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Autore: SusanTheGentle    21/08/2014    15 recensioni
Lui fece una mezza risata, ma senza allegria.
«Buffo pensare a me come a una persona normale»
«Ma tu sei una persona normale, Ben»

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Nell'inverno 2013, Claire Riccardi si trasferisce negli Stati Uniti d'America, più precisamente nello Utah, nella città di Ogden, decisa a dare una svolta alla sua vita. E proprio quello stesso inverno, in quella stessa città, Ben Barnes si sta preparando a girare il suo prossimo film. Il destino, o semplicemente il caso, fa sì che i due si conoscano. Ed è in questo scenario che i loro mondi si scontrano. Entrambi con una dolorosa storia sentimentale alle spalle, si trovano, si comprendono. Le loro vite così diverse si intrecciano e, inevitabilmente, l'amicizia lascia spazio a un sentimento più profondo.
Ma possono due persone tanto dissimili vivere una relazione in totale libertà? Possono, se le cicatrici bruciano ancora e hanno tanta paura di amare di nuovo?
La storia può sembrare sempre la stessa: la cameriera e l'attore. Forse, all'inizio può sembrare così, ma questa è una storia di sentimenti, di vita e d'amore. Soprattutto d'amore.
E' la storia di Ben e Claire.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''A Place For Us''
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Two Worlds Collide

 
Buon compleanno Ben!
 



 
1. Un imprevisto
 
 
Poi decidi di cambiare vita, e succede questo...
 
 
Da qualche minuto, Claire stava fissando i grossi fiocchi di neve attraverso i grandi finestroni dell’aeroporto.
L’America, finalmente.
La terra delle opportunità, la chiamavano. Ed era un’opportunità che Claire cercava, o più d’una, per poter cambiare, per lasciarsi alle spalle tutto e ricominciare da capo. Una grande avventura che avrebbe determinato il sì o il no per quella che sapeva essere l’ultima occasione che la vita le dava. Per diventare una nuova Claire.
Per rinascere.
Sarebbe stato un enorme cambiamento trasferirsi dall’Italia all’America, ma era quello che voleva e aveva sempre desiderato.
Da sempre, i cambiamenti la intimorivano un poco, ma la vita era fatta così, e da quando era morto suo padre nessun mutamento l’aveva più spaventata.
Comunque, un po’ di paura - tanta a dire il vero - era legittima, no?
Sua madre e le sue due sorelle non erano state troppo d’accordo su quel trasferimento, nonostante sapessero che non sarebbe stata sola in quel grande paese. Claire avrebbe abitato con sua cugina Lorena – detta Lory – suo marito Joseph e Maddy, la loro bambina.
Lory si era trasferita negli Stati Uniti dopo il matrimonio, avvenuto tre anni prima e, insieme a Joseph (originario dello stato dello Utah), gestiva una caffetteria ad Ogden,  l’All the Perks, locale che non riuscivano più a gestire soltanto in due ora che era nata Maddy. Serviva almeno una terza persona. E quando Lory aveva chiesto a Claire se voleva essere quella terza persona, lei aveva accettato, per uno e più motivi.
Il trasferimento non sarebbe stato definito, almeno per ora. Sua madre – molto restia a lasciarla andare – le aveva dato quattro mesi di tempo; quattro mesi per decidere se vivere negli Stai Uniti era davvero quello che voleva. Tra quattro mesi, Claire avrebbe scoperto se l’America era davvero la terra delle opportunità.
Confidava di sì.
Prima di tutto, però, pensò, dovrei arrivare a destinazione
Quello che la preoccupava di più, adesso, non erano né i cambiamenti né quello che sarebbe successo di lì a sedici settimane, ma dire a Lory di essere nel momento giusto…nel posto sbagliato!
Claire spostò lo sguardo sul display del suo cellulare e aprì la rubrica, incerta sul da farsi. Se sua cugina avesse saputo che cosa le era capitato, le sarebbe venuta una paralisi! Lory tendeva spesso ad essere melodrammatica.
Sospirò.
In America c’era arrivata, solo che l’aereo che avrebbe dovuto portarla a Ogden era stato costretto a fare uno scalo d’emergenza a Salt Lake City, causa maltempo. Non c’erano mezzi pubblici a disposizione per poter raggiungere altre città, eccetto forse un paio di treni.
Ansia. Ansia. Ansia.
No, stai calma, si disse. Non sei da sola, c’è una marea di gente attorno a te, sei in un aeroporto, e a meno che non arrivi un pazzo con una bomba, cosa può succederti?
No, era vero, non era sola...però era sola! Insomma, non conosceva mezza persona.
Quando Claire era agitata, iniziava spesso a fare ragionamenti contorti…
Li stava facendo…brutto segno…
Seduta sulle proprie valigie, fece vagare di nuovo lo sguardo per l’aeroporto cercando di pensare a cosa era meglio fare, per poi soffermarsi sul grande tabellone elettronico dove partenze e arrivi cambiavano e venivano cancellati a causa della bufera.
Infine, si decise e chiamò Lory.
Come c’era d’aspettarsi, a sua cugina venne quasi una crisi isterica nel sapere cosa era successo: dello scalo improvvisato, della tempesta di neve, di lei da sola in aeroporto.
Claire allontanò il telefono dall’orecchio, e quando Lory smise di urlare lo riavvicinò. Non sapeva bene se ridere o no. Quando poi la cugina le passò suo marito, capì che doveva ridere.
«Posso venire a prenderti, se vuoi» propose Joseph, il quale era sì preoccupato, ma non ai livelli di sua moglie.
«Sì, sì, vai a prenderla» Claire udì Lory dire in sottofondo, e le scappò un sorriso.
«Non credo sia una buona idea, Joseph» rispose la ragazza. «Avevo pensato di prendere un treno, piuttosto. Non credo proprio che la bufera migliori, e se ci fossero blocchi stradali e ti ritrovassi fermo in strada?».
Joseph rifletté prima di rispondere. «A Lory verrebbe un colpo».
«Appunto. Quindi no, resta lì. Io in qualche modo arrivo».
«Sei sicura?».
«Sì, sicura, Jo. State tranquilli».
«E se ci fosse anche un blocco ferroviario?» chiese Joseph, allarmandola senza volerlo.
«Spero di non essere così sfortunata!».
Senza indugiare ancora, Claire si alzò dal suo bagaglio, afferrando i suoi due trolley e mettendosi in spalla una terza borsa. Si diresse verso l’uscita dell’aeroporto, rimanendo in linea con Joseph, il quale le diede le indicazioni giuste per raggiungere la più vicina stazione ferroviaria: distava circa dieci minuti a piedi.
Il vento le sferzò il viso costringendola a tirar su la sciarpa fino al naso. Faceva un freddo cane.
Riattaccò il telefono solo dopo aver promesso a Lory di richiamarla quanto prima, rassicurandola almeno tre volte ancora.
Una volta in stazione, Claire si recò svelta alla biglietteria, scoprendo di essere arrivata appena in tempo: il treno che andava a Ogden era l’ultimo in partenza per quel giorno. Tutti gli altri convogli avrebbero atteso che il tempo si rimettesse al buono prima di rimettersi in funzione.
Corse come una matta per raggiungere il binario, e vi arrivò che il treno stava già fischiando. Vi salì al volo, andando a sbattere contro un paio di persone.
«Mi scusi…Scusate».
Il treno era pieno, faceva fatica a muoversi. Si incastrò, spintonò e venne spinta. Fu una serie di eventi a catena: si sbilanciò quando il treno frenò di botto, e per colpa delle persone - che erano veramente tante- e del peso delle valigie, Claire cadde all’indietro, andando a sbattere contro il ragazzo alle sue spalle, e sarebbe caduta se lui non l’avesse presa al volo per la vita, cingendogliela con le braccia.
«Tutto bene? Ti sei fatta male?».
Claire voltò appena la testa per poterlo vedere in viso, ancora con le braccia di lui attorno al busto.
«No, no, sto bene, grazie. Meno male che mi hai presa» sorrise, rimettendosi dritta.
Quando lui si tolse un momento gli occhiali scuri che indossava, il suo stomaco fece una capriola. Il ragazzo (Claire notò che era bellissimo), le sorrise e lei si sentì calda sulle guance. Aveva un sorriso meraviglioso a dir poco!
«Scusa, ti sono venuta addosso».
«No, niente» sorrise lui, lasciandola andare e rimettendosi gli occhiali.
Anche lei sorrise ancora.
Purtroppo non ci fu tempo di dire altro, perché finalmente la calca si diradò e ognuno poté trovare il proprio scompartimento.
Claire seguì la ressa e si accorse che il ragazzo andava nella sua stessa direzione.
«Ventiquattro...» mormorò lei mezza voce.
«Venticinque…» mormorò lui.
«Ventisette» dissero in coro, fermandosi davanti allo scomparto.
Si guardarono e si sorrisero di nuovo.
Lui indietreggiò di un passo. «Prego» disse, aprendo la porta e lasciandola passare.
«Grazie», fece lei, entrando per prima.
Sistemando subito le valigie nelle reticelle sopra i sedili. D’un tratto, il cellulare del ragazzo si mise a suonare. Lui lo prese dalla tasca del giaccone e rispose.
«Tyler, sto arrivando… No, è successo un casino. Ora sono in treno. Sì, in treno. Che altro potevo fare, scusa?».
Il ragazzo voltò le spalle a Claire, che nel frattempo stava frugando nella borsa per estrarre a sua volta il cellulare. Invece di chiamare Lory, preferì mandarle un messaggio: non le sembrava bello telefonare accavallando la sua conversazione con quella del ragazzo. Si voltò verso il finestrino, fingendo di non ascoltare una parola di quello che diceva lui. Il ragazzo aveva un tono nervoso, forse seccato dal fatto che il suo interlocutore non capisse un accidenti.
«Ma hai ascoltato quello che ti ho detto? C’è una bufera di neve, porca… Senti, iniziamo domani, no? Bene, per domani sarò lì». Il ragazzo riattaccò e prese posto con uno sbuffo spazientito. Appoggiò il viso a una mano, voltandosi a guardare fuori.
Era uno di fronte all’altra, seduti accanto al finestrino. Il treno si muoveva pianissimo, si fermava e riprendeva a muoversi. I due ragazzi si aspettavano di veder comparire qualche altro passeggero da un momento all’altro. Le persone passavano di fronte al loro scomparto, ma le famiglie non volevano dividersi e i gruppi di amici nemmeno. A quel punto, fu chiaro che avrebbero viaggiato da soli.
Nel frattempo, Claire lanciava occhiate al display del telefono, attendendo la risposta di Lory.
«Scusami?», la chiamò lui.
Lei alzò gli occhi dal cellulare.
«Scusa se ti interrompo».
«No, non fa niente».
«Sai per caso quanto tempo dovrebbe impiegare il treno per raggiungere Ogden?».
Claire rifletté un momento. «Più o meno un’ora e mezza, credo. Anche se con questo tempo, ho paura che ci metterà di più».
«Già…» fece lui, osservando ancora fuori. «Avanza come una lumaca».
Claire si scoprì a fissarlo e fissarlo ancora, per almeno un minuto buono.
Lui era di nuovo voltato verso il finestrino.
L’aveva già visto da qualche parte? Ovvio che no, come faceva ad averlo già visto se l’aveva appena incontrato?
Notò che non si era ancora tolto né sciarpa né cappello, tantomeno gli occhiali scuri. In novembre…
E’ un attore famoso in incognito (incognito?), pensò d’impulso.
O un cantante.
Poi, sul suo viso si disegnò un’espressione da ebete…
E’ Ben Barnes!
Sì, e tu sei la deficiente che pensa che con tutti i posti che ci sono, Ben Barnes è proprio seduto sul sedile davanti a te…
Quasi rise di sé tessa, scosse un poco il capo, mentre pensava che era assurdo immaginarsi una cosa del genere. Però, adesso che le era venuto il dubbio, aveva voglia di scoprirlo.
Il suo telefono suonò in quel momento. Claire distolse la sa attenzione dal ragazzo e lo puntò sul display. Vide il nome di Lory e con un sorriso rispose.
«Ciao, Lory».
«Claire! Ho ricevuto il messaggio. Allora, sei già sul treno?».
«Sì, è partito da poco. Ho fatto appena in tempo».
«Mamma mia, com’ero preoccupata!».
Il ragazzo, si voltò a guardarla mentre parlava. Non stava parlando inglese. Era un scricciolo di ragazza, con lunghi capelli castani, occhi scuri e un sorriso molto grazioso.
Lei non si era accorta dell’espressione che si era dipinta sul volto di lui quando aveva sentito la suoneria del suo telefono: la musica era quelle delle Cronache di Narnia.
«A casa sono preoccupati?» le chiese, quando riattaccò.
«Sì. Mia cugina è preoccupata. E’ da lei che sto andando».
«Non sei americana».
Lei scosse il capo. «Italiana».
«Parli bene l’inglese».
«Grazie».
«E’ la prima volta negli Stati Uniti?».
«La seconda. Una volta sono venuta qui in vacanza, da mia cugina appunto. Adesso sono qui per restare. Almeno spero».
Lui corrugò le sopracciglia. «Viaggi da sola?».
«Sì. Sono abbastanza grande per viaggiare da sola» sorrise, intuendo che lui doveva aver avuto la stessa impressione che di solito la gente aveva di lei: sembrava molto più piccola della sua età.
«E tu? Sei americano?».
«No, inglese. Sono qui per lavoro».
«Anch’io».
Lui la osservò attentamente. Quanti anni poteva avere? Diciotto?
Lei allungò una mano. «Se dobbiamo viaggiare insieme, forse dovremmo presentarci».
Lui le porse la propria, sfoderando un altro bellissimo sorriso.
Lei la strinse subito. Era grande confronto alla sua, ed estremamente calda.
«Io sono Claire».
«Ben».
Lei sbatté le palpebre un paio di volte.
No, dai…è una gag…
Più lo guardava, più sentiva la sua voce, più si convinceva che era lui! E quando diceva lui, intendeva un solo lui!!!
Lory, se ho ragione, quanto te lo dirò morirai sul serio di paralisi.
Ma non ebbe il coraggio di chiederglielo, anche se moriva dalla voglia di farlo. La curiosità di sapere e la certezza di non sbagliare, si acuirono man mano che parlavano. Lui era molto cauto con le parole.
«Senti…» fece lei dopo un pò. «Probabilmente, ora mi prederai per una pazza, ma…non è che per caso…».
Il ragazzo la fissò. «Cosa?».
«Sei Ben Barnes?».
L’aveva detto!!!
L’aveva detto, e ora se ne vergognava a morte.
Non poteva averlo fatto d’avvero…
Oh, chissenefrega! Ormai è andata e a limite non è lui e ti ride in faccia. Poco male, non si muore per questo.
Ma se era veramente lui e le avesse riso ugualmente in faccia…allora si che sarebbe morta. No, probabilmente sarebbe schiattata ancora prima che cominciasse a ridere: giù per terra, bella dritta come uno stoccafisso.
Forse sembrava già uno stoccafisso.
«Potresti toglierti gli occhiali scuri, per favore?», gli chiese poi, nervosa.
Lui sorrise e abbassò il capo un momento. Poi, alzò una mano e si fece scivolare gli occhiali sul naso.
La reazione di lei fu inaspettata.
Non gridò, non scoppiò a piangere, non si mise a saltare sul sedile. Allargò invece i grandi occhi scuri e liberò un sorriso di pura felicità.
Claire non seppe cosa dire, cosa fare, poté solo sorridere.
Prima cosa da annotare nel suo diario mentale: atterrare negli aeroporti sbagliati poteva riservarti sorprese sopra ogni immaginazione.
«Mi hai scoperto» rise lui, ripiegando gli occhiali e togliendosi il cappello. «Da un lato sono felice, cominciavo ad avere caldo così conciato».
«E’ fantastico» mormorò lei. «Non posso crederci».
Lui, Ben, allungò di nuovo una mano verso di lei. «Ci ripresentiamo?».
Lei guardò quella mano e non esitò un secondo, riappropriandosene subito. «Oh, fa un po’ tu. Io sono sempre Claire».
Lui rise.
Il suo sorriso era la cosa più bella del mondo.
 

 
 
 
Volevo iniziare a postare questa fanfic nel giorno del 33esimo compleanno del mio dorato Ben, e ancora un pò e mi riduco all'ultimo....quando vuoi fare una cosa, ne arrivano mille altre che te lo impediscono, ci ho proprio fatto caso...
Comunque...l’ho fatto!!! Auguri, amore mio!!!
Erano mesi e mesi che continuavo a rimandare la pubblicazione di questa storia, non so nemmeno io il motivo. O forse lo so: avevo una paura matta perché è una trama molto introspettiva, perché è il tipo di storia in cui non mi sono mai cimentata prima e non so se sono brava…Non ho mai scritto una fanfiction ambientata ai giorni nostri, prima d’ora, mi sono sempre dedicata al fantasy. E inoltre, non aveva un inizio!!! Vi giuro, sono un caso perso: ho scritto un sacco di pezzi su Ben e Claire, ma non c'era un introduzione. T____T Personalmente, non sono molto soddisfatta di questo primo capitolo, per questo ci terrei a sapere cosa ne pensate voi.
Per ogni domanda, mi trovate qui, alla mia pagina facebook.
Un bacio e…alla prossima!
 
Susan<3

 
   
 
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