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Autore: Nemainn    21/08/2014    5 recensioni
Scegliere, decidere di abbandonare o di rimanere...
L'amore tra fratelli, dicono, sia un legame indissolubile.
In un quartiere degradato, nonostante la legge, e non solo, remi contro di loro, due fratelli lottano per non essere separati, invischiandosi in cose più grandi di loro.
Ma tutto ha un prezzo e, a volte, quel prezzo si paga con due colpi.
Genere: Dark, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I malvagi cercano persone con cui passare il loro tempo, ma fuggono sé stessi,
giacché si ricordano delle loro molte cattive azioni,

anzi prevedono che ne commetteranno altre di simili, se rimangono soli con sé stessi,
ma se ne dimenticano se sono in compagnia d’altri.
Non avendo nulla di amabile, non provano alcun sentimento amorevole verso sé stessi.

        Aristotele, Etica Nicomachea, IV sec. a.e.c.

 



 

“Ancora lì a guardare da quella fottuta finestra?” Lucas sobbalzò alla voce del fratello. “Non tornerà. Quella puttana non tornerà mai, fattene una ragione, Lu’.”
“Non chiamarla così.” Sommessa, la voce del ragazzo era poco più di un sussurro. “È pur sempre nostra madre.”
“Sarà la tua, di madre! Io non ci voglio neanche pensare di essere uscito da una così.” Mathias uscì dalla stanza che divideva con l’altro sbattendo la porta. Come faceva Lucas a continuare ad aspettare quella donna? Li aveva lasciati senza una parola più di sei mesi prima, il giorno del suo diciannovesimo compleanno. Lo aveva lasciato solo a tirare avanti la baracca, a pagare i debiti, le bollette. Era solo a destreggiarsi con assistenti sociali e denunce di scomparsa, a custodire un minore, visto che Lucas lo era, e quello stronzo di Bull, l’uomo che frequentava quella donna che li aveva messi al mondo e che, regolarmente, bussava alla loro porta pretendendo soldi.
Sospirò.
Del resto lui aveva almeno ottenuto la tutela legale del fratello, anche se a stento. Era riuscito a non farlo mandare dagli assistenti sociali in una casa famiglia o da qualche altra parte, ma non era una vita facile.
Uscì dall’appartamento sprofondando le mani nelle tasche dei jeans chiari, la camicia a scacchi aperta sopra la semplice maglia bianca.
“Che vita di merda.” Borbottò lanciando un’occhiata distratta alla loro vicina, alle prese con un cliente in strada, che mercanteggiava sul prezzo prima di portarselo in casa. Dirigendosi a passo veloce al locale dove lavorava, dribblò un gruppo di ispanici che cercava di seminare zizzania e un paio di barboni dall’aspetto più morto che vivo. Abituato com’era a quello scenario era incurante di quello che vedeva attorno a sé. Finalmente arrivò a destinazione, un pub di motociclisti che perfino la polizia evitava di visitare. Quella era la zona dei Madders e il locale era più o meno la loro sala giochi, sala d’aspetto, sala conferenze, qualunque cosa. Incluso lo spaccio locale di armi e droga. Ma gli davano una paga decisamente buona per i canoni del posto e nessuno gli faceva troppe domande, così riusciva a pagare la scuola al fratello, l’affitto, il cibo. Nulla di più, ma era certo meglio che vedere Lucas finire in una casa accoglienza. Suo fratello era troppo molle, glielo diceva sempre. Così sensibile, fin troppo intelligente, fragile... Entrò dalla porta sul retro, il viso ancora imbronciato: vedere il fratello che sperava davvero di vedere tornare quella stronza della loro madre lo faceva infuriare.
“Quella tossica di merda.” Borbottò mentre andava in cantina a prendere un paio di barili di birra da portare su, al bancone. “Spero sia morta di overdose in un angolo, o ammazzata. O l’ammazzo io se ci prova a tornare.” La cosa peggiore era la certezza che, se quella stronza fosse tornata a casa, Lucas l’avrebbe accolta a braccia aperte. “Mezza sega.” Borbottò in chiusura di quello sfogo mentre metteva piede nella sala del locale. I tavoli da biliardo erano tutti occupati, la musica alta veniva dalle casse disseminate per il locale e al momento c’erano i Powerwolf con We drink your blood. Attaccò i barili alle spine rispondendo al saluto di alcuni clienti abituali con un mezzo sorriso, per poi cominciare a servire una birra dietro l’altra, shottini e quant'altro. Non aveva ventun anni, ma nessuno lì faceva domande e al padrone del locale non era minimamente importata la sua età quando gli aveva dimostrato di saper fare quel lavoro. Del resto lui e Lu’ avevano passato l’infanzia aspettando buoni in un angolo la madre, dentro quel genere di locali. Ecco da cosa nasceva la sua dimestichezza con l’ambiente.
“Matty!” La voce di Gwen, la cameriera, attirò la sua attenzione da dietro il bancone.
“Che c’è?” Alzò un sopracciglio ammirando distrattamente un paio di seni di tutto rispetto, messi in bella mostra dal top che la donna indossava. Non era più una ragazzina, ma dire che si manteneva bene era un eufemismo.
“Là al tavolo di Maddyn vogliono direttamente la bottiglia di wiskey, passa qua!” Il ragazzo allungò la mano dietro di lui prendendo una bottiglia nuova di Jack, mettendola poi su un vassoio con i bicchieri e porgendolo alla donna, che gli strizzò l’occhio allontanandosi ancheggiando.
“Sai che basta chiedere e te la dà.”
“Non la voglio da lei.” Borbottò il ragazzo con un mezzo sorriso.
“Quanto fai il difficile, se aspetti la verginella innamorata ti trovi ad ammazzarti di seghe in bagno!” Il padrone del locale, Andrew, diede una pacca sulla schiena del ragazzo, uscendo dal retro del bancone e piazzandosi davanti a lui, su uno sgabello. “Dammi una Kilkenny.”
“Non aspetto una verginella, non le voglio di due anni, Andy.” Spillò con cura la rossa, mettendola poi davanti all’uomo, un armadio a quattro ante sulla cinquantina, con un gilet di pelle pieno di stemmi e una pancia di tutto rispetto che tendeva il cotone della maglietta nera dei Metallica. “E poi a te cosa interessa?”
“Mi preoccupo dei miei dipendenti, ragazzo, tutto lì!” La fragorosa risata dell’uomo attirò l’attenzione nonostante il volume della musica nel locale.
“Certo, dimmi che vuoi la tua percentuale su Gwen, sii onesto!” Mathias sorrise appena, tornando a servire alcolici.
Erano le sei del mattino quando uscì dal locale, la faccia stanca e tirata.
Cacciare quelli dei Madders dal pub era sempre un’impresa. Non dovevi insistere o rischiavi di trovarti la canna di una pistola in bocca, sapendo benissimo che non era un problema per loro premere il grilletto.
Alla fine avevano chiuso lasciandoli dentro a dormire, almeno i più ubriachi, mentre Andy borbottava andando a buttarsi sulla branda in ufficio. Non avrebbe mai abbandonato il suo locale con gente dentro. Paradossalmente quelli della gang erano scrupolosamente onesti, i Madders pagavano sempre danni e debiti.
Mentre lui entrava in casa Lucas si svegliava per andare a scuola, i pantaloni grigi del pigiama troppo largo che pendevano su quel corpo ossuto.
“Buongiorno!”
“Un cazzo.”
“Dai Matty, un po’ più di fantasia? Mi rispondi sempre così!” Il ragazzo si fermò, passandosi la mano nei capelli castani, quasi biondi, sorridendo al fratello.
“Anche tu però mi dici sempre buongiorno! Prova con buonanotte, vedrai che cambio risposta!” Lucas si strinse nelle spalle entrando in bagno, i corti capelli corvini spettinati e schiacciati dal cuscino.
Il maggiore andò al frigorifero, come al solito a un passo dalla desertificazione, prendendo del latte e bevendolo direttamente dal cartone. Aveva sonno, era stanco, puzzava di fumo, di alcol e del profumo di Gwen che aveva continuato a stargli addosso tutto il tempo.
Era lei che doveva pagare lui, rifletté con un sorriso, pensando a come gli si era strofinata contro quando era andato al bagno. Non che la donna non fosse bella, o che lui non desiderasse farci un giro, ma era pur sempre una che conosceva da quando aveva dieci anni... era strano.
Insomma, prima lo prendeva in braccio comprandogli il gelato e ora voleva scopare con lui.
Era destabilizzate!
Sorrise, chiuse l’anta dallo smalto sbeccato da cui qualche lacrima rugginosa colava e entrò in bagno, spogliandosi ed entrando nella doccia mente il fratello si lavava i denti. Erano completamente diversi, lui e Lu’.
Stessa madre, padri diversi.
Sentì la porta di casa chiudersi e poi si buttò sul letto, infilandosi con i capelli ancora umidi sotto le lenzuola.
Fu il campanello a svegliarlo.
Si vestì in fretta, guardando dallo spioncino e sospirando si appoggiò per un istante alla porta. L’assistente sociale.
Che diavolo voleva?
Aprì, squadrandola decisamente male: aveva guardato l’orologio e aveva dormito per circa cinque ore quando ne avrebbe dormite volentieri venti.
“Buongiorno, signor Coleman, non risponde da una settimana alle chiamate telefoniche quindi siamo venute a controllare.” Assistente sociale e agente della polizia. Perfetto. Natale, insomma.
“Mi hanno staccato il telefono.” Rispose asciutto guardando la piccola donna afroamericana dall’alto del suo metro e ottanta.
“Non ci invita a entrare?”
“Se devo.” Borbottò scansandosi e lasciando entrare le due donne nel piccolo appartamento malandato.
La poliziotta, una donna bionda probabilmente incrociata con un pitbull, entrò e si chiuse la porta alle spalle rimanendo lì davanti, come di guardia. Magari pensava lui volesse scappare da casa sua, pensò divertito.
L’assistente sociale si sedette sul divano che, circa vent’anni prima era stato un bel pezzo di mobile, con aria seria e compita.
“Sa perché sono qua?”
“Non lo so, signora Treds, ma ho la certezza che me lo dirà, che lo voglia sapere o no.”
“Ha indovinato, Mathias. Ci risulta che lei lavori come barista servendo alcolici e lei non ha ventun anni.”
“Li servo, non li bevo.” Obbiettò con tono combattivo. Che cosa aveva combinato Andy? Doveva mettere che faceva le pulizie, nel contratto. Come avevano saputo che lui invece faceva il barista?
“Questo lo dice lei. Lavora lì e abbiamo già chiuso un occhio in merito perché si è prodigato per trovare un’occupazione per mantenere lei stesso e suo fratello, che sembra frequentare regolarmente e con ottimi risultati la scuola. La psicologa dell’istituto conferma che sembra un ragazzo con un ottimo equilibrio, anche se schivo. Ma data la situazione è comprensibile. Però se vuole continuare ad avere la tutela di suo fratello è meglio che cambi lavoro, sono qua per avvisarla.”
“E come lo trovo un altro lavoro?” Mathias quasi sputò quelle parole in faccia alla donna. “Ma si è guardata attorno venendo qua? Ha visto che posto è? Cosa devo fare, dare il culo in strada? Spacciare? Derubare qualche negozio? È un lavoro onesto, non tocco un goccio e non lo ho mai toccato! Che altro devo fare!?”
“Purtroppo non sono io che decido.” Il viso tondo della donna esprimeva un certo rammarico. “È il giudice che vaglia i fascicoli e ha ritenuto insoddisfacente la sua occupazione.”
Mathias non ce la fece più, sbatté il pugno contro il muro con tutte le sue forze, sentendo il braccio vibrare fino alla spalla, le nocche spelarsi dolorosamente contro l’intonaco e gli occhi inumidirsi.
“Che lavoro andrebbe bene per restare con mio fratello?” L’assistente sociale sospirò appena al tono duro e venato di rabbia disperata del ragazzo, mentre estraeva dal portadocumenti di pelle un piccolo fascicolo.
“Le ho portato qualche proposta, non sono particolarmente remunerative, però. Ma è un modo di iniziare.”
“Se non sono remunerative come mangiamo? Come pago l’affitto e i debiti che mi sono trovato sul groppone?” Ma ora aveva un tono stanco, sconfitto e tanta voglia di piangere. Perfino il pitbull alla porta sembrava quasi dispiaciuto di quello che vedeva.
“Purtroppo questo non è un argomento che posso toccare.” La donna si alzò, arrivava giusto al petto di Mathias, e gli mise una mano sulla spalla, dando le spalle all’agente. Mosse le labbra silenziosamente, formulando una frase
Lavoro di copertura. Quindi gli stava dicendo di continuare al pub senza contratto e di avere un lavoro adeguato ufficiale? La fissò per un istante, poi annuì. E dove trovava le forze per lavorare giorno e notte?
“La ringrazio… più o meno.” Disse amaro, guardando il fascicolo abbandonato sul divano. Non poteva assolutamente dirlo a Lucas. Il fratello avrebbe fatto il diavolo a quattro per aiutarlo e lavorare a sua volta, ma era un piccolo genio quel mollaccione, e lui voleva vederlo laureato, non come lui.
“Bene, so dove è la porta, non si disturbi, e faccia riallacciare il telefono.”
“Appena vinco la lotteria.” Borbottò con una risposta stanca, guardando le due donne chiudersi la porta alle spalle. Andò a tirare il catenaccio e poi si buttò sul divano, guardando snervato e afflitto quel plico di fogli.
Cominciò a sfogliarli, eliminando subito quelli che si sovrapponevano al lavoro al pub.
Rimanevano una decina di offerte in zona, piccoli lavori di consegne, magazzino, un commesso e un paio per un operaio. Tutti pagati malissimo.
Maledì quel giudice che aveva deciso che lui non poteva lavorare in un pub e andò a vestirsi: era ora di andare a fare qualche colloquio.
Si incamminò lungo le strade, il sole della tarda mattinata che in quella giornata di fine autunno brillava con una forza inusuale.
Si era anche vestito bene, o almeno ci aveva provato, ma bene o male gli abiti che recuperava in parrocchia dal cesto delle cose smesse non sempre erano un granché. Uno dopo l’altro girò tutti i posti, erano ormai le cinque di pomeriggio passate quando andò all’ultimo indirizzo: un negozio di pegni che cercava un commesso. Entrò dalla porta e un cicalino acuto e decisamente fastidioso lo accolse.
Dietro al bancone dal ripiano in vetro, quelli che sono delle vetrine, una donna sullo scheletrico andante con una massa di stopposi capelli grigio biondi lo fissò.
“Buongiorno… cercavo il proprietario. Ecco, ho letto che cercate un commesso.”
“Steeeeeeeve!” Fastidiosa come il cicalino sul battente, la voce della donna si levò stridula, allungando a dismisura quella
e. Dal retro emerse un uomo che sembrava uscito da un raduno di Woodstock negli anni ‘60. “Questo viene per il lavoro.”
La chioma un po’ unta dell’uomo era rada ma gli occhi piccoli e affossati erano tremendamente acuti.
“Vuoi fare il commesso nel negozio? Mi serve uno di sostanza, io non ho più l’età e Ether mette in riga giusto uno spaventapasseri.” Mathias  lo fissò per un attimo.
“Vuoi un commesso o un picchiatore? Io non voglio denunce o guai.” Non poteva permetterselo. Qualunque casino sarebbe arrivato agli assistenti sociali e gli avrebbero tolto l’affidamento di Lu’ in via definitiva.
“Voglio uno che sembri capace di farti saltare i denti, che sappia farlo credere. Ma tu non mi sembri il tipo, giovanotto.” No, non lo sembrava. Certo, era alto, spallato, ben piazzato: del resto aveva giocato a pallacanestro per anni nella squadra della scuola ed era uno dei migliori. Ma non avrebbe fatto paura a molta gente. Il suo viso si chiuse.
“Pare di no, grazie lo stesso.”
“Steve, io urlo abbastanza per spaventare chiunque, lui rimane in silenzio e guardano quelle spalle, al momento basta. Qualcuno ci serve e si è presentato giusto lui.” L’uomo fissò i due davanti ai suoi occhi. Scoccò un’occhiata infelice alla donna e tornò a esaminare centimetro per centimetro Mathias.
“Quanti anni hai?”
“Diciannove.” Una flebile speranza aveva illuminato il suo sguardo.
“Sei ancora sporco di latte, ma a quanto pare i vitelli vanno bene in mancanza di tori. Una settimana di prova.” Il giovane sorrise, neppure a Natale era mai stato così felice. Una settimana, ottimo! “Inizi domani, alle dieci qua, puntuale, e ci rimani fino alle sei di sera, anche le sette se c’è da fare. Sono stato chiaro?” Le iridi verdi di Mathias si strinsero. Staccava alle cinque dal pub, essere lì per le dieci voleva dire quattro ore di sonno scarse. Andare via alle sei, sette massimo voleva dire correre al pub. Avrebbe cercato in qualche modo un lavoro part-time o sarebbe morto, ma quella era una settimana di respiro non da poco.
Si misero d’accordo e chiese il numero di telefono del negozio, lo avrebbe dato subito all’assistente sociale. Uscì, dirigendosi verso il Pub, mentre uno sbadiglio gli deformava il viso. Ora che era più tranquillo la stanchezza si faceva sentire, le cose si prospettavano dure ma aveva una settimana per trovare il part-time di cui aveva bisogno per non morire di fatica.
I primi due giorni ce la fece bene, sveglio e arzillo sia al pub che in negozio.
I problemi arrivarono dal terzo in poi.
Non riusciva a trovare il tempo per cercare con serietà un altro lavoro, non dormiva più di quattro, cinque ore, mangiava quando riusciva.
Lucas, ovviamente, lo aveva scoperto. Gli aveva detto di mollare il pub affermando che avrebbe trovato un lavoro per se stesso, ma Mathias glielo aveva vietato, dicendogli che lui non si faceva il culo a quel modo per vederlo lasciare la scuola. Non lui che era un secchione.
Gli aveva parlato per ore, giocandosi il tempo che aveva per dormire, perché quel ragazzetto dinoccolato si mettesse bene in testa di dover studiare e basta.
Alla fine era andato al pub e come ogni sera era sceso in cantina a prendere i fusti di birra. Era al quinto giorno di quel tour de force e si concesse di sedersi solo cinque minuti su una cassetta, appoggiando la schiena al muro.
Quello che sembrava il secondo successivo una mano lo scuoteva e Andy, davanti a lui con sguardo feroce, lo stava svegliando.
“Razza di rincoglionito, non ti pago per dormire!” Mathias sbarrò gli occhi, fissando stranito per un attimo l’uomo. “Pensa che mi ero pure preoccupato! Ora vattene! Non voglio più vederti qua!”
“Andy, no, mi serve il lavoro!”
“Allora impara a non dormirci, al lavoro!” L’uomo si alzò, il viso spietato e la voce rabbiosa. “Ora fuori!”
“Andy…” Il ragazzo si alzò, guardando l’uomo con gli occhi colmi di una muta supplica.
“Ho detto fuori!” Mathias deglutì. Non era da lui piangere e non lo avrebbe fatto, ma sentiva un pizzicorio traditore agli occhi e abbassò il capo, andandosene.
Non erano neanche le tre di mattina, si buttò sul letto, vestito così com’era e, nonostante la preoccupazione e l’angoscia si addormentò di colpo, sopraffatto dallo sfinimento. Lo svegliò il movimento del letto e la sveglia del fratello. Dormivano assieme nel matrimoniale che era stato della madre, si erano trasferiti in quella stanza poco dopo che era scomparsa. Prima dormivano sul divano letto nella piccola sala, scomodo e con un materasso talmente sottile da essere inesistente.
“Che ci fai già a casa, Matty?” La voce assonnata del fratello era curiosa.
“Sono tornato prima, c’era poco lavoro e me ne sono andato.” Mentì sperando che l’altro non decidesse di fare troppe domande, era furbo e il più vecchio dei due pregava perché gli concedesse il tempo di elaborare una scusa decente.
“Sei vestito.”
“Tu pure.”
“Io ho su il pigiama, Matty. Tu i jeans, la camicia e i calzini. E odi i calzini.”
“Dannazione a te, lasciami dormire, Lu’!” Disse con voce soffocata dal cuscino, muovendo i piedi in modo da sfilarsi le calze. Al nominarle, in effetti, avevano cominciato a infastidirlo. Diede le spalle al minore, cocciutamente: non voleva parlargli, gli serviva pensare. Aveva bisogno di un altro lavoro, gli servivano soldi, gli serviva tempo e, sopratutto, gli serviva tenere le mani degli assistenti sociali lontano da Lucas.
Il ragazzo scese dal letto, sbuffando all’indirizzo della nuca chiara dell’altro e, in poco tempo, uscì per andare a scuola.
Purtroppo il sonno di Mathias era evaporato, la preoccupazione ormai lo teneva ben desto.
Si rigirò tra le coperte, poi con una sonora imprecazione si alzò e guardandosi attorno sospirò: la casa sembrava un campo di battaglia. Si strinse nelle spalle, non aveva la testa per mettersi a fare le faccende in quel momento. Si stava dannando l’anima per capire come far quadrare i conti. Si infilò sotto la doccia, sbattendo la testa contro le mattonelle sbeccate, cercando una risposta che non c’era.
Si infilò l’accappatoio, guadagnando poi la cucina e fissando con aria avvilita le bollette e la lettere del padrone di casa che giustamente voleva il suo affitto. Il problema non erano le spese presenti ma quelle passate mai saldate dalla madre.
“Se solo quella schifosa puttana avesse pagato ogni tanto l’affitto invece di farsi!” Ringhiò al nulla, l’immagine della donna riversa su quello stesso tavolo in mente. La pipetta lunga e stretta con il braciere pieno delle ceneri bianche della sigaretta, la cocaina, l’ammoniaca… la donna con tutti i muscoli tesi e che aveva uno sguardo angosciato. Ormai i tempi in cui il crack le faceva vedere cose piacevoli era finito da un pezzo, ormai era all’ultimo stadio, i deliri sempre più simili a incubi erano ormai i compagni della madre. Sembrava affetta da schizofrenia paranoide, ma era tutto legato a quella maledetta pipetta e a quello che ci fumava.
Ricordava come le iridi cercassero invisibili minacce, le labbra sottili e tese, la carne sempre più scavata.
Le aveva detto di non farsi più in casa, glielo aveva proibito. Non voleva che Lucas la vedesse stare sempre peggio. Nonostante quel divieto, quell’ultima volta prima che la donna sparisse, l’aveva vista seduta a quel tavolo con lo sguardo spiritato, mormorando con voce spaventata qualcosa di incomprensibile. Si ricordava benissimo l’ira che aveva provato, il desiderio di sbattere tutta quella roba nella pattumiera, l’istinto omicida.
Poi la porta di casa si era aperta, il fratello era entrato e lui era uscito di corsa, portandoselo via, lontano da lì, dove non avrebbe visto niente di tutto quello. Voleva proteggerlo più che poteva: Lucas era fragile, attaccato nonostante tutto alla madre e non avrebbe mai retto di vederla delirare. Le sfuriate iraconde in cui accusava i figli di averle nascosto la roba, le paranoie che la assalivano, le mani che colpivano. Aveva sempre tenuto Lucas lontano da tutto quello. Dalla madre e da Bull. Ma a volte, anche per lui, era stato impossibile nascondere tutto. Quando il minore lo vedeva coperto di lividi, o quando aveva a sua volta sopportato le sfuriate dei due adulti sulla pelle o, peggio ancora, quando Lu’ aveva visto la madre farsi di crack con i conseguenti picchi paranoidi.
Ma tutto quello era passato, di quegli anni rimanevano solo i debiti.
Guardò quelle lettere con aria sconfitta, disperata. Aveva il lavoro al negozio ma era al pub che si guadagnava bene.
Con un mezzo gemito si allontanò, andando a vestirsi: non era il caso di arrivare in ritardo o Steve non lo avrebbe assunto e ora quel lavoro gli serviva davvero.
Passò la settimana e al negozio di pegni le cose andavano bene, sembravano contenti, e lo assunsero.
Ma le bollette non venivano pagate e cominciarono con lo staccare il gas. Continuava a uscire ogni sera, fingendo di andare al pub, mentre girava per le strade per poi entrare in uno di quei rifugi offerti dalle chiese e dormicchiare come poteva. Gli avevano chiesto più volte di fare qualche lavoretto non troppo legale in cambi di soldi, ma per lui il pensiero di finire a quel modo era insopportabile.
Passarono altre settimane e i debiti divennero sempre più pesanti, così come la situazione.
Staccarono anche la luce e Mathias ricevette un’altra visita dell’assistente sociale, stavolta arrivò nel suo giorno libero, quando Lucas era a casa con lui. Stavano chiacchierando, mentre il ragazzo più giovane sfruttava la luce del sole per finire i compiti. Il corvino aveva preso l’abitudine di spiegare le lezioni al fratello e il maggiore, anche se più o meno le aveva già affrontate a sua volta, trovava quella cosa divertente. Lo prendeva poi in giro, chiamandolo con affetto professorino, in realtà fiero dell’altro come di null’altro al mondo.
Non aveva elettricità, quindi niente campanello, furono i colpi alla porta a farlo preoccupare.
Guardò dallo spioncino e riconobbe il viso dell’assistente sociale.
Strinse i denti.
Guardò Lucas e la porta, ma non poteva fare altro che aprire in realtà e lo sapeva.
“Signora Treds.” Disse asciutto, in piedi sulla soglia con indosso i pantaloni lisi della tuta e una maglia a maniche lunghe, altrettanto grigia e usata.
“Mathias Coleman, c’è qua suo fratello, Lucas Coleman?” Perplesso da così tanta ufficialità, la guardò per un lungo istante studiandone il viso ermetico e gli occhi neri che sembravano porte blindate. Guardò l’agente che la accompagnava, un uomo con più pancia che altro, con uno sguardo risoluto.
Lucas comparì dietro il fratello, perplesso.
“Sì, ci sono.”
“Ho qua una ingiunzione del tribunale, per via delle condizioni di vita ritenute non idonee le è tolta la custodia di suo fratello,  signor Coleman.” Per un attimo il ragazzo non recepì completamente le parole, poi la rabbia divampò sul suo viso.
“Cosa!? Lucas è mio fratello! Non potete prendervelo come un pacco!”
“Lucas è minorenne, ha sedici anni, e non conduce una vita sana.” Il più giovane aveva fatto un passo indietro, il viso pallido e gli enormi occhi castani spalancati. Cominciò a scuotere piano il capo, incredulo, ma la donna fu irremovibile. “Se vuole fare ricorso prima sistemi i debiti, si procuri una sistemazione più consona e non crei guai, Mathias.” Lo disse con tono dispiaciuto, almeno, sotto lo strato di ghiaccio si intuiva un certo dolore. Ma per i ragazzi quelle parole non erano in grado di donare nessuna consolazione. Erano l’uno la famiglia dell’altro, li stavano separando e non potevano fare nulla. Le lacrime presero a scorrere sul viso di Lucas, che aveva fatto una borsa con i vestiti, senza che potesse fermarle. Singhiozzava piano, appena e, quando sulla soglia Mathias lo abbracciò, giurandogli che sarebbero tornati assieme, sentì le guance bagnate da stille non sue. Si aggrappò all’altro tanto che dovettero staccarlo dal fratello con la forza, mentre iniziava a dibattersi e urlare. Quella fu l’ultima volta che Mathias vide il fratello.
Eppure il maggiore non si diede per vinto.
Lavorava, accettava ogni sorta di impiego rifiutandosi di scendere però a compromessi. Quelli della banda gli avevano proposto varie opzioni: consegne, spaccio, prostituzione… ma non era così che avrebbe riottenuto la custodia del fratello.
Non era quella la vita che voleva per sé e per Lucas.
Aveva preso nuovamente a lavorare al pub, anche se solo nei fine settimana. Convincere Andy era stato difficile, al limite dell’impossibile. Aveva dovuto cedere un po’, anche più che un po’, sui suoi principi, accettando di scusarsi in modo decisamente personale per l’aver dormito tutta una notte nella cantina.
L’uomo era stato schietto. Quasi pragmatico.
“Se sai fare buoni pompini prendo in considerazione l’idea, se sono ottimi torni a lavorare nei week end. Con rinnovo ciclico.” Si era così trovato inginocchiato davanti all’uomo, deglutendo dignità e orgoglio, trattenendo rabbia e lacrime, ingoiando cose che non avrebbe mai voluto mandare giù. Ogni fine settimana si presentava lì il venerdì sera, pagava il prezzo che Andy gli chiedeva per continuare a farlo lavorare e si ripeteva che era solo una fase, un momento, che non era come la madre.
Non era come lei e non lo sarebbe diventato, era solo una fase passeggera.
Pian piano, risparmiando ogni soldo, aveva cominciato a sistemare i debiti. Era ancora in alto mare ma, almeno, ora vedeva all’orizzonte un porto sicuro.
Tra tutte le cose che, però, non si sarebbe mai aspettato di vedere era l’assistente sociale. Quella mattina, esattamente alle otto, era venuta lì a cercare Lucas.
Il fratello era fuggito dalla casa famiglia e lei era convinta fosse tornato a casa. Era così venuta lì a cercarlo con due agenti ma un po’ l’espressione assolutamente sorpresa prima, rabbiosa e preoccupata poi di Mathias, e l’effettiva assenza del ragazzo dall’appartamento, la convinsero.
“Se lo vede, lo faccia tornare da noi, non faccia sciocchezze.”
“Così che possa scappare di nuovo? Magari è in mezzo a una strada! Lo sapete che è pieno inverno e che c’è la neve? Lo state cercando davvero?” Aggredì a quel modo, verbalmente, la donna e i due agenti. Suo fratello era sparito ed era solo colpa loro. “Si può sapere che cazzo avete combinato per spingere Lucas a scappare?!”
“Si calmi.” La voce conciliante della donna ebbe però l’effetto opposto: l’ira di Mathias avvampò.
“Calmo!? Avete fatto qualcosa a mio fratello, è l’unica spiegazione! Non dovevate prendervene cura come non potevo io!? Eh!?” La mano chiusa a pugno andò a cozzare con violenza contro il battente della porta e l’assistente sociale impallidì.
“Le sue accuse sono infondate, inoltre una casa famiglia non è una prigione, se lo ricordi. Se lo vede, lo rimandi da noi.” Con quelle parole la donna e i due agenti se ne andarono, il ragazzo sbatté la porta, quasi scardinandola, per poi appoggiarsi a essa e scivolare lentamente lungo il legno gonfio di umidità.
Le dita delle mani affondate nel crine di quel castano chiaro, identico a quello della madre, stringevano come a volerlo strappare dalla cute, mentre il respiro accelerato e furioso si calmava lasciando di nuovo campo libero alla preoccupazione.
Cominciò a usare ogni minuto libero della sua giornata per cercare il fratello, trovando solo piste inconcludenti mentre la neve di gennaio si accumulava agli angoli delle strade, un candore macchiato e sporcato dalla città che rendeva le vie ancora più cupe e tristi.
Fu quando meno se lo aspettava che Mathias trovò Lucas.
Stava andando al pub, era venerdì sera e fuori, al parcheggio usato dai Madders per le loro moto, Carl stava passando qualcosa a un ragazzetto avvolto in strati di vestiario con un cappello calato fin sugli occhi. Rischiò di non guardarlo due volte, talmente abituato ai galoppini della gang da non registrarli davvero nemmeno più con lo sguardo.
Poi colse quegli occhi.
“Lucas!” Si precipitò lì, ignorando il biker che lo aveva fissato con aria minacciosa. Abbracciò il fratello, stringendolo fino a quando non sentì la voce soffocata emergere da dietro una spessa sciarpa.
“Matty, sto soffocando!”
“Lu’! Piccolo idiota!” Ma il viso del biondo era rigato di lacrime mentre allentava la stretta, a sua volta avvolto dalle braccia del fratello. “Si può sapere che diavolo hai combinato! Dovevi solo pazientare un po’ e avrei sistemato tutto!”
“Non trattarmi come un idiota, Matty!” La voce del più giovane si fece affilata e l’altro si staccò, guardandolo in viso senza capire. “Non ho cinque anni, mi hai tenute nascoste un sacco di cose. I debiti, tanto per cominciare.”
“Non volevo ti preoccupassi…” Mathias si sentì in colpa, sapeva benissimo che Lucas non era un bambino: non potevi restare piccolo in una casa come la loro e avevano entrambi perso l’innocenza dell’infanzia fin troppo presto, ma aveva voluto proteggerlo, almeno un po’.
“Un cazzo. Mi hai preso per il culo, potevo aiutarti a pagare i debiti senza finire là. Tu sei la mia famiglia, Matty, non quella gente! Non quelli che mi tenevano in casa solo per avere il contributo dello stato.” Quegli occhi freddi, irati, pieni di astio colpirono il maggiore con la violenza di un pugno allo stomaco. Non pensava potesse essere così per Lu’, non per lui. L’assistente sociale sembrava una brava persona, nonostante tutto, e anche se era a conoscenza delle situazioni non proprio rosee aveva sperato che Lucas non finisse in una di quelle peggiori, la paura di essersi sbagliato lo attanagliò. Cosa aveva passato?
“Mi dispiace.”
“Ehi, se avete finito l’allegra riunione di famiglia qua stavo parlando io.” Con le braccia incrociate sull’ampio petto, Carl li fissava con quei freddi occhi grigi che sembravano averli già sepolti. Da vivi. Con un certo godimento.
Lucas si staccò dal fratello e diede all’uomo una mazzetta di soldi, che l’altro contò due volte prima di annuire e rimetterseli in tasca, la luce blu del neon dell’insegna sul retro che dava un aspetto quasi spettrale a quelle banconote. Gli occhi di Mathias seguirono lo scambio increduli, accendendosi di paura e rabbia.
Appena l’uomo se ne andò, afferrò con forza il braccio del fratello.
“Cosa cazzo stai facendo, Lu’?”
“Guadagno i soldi per vivere e per estinguere i debiti di mamma.” Uno sbuffo contrariato uscì dalle labbra del minore mentre si liberava della stretta dell’altro. “Cosa credevi?”
“Credo tu sia un idiota!” Ringhiando quelle parole tra le labbra, trattenersi dal prendere a pugni il minore fu una delle cose più difficili della sua vita. “Che cazzo credi, eh? Che non avrei potuto farlo anche io un lavoro così? Perché credi mi sia spezzato la schiena al pub e al negozio, eh? Per non fare questo! Lucas! Voglio uscirmene da questi giri, da questo posto, con te! Voglio vederti al college, non in prigione!”
“L’idiota sei tu. Come pensi che li troviamo i soldi per tutto quello, eh?”
“Non facendo il galoppino! Che altro hai fatto, eh? Lo sai quanto cazzo è pericoloso? Lo sai?” Prese fiato, controllandosi per non urlare. “Perché li cercano così spesso quelli come te, te lo sei mai chiesto? Hai visto quanti ne spariscono? Dopo un po’ sanno troppo e li eliminano... sono solo ragazzini, tanto! Come te!”
“A me non succederà.” Lucas guardò il fratello con una sicurezza che l’altro trovò sconcertante.
“Perché? Cosa hai di così speciale?” Lucas distolse gli occhi.
“Non mi succederà così e basta, ora vado.” Si liberò dalle mani del fratello che lo riafferrò al volo.
“Dove vai!? Piccolo idiota tu torni a casa con me!”
“Quando avrò i soldi per pagare i debiti suonerò alla porta, ora mollami!” Si liberò di nuovo dalla presa del maggiore, scattando verso la strada mentre Mathias, incapace di decidere cosa fare, rimaneva fermo a guardare la sagoma del fratello svoltare dietro un angolo e sparire.
Si riprese, prendendo a calci un cumulo di neve sporca ed entrando nel pub dal retro. Se Lucas lavorava per i Madders, almeno era nel posto giusto per raccogliere informazioni. Cominciò a fare quello che aveva sempre evitato di fare con quella gang: dare loro corda.
Cominciò a mostrarsi interessato, ascoltare le loro chiacchiere da ubriachi, a volte servirli personalmente. Non ci volle nemmeno molto a capire che, a quanto pareva, Lucas era conosciuto da loro e sembrava sotto l’ala protettiva di uno dei capi, ma quella specie di favoritismo non significava nulla, in realtà.
Era solo un giocattolo sacrificabile, se necessario. Coma faceva a non capirlo?
Passò il week end a raccogliere informazioni, da un lato tranquillizzato, deciso a tenerlo d’occhio da lontano pronto a fare qualcosa, anche se neppure lui sapeva cosa in realtà, se le cose si fossero messe male.
Il fratello faceva il corriere, portava informazioni, soldi e cose ben più pericolose in giro per la città da parte dei Madders, sempre più invischiato in quella corrente sotterranea dall’equilibrio instabile che creava l’interazione tra bande rivali. Mathias osservava, racimolava piccole informazioni e, quando poteva, aveva cominciato a seguirlo a distanza senza farsi scoprire. Osservava Lucas, trovandolo così diverso dal ragazzo che era. La sua intelligenza aveva mostrato di essere molto utile, anche se era usata in un modo che il maggiore non avrebbe voluto. Aveva fatto di tutto per tenerlo con sé, aveva dato l’anima e tutt’ora lo faceva per poter dare a lui, e a se stesso, una vita diversa, fuori da lì, da quelle zone. Eppure le cose non andavano mai come si voleva e, quando cominciò a sentire puzza di guai, non poteva affermare di non esserselo aspettato.
Lucas sapeva troppo, tutto lì.
Un ragazzino dei bassifondi in più o in meno non avrebbe dato fastidio a nessuno mentre alla banda rivale dei Madders quel che Lu’ sapeva poteva fare la differenza. Lo stava seguendo, aveva sentito qualche voce, di quelle che senti ma nessuno ti ha mai detto niente. Che ti sussurrano all’orecchio, fingendo di non averlo mai fatto.
Quelle voci, però, lo avevano portato a fare domande sempre più precise fino a quando Carl, un sabato sera alla chiusura del pub, non lo aveva aspettato. L’uomo era uno dei piccoli capi della banda, uno di poche, affilate parole. Pronto a sorriderti e aiutarti così come ammazzarti. Il suo sangue ispanico gli donava dei tratti mediterranei, una chioma corvina e folta e una mascella squadrata.
“Mathias.” Sentendosi chiamare il ragazzo finì di gettare lo sporco nel cassonetto e si voltò verso l’uomo. La neve si era ormai sciolta anche se il freddo rimaneva pungente nelle ultime ore della notte. “Non ficcare troppo il naso, ti avviso perché mi stai simpatico.”
Non ci volle molto al ragazzo per capire che cosa intendesse l’uomo, appoggiato al muro, con le iridi fredde che lo squadravano. Si drizzò, era alto come l’altro anche se non così massiccio.
“È mio fratello, Carl. Cosa devo fare, guardarlo mentre si fa ammazzare?”
“Farti ammazzare perché fai troppe domande, invece, è la cosa giusta?” Sorprendentemente il tono duro dell’uomo era sfumato da una certa burbera gentilezza. “Stanne fuori, rimani pulito. Sei un bravo ragazzo, non prendere la strada di Lu’.”
“Ma è mio fratello. La mia famiglia.” L’uomo lo guardò per lunghi minuti, valutando lo sguardo quasi feroce del ragazzo, risoluto come pochi.
“Cosa vuoi fare, per lui? Sei disposto a quanto? A guardarlo e basta? Quello non lo salverà. Se vuoi stare con lui, dalla banda non si esce, lo sai.”
“Lo so.” Dai Madders, o da qualunque altra gang, non si usciva. Strinse le labbra fissando l’acciaio degli occhi dell’altro, deglutendo e capendo davvero, per la prima volta, cosa doveva fare. “Ma voglio proteggere Lucas.”
“Allora puoi fare solo una cosa.” Carl lo fissava con uno strano sorriso sul volto. Mathias sapeva benissimo cosa doveva fare e lo fece. Nessuno disse nulla a Lucas, l’uomo tenne la cosa abbastanza per sé, affidandogli giusto qualche piccolo compito e lasciando che sorvegliasse il fratello.
Passò quasi un mese prima che le paure del maggiore prendessero forma.
Erano in due, non ci voleva molta più gente per caricare un ragazzino pelle e ossa su un’auto e portarselo via. Una cosa semplice, facile, ma Lucas non era stupido e aveva sentito puzza di guai. Non camminava mai lungo le strade principali, percorreva vicoli e tetti, palazzi, strade secondarie e scorciatoie. Mettere le mani su quel ragazzino era frustrante, tanto che quei due si decisero a scendere, dopo un’intera giornata passata a impazzire per trovare il modo di prenderlo seguendolo a distanza.
Passarono ore a cercare il modo di acciuffarlo, fino a quando Lucas non si mise in trappola da solo, trovandosi un muro davanti che gli era risultato invalicabile.
Lo chiusero in un angolo, puntandogli una pistola alla testa.
Ma quando partì il colpo non uscì da quella canna.
Poi si sentì un altro colpo, talmente ravvicinato da parere il prolungamento sonoro dell’altro.
Mathias, sul fondo del vicolo, pallido e con la mano che gli tremava guardava i due cadaveri.
Gli avevano dato una pistola, ma la scelta era stata sua.
Aveva scelto lui di entrare nei Madders, di stare con Lucas, seguirlo nella banda. Era stata una scelta difficile, ma il fratello era tutto quello che di importante aveva.
Non poteva lasciare solo Lu’.
Ora non avrebbero avuto, forse, il futuro che voleva, ma se lo avesse lasciato solo il minore non avrebbe avuto futuro alcuno.
Meglio rimanere lì in due, rimanere nei Madders insieme, che andarsene lui solo, lasciando Lucas morto in quel vicolo.

A volte non si sceglieva davvero, a volte per stare con chi era importante si facevano gesti che si pagavano per tutta la vita.

 

 


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