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Autore: Elwing Lamath    21/08/2014    4 recensioni
La guerra è stata vinta. La nuova Albion è sorta. Arthur è sopravvissuto alla battaglia di Camlann. Merlin lo ha salvato e gli ha rivelato la sua magia.
A Camelot è tempo di ricostruzione, ma niente sembra più essere come prima. La guerra ha lasciato ferite ben più profonde di quelle della carne, ferite che segnano l’anima.
L’ennesimo tradimento, il più duro per Arthur. Il fuoco della rabbia e della vendetta brucia nel cuore del re. È convinto che Merlin nascondendogli la magia lo abbia tradito ed ingannato.
DAL TESTO: “Ti avevo lasciato una scelta. Tornando, hai sigillato il tuo fato, stregone.”
“Il mio nome è Merlin.” Disse ricacciando indietro un singhiozzo. Non avrebbe pianto.
“Quel nome non significa più niente per me. Tu non sei altro che un traditore, stregone.” Sibilò il re, facendo attenzione a soffermarsi sull’ultima parola.
[Seconda classificata al Contest “Ci rivedremo a Filippi” indetto da Chloe R Pendragon sul Forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gaius, Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione, Nel futuro
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Questa storia partecipa al Contest “Ci rivedremo a Filippi” indetto da Chloe R Pendragon sul Forum di EFP (Tema della vendetta)


Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issuing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

Nome autore sul forum:  Elwing_L
Nome autore su EFP:  Elwing Lamath
Titolo:  I giorni del rogo
Fandom:  Merlin
Genere:  Fantasy, Drammatico, Angst
Personaggi:  Merlin, Arthur, Gwen, Gaius
Coppia (se presente):  Slash (MerlinxArthur)
Pacchetto utilizzato:  Fuoco

 

La citazione contenuta nel pacchetto Fuoco era:

“È tanto più facile ricambiare l'offesa che il beneficio; perché la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto. “

(Publio Cornelio Tacito, Historiae, 100 d.C. circa)

 

ATTENZIONE: Finale alternativo della serie e post finale alternativo!

 

NOTE DELL’ AUTRICE: Buonsalve a tutti! Sono di nuovo in pole position alla tastiera del mio computer: altro contest, altra one shot! XD… Non ci posso fare niente, sono diventata scrittura-dipendente!

Questa storia si basa su un What-if grosso come una casa. Quello sul quale abbiamo fantasticato tutti immagino (e pianto! T.T), ovvero: se Merlin fosse riuscito a salvare Arthur dopo la battaglia di Camlann. Nella mia one shot Arthur è sopravvissuto e la magia è rivelata.

Attenzione! Arthur potrebbe risultare un po’ OOC, soprattutto nella prima parte. Ma questa è una scelta voluta, in relazione al tema del contest (la vendetta), ed al fatto che sono una brutta persona (abbastanza sadica pure) e a volte mi piace torturare i personaggi… Andando avanti nella spiegazione rischierei di spoilerare parte della storia, per cui taccio…

Spero vivamente che dopo aver letto (o anche solo essere arrivati a metà di) questa storia non iniziate a nutrire un desiderio di morte nei miei confronti XD… Ho straparlato anche troppo, è meglio che vi lasci alla lettura.

Come al solito, mi farebbe felice ricevere vostre recensioni. Quelle che avete lasciato per le altre storie sono state più che gradite!

Un bacio,

Elwing…

  

I giorni del rogo

 

La guerra fu vinta, Morgana e i Sassoni sconfitti. Il re visse per miracolo. Ma la guerra lasciò ferite ben più profonde di quelle della carne. Ferite dell’animo così profonde che anche se si fossero rimarginate, avrebbero lasciato inevitabilmente un segno, per sempre. Tutti soffrirono a Camelot, ma quando l’inverno dell’odio si trasformò in gloriosa estate grazie al sole della nuova Albion, gli animi respirarono una boccata di aria pura e furono riscaldati dal tepore della pace.

Due sanguinarono più di tutti, ma le loro ferite a guerra conclusa non smisero di lacerarsi ancora, e ancora. Ironia volle che fossero proprio coloro che più avrebbero dovuto gioire, perché grazie a loro le sorti del regno furono decise e il popolo di Camelot condotto alla vittoria. Il re, che combatté come un leone fino a rimanere mortalmente ferito sulla spada del traditore, ed il mago, che ribaltò le sorti della battaglia, e che rischiando la propria vita e la propria magia, riportò il suo signore indietro da una morte certa.

Nella caverna dei cristalli, Arthur riemerse alla luce dopo aver assaggiato l’oblio della morte, e Merlin non poté far altro che confessargli il suo più grande segreto: la magia. Il giovane stregone si sentì morire in quel momento, quando incrociò lo sguardo del suo re ed amico: duro, tagliente, tanto distante da sembrare in un’altra dimensione. Quelle iridi azzurre che lo scrutavano più fredde del ghiaccio, come se fosse un estraneo, anzi, come se fosse una creatura ripugnante.

“Vattene. Lasciami solo.” Queste furono le sue parole, dritte al cuore come un dardo avvelenato. Merlin si rifiutò, le lacrime che stavano per sgorgare dagli occhi ed andare a rigargli le guance. Quando Arthur cercò di mettersi faticosamente in piedi, Merlin accorse in suo aiuto:

“Non toccarmi.” Gli intimò il re.

“Arthur, sono vostro servitore e vostro amico, lasciate che vi aiuti.”

“Tu non sei più niente per me, stregone.” Gli sputò addosso velenoso. “Io ora me ne tornerò a Camelot, da solo. Tu fai come ti pare, vattene via, lontano da queste terre, o torna indietro. Ma sappi che se tornerai a Camelot, dovrai pagare le conseguenze del tuo tradimento.” Senza più degnarlo di uno sguardo, se ne andò.

Merlin cadde in ginocchio, sconfitto dell’ineluttabilità del giudizio che aveva letto negli occhi della persona da lui più amata. Aveva temuto quel momento e quello sguardo dallo stesso istante in cui aveva legato la propria vita a quella di Arthur. Tuttavia non pianse, ma raccolse le sue quattr’ossa e lasciò la caverna dei suoi padri, alla volta di quella che ormai reputava la sua patria.

Nessuno lo accolse come un eroe di guerra, nessuna festa o squillo di tromba in suo saluto. Solo l’abbraccio incerto dei pochi amici superstiti, il sorriso di Gwen, e il conforto di Gaius. Si rimise subito al lavoro, aiutando il medico di corte con la marea di feriti che l’ultima battaglia si era lasciata alle spalle. Passarono tre giorni, in cui Merlin del re non vide nemmeno l’ombra.

“Cosa ti succede, figliolo?” Iniziò Gaius mentre applicava un bendaggio, scrutando di sottecchi il suo protetto, più silenzioso che mai.

“L’inverno è finito, mio caro Gaius.” Sospirò, lo sguardo fisso sul suo lavoro.

“Ma non è questo a turbarti, non è vero?”

“La guerra può aver spianato la sua fronte corrugata, ma altrettanto non ha fatto il re. Vede traditori ovunque.” La sua voce cadde per un momento, e riemerse spezzata. “Persino tra gli amici più devoti.”

“Devi capirlo, ragazzo mio. È stato tradito prima dalla sorella, poi dallo zio. Persino sua moglie ha ordito contro di lui, anche se vittima di un sortilegio. Il tradimento di uno dei suoi cavalieri più amati lo ha portato quasi alla morte.”

“Sì, ma sono stato io a riportarlo indietro!” Alzò lo sguardo, fissandolo in quello del suo vecchio precettore. “Ed ora lui mi vede come un nemico. Pensa che lo abbia tradito ed usato per i miei scopi. Non si fida più, non riesce a guardarmi in faccia, non mi cerca e non mi vuole al suo fianco. È solo questione di tempo prima che me la faccia pagare.”

“Arthur non è uomo da cercare vendetta. Il suo cuore è buono e puro. Come potrebbe cercare vendetta contro una delle persone che ha più care al mondo?”

“Non sono più sicuro dell’uomo che ho riportato. Avresti dovuto vederlo, nella caverna. Non dimenticherò mai il modo in cui mi ha guardato.”

“La guerra indurisce gli animi, Merlin. Crea corazze e scudi là dove prima non ce n’era bisogno. Dagli tempo.”

“Spero solo tu abbia ragione, Gaius.” Concluse Merlin deglutendo e sforzandosi di ricacciare indietro ancora una volta le lacrime che già sentiva bruciargli gli occhi.

 

* * * * * 


“Ti ha salvato la vita! E non solo questa volta!” Era una delle pochissime occasioni in cui Gwen aveva alzato la voce rivolgendosi ad Arthur. Ma era necessario più che mai, suo marito non ragionava. Da quando aveva fatto ritorno era fuori di sé, e la regina aveva perfettamente compreso la motivazione.

“Mi ha mentito per tutto questo tempo. Non ha fatto altro che nascondersi a me. Chissà cosa ha fatto in tutti questi anni a nostra insaputa. Non è la persona che credevo di conoscere.” Disse il re camminando nervosamente su e giù per gli appartamenti reali.

“E’ lo stesso che è rimasto al tuo fianco sempre, non ti ha mai lasciato, nemmeno una volta.”

“Chissà per quali scopi! Non possiamo saperlo.”

“E’ di Merlin che stai parlando! Dovresti essergli grato!”

“Grato? Mi ha tradito! Lui mi ha tradito!” Gridò Arthur, sbattendo i pugni sul pesante tavolo di legno, facendo sobbalzare Gwen. I suoi occhi color cielo, cerchiati da occhiaie livide, sembravano consumati da un fuoco tremendamente freddo, che fece quasi paura alla giovane donna.

“Magari si stava solo nascondendo per paura. Arthur, non buttare via tutto.” La regina si avvicinò al marito, poggiandogli delicatamente una mano sul braccio, per calmarlo. “Ascoltami, io so cosa lui significhi per te. So quanto lo ami, forse anche meglio di te stesso. Non è solo tuo amico, o tuo fratello. Il vostro è un amore che forse io non posso comprendere, ma che vedo benissimo. Lo ami molto più di quanto hai mai amato me.”

Lui si scostò con un movimento secco, fissandola truce: “Che cosa stai dicendo?”

“Piantiamola con questa farsa!” Fu Guinevere a gridare ora. Poi con voce più calma e ferma, continuò: “Non mi sto piangendo addosso, e nemmeno ti sto accusando, Arthur. Io sono la tua regina, ma voi siete compagni di vita. Ed io sono grata di questo, perché stimo e voglio bene ad entrambi voi, e so che siete profondamente giusti l’uno per l’altro, lo siete sempre stati. Lo so io, scommetto che lo sa Merlin, dovresti solamente accorgertene anche tu e mettere da parte questi rancori.”

“Forse un tempo lo eravamo, Gwen. Ma ora tutto è diverso.” Lo sguardo di Arthur rimase piantato a terra.

“Cosa è diverso? La guerra ha lasciato molte ferite in tutti noi, ma possiamo ancora ricostruire il futuro di Camelot, tutti insieme.”

“No, non insieme.” Disse ancora senza alzare gli occhi.

“Perché no?”

“Il suo tradimento è qualcosa che non posso perdonare! Deve pagare!” Ora fissò intensamente la ragazza, ed il gelido distacco che vide in quelle iridi color cielo, la fece tremare per la prima volta.

“Pagare per la sua natura? Da quando sei diventato un uomo assetato di vendetta, Arthur Pendragon?”

“Non lo so, Guinevere, forse da quando tutti intorno a me hanno iniziato a cospirare alle mie spalle, uno dopo l’altro?”

“Non Merlin.” Cercò di dire più dolcemente, anche se la voce le tremava.

“Merlin più di tutti! Lui che è sempre stato accanto a me, suo è il tradimento più grande.” Altre urla, cariche di un furore così terribile chemai Gwenavrebbe pensato di leggere nel suo sposo.

“Parli così solo perché sei accecato dalla rabbia.”

“Sono arrabbiato, sì, ma cieco no. Ho aperto gli occhi finalmente, e per vedere cosa? Che la persona della quale mi sono sempre fidato di più, mi ha mentito dal giorno in cui ci siamo conosciuti!”

“Allora cosa vorresti fare?”

“Restituirgli il dolore che mi ha dato.” Disse con voce ferma, dura tanto da tagliare l’aria.

“Non ti riconosco.”

“Fai bene, perché sono un uomo diverso dal sempliciotto che fu incoronato re pochi anni orsono. E quest’uomo non ammette bugiardi e traditori nel suo regno.”

 

* * * * * 


Per la prima volta in vita sua, Gwen corse via da Arthur, sbattendosi alle spalle la porta degli appartamenti del marito con le lacrime agli occhi, meravigliandosi di come fosse riuscita a trattenerle fino a quel momento. Corse giù per le scale, rischiando di inciampare più volte nelle gonne del suo pregiato abito rosso, sfrecciando per i corridoi, incurante delle occhiate interdette di chi incontrava. Spalancò la soglia degli alloggi di Gaius, ormai scarmigliata e con l’acconciatura sfatta. Merlin era solo nella stanza, intento a preparare un composto di erbe curative.

“Merlin!” Esclamò la donna col fiatone e le guance rigate dalle lacrime.

“Gwen! Cosa c’è?” si allarmò il mago.

“Merlin, ti prego, mi devi dare ascolto. Camelot non è più un posto sicuro per te, te ne devi andare, subito!”

“Cosa stai dicendo? Io non vado da nessuna parte.”

“No, mi devi stare a sentire! Devi andare via, almeno per un po’. Arthur è convinto che tu lo abbia tradito, e non ho idea di cosa sarà capace di fare. Merlin, ho paura. Per te, per lui. Ti giuro che non l’ho mai visto così. È fuori di sé.”

Quando parlò, la voce di Merlin era estremamente calma, e tanto triste da far vacillare Gwen: “So di averlo ferito. Ma ho sempre fatto tutto per proteggere lui ed il regno. Rifarei tutto da capo.”

“Invece lui parla solo di restituirti il dolore che gli hai causato. Arthur parla di vendetta! Lo capisci questo, Merlin?”

“Sono sempre rimasto al suo fianco, non lo abbandonerò ora. Non scapperò via. Se devo affrontare l’ira del re, molto bene, sia.”

“Merlin!” La voce della regina era ridotta ad una supplica.

Lui la guardò intensamente con quell’oceano blu di tristezza che erano diventati i suoi occhi. “Non chiedermi di fuggire. Sono sempre andato incontro al mio Destino, sapendo che Arthur era quel destino. Perciò se il mio epilogo dovrà essere scritto dalla sua mano, lo accetterò. Ma non voglio nascondermi, non più.”

Poi le si accostò e le prese delicatamente le mani tra le sue, la dolcezza che nonostante tutto vide nel suo sguardo la disarmò: “Ora, ti prego, non piangere mia signora.”

Erano cresciuti ormai, e i loro sogni si erano realizzati. Allora perché rimaneva tutta quell’amarezza sulle labbra e quel peso ad opprimere il cuore di tutti loro?

 

* * * * * 


Leon e Parsifal lo scortarono in silenzio, cercando di incrociare il suo sguardo il meno possibile, e lanciandosi tra loro occhiate a metà tra il triste e il preoccupato. Lo condussero fino alla sala del consiglio ristretto e serrarono il pesante portone alle sue spalle, lasciandolo definitivamente solo col re. Il cuore martellava così forte nel petto di Merlin, che era convinto che anche Arthur, seduto all’altro capo della sala, potesse sentirlo. Tuttavia tenne gli occhi bassi, rimanendo fermo in piedi esattamente dove lo avevano lasciato i due cavalieri. Anche senza vederlo, sentiva lo sguardo del re su di sé, l’aveva sempre sentito. Ma se prima lo percepiva quasi come una carezza nascosta, ora quello sguardo era una sferzata gelida che aveva la forza di ghiacciargli il sangue e mozzargli il respiro. Stava vivendo l’incubo che aveva sognato per anni e che in un angolo della sua mente aveva sperato non si realizzasse mai. Dopo un lasso di tempo che a Merlin parve interminabile, il re si decise a parlare con voce dapprima assolutamente atona:

“Ti avevo lasciato una scelta. Tornando, hai sigillato il tuo fato, stregone.”

“Il mio nome è Merlin.” Disse ricacciando indietro un singhiozzo. Non avrebbe pianto.

“Quel nome non significa più niente per me. Tu non sei altro che un traditore, stregone.” Sibilò il re, facendo attenzione a soffermarsi sull’ultima parola.

“Non vi ho mai tradito. Tutto quello che ho sempre fatto, dal primo giorno in cui ho messo piede su queste terre, è stato per aiutarvi e servirvi. Con lealtà e devozione.”

“Come osi parlarmi di lealtà e devozione?” Urlò Arthur alzandosi di scatto dalla sedia e divorando con ampie falcate la lunghezza della sala che lo separava dal suo ex servitore. “Tu, che non hai fatto che mentirmi per tutti questi anni! Io mi sono fidato di te, ho ascoltato i tuoi consigli, ti ho sempre creduto mio amico. Mentre tu ti sei nascosto, come il più viscido dei codardi. Chissà quali trame hai ordito nell’ombra!” gli si fermò ad un passo di distanza.

Lo sguardo di Merlin si era finalmente levato su quello del re: “Non ho mai voluto farvi del male, in nessun modo.” Disse piano.

“Chi lo sa quante volte mi hai usato per i tuoi scopi? Quante volte mi hai incantato e manipolato con i tuoi poteri? Quanto hai riso alle mie spalle, nell’ombra del mio castello?” gli sputò addosso ogni parola come se fosse veleno, come se fosse schifato anche solo a parlargli.

“Queste sono bugie!” Merlin urlò, i pugni serrati lungo i fianchi, la mascella contratta, e gli occhi lucidi, determinati a non far cadere nemmeno una goccia di pianto. “Uso la mia magia solo per servirvi e proteggervi. Sono nato per questo compito, ed essa è nata con me. Vive per voi dal momento in cui vi ho incontrato. È quasi morta per salvarvi, ed io stesso ho rischiato la mia vita per salvare la vostra, e lo rifarei altre cento volte se fosse necessario.”

“Risparmiati le recite. Mi hai salvato per potermi rendere tuo burattino!”

“Vi ho salvato perché anche solo l’idea di perdervi è impensabile. Vi ho salvato perché vi amo con tutta l’anima.” Le parole fluirono libere e disperate dalle sue labbra, molto prima che Merlin si rendesse conto di aver formulato quel pensiero. Ammutolì, portandosi istintivamente una mano alla bocca.

Per un attimo la sala precipitò nel silenzio. Entrambi avevano addirittura smesso di respirare. I loro occhi si incontrarono, e tremarono. Ma fu uno scontro di azzurri, uno sprofondato in una pozza di tristezza profonda come il mare, l’altro scosso da un temporale tanto scuro da far dimenticare l’esistenza del sole.

La voce di Merlin uscì in un sussurro: “Arthur, ascoltami…”

“Non osare mai più pronunciare il mio nome!” Fuoco vi era sul volto del re, e ghiaccio nei suoi occhi. “Come traditore e stregone dovresti bruciare sul rogo. Ma io ne ho basta di spargimenti di sangue, inoltre non voglio che nemmeno le tue ceneri si posino più sul mio regno.” Disse trapassandolo con lo sguardo, feroce.

Merlin lo ascoltava in silenzio, tramortito dalla durezza delle sue parole, ormai incapace di reagire in alcun modo.

Il re continuò: “Quindi tu te ne andrai. Lascerai Camelot e le nostre vite, senza mai più fare ritorno. Ma prima, mi aiuterai a far in modo che qui non rimanga neanche la più piccola traccia della tua esistenza ad insultare la mia vista. E lo farai usando la magia, proprio perché me l’hai nascosta per tutto questo tempo. Ora la renderai visibile a tutti… Se pensi di rifiutarti, ti ricordo che anche io possiedo una lama forgiata dal respiro di un drago, in grado di ucciderti. L’hai detto tu, prima di trafiggere Morgana, ricordi?”

“Pensate che la morte mi faccia paura? Ho perso voi, cosa mi resta da temere ormai?”

“Altri ne pagherebbero le conseguenze.” Disse il re con uno sguardo tanto duro da spaventare il mago.

“Non siete voi a parlare. Non fareste mai del male a degli innocenti.”

“La guerra ci cambia tutti. O forse rivela semplicemente la nostra natura, non è così, stregone?”

 

* * * * *  


Una grande pira fu preparata al centro del cortile principale del castello, ed un palo di legno le fu piazzato poco distante. Lo spazio tutt’attorno era gremito di gente quando Merlin fu portato fuori, tenuto per le braccia da Parsifal  e Leon, le mani legate. Arthur aveva ordinato che fosse vestito con gli stessi abiti che indossava il giorno del suo arrivo a Camelot, e che null’altro gli fosse lasciato addosso. Il re e la regina aspettavano di fianco al palo, in piedi ed in silenzio. Sul volto di lei si leggevano le tracce del pianto, quello di lui era una maschera bianca.

Su espresso ordine del re, sfilarono tra la folla, trasportati da servitori del palazzo, tutti gli averi di Merlin. Man mano che erano portati fuori da castello, venivano ammassati sulla pira di legno. Il mago vide passare sotto i suoi occhi, i suoi libri, compreso quello di incantesimi, tutti gli indumenti, la sua buffa divisa da valletto, la sua sella, il materasso con le coperte e i cuscini, perfino. Gli oggetti che vennero dopo, se possibile, fecero ancora più male. Gli sfilarono davanti la sacca dei medicamenti regalatagli da Gaius, la daga che Arthur gli aveva donato, la piuma d’oca e il calamaio che lui stesso aveva regalato al suo principe. Ma fu quando vide un piccolo drago intagliato nel legno fare capolino da una cesta, che Merlin non riuscì più a trattenersi: scattò in avanti come una furia, sfuggendo alla presa dei due cavalieri, colti alla sprovvista.

Afferrò la statuetta sotto lo sguardo attonito di tutti:

“No! Questa no! Non potete bruciarla! Lasciatemela!” gridò, voltandosi verso i sovrani. Disperazione trapelava dalla sua voce.

Gwen sussultò, mordendosi un labbro nel tentativo di non cedere nuovamente alle lacrime. Invece il volto di Arthur non si increspò minimamente. Si avvicinò a Merlin, prendendogli il draghetto dalle mani, studiandolo e soppesandolo con scarso interesse.

“E questo cosa sarebbe, stregone? Uno dei tuoi feticci per fare sortilegi alla povera gente?” Altro veleno che si riversò su un cuore già troppo martoriato, ma non incapace per questo di sentire altro dolore.

“E’ l’unico ricordo che ho di mio padre, Sire.” Disse semplicemente il giovane mago. “Vi prego, permettetemi di tenerlo, solamente questo.”

“Ti aspetti che io ti creda ancora? Ho commesso molti sbagli in passato, il primo permettendoti di rimanere al mio servizio per tanto tempo. Non intendo commetterne altri.”

Dicendo questo, lo sguardo gelido fisso su quello di Merlin, spezzò a metà il collo del drago di legno, separandone la testa dal resto del corpo. Gettò entrambi i pezzi sulla pira, senza più degnare il suo vecchio servitore di una parola.

Merlin sarebbe crollato a terra, se i due cavalieri non fossero tornati ad afferrarlo, e a sostenerlo. Lo trascinarono fino al palo di legno e lo legarono ad esso. Gli occhi buoni di Parsifal incontrarono i suoi per un istante, chiedendogli perdono per quell’ordine che sentiva così ingiusto e che era stato costretto ad eseguire.

“Accendi il fuoco con la tua magia, stregone.” Comandò il re. “Così che tutti possano vedere la tua vera natura.”

Merlin chiuse gli occhi. Un lungo sospiro che decretò la fine di un mondo. L’ultimo respiro prima che le vestigia della sua vita fossero cancellate per sempre. Anche il suo cuore, o meglio, i frantumi che ne erano rimasti, sarebbero bruciati su quella pira insieme a tutti i suoi averi. Aprì gli occhi, incendiandoli con l’oro della magia, che si mise a scorrere in lui piangendo. Le fiamme divamparono sul legno, lambendo uno dopo l’altro tutti i suoi effetti. Il fuoco bruciava ora alto, svettando sul cortile, divorando i resti materiali della sua vita a Camelot.

“Questo è il rogo del tradimento e della menzogna.” Proclamò Arthur sovrastando lo scoppiettare delle fiamme. “Sia di monito a tutti voi, perché questi crimini non rimarranno impuniti nel mio regno. L’inganno dello stregone bruci su questa pira insieme alla sua robaccia. Svanisca da Camelot ogni traccia della sua presenza, che sporca i principi sui quali è fondato questo regno. Onore. Lealtà. Coraggio…. Le fiamme del rogo epuratore saranno alimentate dalla sua magia per due giorni e due notti. All’alba del terzo giorno, lo stregone sarà lasciato libero di andarsene da Camelot, per mai più farvi ritorno. Pena la morte.”

Tutto il cortile era piombato in un silenzio tombale. Il decreto del re si infranse sulle pareti e rimbombò, sigillando il fato di colui che era stato il suo migliore amico ed il compagno di una vita.

Il cortile lentamente si svuotò. Solo Merlin, custodito a vista da un paio di guardie, rimase a vigilare sul fuoco che divampava senza accennare a diminuire di intensità. Le tenebre calarono sul primo giorno di veglia del mago, le fiamme ad illuminare costanti la notte nel castello.

Due figure accostate osservavano da una finestra la sagoma del giovane mago.

“Non riesco a stare qui a guardare mentre gli accade tutto questo, Gaius.” Disse la donna scuotendo la folta chioma castana.

“Non sei tu a doverlo salvare, Gwen.”

“Ma è mio amico!”

“Ascolta questo povero vecchio. Ormai l’unico a poter salvare Merlin dal re, è Arthur. Anche se inizio a temere sia davvero troppo tardi.”

Qualcun altro rimase tutta la notte alla finestra a divorare quelle fiamme con gli occhi azzurri cerchiati di scuro. Qualcuno che non riusciva a trovare pace in quella vendetta che sentiva tanto giusta e tanto sbagliata insieme.

 

* * * * * 


Il sole sorse sul terzo giorno ad illuminare il volto di Merlin, ma lui quasi non se ne accorse, consumato com’era da quel fuoco che aveva bruciato per due giorni interi tutto quanto era rimasto della sua vita. Lui stesso avrebbe preferito essere una spoglia carbonizzata, piuttosto che dover soffrire ancora quell’inutile martirio.

Su ordine del re, fu slegato dal palo, riuscendo a rimanere in piedi per miracolo. Dopo due giorni di veglia senza cibo né acqua, fu lasciato libero di andare sulle proprie gambe. Senza che a nessuno fosse concesso rivolgergli più la parola o donargli alcun genere di sostentamento. Come un’ombra sfilò tra le strade tanto amate, fino ad uscire dalle mura, girandosi appena a rimirare il castello un ultima volta, sotto l’arco di severa pietra grigia. Una sola, singola lacrima scese a rigargli una guancia. L’unica che ancora riuscì a versare, dopo che il fuoco di quel rogo aveva consumato tutto ciò che gli rimaneva nel cuore.

Celato tra i merli, Arthur seguì la figura del suo antico servitore fino a che non diventò un punto indistinto in lontananza. Una voragine allora sorse a divorargli definitivamente lo stomaco. Serrò i pugni e la mascella, e per la prima volta in vita sua, scappò. Fuggì da quella vista insopportabile, da tutto e da tutti, ma soprattutto da sé stesso. Si rifugiò nelle sue stanze, barricandosi su.

Nessuno, neanche la regina o i suoi cavalieri osarono oltrepassare quella soglia. Si udirono tonfi e il frastuono di cocci e vetri che andavano in frantumi. Gwen dai suoi alloggi riuscì ad udire le urla del re. Gridava nella sua solitudine per tutta la rabbia che provava verso sé stesso e verso Merlin, per l’amarezza, per la disperazione. Poi il silenzio.

Ne riemerse giorni dopo: gli occhi infossati e gonfi di pianto, le labbra screpolate e le nocche ricoperte di tagli. La regina, Gaius o i cavalieri non ebbero il cuore per commentare quella vista. Arthur, il re drago, era diventato in pochi giorni il fantasma di sé stesso, divorato da un fuoco che aveva appiccato con le sue mani.

Il re finalmente parlò a Gaius, che lo aveva convinto a lasciarsi medicare le ferite alle nocche:

“Lui ti manca tanto, non è vero?” la sua voce suonò quasi irriconoscibile, un roco gracchiare privo della sua tipica fermezza.

“Manca a molti, Sire.” Rispose il medico senza guardarlo negli occhi.

“Pensi che quello che gli ho fatto sia sbagliato?” Non era una vera domanda.

È tanto più facile ricambiare l'offesa che il beneficio; perché la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto.” Disse Gaius.

Arhur lo fissò interdetto.

“E’ Tacito, nelle Historiae. Dovreste ricordarlo dai vostri studi giovanili.”

“Allora dimmi Gaius, quale profitto ne avrei ricavato? Perché io, nonostante tutto, non riesco a vederlo.”

“Infatti, mio signore.” Rispose alzando un sopracciglio bianco.

Arthur credette di sentire il rumore di qualcosa che cadeva e si spezzava nella sua cassa toracica. La rabbia che lo aveva dominato per giorni stava scemando, anestetizzata dal dolore fisico che si era inflitto da solo, per lasciare spazio ad una terribile amarezza. Non aggiunse più nulla, ma sgranò i suoi grandi occhi azzurri e lo vide, netto e accusatore: il senso di colpa. Non poteva crollare però, non più, non per Merlin. Era stato tradito, ed era stato anche troppo misericordioso nei suoi confronti; qualsiasi altro sovrano lo avrebbe fatto decapitare.

Nei giorni che seguirono, Arthur si impose di comportarsi come il sovrano che tutti si aspettavano da lui. Aveva solo compiuto il suo dovere.

Allora cos’era quel dolore tanto acuto che provava ogni volta che incrociava lo sguardo di Gaius o di Guinevere? Perché rimaneva senza fiato ogni volta che sentiva qualcuno entrare nella sua stanza? Ed era delusione quella morsa che gli afferrava lo stomaco quando realizzava che quel qualcuno non era Merlin?

 

* * * * * 

 

Merlin correva a perdifiato tra gli alberi, zoppicando sulla gamba sinistra. Un taglio sanguinante sulla coscia, un altro sulla spalla, la casacca ridotta a uno straccio intriso di polvere e sangue. Urla sguaiate di uomini. Merlin si voltò indietro, ormai braccato. Incespicò su una radice e rovinò a terra, i suoi inseguitori gli furono subito addosso. Briganti della peggior risma, convinti che il ragazzo stesse nascondendo qualche oggetto di valore e determinati a derubarlo, a qualunque costo.

Iniziarono a prenderlo a calci sul busto, sulla schiena e sul viso: il giovane mago era una figura inerme raggomitolata a terra. Inspiegabilmente, si ostinava a non usare i suoi poteri, lasciandosi sopraffare da quei bruti. Lo immobilizzarono, lo perquisirono, e quando finalmente appurarono che non possedeva nulla che valesse la pena di essere rubato, uno di loro snudò un pugnale dalla cintura, affondandolo nella pancia di Merlin senza pensarci due volte. Lo abbandonarono lì, il corpo inerte e il volto tumefatto esposto alla luce lunare. Dalle sue labbra tagliate e sanguinanti uscì un flebile sussurro: “Arth…”

Arthur si svegliò di soprassalto, balzando a sedere. Si portò una mano tra i capelli madidi di sudore e studiò incredulo l’immobile calma della sua stanza da letto. Era stato esattamente come a Camlann. Non si trattava semplicemente di un sogno, qualcosa era accaduto davvero, ne era certo.

Saltò giù dal letto, afferrò solamente camicia e stivali, e corse a prendere il cavallo così com’era. Sfrecciò fuori dalle mura di Camelot in piena notte, incurante di tutto e tutti. Senza conoscere il perché, sapeva esattamente dove andare, ma questo gli bastava. La vita di Merlin era in pericolo.

Quando lo trovò, credette di morire in quel momento, su quel cavallo, in quel dannatissimo bosco. Merlin era a terra, immobile, tra il sangue e la polvere. Si sentì responsabile di quello scempio.

Prima che potesse razionalizzarlo, si era fiondato giù dal cavallo, correndo verso il corpo dell’amico. Gli si inginocchiò accanto, ed esaminò la ferita all’addome. Aveva perso molto sangue e non dava nessun segno di vita. Che fosse ormai troppo tardi?

“Mio Dio, che cosa ti ho fatto?” la voce del re tremava incontrollabilmente.

Arthur allungò le braccia, accorgendosi che anche quelle stavano tremando, e sollevò il capo e le spalle di Merlin, portandoselo in grembo. Lo abbracciò e lo strinse a sé, concedendosi di piangere tutte le lacrime che ancora aveva in corpo, consumando anche la sua stessa anima in quelle gocce di pianto.

“Mi dispiace. Mi dispiace per tutto.” Gli sussurrava tra i singhiozzi. “Non sarebbe dovuta finire così.” Lo cullava, dondolandosi sulle ginocchia, tramortito dal dolore e schiacciato dalla concretezza di quella perdita.

Gli depose un bacio sulla fronte e poi sollevò il volto al cielo. Urlò con quanto fiato aveva in corpo, fino a sentire male ai polmoni, fino a rimanere assordato dalla sua stessa disperazione.

“Ar…” un sospiro impercettibile. Tanto lieve che il re pensò di esserselo immaginato. Ed invece, il mago mosse di nuovo le labbra piano, con una grandissima fatica.

“Arth…” c’era ancora vita in lui.

“Merlin! Sono io. Sono qui.” Singhiozzò Arthur stringendolo di nuovo con più vigore.

Al suono di quella voce, il ragazzo aprì appena gli occhi, scrutando quelli gonfi di pianto che lo sovrastavano.

“Arthur, voi…”

“Zitto, non ti devi affaticare. Sono qui Merlin.” Arthur gli sorrise, le guance rigate dalle lacrime che continuavano a scendere, ora per la gioia.

“Cosa ci fate…” sussurrò a fatica il mago.

“Sono stato uno stupido. Accecato dal mio orgoglio e dalla mia rabbia. Come ho potuto cercare vendetta su di te? Avrei dovuto esserti grato. Tu mi hai salvato, e io… Come ho potuto farti questo?”

“Non siete stato voi…”

“Sì invece. Tutto questo è solo colpa mia. Perdonami Merlin.”

Rivedere il suo sorriso fu la gioia più grande che Arthur Pendragon avesse mai provato in vita sua. Ma poi, il terrore lo avvolse quando Merlin sembrò perdere nuovamente i sensi.

“Resta con me.” Gli sussurrò, scuotendolo. Il mago riaprì gli occhi. “Non lasciarmi di nuovo.”

“Siete voi che mi avete mandato via.” La sua voce flebile fu un balsamo, mentre le sue parole furono un boccone amaro.

“E’ stato il più grande errore della mia vita. Il tuo posto è ancora al mio fianco, come è sempre stato.”

Merlin chiuse di nuovo gli occhi, e una lacrima solitaria andò a rigargli la guancia impolverata.

Arthur si chinò maggiormente, fino a poggiare la sua fronte a quella dell’amico ferito: “Non morire, Merlin. Non ti azzardare a lasciarmi da solo.” Gli sussurrò senza mai staccare lo sguardo da quelle palpebre chiuse. “Perché non hai usato la tua magia? Perché non la usi ora per curarti?”

“Non posso.” Merlin aprì gli occhi, affondando il suo sguardo lucido in quello del re. “E’ troppo debole. Da quando vi ho perso, anche lei ha iniziato a lasciarsi morire.” Gli disse con una semplicità disarmante, che fece sprofondare l’altro sottoterra.

La voce di Arthur uscì strozzata: “La capisco, sai? Senza di te non è stata vita vera. Vorrei poter cancellare tutto. Sono stato un mostro.”

“Shhh…” sospirò Merlin accennando ad un sorriso triste, le fronti ancora a contatto. “Non importa.”

Arthur si scostò, prendendogli il volto tra le mani: “Sì invece! Non ti lascio qui. Forza Merlin, torniamo a casa.”

Si tirò su da terra e alzò di peso il compagno ferito. Questi, con un gemito di dolore si puntellò al corpo del re, quasi non riusciva a stare in piedi. Il corpo esile del mago era privo di forze, ma i suoi occhi blu iniziarono a brillare di una nuova energia liquida.

Prima di incamminarsi verso il cavallo, Merlin si girò a guardare Arthur:

“Insieme?” gli sussurrò il mago.

L’altro sorrise: “Insieme.”

 

 

 

  
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