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Autore: Impossible Prince    22/08/2014    3 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 11 - Michael Butt
 
«Mi creda signor commissario, ciò che avete fatto viola la legge e pretendo assolutamente che venga rispettata» tuonò Dream al microfono degli auricolari. Era al telefono con il commissario capo della città di Fiordoropoli. Il giorno prima una pattuglia della polizia di stato, autorizzata dal giudice Francisco Giuliotti, aveva fatto irruzione nell’abitazione di Dream sicuri di riuscire a catturare Rosso, dichiarato in arresto ma in stato di “latitante” poiché di lui si erano perse le tracce.
«Signor Dream, abbiamo avuto l’assenso del giudice, pertanto le sue lamentele sono tutto fuorché fondate, mi creda», la voce del poliziotto era calma rispetto a quella del giornalista.
«Non mi interessa se avete avuto l’assenso del giudice o del Presidente del Consiglio in persona. La legge è chiara: le perquisizioni presso il domicilio o la residenza fatte ad un Campione della Lega Pokémon possono esser effettuate assicurandosi di non creare disagio al Campione stesso!».
«Sì, ma...» provo a giustificarsi il commissario, venendo interrotto da Dream.
«Nessun “ma”, commissario. La legge è chiara, io voglio che casa mia venga rimessa in ordine dagli stessi agenti che han avuto la brillante idea di venire e comportarsi come dei barbari. Sono un Campione della Lega Pokémon, pertanto il trattamento che mi spetta è quello dettato dal codice penale che lei dovrebbe conoscere e rispettare».
«Non si aspetterà di certo che io obblighi i miei agenti a comportarsi come delle donne delle pulizie?» chiese ironico il poliziotto.
«Come se fosse un lavoro meno dignitoso dell’indossare la divisa. Voglio che vengano in casa mia a rimettere a posto tutto. E se non intende adempiere a questo ruolo, mi creda, non avrò alcun problema a fare una denuncia contro i suoi uomini e contro di lei perché si rifiuta di collaborare».
«Non le sembra un po’ di esagerare?».
«Oh, no, non lo sono e mi può credere. Per non parlare dell’inchiesta giornalistica che ho intenzione di far scoppiare se questa faccenda non si risolve. E credo che lei conosca il mio giornalismo: non ci saranno sopravvissuti».
Camminava spedito sul marciapiede, incurante della pioggerellina che cadeva leggera sulla città. Il suo sguardo era concentrato solo sulla strada che gli si presentava davanti. Non gli importava se la gente si girava a fissarlo impressionata per il tono di voce usato al telefono. La sua rabbia era talmente elevata da creargli una sorta di paraocchi.
«Mi sta per caso minacciando?». La voce del poliziotto si era fatta d’un tratto meno calma e tranquilla, diventando leggermente irritata dal comportamento dell’interlocutore.
«Non è una minaccia, commissario. Le sto illustrando cosa dovrò fare se lei non intende rispettare la legge» chiosò Dream.
Il capo della polizia tentennò per qualche secondo, sprofondando in un imbarazzante silenzio. Le inchieste giornalistiche avevano permesso a lui stesso di arrivare a quel ruolo. Un articolo del Corriere di Fiordoropoli riuscì a far dimettere il suo predecessore reo di non aver vigilato su alcuni poliziotti che non avrebbero rispettato le procedure stabilite durante una delle missioni a loro assegnate. Il precedente c’era e la sua poltrona sarebbe stata rischio se non avesse preso la decisione di soccombere all’ex allenatore.
«Chiamerò i miei uomini e dirò loro di andar a metter a posto casa sua... glielo prometto».
«Mi sta bene... le spese del fabbro ovviamente sono a carico del commissariato» concluse Dream, soddisfatto di aver raggiunto il suo obiettivo.
«Io credo che...» ma Dream interruppe ancora il suo interlocutore: «Sono davvero contento che lei sia d’accordo con me. La saluto che ho un impegno imminente, la ringrazio per la disponibilità concessami» e chiuse la telefonata senza dar tempo al poliziotto di salutare.
Secondo le motivazioni rilasciate dalla commissione parlamentare, Rosso era stato dichiarato in arresto per le sue dichiarazioni fornite nei primi mesi del 2001 nel processo a carico dell’allora Capopalestra di Smeraldopoli, Giovanni. Il Campione aveva infatti dichiarato che il politico gli aveva confidato di esser a capo dell’organizzazione criminale del Team Rocket. Nonostante gli oltre dieci anni da quel processo, conclusosi con una sentenza di prescrizione dettata dall’impossibilità a procedere poiché Giovanni era entrato in Parlamento, le frasi di Rosso avevano continuato a perseguitare il capo del Governo e la sua reputazione all’estero e poiché le opinioni di un Campione erano sempre ritenute credibili; si trattava sostanzialmente di uno sgarbo indelebile.
Rosso non si trovava nella sua abitazione di Biancavilla al momento dell’arresto e immediatamente, la polizia federale si mosse in direzione della casa di Dream essendo pubblico il rapporto di amicizia che univa i due ragazzi. Solo nella notte, a irruzione avvenuta, l’ambasciata kalosiana con sede a Fiordoropoli aveva fatto pervenire al Governo federale l’avviso di aver concesso l’asilo politico a Rosso e con un comunicato stampa si disse disponibile a concedere l’asilo politico a chiunque venisse posto in arresto da «da un tribunale politico camuffato da parlamento», come disse un parlamentare dell’ex colonia francese, commentando ai cronisti la decisione del suo governo.
 
Dream posò le mani alla ringhiera del Ponte Grande, verniciata di blu scuro. Ponte Grande era il più grande e più antico ponte di Canalipoli, una delle città portuali della regione di Sinnoh.
Sullo sfondo si stagliava la figura di una nave mercantile che salutava la città con il verso tipico delle navi, potente e profondo.
Canalipoli doveva il suo nome al fiume che lo tagliava esattamente a metà, il Canalino, un corso d’acqua di grandi dimensioni e dalle acque torbide e inquinate sin dalla sua fonte, posta in una dei rilievi montuosi a sud-ovest della città.
Proprio per il particolare sviluppo urbanistico e bacino idrico, nella zona meridionale della città era stato costruito un importante porto che con gli anni divenne il principale polo industriale e mercantile dell’allora nazione di Sinnoh ricevendo poi forti investimenti una volta che la regione entrò a far parte della Repubblica Federale Di Pokémon. Se le città di Aranciopoli, Olivonopoli, Porto Selcepoli o Alghepoli erano meta di viaggi turistici; le navi da crociera che facevano sosta a Canalipoli si potevano contare sulle dita di una mano. La città era non solo completamente sprovvista punti balneari, ma il suo centro era privo di monumenti di interesse storico e artistico e i pochi musei aperti erano tutti incentrati sul mercantilismo navale. L’unico polo culturale era costituito dalla Biblioteca Federale di Canalipoli, un imponente edificio barocco che al suo interno conteneva opere d’arte e libri di inestimabile valore sui miti e leggende sulla storia di Sinnoh; ma a causa dei continui straripamenti delle fogne, dovute alle loro pessime condizioni, la giunta regionale la spostò in un edificio chiuso al pubblico nella città di Arenipoli. A questo si aggiungeva un immaginario collettivo che voleva Canalipoli avere un clima del tutto simile a quello della capitale del Regno Unito: pioggia leggera e costante, nebbia e umidità, altro elemento che teneva lontani i turisti.
Le dita picchiettavano nervose sul parapetto. Non era stato sufficiente sfogarsi con il capo della polizia per lo sgarbo ricevuto. C’era tutta la discussione con Mewtwo che ancora lo perseguitava. Il party di Giuly a cui aveva partecipato per distrarsi non era servito fondamentalmente a nulla. Le parole del pokémon Genetico pesavano come macigni: «Ipocrita», «Peggio di tutti gli altri», senza dimenticare le considerazioni sulla «società è corrotta, la società è vuota, la società è il vuoto…». La mente di Dream non si schiodava da quel punto fisso. Continuava a giustificare nei confronti di se stesso quello che da anni era il proprio atteggiamento e comportamento, come se contemporaneamente si sentisse colpevole per le accuse che gli erano state rivolte.
E ad appesantire il suo umore c’era il lavoro: l’intervista al Campione della Lega di Unima. Quando Elvira lo obbligò ad intervistare Michael Butt, Dream pensò immediatamente alla tempesta di merda che si sarebbe sollevata nei giorni immediatamente successivi, al contrario della sua direttrice che già si gongolava della massiccia quantità di copie vendute sull’onda di quanto successo con Alexei Know.
 
Ricominciò a camminare, dirigendosi verso “Locanda del Marinaio”, un locale nel centro della città. Un bar con ampie vetrate ma comunque poco illuminato, tutto accentuato dalle nuvole scure che sovrastavano il cielo di Canalipoli quel giorno.
Il bar era arredato con mobili di legno scuro che richiamavano la navigazione come timoni, foto di pirati e reti di corda utilizzate una volta per arrampicarsi sugli alberi delle navi. Dal soffitto pendevano delle piccole lanterne con i vetri molto impolverati che emanavano una flebile luce. Il pavimento era di marmo, sporcato con della segatura per assorbire l’acqua portata dentro con ombrelli e scarpe.
Trovò all’interno il proprietario, un uomo alto, in carne e sudaticcio. I capelli erano ricci e grassi, mentre la barba era tagliata in maniera grossolana.
Al tavolino, posto qualche metro davanti al bancone, era seduto un ragazzino di sedici anni, biondo, occhi azzurri, labbra fini e pelle liscia. Aveva una corporatura molto magra, un viso tondo ma asciutto, definirlo efebico sarebbe stato un eufemismo.
Dream salutò il proprietario con un cenno e poi con passo deciso si diresse verso il Campione, che strabuzzò lo sguardo non appena vide il giornalista.
«Piacere, io sono Dream, il corrispondente del Corriere» disse porgendo la mano destra verso di lui.
Michael sorrise timidamente e rispose alla stretta di mano.
«Io sono Michael, Michael Butt».
Dream si sedette su una delle sedie libere, poi fece un cenno al barista, chiedendo del caffè.
«Non comincio mai a lavorare se non ho bevuto un caffè» pronunciò sorridendo.
Michael annuì, abbassando poi lo sguardo e cominciando a stropicciarsi l’orlo della maglietta con le mani.
«Suvvia, non sia così agitato… è un’intervista, non ho mica intenzione di ucciderla» disse il giornalista continuando ad avere un accenno di sorriso. Poi posò nuovamente le labbra sulla tazzina mentre gli occhi virarono sulle barche ormeggiate che dondolavano mosse dalle acque agitate.
«E’... che… ho letto l’intervista che ha fatto ad Alexei Know… - Michael alzò lo sguardo, guardando Dream per la seconda volta negli occhi – lo sa che è caduto in depressione?».
«Signor Butt, Alexei Know era un buffone, un montato, un bluff. Io l’ho semplicemente mostrato, messo in mostra. Se è caduto in depressione è perché si è guardato allo specchio».
Il Campione di Unima sorrise divertito.
«Non le devo dire io cosa fa un giornalista, credo. Vede… fare interviste è molto, molto semplice. Io porgo le domande e le persone rispondono. E non è come un’interrogazione, io non faccio domande su cose che necessitano lo studio di un concetto, di una formula matematica o conoscere l’applicazione di un teorema. Io porgo domande sulla vita degli intervistati – Dream posò la tazzina sul tavolo, asciugandosi poi le labbra con un tovagliolino di carta accuratamente piegato su se stesso – la risposta la sai per forza… e per carità di Dio, mangi qualcosa, è pallido». Immediatamente, si voltò verso il barista e ordinò cappuccio e brioche per il ragazzo ed aspettò che Michael finisse la colazione prima di ritornare a parlargli.
«Senta, per metterla a proprio agio pensavo di darci del “tu”, è d’accordo?», Michael annuì.
Dream fece uscire Dragonite dalla sua Sfera Poké. Il pokémon si sedette a terra, tenendo sulle ginocchia una macchina da scrivere su cui posò le zampe pronto a digitare ogni parola pronunciata dai due uomini, al contempo, Dream, prese il taccuino dalla tasca dei suoi pantaloni e una penna nera.
«L’altra volta mi hanno fatto storie perché non avevo preso appunti in forma canonica… e quindi mi sono reso conto di aver un pokémon che capisce perfettamente il linguaggio umano ed era forse il caso di adoperarlo in qualche modo…» cominciò Dream sorridendo. «Ma veniamo a noi. Michael Butt nasce a Giubilopoli il 20 Aprile del 2000, ma cresce a Canalipoli. Il suo viaggio di allenatore comincia all’età di dodici anni. Compete per diventare Campione della Lega di Sinnoh ma viene eliminato nella fase a gironi. L’anno successivo, la Lega Pokémon di Hoenn lo vede cadere nella stessa maniera. Per due anni sparisce dai radar sportivi su cui era timidamente. Tutto cambia quest’anno: a Unima non era certamente dato tra i preferiti, eppure, magistralmente, contro tutte le aspettative arriva davanti ai Superquattro e li fa fuori tutti, arrivando alla Sala D’Onore. Ti posso garantire che ne ho conosciuta di gente che ha abbandonato la propria carriera davanti a pesanti sconfitte, ma tu, invece, hai continuato, hai tenuto duro. Perché? Che cosa ti ha spinto?».
Il ragazzino fece un gran respiro, poi cominciò a rispondere. La sua voce era a tratti tremante, talvolta imprecisa sulla pronuncia di alcune parole: «Beh… arrendersi avrebbe chiuso tante porte che invece sono rimaste aperte con questa scelta. Dopo la perdita alla Lega di Hoenn ho capito che il lavoro da fare era molto, d’altronde Roma non l’hanno costruita in un solo giorno. Ho studiato, affinato le tecniche di combattimento e costruito una strategia; così quando hanno aperto l’epoca del Nero e del Bianco ho deciso di provarci. Insomma, mi è andata bene, se mi fossi arreso non avrei vinto!».
Dream pronunciò le labbra, deluso dalla risposta. Una risposta politicamente corretta, pure troppo. Per un momento la sua testa andò a quando aveva intervistato un ex parlamentare che aveva fatto politica in un partito di centro esistito fino al crollo del muro di Berlino. Le risposte dell’uomo erano sempre pacate, le parole pesate e non andavano mai al di là della correttezza istituzionale, anche se il politico non sedeva più sugli scranni del Parlamento. Non era possibile neanche fare congetture sul tono della sua voce, sostanzialmente monocorde, quasi da rendere una tortura sentirlo parlare per oltre un’ora. La considerava la sua intervista peggiore, il suo più evidente fallimento e il solo pronunciare il nome del politico gli aveva sempre causato dell’isteria.
In quel momento gli si presentò immediatamente un dubbio: utilizzare quel lato aggressivo tanto mostrato durante l’intervista di Alexei Know, che la rese così celebre, oppure sondare il terreno e abbassare lentamente le armi? Si prese cinque secondi per riflettere, poi aprì la bocca per parlare: «Sì, questo è senz’altro vero ed è in un certo senso ammirevole, ma, permettimi di chiederti: che cos’è la vittoria?».
Michael annuì, come se si fosse preparato la risposta per una domanda di questo tipo: «La vittoria è la soddisfazione per il riconoscimento di un proprio sforzo».
Niente, ancora una risposta pacata, posata. Per un momento pensò che Michael era la copia più giovane di quel dannato politico centrista.
«Sì, certo, ma mi aspettavo qualcosa di più… concreto», disse Dream mettendosi la penna tra le labbra.
«Mettiamola in questi termini: la vittoria è vedere realizzato qualcosa in cui si è creduto fino in fondo, qualcosa che si è studiato nei minimi dettagli».
«Michael, però stai parlando solo di vittoria. Vittoria come soddisfazione, vittoria come riconoscimento, vittoria a seguito dello studio. Insomma, credo che tu stia dando davvero eccessiva importanza a qualcosa che alla fine è solo… temporaneo».
«Temporanea? – Michael strabuzzò gli occhi – E hai dovuto ottenere il titolo di Campione nove volte per capirlo?».
Il ragazzo biondo tutto timido si era improvvisamente in una iena assetata di sangue, del sangue di Dream.
«Credo di non seguirti» rispose il giornalista piccato, inarcando le sopracciglia.
«Non voglio sminuire il tuo passato, sia chiaro, Dream. Ma tu stai cercando di analizzare la vittoria, in questo caso mia, da un punto di vista temporale tentando però di evidenziarne degli elementi che la possano rendere... perenne?».
Lo sguardo di Dream mutò. Da accigliato, quasi irritato, divenne interessato.
«Vai avanti…» lo spronò il giornalista.
«Il nostro mondo è per forza temporaneo. La stessa Terra ha una data di scadenza grossa così – disse ponendo in aria le mani in parallelo tra loro – sul suo didietro. Nulla è eterno, rincorrere l’eternità è ridicolo, dopo un po’si rischia di diventare come certe attrici statunitensi che per apparire sempre giovani si inondano il viso di botulino fino a paralizzarselo. Mi sembra quindi una discussione un po’… cieca, superficiale».
Dentro di sé, Dream tremava. Le sue certezze, già tormentate da un pokémon ora erano attaccate da quelle di un sedicenne che aveva da poco messo piede nella Sala D’Onore. Si aspettava forse di incontrare un Alexei Know II, qualcuno facile da mettere in difficoltà, un ragazzo pronto a fare qualche frase infelice che gli avrebbe permesso di concludere rapidamente il lavoro e tornare a Fiordoropoli, dove sarebbe andato in spiaggia a prendere gli ultimi raggi di Sole di quell’estate ormai pronta ad imboccare il viale del tramonto. E invece si trovava in una città piovosa, davanti ad una persona che teneva in mano un martello pneumatico che stava frantumando la sua filosofia in piccoli frammenti, osservandolo in maniera sadica e compiaciuto per l’opera che stava compiendo.
Sentiva un terremoto nel profondo delle sue viscere, e lo aveva provocato un ragazzino appena conosciuto, un’opera che neanche i suoi vecchi amici erano riusciti a fare quando si parlava di quest’argomento. C’era qualcosa negli occhi di Michael e nella sua voce di magnetico; non solo, c’era qualcosa nelle sue idee e di come venivano messe sul piatto che fungeva da grimaldello per il lucchetto che Dream mise attorno alla sua carriera di allenatore.
Si rese conto di essere stremato ed erano bastate poche frasi per ridurlo in quello stato. Michael non era semplicemente una persona che si stava contrapponendo a lui. Oh, no, di quelli ne aveva incontrati a iosa. Michael era qualcosa di molto più fine, molto più letale.
Con un ultimo guizzo intellettuale, dettato dalle ultime forze in corpo, trovò il coraggio di fare una domanda, che più che come questione da porre sembrava la confessione di un’ossessione per quello che aveva sentito e provato da due anni a quella parte: «Sì, ma il vuoto? La soddisfazione finisce e dà spazio al vuoto, non ha forse paura di questo?».
«Il vuoto è stato creato perché noi potessimo riempirlo. Prendi una pokéball ad esempio, - disse tenendo in mano una delle sue pokéball - è stata costruita con una forma precisa. Cava al suo interno per poter contenere qualcosa. Catturiamo il pokémon e viene riempita. Lo mandiamo in campo? La svuotiamo e finita la battaglia ritorna dentro, insomma, si riempie.
Noi stessi veniamo al mondo per evitare un eventuale vuoto intergenerazionale; eppure quando nasciamo è un momento di vera festa, non trattiamo questo evento come un qualcosa di second’ordine perché lo hanno fatto solo per coprire un vuoto.
Michael era così genuino, sincero. Forse quel martello pneumatico neanche si rendeva conto di tenerlo in mano. E forse non era sadismo quello che il distruttore filosofico aveva nello sguardo. Forse era semplicemente genuinità, un qualcosa di alieno, di extraterrestre e di estraneo ala storia passata e attuale del giornalista.
Dream rimase fermo a fissare il Campione, tenendo in bocca la penna, mentre il locale cadde in un silenzio quasi tombale. L’ex allenatore cominciò ad osservare un anziano e un bambino che utilizzarono i portici del bar come rifugio dalla pioggia che aveva cominciato a battere in maniera più insistente.
«Abbiamo finito?» chiese Michael incerto.
«Come mai allenatore?».
«Mi piaceva l’idea di vivere delle avventure, di conoscere persone nuove e entrare a contatto con delle altre culture. Non ho partecipato alla Lega di Johto o di Kanto, ma ho visitato quelle regioni, sono posti stupendi, con allenatori e storie eccezionali. Quella di allenatore è un’attività che forma in tutto e per tutto e credo inoltre che questa sia la motivazione principale che spinge tutti gli allenatori a partire, no?».
No, non era la motivazione principale. Quante persone avevano inseguito la fama ed erano cadute sotto gli attacchi di Dream? Tante, moltissime. Se tu fai un lavoro solo per il successo, il successo sguscia via tra le mani, come quando stai facendo un bagno in mare e tenti di acchiappare i piccoli pesciolini di vario colore che ti piombano casualmente davanti gli occhi.
E di sé, che dire? Tutte le volte che se lo era chiesto sapeva almeno di essere sincero: non era per vincere. Era partito perché sapeva di essere superiore, voleva essere il migliore. E se per dimostrarlo avrebbe dovuto sotterrare le altre persone, allora le avrebbe sotterrate tutte. Se avesse mai parlato con uno psicanalista, probabilmente questi gli avrebbe fatto notare come in realtà fosse una persona incredibilmente insicura e che utilizzasse la dialettica tagliente, supponente e la sua squadra come uno scudo. Sarebbe bastato un evento non grave per far implodere il bozzolo o renderlo una camera asfissiante. E accadde qualcosa di dimensioni gigantesche. La morte di Umbreon. Da quel momento il mondo ai suoi occhi era mutato. Il modo in cui avvenne il cambiamento era così violento e improvviso che era paragonabile a dover saltare da un aereo in fiamme senza avere il tempo di prendere il paracadute.
«Michael, un’ultima domanda, poi ti prometto che abbiamo finito: quanti anni hai?».
«Sedici, perché?» chiese il giovane allenatore inarcando le sopracciglia.
Dream mise via il blocchetto e richiamò Dragonite nella sua sfera prima di aprire la bocca per rispondere. Non ci voleva credere minimamente. Non ci poteva credere.
«Perché sei più maturo tu della gente della mia età che mi circonda».
 
I due si salutarono e Dream cominciò a camminare lungo la sponda sinistra del fiume, tenendo nella mano destra il manico di un grosso ombrello nero comprato in un negozietto poco distante dal bar. Gli occhi seguivano un piccolo peschereccio che si dirigeva verso il porto. Era diretto a Giubilopoli, nella sede regionale del quotidiano, dove avrebbe dapprima scritto l’articolo e poi lo avrebbe inviato ad Elvira.
Era immerso nei suoi pensieri eppure, improvvisamente, si destò da questi e si rese conto che qualcuno dietro di lui stava correndo. L’incedere dei passi si faceva sempre più vicino e Dream si voltò, notando che Michael lo voleva raggiungere. I capelli erano ormai schiacciati sulla fronte bagnati e fradici erano anche i suoi abiti.
«Tu perché lo sei diventato?» chiese una volta fermatosi, posando le mani sulle ginocchia e piegandosi in avanti, tentando di riprendere fiato.
«Cosa?» pronunciò gelido Dream.
«Allenatore – specificò il ragazzo, mettendosi le mani sui fianchi e facendo ampi respiri – perché lo sei diventato?».
«Credo… per il brivido dell’avventura, il fascino dell’ignoto» mentì Dream. Non gli andava di rivelare così tanto di se stesso ad un estraneo, o meglio, non gli andava di rivelare così tanto di se stesso ad una persona.
«E perché hai smesso?».
Dream sbuffò, si girò di spalle e ricominciò a camminare con passo svelto, sperando ingenuamente che questo avrebbe tenuto lontano il ragazzo che però cominciò anche lui a camminare affianco a Dream, mettendosi le mani in tasca: «Hey, rispondi».
«Ho perso qualcuno» rispose con lo stesso tono l’ex Campione.
«Chi? Un pokémon?».
«E’ corretto». Dover portare alla memoria i fatti accaduti due anni prima avevano creato un nodo in gola al giornalista. Perché Michael insisteva tanto? Aveva avuto la sua intervista, aveva fatto un’ottima figura, cos’altro poteva volere?
«Anche io persi un pokémon quando ero a Hoenn, poco dopo la fine della Lega. Era uno Staraptor, fu il secondo pokémon che catturai, sai? Si ammalò un inverno, tentammo il possibile ma praticamente non ci fu niente da fare. Era condannato… - Michael si fermò esausto, non riusciva a tenere il passo con Dream – ti prego, vuoi fermarti?».
Dream interruppe la sua camminata e guardò scocciato il ragazzino.
«Grazie… Beh, è successa la stessa cosa che succede a te ora. Non avevo voglia di lottare, avevo perso ogni interesse. Poi sai cosa è successo?».
Dream non rispose, continuando a osservarlo in maniera gelida.
«Martin, il famoso Campione, mi ha voluto incontrare. Abbiamo passato una giornata assieme, parlando e riflettendo su quanto la vita sia un bene prezioso. Poi mi ha sfidato ufficialmente e sai come funziona, non puoi rifiutare».
La “Sfida ufficiale” è una richiesta di combattimento che solo i Campioni della Lega Pokémon possono inoltrare. Se si rifiuta la battaglia, si perde automaticamente la propria scheda allenatore oltre a vedere annullato qualsiasi diritto nei confronti dei propri pokémon. Era una regola sancita dall’Articolo 11 della Costituzione, ideata nell’immediato secondo dopoguerra, quando molte persone si fingevano allenatori per poter utilizzare i pokémon per compiere furti e saccheggi. I Campioni, che si pensava vivessero in una situazione economica agiata da non aver necessità di rubare, dovevano appunto vigilare su questo fattore e da qui nacque la norma costituzionale.
«Tu però non credo che abbia bisogno di una sfida ufficiale, no? Sei andato ad Unima questa primavera…». Michael era fiducioso di poter abbattere il muro di cinta che circondava Dream. Si sentiva vicinissimo dal poterlo toccare.
«Michael, sono andato ad Unima per evitare che le persone mi chiedessero perché non ero andato ad Unima. Non ho mai avuto intenzione di battere la Lega Pokémon. Ci tenevo semplicemente a non farmi rompere i coglioni da nessuno».
Lo sguardo di Michael si fece cupo, quasi deluso dalla risposta. Doveva forse puntare sulla provocazione?
«Lo sai cosa dicono i miei amici di te?» pronunciò terminando la domanda con un ghigno provocatorio.
«E dovrebbe interessarmi perché?» chiese Dream, tentando di prendere in contropiede il giovane allenatore.
«Dicono che sei un buono a nulla. E che, fondamentalmente, conscio della tua situazione di allenatore in decadenza, attacchi i neo-Campioni per poterti sentire migliore di loro».
Dream ricominciò a camminare, assicurandosi con la coda dell’occhio, che Michael facesse altrettanto: «La gente può dire e pensare quello che vuole. Non devo spiegare come mi sento quando intervisto qualcuno né i motivi che mi spingono a fare determinate domande. E caro Michael, dì pure ai tuoi amici che non accetto lezioni o prediche su come combatto da personcine che se fossero finite sulla mia strada sarebbero state asfaltate».
Un fuoco si era riacceso dentro Dream, come quando Rosso gli aveva detto che Alexei Know lo aveva in qualche modo soprannominato uomo delle pulizie.
«Così offendi i miei amici, però…», anche la voce di Michael si era fatta più aggressiva rispetto a prima.
«Tra poco mi scuserò» pronunciò sarcastico.
«Lo sai che un cane ferito prima o poi morde?» continuò Michael, con un tono di voce che diventava sempre più di sfida.
«Certo, ma io sono il re leone e posso attaccare quando voglio chi voglio» concluse Dream sorridendo beffardamente.
Michael si fermò. Per un attimo, solo per un attimo, Dream pensò che era riuscito a toglierselo di torno. Ma sapeva che non era così e forse, nel profondo della sua anima, se lo augurava anche.
«Dimostramelo che sei il re leone, Dream. Io, Michael Butt, Campione della Lega Pokémon di Unima, ti sfido ufficialmente in una battaglia di pokémon».
Dream cominciò a ridere nervosamente: «Non combatto più da molto tempo e non intendo ricominciare oggi, caro».
«Possiedi ancora la tua scheda allenatore?».
Dream si fermò, definitivamente. Chiuse l’ombrello, permettendo che la cascata d’acqua che stava flagellando Canalipoli lo bagnasse completamente. Si passò la mano destra tra i capelli, sorridendo ancora in maniera nervosa: «Cosa vuoi fare? Ritirarmela?».
«E’ nei miei doveri di Campione… D’altro canto a te non interessa più essere allenatore, non ti scoccerà quindi che i tuoi titoli vengano cancellati». Lo sguardo del biondo era acceso. Voleva la battaglia, voleva sfidare colui che la storia l’aveva scritta. Dream si trovava ora con le spalle al muro. Michael non avrebbe accettato un “no” come risposta, come quelle che aveva rifilato a Rosso ogni qual volta aveva provato a parlare di sfida ufficiale. Michael si sarebbe davvero spinto fino al punto di cancellare il passato di Dream, di rendere i suoi ricordi vani, come i titoli da lui vinti da quando aveva dieci anni. Il mondo sarebbe mutato un’altra volta, troppo velocemente per preparare il paracadute, con la differenza che questa volta poteva evitarlo. Doveva evitarlo. Voleva evitarlo.
«Tre pokémon a testa, Michael» annunciò Dream arrendendosi.
«Mi sta bene!».
Dream osservò la sua cintura con le sei sfere poké. Conosceva abbastanza bene la squadra del suo avversario, ma non abbastanza bene da immaginare con certezza quali pokémon avrebbe scelto.
Era agitato come non lo era da tempo, stava per fare qualcosa che non faceva da moltissimo, gli pareva fosse passata un secolo ed era in un certo senso anche divertito dalla sfrontatezza del suo sfidante, una mancanza di discrezione positiva, che si prendeva gioco del grigiore che lui invece aveva abbracciato e fatto suo.
Prese la prima sfera che aveva nella cintura, era il primo pokémon ricevuto, quello forse con cui strinse il miglior rapporto ed anche colui che più soffrì della scelta di abbandonare la carriera di allenatore. Dream gli doveva il piacere della lotta, doveva mandarlo in campo per primo e doveva farlo vincere.


«Vai, Feraligatr» gridò Dream, nello stesso momento, Michael lanciò in campo Volcarona. Un pokémon di tipo Acqua contro uno di Coleottero e Fuoco. La partita si aprì facilmente per Dream.
«Volcarona, Gigassorbimento».
«Feraligatr, evitalo con Acquagetto!».
Il pokémon d’Acqua si mise su quattro zampe e cominciò a correre rapidamente verso il suo avversario, mentre una leggera ma resistente coltre d’acqua gli si formò attorno, arrivando ad evitare con maestria l’attacco nemico ma, al contempo, colpendo Volcarona sul fianco, facendolo piroettare all’indietro.
«Volcarona, approfittane e usa ancora Sanguisuga!» gridò il Campione.
Volcarona si fermò e con un solo battito d’ali piombò sul volto di Feraligatr cominciando a succhiarne l’energia.
Feraligatr si alzò sulle due zampe inferiori, mentre con le zampe superiori tentava di togliere il pokémon Coleottero dal proprio volto.
«Che mossa ridicola, e tu saresti un campione? Feraligatr, coraggio, Idropompa!».
Era notoriamente conosciuto che una delle parti più potenti del pokémon d’Acqua era la sua mascella. Il pokémon di Dream aprì a fatica la bocca, ostruita dal nemico, ma fu sufficiente per creare il flusso d’acqua che riversò violentemente sul pokémon nemico che venne buttato a terra a poca distanza.
«E ora, Feraligatr, finiscilo con Sgranocchio», e così, tornato a quattro zampe, raggiunse il pokémon Sole e lo strinse tra la mascella, scuotendo la testa come una belva selvaggia.
Volcarona era KO.
 
«Bene Feraligatr, rientra. Espeon, è il tuo turno!», mentre Michael lanciò in campo un esemplare di Archeops.
«Espeon, Doppioteam, coraggio» gridò Dream.
«Archeops, anticipalo, Acrobazia!» controbatté l’avversario.
Rapidamente, l’intero campo di battaglia si riempì di Espeon seduti, che osservavano magnetici il pokémon Roccia-Volante. Archeops, era già volato in aria e stava colpendo uno dei tanti cloni quando il suo allenatore lo fermò: «Archeops, fermo! – poi osservò il suo avversario - Non ho mai visto un Espeon così veloce».
«Modestamente – sorrise Dream – so allenare i miei pokémon! Espeon, Calmamente!».
Il pokémon Psico e tutte le sue copie chiusero gli occhi e cominciarono a battere delicatamente la coda sul terreno, mentre l’aria diventò pesante, quasi densa.
«Sarebbe un problema se tutti i tuoi cloni venissero distrutti, vero?».
«Cosa?» domandò spaventato il ragazzo.
«Archeops, Terremoto!».
Archeops planò delicatamente sul terreno e cominciò a calpestare il terreno sotto di sé creando un violento terremoto che colpì in pieno Espeon.
Tutte le sue copie sparirono e il pokémon Psico si mise a camminare per il terreno sbandando, come se fosse confuso.
«Archeops, finiscilo! Acrobazia!».
Il pokémon Volante volò in alto e poi prese a colpire più e più volte Espeon che finì sfinito a terra.
«Oh, Espeon, torna qui». disse Dream con disappunto e dispiacere. Aveva ancora un pokémon a disposizione. Prese in considerazione l’ultima aggiunta al team, la più recente e forse anche la più potente.
Dragonite venne aggiunto al team immediatamente dopo la morte di Umbreon, nel settembre del 2014 per la partecipazione di un evento della Lega Pokémon a cui non poteva presentarsi con una squadra incompleta. Il suggerimento gli venne dato da Rosso, che considerava grave l’assenza di un tipo Drago nella squadra del suo amico.
«Dragonite, tocca a te, vai».
«Druddigon – gridò contemporaneamente Michael – è il tuo turno!».
«Due pokémon drago! Quale lotta leggendaria!» disse Dream sarcastico, «Dragonite… Bora».
Il Pokémon di Dream aprì le ali e cominciò a sbatterle violentemente, portando la pioggia a sbattere contro Druddigon e il suo allenatore. Il vento fece così congelare l’acqua trasformandola in una micidiale tempesta di ghiaccio contro il pokémon di Michael che venne gravemente ferito dalla mossa.
«Druddigon, rispondi con Vendetta!».
Il Pokémon del Campione si alzò in volo e muovendosi rasoterra, arrivò ad afferrare Dragonite e lo portò in aria.
«Dragonite, Oltraggio!».
Il Drago di Dream cominciò ad agitarsi colpendo lievemente Druddigon, che nel mentre aveva invertito la rotta del suo volo, dirigendosi precipitosamente verso terra.
Mancavano pochi metri allo schianto, Dragonite difficilmente sarebbe sopravvissuto al colpo, ma a quella velocità anche Druddigon ne sarebbe stato coinvolto.
Allo stesso istante, sia Dream che Michael pensarono che era inutile continuare a lottare. Michael aveva raggiunto il suo obiettivo, oltrepassare il muro di cinta e scatenare una reazione in Dream che si comportava come se avesse perso i freni inibitori. Non aveva davvero più senso continuare a lottare.
All’unisono, i due ordinarono ai propri Draghi di fermarsi e di tornare davanti a loro.
 
Il Pokégear aveva cominciato a vibrare, facendo intendere che era appena arrivato un messaggio. E dal numero di vibrazioni, capì anche che la persona che lo aveva cercato era Elvira.
«Orbene?» chiese Dream divertito.
«Direi che può bastare, non male per “Il re leone”! Ora cosa farai? Torni a scrivere articoli attirandoti l’odio del mondo oppure riprendi ad essere un allenatore?» chiese il sedicenne mettendosi le mani ai fianchi.
«Oh, non lo so… E l’odio del mondo me lo attiro anche combattendo, non solo scrivendo...». Alzò gli occhi e indicò l’oggetto che teneva al polso. «L’unica cosa certa è il lavoro, mi aspettano a Johto per un servizio». Il suo sguardo era perplesso, dubbioso e tornò a posarsi sul telefono cellulare.
«E’ successo qualcosa?» chiese Michael inclinando la testa leggermente verso destra.
«E’ che... Al Bosco di Lecci stanno dando di matto, dicono di aver visto un pokémon leggendario».
«Davvero? Dove?!» Michael era eccitato, il contrario di Dream che non era minimamente solleticato dall’idea di trovarsi immischiato in una stupida leggenda metropolitana.
«Sali su Dragonite, voglio farti capire da che gente devi stare lontano» poi osservò nuovamente il telefono cellulare e quel messaggio dal contenuto eccitato: “Corri subito! Delirio al Bosco di Lecci, hanno avvistato Jirachi!”.
   
 
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