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Autore: Vic 394    22/08/2014    10 recensioni
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Durante il giorno è più facile festeggiare. Quando calano le ombre della sera, Valka e Hiccup devono fare squadra per non lasciarsi inghiottire dal buio.
"Combatté l’improvviso groppo in gola che sembrava volerla strozzare, mentre la mano di Hiccup si staccava da lei per tornare a penzolare al fianco del suo proprietario, lasciandola sola, scoperta, al freddo.
Voleva tornare tra quelle braccia, Valka, proteggere e sentirsi protetta al tempo stesso. Dimenticare il mondo di fuori e i suoi fantasmi."
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Valka
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La battaglia era stata violenta, devastante. Che Berk fosse sopravvissuta era stato quasi un miracolo.
Hiccup e Sdentato avevano lottato fianco a fianco, per proteggere la loro casa. La loro tenacia e il loro coraggio erano stati ripagati con la vittoria su Drago.
Ora Hiccup era il nuovo capo di Berk, colui che sulle sue giovani spalle avrebbe tenuto il peso che suo padre aveva portato e a cui era stato preparato nel corso degli ultimi anni.
Mentre i festeggiamenti, spostatisi nella Sala Grande del villaggio, proseguivano ormai da ore, col calare delle tenebre si affievolì quel senso di leggerezza portato dal giorno e gli ultimi fatti accaduti iniziarono a diventare più reali e tangibili nella mente di chi li aveva vissuti.

Valka uscì dalla sala, respirando a pieni polmoni l’aria fresca della sera. Berk era davvero irriconoscibile, come le aveva detto Stoick, ma non solo per le lastre di ghiaccio che avevano distrutto alcuni edifici. Tra le macerie si percepiva un posto diverso, più adatto alla vita con i draghi che lei aveva sempre desiderato. Con calma, seguita da Saltanuvole, cominciò a camminare verso quel luogo in cui non aveva messo piede negli ultimi vent’anni.
Non sapeva se avrebbe trovato la forza di entrare in quella che una volta chiamava casa. Esitò per svariati secondi davanti alla porta che le pareva così grande e minacciosa, con la mano a mezz’aria, come spaventata di potersi scottare toccando la maniglia.

Finalmente prese coraggio e si decise ad addentrarsi. Non permise al suo drago di seguirla; doveva tornare in quel mondo da sola, prendersi del tempo in completa solitudine per studiare quel luogo così familiare e al tempo stesso misterioso.
Valka esaminò con cura ogni angolo del pianterreno di quell’abitazione che non le apparteneva più, ma che urlava i nomi di Stoick e Hiccup, tra le armi del primo e i progetti meccanici dell’altro, che giacevano abbandonati sul tavolo. Era come se la sua presenza fosse stata pian piano cancellata dal tempo, seppure alcuni oggetti che riconobbe come suoi erano rimasti al loro posto per tutti quegli anni. Sembrava quasi che Stoick avesse cercato di lasciarla andare, senza mai peraltro accettare del tutto la sua scomparsa.
Lentamente la donna salì al piano di sopra, lasciando che i polpastrelli scorressero lungo il muro freddo e ruvido.

La porta chiusa della stanza che aveva condiviso col marito la inchiodò sul posto. Non riusciva a immaginare come si sarebbe sentita, se avesse deciso di provare a dare un’occhiata all’interno. Sarebbe stato più semplice, con Stoick al suo fianco.
La sua mente venne attraversata da un pensiero che le fece battere forte il cuore nel petto: non avrebbe mai più messo piede in quella casa, in quella stanza, tenendo per mano il suo amato.
A lungo aveva sognato di ricongiungersi a lui, a volte aveva pensato di abbandonare la sua vita in mezzo ai draghi per tornare tra le sue braccia. La nostalgia l’aveva quasi fatta impazzire. E quando aveva quasi perso la fede nelle sue preghiere di rivedere Stoick e abbracciare suo figlio, gli dei le avevano donato la possibilità di una nuova vita.
Stoick era cambiato; non l’aveva incolpata per la sua assenza, non l’aveva condannata per aver vissuto con le creature che i vichinghi avevano combattuto per secoli, non le aveva rinfacciato di essersene andata abbandonando sia lui che il loro unico bambino.
No, lui l’aveva travolta con tutto quell’amore che non aveva mai smesso di provare. L’aveva baciata, l’aveva stretta a sé, aveva cantato e ballato con lei.
Cosa ancora più sbalorditiva, Stoick aveva il proprio drago. Hiccup aveva operato il miracolo, riuscendo dove lei aveva fallito tempo prima, rendendo possibile quella metamorfosi in quell’uomo duro chiamato l’Immenso.
Un giorno. La sua vita era stata perfetta, solo per un giorno.
Sospirò, l’unico suono nel silenzio assordante dell’abitazione, e voltò le spalle a quella stanza. Non era ancora il momento.
Di fronte a lei c’era quella che indovinò essere la camera di Hiccup. Presa dalla curiosità, Valka entrò lentamente, rimanendo affascinata dagli innumerevoli disegni appesi al muro, riproduzioni di terre sconosciute, ritratti di draghi, che in considerevole maggioranza rappresentavano Furie Buie, e progetti di arnesi la cui funzione sembrava incomprensibile.
Valka fece vagare gli occhi per quelle quattro mura che portavano il nome di Hiccup, finché un particolare oggetto non attirò la sua attenzione.

Hiccup aveva notato l’uscita di scena di Valka. Con la coda dell’occhio l’aveva seguita fino al portone della Sala Grande, per poi perderla di vista una volta che era sgattaiolata fuori.
Le avrebbe lasciato il suo tempo. Correrle dietro probabilmente non sarebbe stata una buona idea. E abbandonare di punto in bianco una festa in proprio onore non sembrava molto educato, come gli aveva ripetuto molte volte Stoick. Fu ore dopo, quando tutti se ne furono andati e dopo che anche Astrid lo ebbe salutato con un bacio troppo lungo ma più che meritato, che il ventenne si mise sulle tracce della madre.
Dopo essersi perso per un paio di secondi a contemplare il villaggio, il suo villaggio, cominciò a temere che Valka fosse tornata al Santuario. Il pensiero lo colpì spaventandolo più di quanto credesse possibile. Fortunatamente, i suoi dubbi vennero scacciati dalla sagoma di Saltanuvole che si stava arrampicando sul tetto della sua casa, appollaiandosi non troppo lontano dalla finestra della sua stanza.
Hiccup tirò un sospiro di sollievo e si incamminò verso la nuova meta.

Dentro casa il silenzio regnava sovrano, soffocante al punto che il ragazzo faticò a credere che ci fosse effettivamente qualcuno.
«Mamma?» tentò a voce bassa, senza ottenere risposta.
Una volta accertatosi che nessuno si trovasse lì con lui, Hiccup puntò alle scale. A metà della salita si bloccò, voltandosi verso la sala sotto di lui. Notò piccoli dettagli, ciotole troppo grandi per lui abbandonate nel lavello nella fretta di raggiungere Skaracchio per parlare di chissà cosa, armi e qualche scudo scheggiato ammassati disordinatamente in un angolo in attesa che qualcuno gli desse una sistemata, un enorme boccale ancora mezzo pieno che troneggiava sul tavolo, accanto ai suoi progetti per la nuova sella di Spaccateschi.
Molte piccole cose indicavano che quello era il focolare di Stoick l’Immenso. Quelle piccole cose che lui non avrebbe più toccato, in quel luogo che non avrebbe più visitato. Hiccup provò un tuffo al cuore al pensiero che sarebbe dovuto essere lui a fare ordine in quella casa, perché suo padre non avrebbe più lavato i piatti fischiettando motivetti allegri.

Con un sorriso triste continuò la sua salita e intravide la figura di Valka, nella sua stanza.
«Mamma?» chiamò più dolcemente, appoggiando una mano allo stipite della porta.
La donna si riscosse e guardò il figlio con occhi lucidi.
Era seduta sul suo letto, rigirando tra le mani un fagotto di pezza che Hiccup riconobbe come il suo draghetto di peluche.
«Credevo che questo fosse andato perso.» commentò Valka, sfiorando con dita leggere le cuciture del giocattolo, con aria concentrata.
«Recuperarlo non è stato per niente semplice.» ammise il castano, grattandosi la testa e sopprimendo un risolino al ricordo di quella piccola avventura.
«Anzi, fu una vera epopea» aggiunse, sedendosi accanto alla madre «è una storia che vorrei raccontarti, un giorno.» con riluttanza, Hiccup stese un braccio timido verso la donna alla sua destra.
Valka non si era accorta di nulla, ancora intenta a esaminare ogni centimetro del piccolo drago che lei stessa aveva fabbricato. Sussultò leggermente quando sentì sulle spalle una presenza che la riscaldò in pochi attimi, facendola rilassare.
Chinò la testa, poggiandola sul cuoio dello spallaccio di Hiccup.
«Mi piacerebbe ascoltarla.» rispose, chiudendo gli occhi.

Nessuno dei due disse nulla per un po’, assaporando il silenzio e la calma di quel momento così privato tra madre e figlio.
Hiccup sospirò piano, accarezzando distrattamente il braccio di Valka e cercando di coordinare i loro respiri, assordanti nella quiete. Avrebbe voluto ordinare al tempo di non avanzare oltre, di lasciarli soli a godere della compagnia l’una dell’altro, che per tanto gli era stata negata.
Ma nessuno ascoltò la preghiera silenziosa del ragazzo, mentre veniva attaccato dalle immagini vorticanti di ciò che era successo negli ultimi giorni, che ancora gli sembravano irreali.

Finalmente fu Valka a spezzare l’idillio, raddrizzandosi.
«Dovremmo andare a dormire, domani le riparazioni del villaggio non si organizzeranno da sole.»
Hiccup non sapeva se la madre stesse parlando direttamente a lui o ricordando la situazione a se stessa. Ma il tono con cui aveva espresso quella frase era stato sufficiente perché il simbolo che il castano aveva disegnato sulla fronte iniziasse a bruciare, rendendo pesanti i suoi pensieri, ricordandogli perché si trovava lì e quale fosse il suo significato.
«Forse sarebbe meglio.» concordò Hiccup, strofinandosi inconsciamente una manica sulla fronte, fin quando anche l’ultima macchiolina nera non venne via.
Nessuno dei due si mosse per un altro minuto, nonostante tutto.

Valka fece per rimettere al suo posto il giocattolo che ancora teneva in mano, il cuore pieno di gioia al pensiero che Hiccup amasse averlo tanto vicino a sé.
Chissà se l'aveva mai stretto nelle notti più buie, chissà se lo aveva abbracciato quando si era sentito solo, dopo essersi svegliato a causa di qualche incubo. Chissà se aveva pensato a sua madre quanto lei aveva pensato a suo figlio.
Chissà se un giorno sarebbe davvero riuscito a perdonarla per la voragine che gli aveva lasciato nel petto.
Combatté l’improvviso groppo in gola che sembrava volerla strozzare, mentre la mano di Hiccup si staccava da lei per tornare a penzolare al fianco del suo proprietario, lasciandola sola, scoperta, al freddo.
Voleva  tornare tra quelle braccia, Valka, proteggere e sentirsi protetta al tempo stesso. Dimenticare il mondo di fuori e i suoi fantasmi.

Hiccup non si era accorto che la madre si fosse alzata, anche lui immerso nei suoi pensieri tanto da sembrare in tutt’ altro posto.
Scattò in piedi troppo in fretta, urtando il letto con lo stinco abbastanza violentemente da far cadere un vecchio elmo, che pendeva pigramente dalla testata.
La donna lo raccolse, mentre Hiccup si massaggiava la gamba dolorante, arrossendo per la sua sbadataggine.
«Molto resistente.» constatò Valka, passando le mani curiose sull’oggetto «Avevo un’armatura simile, anni fa. Era una delle mie preferite.» raccontò, lasciandosi prendere per un attimo dall’eccitazione.
«Già: avevi…» Hiccup arrossì ancora più violentemente, passandosi nervosamente una mano tra i capelli mentre la madre gli scoccava un’occhiata interrogativa.
«Ecco, quando sei…» il castano cercò di trovare le parole adatte per cercare di superare quella che si sarebbe potuta rivelare una brutta trappola. Lo sguardo di Valka si rabbuiò.
«Sì, insomma» Hiccup gesticolò nervosamente «papà voleva che entrambi avessimo qualcosa di tuo da portare sempre con noi. E quell’elmo è… Quello è metà del tuo pettorale.» ripeté le parole che il padre aveva detto a lui cinque anni prima, imbarazzato come non mai.
L’espressione di Valka, non appena il suo cervello realizzò le parole appena udite, fu qualcosa di impagabile.
Suo malgrado, Hiccup si ritrovò a ridere. Rise così forte che per un momento sembrò che le pareti tremassero.
«S-scusa.» rantolò, asciugandosi una lacrima allegra e tenendosi lo stomaco con una mano.
«È solo che quella è stata la mia identica reazione, quando papà me l’ha regalato.» si giustificò, respirando a fatica e gesticolando verso la donna.
Anche Valka sorrise, dopo lo sconcerto iniziale.
«In effetti sembra proprio una delle brillanti trovate di tuo padre.» concesse, alzando giocosamente gli occhi al cielo.
«Non ne hai idea. È sempre stato così, strano e imprevedibile a modo suo. Lui è… Era…»
La voce di Hiccup andò scemando. Il suo sorriso si fece sempre più piccolo, fino a sparire del tutto. La sua risata fu deformata da un singhiozzo. Le lacrime di gioia si trasformarono in un torrente amaro.
Si afflosciò di nuovo sul letto, affondando la testa fra le mani e seppellendo le dita fra i capelli, in un pianto che non era mai stato così disperato.
Anche Valka pianse. In silenzio, senza realizzare se la causa delle proprie lacrime fosse il dolore per la perdita del suo amato o la vista di quella creatura piegata da un orrore che non avrebbe mai dovuto conoscere.
Sedette accanto a lui, circondandolo con le braccia, con tutto l’amore e il calore che poteva trasmettergli. Lo attirò più vicino, lasciando che le gocce salate bagnassero il suo seno, accarezzandogli i capelli castani, posandogli di tanto in tanto un bacio sulla fronte. Prendendosi cura di lui come solo una madre avrebbe saputo fare.
Hiccup la strinse, come se avesse avuto paura che potesse svanire all’improvviso. Era successo troppe volte, nei suoi sogni.
«Mi dispiace.» singhiozzò. Neppure lui avrebbe saputo spiegare cosa intendeva.
Si stava scusando per non avere ascoltato gli avvertimenti riguardo a Drago? Si sentiva colpevole per quanto era successo a Stoick? Stava forse chiedendo perdono per essersi mostrato tanto debole di fronte a questa donna, che lo stava cullando dolcemente, sussurrando parole di ninne nanne dimenticate? Non avrebbe mai conosciuto la risposta.
«Non hai nessuna colpa.» lo confortò Valka, materna ma decisa.
«Niente di quello che è successo è colpa tua, Hiccup.»

Ci volle del tempo perché il ragazzo si calmasse. Si raddrizzò, non più preda dei sussulti. Aveva i capelli scompigliati, gli occhi rossi e gonfi, il viso bagnato, la casacca di cuoio fradicia di gocce cristalline.
Anche così eretto, in quel momento, con quell’espressione smarrita, sembrava così piccolo e fragile che Valka si chiese se sarebbe riuscito a sostenere il peso di un intero villaggio da governare.
Le sembrò di tornare a vent’anni prima, a stringere quel fagottino troppo piccolo, che lei era sicura non avrebbe superato l’inverno.
Non si era mai sbagliata tanto.
E non avrebbe mai più avuto alcun dubbio.
Prese il viso del figlio fra le mani, seria, costringendolo a guardarla negli occhi.
«Tuo padre è stato fino all’ultimo un uomo buono, forte e coraggioso. Non hai idea di quanto vi somigliate, Hiccup. So che sei spaventato, ma in questo momento più che mai sei tutto ciò di cui Berk ha bisogno. Lui aveva ragione: sei davvero pronto.» cercò di versare in queste parole il suo appoggio, il suo orgoglio, comunicandogli con lo sguardo che non l’avrebbe mai più lasciato solo. Lei, Skaracchio, Astrid, tutti lo avrebbero sostenuto.
Le labbra di Hiccup si schiusero in un sorriso piccolo ma sincero. Il dolore e la paura erano forti più che mai, ma ora sapeva con certezza che avrebbe avuto qualcuno accanto a lui, a tenerlo per mano almeno finché non sarebbe stato in grado di camminare da solo.
«Sono felice che tu sia qui. Grazie, mamma.» e quell’ultima parola, così naturale e al tempo stesso sconosciuta, risuonò nel silenzio come una promessa.
Perché, mentre si accoccolavano l’uno contro l’altra sotto la coperta, lasciando che finalmente il sonno venisse a prenderli, entrambi sapevano che niente li avrebbe più divisi.

Certo, c’erano ancora ombre da scacciare, crepe da risanare, ferite da curare, lacrime da versare e parole da dire.
Ma Hiccup e Valka l’avrebbero affrontato insieme, quel futuro.
Perché è questo che fa, una famiglia.






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Angolo Vic
A inizio luglio ho sognato lo svolgersi di questa fanfiction. Il mio punto di vista variava da Hiccup a Valka in queste scene, ed è così che ho voluto descriverla. Per una volta che faccio un sogno del genere, non potevo mica lasciarlo lì. E ci ho messo quasi due mesi per riuscire a ottenere questa roba. Giuro, è stata dura. Tutto questo lo dico per chiedere scusa alle mie amiche che ho torturato con i miei complessi.
Avendo appurato che non sono una persona normale, andiamo avanti.
Questo film è stupendo, davvero, ma il finale allegro non la dice proprio giusta. Certo, il lieto fine e quello che volete, ma non credo che sia andato tutto rose e fiori, soprattutto all'inizio. E adoro Hiccup e Valka, quindi a maggior ragione ho voluto descrivere come secondo me avrebbero interagito una volta rimasti soli. Spero di essere rimasta abbastanza fedele ai personaggi.
Scrivere questa storia mi ha dato una gioia che non riesco a spiegare, mi sono liberata di un peso. Spero vi piaccia almeno la metà dell'impegno che ci ho messo.
La dedico a CodaViola, la prima a sapere ogni cosa, e poi a Lia483, Symphonia e Flavia.
Grazie mille per essermi state vicino.
A presto

Vic
   
 
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