Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |       
Autore: Il Pavone e la Piantana    21/08/2014    4 recensioni
Junior e Willow sono i figli di una nuova Panem, nata sulle ceneri dei caduti e sulle cicatrici di una libertà pagata con il sangue. Sono i figli della rinascita e del dolore, della promessa di un nuovo futuro e dei fantasmi del passato, spesso talmente oscuri da adombrare perfino il giallo brillante della speranza.
«Credevo fosse normale...» Dico, in un sussurro. Mi sembra brutto dirlo a voce troppo alta, come se lo rendesse più reale.
«Ma è normale. Esattamente come te». Risponde, fredda, con un'espressione seria sul viso. Perché io sono come lei, sono il figlio di eroi di guerra che portano sulle loro spalle i dolori del passato, rendendo le nostre vite più difficili di quelle di chiunque altro.
[…]
Mi allungo nell'erba, strofinando lente le braccia lungo i fianchi, fingendo di essere di nuovo una bambina che disegna con il proprio calore una ghiandaia nella neve fresca. Ma non c'è neve da raccogliere, qui. Solo cocci, gusci vuoti di conchiglie e un listello di legno che ormai suona solo note stonate.

{Fa parte della serie Colors. || Fanfiction fortemente psicologica che tratta in modo esplicito alcune patologie psichiche}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Cresta-Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Colors.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





I.




Sospiro, avvicinandomi al divano nel quale è seduta.
«Stanno arrivando». Prendo la sua mano nella la mia, osservando gli occhi spenti di mia madre guardarmi, senza vedermi davvero. E continuo a guardare quell'espressione vacua esaminare un punto fisso della stanza.
«Johanna?» La sua voce esce debole, il suo sguardo mi accarezza, per un secondo, poi torna sulla rete da pesca affissa al muro, poi di nuovo su di me.
«È andata a prenderli alla stazione». Rispondo, in un sussurro. Continua a guardare la rete da pesca, quella stessa rete che da piccolo mi aveva attirato, facendomi desiderare di imparare a fare i nodi. Ci aveva provato, mia madre. Ma le sue mani tremavano troppo per far sì che riuscisse ad essere la mia insegnante. *
«Mamma?» La richiamo, stringendole il polso al fine di attirare la sua attenzione. Non mi ascolta, mai, non mi sente, tanto quanto non mi vede.
«Lo stesso colore... Junior. Hai il suo stesso colore». Borbotta, senza allontanare la sua mano dalla mia, facendosi stringere senza far niente per scappare da quella costrizione. Bofonchia pensando ad altri occhi, ad un'altra persona. A mio padre, ucciso dagli ibridi a Capitol City, durante la rivoluzione. Ho il suo stesso colore, forse ho la sua stessa voce; forse sarebbe stato meglio se mio padre fosse rimasto ed io non fossi mai nato.
«Dovresti tirarti su, mamma. Stanno arrivando». La tiro verso di me come se fosse una bambola. Mia madre ha tentato, ma lei è morta con Finnick, quel padre che non avrò mai la possibilità di conoscere.
«Fai come ti pare». La lascio ricadere sul divano a peso morto. Osservo il movimento delle sue braccia, i suoi palmi chiudersi intorno alle orecchie, le palpebre serrate. È nel suo mondo e non intendo aiutarla ad uscirne. Che rimanesse lì, se proprio vuole.
«Annegherò. Non starmi davanti».
Serro la mandibola, deglutendo, serrando i pugni, posizionandomi meglio davanti a lei. «Stanno arrivando, tirati su». Dico, scuotendole una spalla, cercando il contatto con i suoi occhi. Non ci riesco, io. Non riesco mai a riportarla in superficie. Così, come ho fatto prima, la lascio andare, avvicinandomi poi alla finestra. Sento il suo respiro, i suoi ansimi e i mugolii dietro alle mie spalle. Ignora. Mi dico. Presto sarebbe tornata zia Johanna e ci avrebbe pensato lei a farla reagire.
«Junior, invece di spiarci dalla finestra vieni ad aiutarmi con queste cazzo di valigie!»
Sorrido, abbassando lo sguardo e muovendomi ad aprire la porta. «Arrivo».
Saluto la zia, prima di prendere il suo bagaglio tra le mani. Mi sorride, accarezzandomi una guancia con la mano libera e riabbassa subito lo sguardo verso il moccioso che tiene tra le braccia, prende la mano di sua figlia tra la sua, dirigendosi verso casa nostra. Ha gli occhi stanchi, zia Katniss.
«Ciao, Junior».
«Peeta...» Faccio un cenno con il capo, prima di seguire le zie e quando rientro mia madre è in piedi, stretta tra le braccia di Katniss. Abbraccia pure il marito di Katniss, mia madre. Lo tiene stretto, alzandosi in punta di piedi per raggiungere le sue spalle e cingergli il collo. Persino i bimbi non vengono dimenticati e spunta un sorriso sul suo viso, quando la bambina la saluta con energia.
«La cena di stasera sarà una squisitezza, tesoro». Johanna infilza una mia costola con la punta del suo gomito, cercando la mia attenzione. Mi sento bene, quando c'è lei.
«Tonno?»
«Oh, no! Il nostro fornaio ci delizierà con qualche sua leccornia, ma soprattutto con una montagna di dolci, vero, idiota?»
Peeta si gira verso Johanna e le sorride. «Qualsiasi cosa tu voglia, Johanna». Risponde, ignorando l'appellativo che gli calza a pennello. Non capirò mai cosa abbia trovato in lui la zia. Ha un sorriso languido e la voce accondiscendente.
«Cagnolino...» Sussurro, senza farmi sentire da nessuno se non dalla zia, che è ancora vicina a me.
«Sempre detto, tesoro. E vedi, ama annusare il culo di Katniss che è il suo alfa».
«Johanna!» La zia si volta, accarezzando i capelli del biondino che stringe contro il suo petto, senza lasciarlo mai cadere. «Non dire queste cose davanti ai miei figli!»
La guardo mentre accarezza in un movimento continuo i riccioli del figlio, concentrata nell'essere sua madre, il suo punto di riferimento. Abbasso lo sguardo, raggiungendo le scale. Devo andare via da qui.
«Woof!»
«Fanculo, zia». Salgo i primi gradini, ma la mano di Johanna si serra intorno al mio braccio, forzandomi ad interrompere la mia salita.
«Finnick Junior Odair, non ti ho insegnato ad essere così maleducato, soprattutto con me». Ha la voce dura, ora, lo sguardo severo.
Sogghigno, senza rispondere.
«Mia madre non mi ha mai insegnato ad essere educato». È un sospiro e soltanto lei, quella zia forte e burbera che mi ha insegnato tutto quello che so, riesce a sentire la mia voce.
«Non me ne frega un cazzo, chiedimi scusa».
Deglutisco. «Scusa». Volto lo sguardo, incontrando quelli azzurri della figlia di zia Katniss. La sua bocca è semi aperta e mi guarda curiosa. Non appena si accorge di me, si gira cercando qualcos'altro a cui dare attenzione. È simile a lei, quella bambina, se non fossero per quegli occhi azzurri che stonano sul suo viso. «Che hai da guardare, tu?» Scendo le scale, facendo il percorso inverso, senza distogliere lo sguardo da quegli occhi identici alla bimba, prima di dargli le spalle per entrare in cucina.
Sento mia madre bofonchiare delle scuse per il mio comportamento, mi giro camminando ancora. Mi fa bene, muovere le gambe. Se potessi – ma zia Johanna mi fermerebbe – andrei in spiaggia a farmi una nuotata, allontanandomi dalla riva, cercando di creare sempre più distanza da questa casa. E ritrovo quegli occhi azzurri su di me che, veloci, finiscono sulla figura del padre.
Ti incuriosisco così tanto, mocciosa?
Rimango in silenzio, a guardarmi intorno. Estranei, mi sembrano tutti degli estranei, a cominciare dai bambini che giocano tra di loro, vicino al divano ed alle gambe di zia Katniss, suo marito che si è trasferito subito in cucina, rendendosi ridicolo nell’indossare l’unico grembiule che zia Johanna gli ha fatto trovare. L’ha acquistato un po’ di giorni fa, senza che ne comprendessi il motivo. Ora lo so. Vuole deriderlo, farlo sembrare stupido. E ci riesce. Lo è con quel grembiule con scritto “Sono la migliora cuoca e moglie del mondo”, ma Peeta non sembra dar peso a nulla, cucina, asciugandosi le mani sulla propria pancia. Lava le pietanze da utilizzare, tante e troppe. Tutti i gas sono accesi e lui va avanti e indietro per la cucina – la mia – come se fosse di casa, come se stesse lì da sempre.
«Vuoi aiutarmi, Junior?» Mi guarda, con il sorriso sulle labbra ad illuminargli il viso. Sta fingendo, come ha sempre fatto. Recita, Peeta, parla e dice cose che non sono vere. Non sarebbe la prima volta. Mi dispiace per la zia che continua a voler stare con lui che non fa altro che stringerla troppo forte, sino a farle male.
«No». Rispondo, lapidario. Non dovrebbe cucinare, Peeta. Ci sono io, o Johanna. Dovrebbe andarsene da qui, con i bambini e lasciare zia Katniss con me, i suoi occhi spenti si risolleverebbero lontano da lui.
«Potrei insegnarti qualcosa…» Ci riprova, senza smettere di sorridere mentre gira la salsa dentro il padellino.
«Non mi interessa». Controllo i suoi movimenti con gli occhi abili di chi segue il pesce che ha adocchiato di pescare. Se gli lanciassi un amo, abboccherebbe, accondiscendente come è.
«Come vuoi… se cambiassi idea sono qui».
«Lo so che sei qui. Ti vedo». Come noto i suoi movimenti veloci, il vino che cade dentro il sugo. Sarà un buffone, ma ci sa fare ai fornelli, proprio come la migliore cuoca del mondo. Appoggio le spalle al muro, continuando a non perderlo di vista. Avrebbe potuto far venire qui solo la zia, invece l'ha seguita, come se fosse veramente un cagnolino, soltanto per farla andare via di nuovo, domani.
Johanna mi ha detto che sarebbe rimasta soltanto la mocciosa, la femmina. Volto lo sguardo, sentendo la sua risata sovrapporsi alle voci delle zie. Katniss le accarezza i capelli scuri, uguale ai suoi. Peeta continua a cucinare, alzando ed abbassando le fiammelle del gas ed io rimango immobile a guardarli. Incutono timore, alle persone. A me fanno soltanto ridere, soprattutto Peeta. Le zie meritavano di vincere, lui no. È soltanto grazie a zia Katniss se ora mescola il sugo e sorride, accondiscendente.
«Tutto bene, Junior?» La mano di zia Katniss è sulla mia spalla ora e sussulto, non aspettandomi il suo arrivo.
Le sorrido, con lei mi viene naturale, forse perché è stata una persona importante durante la mia infanzia, mi vuole bene e mi cerca, sempre. Mi chiama per scambiare due parole con me, quando è nel 12, quando non può venire. Non è una persona di molte parole, Katniss, ma ha un buon cuore e so che sono importante per lei. Glielo chiesi, quando ero ancora piccolo, quando la mocciosa ha preso il mio posto.
«Ora hai lei. Non mi vuoi più bene». Abbasso lo sguardo, trattenendo le lacrime. La bambina ha pochi mesi e con la mamma e zia Johanna siamo venuti nel 12 a trovarli, darle il benvenuto. Zia Kitkat mi abbraccia, stretto, accarezzandomi i capelli e depositandomi un bacio sulla fronte. «Ti vorrò sempre bene, Junior». Sorride ed io con lei, perché se mi assicura di volermi sempre bene posso stare tranquillo. Lei non dice mai bugie.
«Sto bene, zia». Rispondo, incontrando il grigio dei suoi occhi. Si alza in punta di piedi, ormai sono più alto di lei, e mi abbraccia, accarezzandomi i capelli nell'identico modo in cui lo faceva quando ero piccolo, come lo faceva prima con la figlia. Stringo le sue spalle e la sento piccola, ora, stretta tra le mie braccia.
«Mi sei mancato, Junior. Sono così contenta di vederti bene». Si scosta da me, appoggiando il palmo della sua mano sulla mia guancia. Sorride, ancora. «Tuo padre sarebbe fiero di te, di come sei cresciuto». Sussurra, abbassando lo sguardo. Mi ricorda mia madre, quando parla di lui. Vorrei che non lo nominassero nemmeno. Odio che vedano mio padre in me.
«E avrebbe fatto battute su come tutte le donne lo avrebbero voluto con loro». Katniss ride alla battuta del marito, stanno parlando di una persona che non conosco e che non voglio conoscere. Alzo le spalle, scostandomi dalla zia e incrociando le braccia al petto. Rimango in silenzio, sperando che il discorso sfoci da qualche altre parte, ma continuano a raccontare di come Finnick si sarebbe comportato in determinate circostanze. Del suo sorriso, così simile al mio.
«Vado a farmi un doccia». Dico, lasciandoli da soli, senza attendere una risposta. Che parlassero di mio padre quando non ci sono.
Mi butto sotto la doccia, cercando di concentrarmi sulle gocce d'acqua che cadono sulla mia testa, bagnandomi il corpo. Mi lavo, immaginando di essere immerso sotto la superficie dell'acqua del mare, nuotando verso il largo.
Non so bene quanto tempo rimango sotto la doccia, ma l'acqua calda lascia il posto a quella gelata, ma non mi importa, continuo a rimanere sotto il getto finché la testa non mi duole, costringendomi ad uscire. Potrei uscire dalla finestra e non presentarmi alla cena.
«Stai pensando di fuggire, tesoro?»
Mi volto, incontrando lo sguardo di Johanna divertito, con una spalla appoggiata all'uscio della porta della mia stanza.
«Non ti ha insegnato nessuno a bussare?»
«Una volta lo facevo, per cause di forza maggiore. Ancora devo cancellare quelle immagini dalla mia mente». Si mette dritta, venendomi incontro. «Allora? Volevi fuggire in spiaggia come tuo solito?»
«Il mare è l'unico luogo dove non mi rincorri». Faccio una pausa, ricordando quella sera che, dopo una crisi di mia madre, corsi fuori casa correndo verso oceano, decidendone di tornare più.
«Junior! Accidenti a te! Junior torna a riva!» La zia mi ha inseguito, ma rimane sulla riva, con i piedi che scappano dalla spuma di mare generata dalle onde. «Junior!»
Non voglio che venga, che mi riporti a casa. Voglio rimanere qui. È meglio se resto qui.
Prendo un respiro profondo, immergendo anche la testa. Apro gli occhi, che bruciano per il sale, osservando il buio davanti a me. Quando riemergo, di zia Johanna non ce n'è più traccia.
«Zia!» Urlo, senza ricevere risposta. Continuo a chiamarla, a cercarla e alla fine vedo l'acqua muoversi e le sue braccia tendersi verso di me. Mi stringe, cercando di nuotare alla meno peggio – non è brava quanto me – verso la riva, riportandomi sul bagnasciuga. Ha freddo, la zia. Si stringe le braccia al petto, tremando.
«Non farlo più, ragazzino. Non farlo mai più».

Avevo dodici anni e soltanto due anni più tardi avrei scoperto il metodo di tortura utilizzato da Capitol City, quando la zia venne tenuta prigioniera. Ci ho messo due anni per chiederle scusa.
«Non puoi saltare la cena. Katniss andrà via domani ed è così contenta di vederti...» Mi sorride, languida, accarezzandomi i capelli ancora bagnati. «Non vuoi rendere triste la zia che non ti vede mai, no?!»
«C'è troppa gente in questa casa». Rispondo, togliendo l'asciugamano per infilare i vestiti. «Ho voglia di stare da solo».
«Be', sai quante cose vorrei io che non posso avere? Non fare il bambino piagnucolone, alza il culo, scendi le scale e cena con tutti noi. Fine della storia». Non attende nessuna risposta, esce soltanto da camera mia e sbatte la porta, come suo solito. Ed io so che farò come dice lei. Non sono un bambino, non più e posso resistere una sera in compagnia di mia madre e del marito della zia. Devo, per cercare di cancellare quegli occhi stanchi dal viso di zia Katniss.
Lascio i capelli umidi e scendo al piano inferiore unendomi a tutti gli altri. Zia Katniss è seduta vicino al moccioso, ed ha lasciato la sedia vuota al suo fianco. Peeta è seduto poco distante e alla sua destra c'è la bambina che mi guarda incuriosita, prima di cercare di accennare un sorriso in mia direzione. Comincia la festa. Mi dico, prima di sedermi vicino alle zie.
«Sono contenta che sei venuto». Sussurra, Katniss, guardando il proprio piatto ancora vuoto. E so di aver fatto la scelta giusta. Devo esserci, per lei, finché è qui. Non so tra quanto tempo la rivedrò.
«Potresti fermarti di più, mi vedresti più spesso». Katniss mi guarda, poi abbassa lo sguardo, senza rispondere. Vorrebbe rimanere, lei. Lo leggo nei suoi occhi preoccupati.
«Non possiamo. Abbiamo da fare al 12 e purtroppo domani dobbiamo ripartire». Ha la voce ferma, questa volta. Parla guardandomi negli occhi, scappando da quelli della zia. Sembra severo, in qualche modo, come se volesse sgridare Katniss, o me.
«Dobbiamo? Potresti tornare tu al 12 e far rimanere la zia. Non è la tua ombra, sai?» Non riesco a trattenermi, ricevendo un calcio sullo stinco da Johanna, pronta a farmi capire quando sarebbe il caso di rimanere in silenzio. Ma non ce la faccio, non quando la zia vorrebbe rimanere ed il marito la costringe a lasciarmi, a lasciare la figlia qui, da sola, con noi. Non è giusto. Né per lei, né per me, né per nessun altro. Johanna non può farsi carico di un'altra persona, la madre dovrebbe continuare a star vicino ai figli. Non dovrebbe abbandonarli in altri Distretti e so che la zia non lascerebbe mai la sua bambina qui, se qualcuno non la forzasse.
La zia scuote la testa. «No, Junior. Ha ragione Peeta. Vorrei poter rimanere qui... con tutti voi, ma proprio non possiamo». La preoccupazione emerge dalla sua voce, la bambina mi guarda, ha gli occhi lucidi, osservando la mamma così agitata.
«Voglio tornare anche io nel 12, allora». Afferma, lasciando la forchetta che cade a terra. «Voglio stare con voi».
L'aria intorno a questa tavola si è fatta pesante e ho dato il via io. Le lacrime della bimba cadono lungo le sue guance e sembra quasi di avere davanti la zia in miniatura. Non piangere. Vorrei quasi raggiungerla, per abbracciarla, esattamente come farei con la zia se la vedessi giù di corda. La bambina si butta tra le braccia del padre che la stringe a sé, accarezzandole i capelli. Non dice nulla, ma le bacia la nuca e le ripete che non è successo nulla, che non succederà nulla.
«Quanto siete tutti melodrammatici, gente!» Johanna sbuffa, spostandosi i capelli dietro le spalle. «Willow, ci sono io, la zia più fantastica del mondo. Non fare i capricci che ormai sei una donna fatta e finita e vedrai come ti divertirai con noi. Stare lontano da questi due... dai tuoi genitori... ti farà solo bene. Ti fidi di me, no?» Allunga il braccio, alzandosi dalla sedia per raggiungere il suo braccio. Sposta tutti i piatti per farlo e cerca il suo miglior sorriso. Credo che Johanna sia l'unica persona di cui mi fido con tutto me stesso. La bambina tira su con il naso e annuisce, asciugandosi le lacrime.
«Non si piange». Dice, guardando verso la madre che accenna un sorriso, cercando di trattenere lei il pianto.
Rimango in silenzio per tutto il resto della cena, ascoltando i discorsi senza senso che intavolano. Katniss non parla molto, osservando il suo piatto e facendosi fuori tre bicchieri di vino, Peeta ride e scherza con la figlia, e zia Johanna ride, facendo battute stupide per far ridere la piccola. Tutta l'attenzione è su di lei che domani rimarrà qui, da sola, senza il padre e la madre. Una settimana senza di loro. Prevedo pianti e la zia che cercherà in tutti i modi di farla calmare, di farle ritrovare il sorriso, quello così simile al padre, sulla pelle di zia Katniss.
«Anche se al 12 non abbiamo il mare, io so nuotare! Vero o falso, mamma?» Dice la bambina, con la voce trillante.
Katniss annuisce, sorridendo. Sembra stare meglio, ora. «Vero. Abbiamo un lago, nel bosco. La porto lì e nuotiamo insieme».
«È divertentissimo! Voglio andare al mare, è diverso?» Mi guarda, attendendo una risposta da me.
«Sì. L'acqua è salata. I laghi hanno l'acqua dolce».
«Lo so. Ma non c'è tutta questa differenza, allora».
«C'è, invece. Non puoi berla, l'acqua del mare. Ed il sale ti aiuta a stare a galla. Nuotare nell'acqua salata è diverso che nuotare in quella dolce. Vedrai...»
«E poi?» Sorride adesso, focalizzando tutta l'attenzione su di me. Ed io vorrei soltanto sparire. Persino mia madre mi osserva, accennando un sorriso sul suo volto. Vedi me o vedi mio padre?
«E poi... a volte ci sono le onde ed è persino più divertente. Ti butti dentro e ti lasci trasportare».
La bambina dilata gli occhi, immaginando l'acqua alzarsi, produrre la schiuma, con tutta probabilità. «Voglio tuffarmi tra le onde!»
«No!» Esclama Katniss, allarmata, buttandosi addosso qualche schizzo di vino. «È pericoloso e...»
«Zia, non è pericoloso. Davvero. È divertente. E se sa nuotare non ci sono problemi, se le onde non sono troppo alte». La blocco, stringendole una mano. La zia guarda il marito per un istante poi annuisce, portandosi il bicchiere alla bocca.



* La rete si trova nella fan fiction di _eco: Tento qualcosa.




Note di fine capitolo:
Buongiorno!
Siamo emozionatissime oggi che pubblichiamo il primo capitolo. Questa fanfic è per noi davvero molto importante.
Aquamarine fa parte di Colors, quindi, sebbene sia fruibile da chiunque abbia completato la lettura de Il canto della rivolta si consiglia caldamente la lettura di Red., Blue., Yellow. e Rainbow. per cogliere a un livello più profondo e consapevole alcune delle tematiche trattate, che vengono ampliamente accennate in Aqua e che rendono più chiaro il rapporto di JJ e Will con Katniss e Peeta e alcune sfumature della genitorialità Everlark.
È una storia diversa, dove non ci soffermiamo su personaggi principali della saga, ma cerchiamo di approfondire la psicologia di personaggi che hanno come genitori i vincitori degli Hunger Games. E ci sono entrati dentro, mettendo le radici dentro di noi. ♥
In questo primo capitolo conosciamo meglio Finnick Junior, chiamato soltanto Junior dai tempi di Blue. e soprannominato da noi JJ.
Vediamo come stia male, sebbene non voglia darlo a vedere, per il rapporto che ha con la madre, un rapporto non sano visti i problemi di Annie che non riesce a vederlo, ed a JJ pesa tanto il distacco che ha la madre nei suoi confronti, che lo vede come Finnick e non come Junior.
Come vediamo l’attaccamento che ha verso la zia Johanna, figura importantissima nella sua vita da quando è bambino, la vera adulta di casa, la vera mamma. Colei che gli ha insegnato tutto quello che sa. E vediamo, in questo capitolo, come sia affezionato anche a Katniss. Anche di questo rapporto ne abbiamo avuto un anticipo in Blue e Yellow come possiamo notare il modo in cui sia restio nei confronti di Peeta.
JJ è stato cresciuto da due donne, non ha avuto mai figure maschili di riferimento, e Peeta gli ha portato viazia Kitkat quando era un bambino.
All'inizio della storia la primogenita di casa Mellark ha sette anni, dieci esatti in meno del diciassettenne Junior, e appare chiaro come Katniss non avrebbe alcuna intenzione di mollarla alle amorevoli cure della zia più fantastica di sempre.
La piccola Will ha parecchi problemi, alcuni dei quali diverranno palesi più avanti, e per ora vi basti sapere che è nel quattro per ordine dello psicologo, che, a causa della sua tremenda ansia da separazione, le ha prescritto una vacanza forzata, lontana da mammina e papino.
Al prossimo capitolo!
La Pavy, la Pianty, JJ e Will che saluta con la manina!


Ringraziamenti:
Come per ogni nostra fanfiction, non possiamo esimerci dal ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine nella stesura della storia, quelle persone che, in qualche modo, hanno contribuito a rendere Aqua la storia che è, quindi i nostri ringraziamenti più sentiti vanno a:
radioactive che non solo ha creato per noi questo fantastico banner – e non ci stancheremo mai di dire che è una grafica nata – ma che ci ha promptate, aiutate, ispirate e che è la persona che più ci ha aiutate e spronate a scrivere Aqua. Questa fanfiction è anche sua;
_eco che ci ha fatto immaginare un incontro tra JJ e Will;
gabryweasley che ci ha seguite sin dall’inizio, amando Aqua tanto quanto noi. Che ci chiedeva di passarle i pezzi e li leggeva dicendoci sempre cosa ne pensasse.
Se amiamo tanto Aquamarine è anche merito loro ♥ Grazie per tutto, vi amiamo! ♥


Veniteh a fare le bolleh d'Assenzioh con noi nel gruppoh Facebook gestito dalla nostra meravigliosah famiglia disfunzionale ♥ A Panda piace fare le bolle d'assenzio [EFPfanfic]
Abbiamo apertoh anche una pagina Facebook dedicatah a questa serie, doveh potreteh farci qualsiasi domanda su questa raccoltah, seguire tutti gli aggiornamentih, salutareh Finnickinoh che ballah nella p0rn Narnia e devolvere zolletteh alla sua causah ♥ Vi aspettiamoh numerosih ♥ Colors.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Il Pavone e la Piantana