e la protezione ai venditori della Via – per questo potrebbero farci comodo i tuoi uomini, Mikahel – ed evitare che Kaïre si faccia vivo per un po’».

«È un rattoppo temporaneo,» la risposta di Robert Ianisov provocò uno squittio d’assenso in Dehaar Klauss «ma forse per qualche giorno andrà bene».

Chandra si schiarì la voce e disse: «Dovrà andar bene. Purtroppo temo che questa non sia altro che la punta dell’iceberg».

«Che intendi?». Chiese Kaïre.

«I soldati non cambierebbero mai la loro politica senza un buon motivo. Se lo fanno c’è una ragione, e dobbiamo aspettarci la messa in pratica di una strategia precisa… non qualche colpo di testa privo di significato».


◦○◦


Il giorno prima della festa, una settimana e mezza dopo il suo ritorno dalla campagna, Thomas Heisenhover gli fece visita.

Lienhard aveva trascorso quel breve periodo di quiete in solitudine, leggendo e riflettendo sulla situazione presente. Il pensiero correva sempre a Joseph, ma sapeva che contattarlo e cercare di risolvere tutto parlando sarebbe stato uno sbaglio: erano insufficienti, le parole, quando si trattava di esprimere concetti e sensazioni che nemmeno lui riusciva ad afferrare del tutto. Senza guardarlo negli occhi e avvertire il suo respiro, il calore della sua pelle e le scariche elettriche che formicolavano appena sotto quello strato di porcellana sottile, non avrebbe mai potuto comunicare davvero con Joseph.

Aveva cercato di contattare Kaïre per sapere come andava con la ricerca del campione di cui aveva bisogno, ma ogni tentativo era stato vano: con suo fratello l'unica strada possibile era pazientare e attendere che si facesse vedere, impegnato com'era in chissà quali traffici nelle zone più remote di Fegith. Lienhard sperava solo che fosse riuscito a procurarsi quel dannato campione.

Occupazioni temporanee atte a distrarlo dal maggiore Redthorn erano state la ricerca di un abito adatto alla festa - i suoi completi dal taglio antiquato avrebbero provocato il raccapriccio generale - e l'imbastire un discorso per mettere suo padre al corrente degli ultimi sviluppi. Se completare il primo obiettivo non gli era costato granché (esclusa una somma non proprio trascurabile accreditata ad una delle più importanti boutique di Fegith) il secondo era rimasto insoluto, una nube di preoccupazione che si incupì ancora di più quando Thomas Heisenhover bussò alla porta dell'appartamento.

Lienhard lo accolse con un sorriso incerto, consapevole della tempesta che stava per abbattersi sulla sua vita. Lasciò che si accomodasse, che posasse il cappotto - tutto sembrava immerso in una calma irreale, la quiete prima dello scatenarsi dei fulmini - poi, stranamente tranquillo, saltò a piè pari i convenevoli e disse: «In campagna è successa una cosa che non doveva succedere».

La voce tremò un po', e Thomas se ne accorse. Allarmato, scoccò un'occhiata penetrante al figlio e gli fece cenno di continuare.

"Deve saperlo. Non è un segreto che posso mantenere, per il mio e per il suo bene".  

Prese fiato e gli raccontò in breve quello che era successo. Impersonale, come se narrasse di cose che non lo riguardavano − che importava della reazione di suo padre, in fondo, se tutti quei ricordi rischiavano di non significare più niente? − ripercorse le ultime settimane, le conversazioni piene di sottintesi, le spirali di polvere nell'aria ferma della biblioteca, le sfumature liquide degli occhi di Joseph alla luce del falò e la sua voce spezzata sotto il chiaro di Luna. Si sforzò di trasformarle in immagini prive di sentimento.

Chiese perdono alla sacralità di quei ricordi mentre lo sguardo di suo padre si riempiva di stupore, e rabbia, e commiserazione, mentre le orecchie rapaci del vecchio disossavano le trame fatate della realtà e ne assimilavano il midollo freddo, colonne di dati e cifre e previsioni e come hai potuto.

Come hai potuto, dita fredde sul bavero della giacca e l'impatto violento contro una libreria, come hai potuto, narici frementi e occhi iniettati di sangue e grida inarticolate e rabbia che era motivata solo in parte, rabbia fomentata dall'incomprensione. La accolse senza ribellarsi, incassò l'impatto di un pugno sullo zigomo che gli fece male in un modo del tutto allucinatorio − percezioni marginali, dolore che non riusciva a intaccare lo strato più superficiale della sua anima − si lasciò sballottare come una marionetta.

Hai messo tutto a repentaglio, gli arrivò, come attraverso le acque profonde di una palude.

"Non volevo. Non riuscivo e non riesco e non riuscirò a rendermi conto di quello che ho fatto".

«Se lo racconterà a qualcuno moriremo entrambi, lo capisci questo?!».

«Sì». Non aveva mai pensato a suo padre come ad un uomo violento, non lo pensò nemmeno quando fu scaraventato a terra e urtò una pila di libri con la spalla sinistra.

«In che rapporti sei con questo Joseph Redthorn? Ti fidi di lui?». Ansimando, un pugno stretto attorno alla falda semistrappata della sua giacca, la testa china su di lui in uno scintillio corale di occhi e zanne snudate, Thomas Redthorn sembrava l'orco di una fiaba antica «Dimmi che non sei impazzito del tutto, Lienhard».

«Mi fido di lui». Inghiottì un bolo di sangue e saliva «Non mi denuncerà, ne sono assolutamente certo». Non era del tutto vero, ma suo padre aveva bisogno di quella bugia come lui aveva bisogno di alzarsi e respirare un po' d'aria fresca.

«Gli hai parlato di me, per caso?».

«No. Non sa niente di te o dell'organizzazione».

Glissò sul fatto che Joseph aveva visto Kaïre e conosceva il loro legame di parentela, pur non sapendo quali e quante attività illecite gestisse l'albino. Suo padre avrebbe potuto ucciderlo per una cosa del genere.

Thomas deglutì con quello che sembrava sollievo, lasciando la presa sulla giacca del figlio.

«Immagino che domani sarà presente anche lui».

Quella frase attraversò Lienhard come una freccia, conficcandosi nel punto più nascosto e doloroso della sua anima. Si diede dello sciocco mille volte per non averci pensato prima: pur facendo parte del ramo cadetto di una famiglia enorme, sicuramente anche Joseph sarebbe stato invitato alla festa di presentazione della cugina.

"Domani potrebbe essere la resa dei conti".

«Che cosa...» si asciugò un rivolo di bava rosata dall'angolo della bocca e si tirò in piedi, cercando di ridefinire i margini di un rapporto padre-figlio che il pugno aveva momentaneamente spazzato via «... che cosa vuoi che faccia, papà?».

In quel momento Thomas Heisenhover non era più suo padre, non era nemmeno un amico. Era il generale di un'armata pronta a sopraffare il nemico, e lui rappresentava l'ufficiale pusillanime che aveva rischiato di mandare a monte un intero piano peccando di negligenza. Il Ministro non era mai tenero, con quelli che rovinavano i suoi progetti.

«Non lo so». Uno bagliore di rabbia fredda negli occhi del padre lo avvertì di stare attento, nei minuti successivi, alla scelta delle parole «Se questo Joseph è sentimentalmente coinvolto, cosa in cui a malincuore mi tocca sperare,» contrasse il viso in una smorfia di puro disgusto «allora siamo sicuri che non ci tradirà. Potrebbe addirittura rivelarsi una pedina utile, visto il suo incarico».

Ed eccola, la faina, pronta a ricavare vantaggio da tutto e da tutti a spregio dei sentimenti. La prospettiva di coinvolgere Joseph nei piani di suo padre travolse Lienhard come un'ondata di nausea, ma non ebbe il coraggio di obiettare: aveva dato inizio lui a quella valanga, stava a lui arginarne le conseguenze. A mente fredda, quando suo padre si fosse calmato, avrebbero potuto discutere seriamente della cosa.

«Che aiuto potrebbe darti? Non è coinvolto nel reparto anti-contrabbando, non−»

«Stiamo avendo alcune... fughe di dati, ultimamente». L'espressione di Thomas si appianò in una maschera di rabbia serafica, spietata «Beatrisa Zajitzeva ha giustiziato una talpa, e la speranza è che non ce ne siano delle altre. Joseph Redthorn non sarà un ufficiale di grado alto, ma il suo cognome apre molte porte in certi ambienti». Sogghignò, come se con quella frase la spiegazione apparisse perfettamente esauriente.

«Non sperare che cerchi di convincerlo, non domani».

«Non l'ho mai sperato, sarebbe prematuro. Prima dobbiamo aspettare che la situazione si stabilizzi, e mi auguro che tu sia abbastanza intelligente per capire da solo cosa fare. Da parte mia farò in modo di non perdere d'occhio quel soldato». Lienhard annuì, mentre suo padre afferrava il cappotto e l'infilava frettolosamente.

«Sai che non l'ho fatto per danneggiarti». Tentò, accorgendosi che le mani gli tremavano «È stato più forte di me».

"È stata la mia natura di omega", avrebbe voluto aggiungere, ma si vergognò soltanto per averlo pensato. Non poteva cercare giustificazioni tanto meschine davanti a qualcuno che lo aveva sempre amato per quello che era.

«In alcuni frangenti anche gli uomini più svegli si comportano da imbecilli». Thomas aprì la porta e sostò un attimo sulla soglia, guardando suo figlio con rabbia e rammarico «Mi dispiace, Lienhard. Non posso perdonare quello che hai fatto, anche se vorrei con tutto me stesso».

«Perdonami». Abbassò lo sguardo, le guance in fiamme.

«Dovrai guadagnarti il perdono. Domani fatti trovare pronto per le otto e mezza».

Lienhard rimase solo, con la sensazione di avere una vita in frantumi da ricomporre e nessuna idea su come farlo.


◦○◦


La porta dell'ufficio di Garett Mitchell appariva, per qualche strano motivo, più spoglia e severa del solito. Joseph la contemplò in silenzio per una decina di secondi, poi deglutì.

Il corridoio era vuoto, bianco e freddo e orribilmente monotono. La calma impersonalità della centrale faceva a pugni con la confusione rabbiosa che gli corrodeva il cervello, lo destabilizzava; se quell'edificio − e la gente che lo abitava, più precisamente − avesse avuto un'aria anche solo vagamente accogliente, amichevole, di casa, Joseph non avrebbe avuto dubbi nella scelta.

Così, invece, era tutto più difficile.

In campagna, con il viso di Lienhard negli occhi e la sua voce nelle orecchie, per un momento i dubbi avevano smesso di torturarlo e Joseph si era detto che no, non avrebbe mai potuto denunciarlo alle autorità cittadine. Tornato a casa, però, con giorni interi a sbiadire quei ricordi e il lavorio incessante di una routine che l'aveva inghiottito subito, l'alfa aveva riconsiderato la situazione più e più volte; il rischio che qualcun altro scoprisse tutto e lo accusasse di complicità lo terrorizzava: sarebbe scoppiato uno scandalo, la famiglia l'avrebbe ripudiato.

Se suo padre avesse saputo che cosa stava facendo l'avrebbe ammazzato con le proprie mani.

Lienhard era un criminale. Criminale.

Per quante volte se lo ripetesse quelle parole continuavano a suonargli false e vere allo stesso tempo. La testa gli scoppiava.

Lienhard era inaffidabile, gli aveva mentito. Probabilmente lo aveva preso in giro su tutto − un bugiardo così abile aveva forse problemi nel fingere sentimenti? − e stava solo cercando di tenerselo buono per evitare complicazioni. Eppure, eppure...

"Non riesco a crederci davvero. Io ho visto qualcosa nei suoi occhi".

Si rendeva conto di comportarsi come una ragazzina irresponsabile, ma i processi razionali della sua mente sembravano decisi a non funzionare mai più. Gli sarebbe bastato bussare e raccontare tutto al colonnello Mitchell per risolvere il problema, fare il suo dovere di cittadino e recare un servizio notevole al casato − gli odiati Heisenhover avrebbero ricevuto un colpo da cui era impossibile riprendersi − ma tutto questo aveva un prezzo. Lienhard.

Gli sarebbe bastato rinunciare alla pretesa egoistica di quell'amore assurdo, sbagliato, eppure non poteva. Non voleva.

Stava per voltare i tacchi e andarsene, quando la porta dell'ufficio si spalancò e Garett Mitchell in persona fece per uscire. Si bloccò, sorpreso, lo sguardo scintillante sotto le sopracciglia folte, ed esclamò: «Maggiore Redthorn, che sorpresa! È qui per una questione urgente?».

Joseph si sentì soffocare. Eccola lì, la speranza di redenzione che gli si offriva spontaneamente, e lui non doveva far altro che accettare.

«Io...» raddrizzò inconsciamente la schiena, come faceva sempre davanti ai superiori «... no, nulla».

Stava facendo la figura dell'idiota. Ciondolare davanti alla porta di un superiore senza alcuno scopo non era un comportamento ammissibile per un militare di grado, e Mitchell aggrottò le sopracciglia.

«La custodia di quel Lienhard Heisenhover l'ha forse trasformato in un originale, maggiore? Torni al suo posto, questa caserma ospita lavativi a sufficienza... non c'è bisogno che anche gli ufficiali comincino a bighellonare in giro. Con la confusione che ci sarà tra un po' di giorni, poi...»

«Cosa intende dire, signore?».

«Eh,» Mitchell strizzò un occhio con aria complice e diede una pacca sulla schiena a Joseph «pare che finalmente la nostra centrale verrà coinvolta in qualcosa di utile. Tutte lo saranno, a dire il vero».

«Si prepara un'azione corale? Dev'esserci in ballo qualcosa di grosso». Mitchell doveva essere davvero di ottimo umore per comportarsi con tutta quella confidenza, e Joseph decise di cogliere la palla al balzo.

«Al momento si tratta solo di indiscrezioni, ma pare che entro la fine del mese intercetteremo un grosso carico di progesterone proveniente dalle nazioni oltremondo e destinato al traffico illegale qui, a Fegith. Prenderemo all'amo un pesce grosso, un trafficante di spicco». Il sorriso di Garett Mitchell contagiò anche Joseph, che seppellì il senso di colpa in un angolo e si lasciò invadere dal sollievo per quella bella notizia.

«Ho una telefonata importante da fare, Redthorn. Intende bloccare il corridoio tutto il giorno?».

«Signore». Joseph si produsse in un cenno di saluto sbrigativo e si affrettò ad abbandonare il corridoio, covando vergogna e senso di colpa. Non aveva denunciato il professore, ma avrebbe avuto presto occasione di riscattarsi con un'azione ben più importante.

Sperò almeno che Lienhard valesse tanto da giustificare tutte quelle bugie.


◦○◦


Suo padre fu puntuale.

L'accolse nella vettura con un'occhiata fredda, seduto con compostezza su un sedile che sembrava fatto di autentica pelle bovina − una rarità preziosa fino allo sperpero − mentre l'autista ruotava dolcemente la limousine lunga quasi nove metri, acquistata per l'occasione, e abbandonava il campus dell'Universitas.

«Cos'è quel coso?». Thomas indirizzò un'occhiata dubbiosa al vestito di Lienhard e aggiustò con noncuranza le falde di un completo di sinto-seta dal taglio classico e, apparentemente, molto costoso.

«La moda è una forma di bruttezza così insopportabile che si è costretti a cambiarla ogni sei mesi». Lienhard snocciolò la citazione senza aspettarsi che suo padre la capisse e puntò lo sguardo fuori dai finestrini oscurati, le luci di Fegith che scorrevano sotto i suoi occhi come un tappeto di stelle fisse «Non sei contento che per una volta abbia smesso i miei − cito testualmente − orribili completi da uomo delle caverne?».

Thomas accennò una risata.

«A volte è difficile scegliere il male minore, Leny».

«Fottiti».

Il vestito di Lienhard, in pieno accordo con la moda corrente, era una tuta attillata di ultra-neoprene color argento vivo (le tinte metallizzate erano tornate in auge quell'anno) su cui scivolava una tunica di seta semitrasparente, fatta di innumerevoli veli sovrapposti che riflettevano la luce come gocce d'acqua. Il cappuccio della tunica si portava tirato su, a coprire i capelli sciolti, e le maniche lunghissime strusciavano a terra come i paraventi dei sacerdoti che decoravano le ultime chiese cristiane del satellite. L'unico ornamento era una cintura d'oro bianco, che si intrecciava intorno alla vita come se fosse fatta di rami vivi e foglie intrappolate nell'immobilità del metallo.

«Ricordo mode meno femminee». Rincarò la dose, Thomas, mentre trafficava con il suo O-Screen di ultima generazione «A proposito, tua madre stasera non verrà».

«Come mai?».

«Non ne aveva voglia. Non ama le occasioni mondane, lo sai. Come mai ti sei tolto gli occhiali?».

Lienhard si stropicciò gli occhi, sperando che le nanomacchine correggi-miopia ad effetto temporaneo facessero il loro lavoro fino alla fine della serata.

«C'entravano poco con l'ultraneoprene. E comunque l'anno scorso mi sarebbe andata peggio... era tornata di moda la pelle nera, giusto?».

«E le piastre metalliche. Fegith sembrava piena di cavalieri medioevali».

Il viaggio non durò che un quarto d'ora, al termine del quale la vettura accostò con dolcezza accanto alla residenza dei Redthorn. Lienhard si prese un po' di tempo per ammirarla silenziosamente, attonito.

La chiamavano Babilonia, e a ragione.

L'autista sostò davanti agli imponenti campi di forza che proteggevano la residenza cittadina dei Redthorn come un guscio iridescente. Il palazzo che si scorgeva dietro gli schermi, deformato leggermente dalle onde elettromagnetiche cromatizzate (si voleva evitare che qualche non-autorizzato sfiorasse quelle barriere letali per sbaglio) somigliava ad una piramide di cristallo nero dagli spigoli acutissimi, che si proiettava verso il cielo in un susseguirsi di gradoni e pareti vetrate.

Ciascun gradone ospitava file e file di serre protette da cupole sottili come tele di ragno, un'esplosione di piante aliene che spandevano profumi soffocanti nell'aria calda della sera; solo le piante autoctone di Nenya venivano lasciate crescere senza alcuna protezione, e debordavano dai cornicioni in cascate di verdi rampicanti. L'effetto complessivo era un'esplosione di vita e ricchezza strabiliante, l'opulenza grandiosa che i Redthorn amavano ostentare.

Per quella sera, il giardino che circondava la piramide era illuminato da globi luminescenti che danzavano a mezz'aria come fuochi fatui. Lienhard e suo padre attraversarono il campo di forza senza alcun intoppo − riconosciuto il DNA del ministro grazie ad una serie di nanomacchine che gravitavano al suo interno, la barriera si aprì come il lembo di una tenda − e, mossi alcuni passi sul prato perfettamente curato, furono intercettati da un cameriere beta in livrea.

L'abito che indossava era fatto di una materia plastica particolare, lo shape-shifting silicon (spesso abbreviato in 3S) o silicone mutaforma, che aleggiava intorno al suo corpo come una nuvola di sferette connesse da sottili filamenti di gelatina. Le microsfere si spostavano autonomamente, ricombinandosi in forme spettacolari: quando li accolse, il cameriere era avvolto da una pelliccia di leone che rifletteva la luce come argento fuso, le fauci della belva avvolte attorno al capo in un ultimo bacio mortifero. Dopo pochi minuti il 3S riprodusse con realismo incredibile due enormi ali di cigno, che ondeggiavano sulle spalle del beta come se fossero dotate di vita propria.

"Ne hanno spesi, di soldi".

«Lord Fabian vi attende». Cinguettò, i grandi occhi verdi truccati di bianco e argento. Non sembrava nemmeno un essere umano, piuttosto un'apparizione fugace emersa dai raggi di luna.

«Il Gerarca è ancora malato? Porgetegli i nostri ossequi». Thomas chinò il capo con affettazione, mentre il cameriere li conduceva attraverso il giardino; qui e là, su piedistalli di pietra chiara e opaca, statue a tema mitologico scolpite nella magnetite ornavano il giardino. Lienhard riconobbe Jormungandr, il serpente che in miti antichissimi circondava la Vecchia Terra con il suo intero corpo, e la figura aggraziata di Leda, la donna che si fece sedurre da un Dio mutato in cigno. Si fermò, incuriosito, davanti ad una statua più elaborata delle altre: raffigurava un uomo nell'atto di cadere da quella che sembrava una grande altezza, con due enormi ali posticce assicurate alla schiena da un'imbracatura di corde. Interi ciuffi di piume si erano staccati e fluttuavano nell'aria, scolpiti con tanta abilità da essere semitrasparenti, sottili come capelli, e il volto dell'uomo appariva deformato dall'orrore in una maschera bestiale.

«Chi è?». Chiese al cameriere «Non conosco questo mito».

Il beta fece spallucce, un'ombra di imbarazzo negli occhi limpidi: «Non lo so, signore. Quello che posso dirle è che queste statue sono state commissionate da Lord Fabian Redthorn in occasione della festa, e sono ispirate a numerose leggende di origine antichissima. Lord Fabian ama particolarmente il folklore della Vecchia Terra, e nella sua biblioteca privata conserva molti volumi di storie dell'antica Gea».

Fabian, alfa di trentacinque anni già inserito nella politica di Fegith e magnate nel commercio dell'oppio, era una delle creature più tronfie e arroganti che Lienhard avesse mai avuto occasione di incontrare − da lontano e per poche volte, fortunatamente. L'idea di porgere i suoi ossequi ad un simile pallone gonfiato − colpevole, tra l'altro, di possedere una biblioteca privata che gli faceva gola − gli torse lo stomaco in uno spasmo doloroso. Mise su il sorriso di repertorio più convincente che possedeva e iniziò ad inerpicarsi sulla scalinata d'ingresso, una monumentale scultura di quarzo fumé illuminata da migliaia di lampade fluttuanti.

Prima di entrare nell'atrio della piramide lanciò una breve occhiata alle sue spalle, scoprendosi a frugare tra la folla con una certa ansia.

"Dove sei, Joseph?".















_______________________ _ _ _

Dov'eri, Greedfan? E perché ti dai alla macchia invece di aggiornare?

Scusate, ragazzi, scusate davvero. Negli ultimi mesi me ne sono successe di tutti i colori (cose estremamente positive e altre negative) e la mia vita si è riempita a tal punto che per un po' non ho avuto tempo di scrivere e, soprattutto, non ho saputo trovare la motivazione necessaria.
Adesso diciamo che ho scoperto una nuova vena d'ispirazione e che sono pronta a chiudere questa storia (siamo già oltre la metà, non manca poi così tanto alla fine).

Mi auguro che l'assenza prolungata non abbia spento i vostri animi, fatemi sapere se l'evolversi della vicenda vi piace e lasciatemi qualche commentino :3

Alla prossima,

GreedFan


   
 
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