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Autore: Black_Eyeliner    22/08/2014    7 recensioni
Naruto torna a fare un giro notturno sulla sua altalena preferita.
[Naruto/Sasuke]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Altalena.

 
Il vento si sollevò all’improvviso. Serpeggiò come un rettile invisibile fra l’erba alta, smosse le larghe foglie dei cedri, zufolò fra le frasche rinsecchite dei cespugli; sferzò i gambi degli ultimi fiori maturati al sole e rubò alle giunchiglie pochi petali di un giallo tenue e malinconico, strappandoli alla corolla gonfia e portandoli via con sé insieme alla polvere e al profumo di un’estate ormai finita. Poi, con la stessa rapidità con cui aveva preso a soffiare, si placò e lasciò che la stasi si impadronisse di nuovo di quel laconico paesaggio notturno, restituendogli la plastica immobilità di una vecchia fotografia in bianco e nero.
Naruto si scosse via le foglioline rinsecchite che gli erano rimaste appiccicate tra i capelli, biondissimi e spettinati; le osservò sfarfallare via quasi fossero state ali di piccole falene, agognanti lo zenzero di cui sembrava essere fatta la luna di quella notte interminabile: un grosso, rotondissimo biscotto di zenzero dalla superficie mordicchiata e irregolare. Poi tornò a sorreggersi con entrambe le mani alle due funi che tenevano sospeso il panchetto di legno dell’altalena ad un ramo del cedro che da tempo immemore ombreggiava il sentiero davanti all’Accademia. E, dopo essersi guardato un’ultima volta intorno, con gli occhi blu quasi velati di un’effimera nostalgia, Naruto sorrise, impercettibilmente.
Quel luogo era davvero rimasto identico a come se l’era sempre ricordato.
Persino una fotografia sarebbe stata meno fedele all’immota perfezione con cui si era preservato fin nei minimi particolari, scampando alle intemperie, all’abbandono, alla guerra. Una fotografia finisce inesorabilmente per subire gli effetti del tempo: ingiallisce, diventa opaca, si screpola sui bordi, negli angoli; e il fascino di ciò che immortala, spesso, rimane tale solo perché quel “ciò” appartiene a un passato che probabilmente non si ripeterà mai più uguale a se stesso. Invece, quel piccolo parco a ridosso dell’Accademia recava ancora con sé l’incontaminata e assoluta bellezza di un’immagine clamorosamente viva, che lottava disperatamente per non diventare un mero ricordo destinato a sbiadirsi.
Ed era esattamente così che lui si sentiva, in quel preciso istante. Così terribilmente vivo che quel senso di incompletezza giunto improvvisamente a turbargli il sonno lo stava lentamente e dolorosamente straziando nello spirito, nell’anima, nella sua stessa carne, umana e vulnerabile come non mai.
Naruto smise improvvisamente di sorridere, abbassando pensieroso la testa; fece leva con la punta del piede nel terriccio che sottostava l’altalena e, dandosi una piccola spinta, fece sì che quest’ultima oscillasse debolmente sotto il suo peso.
Lo scricchiolare del legno e il frinire intermittente di una cicala nascosta chissà dove fra i rami degli alberi non riuscirono, però, a nascondere il suono dell’erba secca che veniva calpestata. Suono che il ragazzo biondo dalla tuta arancione non riuscì immediatamente a distinguere e che precedette la sensazione della lama gelida di un kunai premuta minacciosamente contro la sua gola.
-Sarebbe così semplice.
Il cigolio dell’altalena cessò di colpo, insieme al sussurro che Naruto avvertì alle proprie spalle e che accompagnò il fremito di sorpresa col quale semplicemente reagì, senza replicare alcunchè.
-Semplicissimo.
-Se è così semplice, allora fallo.
-Tagliare la gola al futuro Hokage. Nasconderne il corpo. Prenderne il posto come legittimo sostituto. Più che semplice, è addirittura perfetto. Non credi, Naruto?
-Non lo faresti mai. Non credo che il tuo sogno sia diventare il semplice sostituto di qualcun altro. Vero, Sasuke?
Naruto percepì una goccia di un sudore gelido colare dall’attaccatura dei suoi capelli, solcargli la tempia, poi la guancia e infine annidarsi sul suo collo, nella giuntura fra la mascella e l’orecchio.
-Sei sempre stato presuntuoso abbastanza da crederti capace di capirmi. Addirittura adesso ti senti in diritto di parlarmi di quali sono i miei sogni. La verità è che non sai tuttora niente di me.
Quel senso di incompletezza era di nuovo lì, poderoso, soffocante. Tangibile quasi quanto la presenza dietro di sé, quanto il tepore di quel respiro a solleticargli la nuca, il lobo dell’orecchio, un lato del collo. Sferzante quanto quelle parole in grado di fargli vibrare l’anima e il corpo nello spasimo incontrollabile di contraddirle, di provarle sbagliate. Ma Naruto non riuscì prontamente a ribattere; non ne trovò la forza, per la prima volta neppure la volontà, perché forse, ammise a se stesso in un barlume di improvvisa e insperata lucidità, Sasuke aveva ragione. L’aveva sempre avuta. Sospirò ad occhi chiusi, più che per il sollievo della lama che lasciava lentamente la sua carne con un graffio diritto sul suo pomo d’Adamo, per la consapevolezza di non essere stato forte abbastanza da salvare davvero quello che aveva sempre considerato il suo migliore amico. Una consapevolezza sconcertante, che si rafforzò nel momento in cui Sasuke raggiunse il suo fianco e Naruto potè  finalmente scorgere il suo viso, pallido e vagamente malinconico, fiocamente illuminato dalla luna i cui raggi filtravano attraverso il ricamo delle foglie del cedro. Anche Sasuke, se mai fosse stata scattata, avrebbe sicuramente meritato il suo posto in quella fotografia che li avrebbe visti entrambi così, di profilo, immobili e muti con gli occhi dell’uno fissi in quelli dell’altro sullo sfondo di un luogo che aveva negato loro la spensieratezza della gioventù e che li aveva resi prima amici, poi rivali: disperati, agonizzanti, feriti, bellissimi.
Naruto scrutò Sasuke col rapimento di chi ha visto il mare per la prima volta. Lo trovò ancora, come mille altre volte in passato, assolutamente bellissimo. Della stessa bellezza che gli era appartenuta un tempo e che, proprio come quella di quel luogo, era scampata al delirio, alla vendetta e alla guerra; della stessa bellezza sofferta che gridava muta di non essere ignorata. Della stessa bellezza di quel luogo, di una bellezza antica che lottava disperatamente per non diventare anch’essa mero ricordo, destinato inesorabilmente a sbiadirsi.
-Come mai sei qui? Non riuscivi a dormire?
Naruto si schiarì la voce, sviando di proposito la provocazione che l’altro gli aveva rivolto, rompendo per primo quel silenzio grave, pesante, carico di una tensione simile a quella di una battaglia incipiente.
-No. Mi andava semplicemente di fare due passi.
Replicò atono quello, appoggiandosi con le spalle al tronco rugoso del cedro, aggiungendo poi.
-Stavo semplicemente camminando e poi ho sentito il rumore dell’altalena.
-Hai immaginato che ero io?
-E’ naturale. Chi vuoi che vada sull’altalena alle tre di notte se non una testa quadra come te?
Lo punzecchiò volutamente caustico, ignorando l’espressione accigliata del ragazzo dai capelli color del grano e concludendo infine, con l’ennesima domanda, ma priva di retorica.
-E tu?
-Io non riuscivo a dormire davvero.
Il cigolio dell’altalena riprese non appena Naruto si diede di nuovo la spinta per farla ondeggiare ed enfatizzò la pausa che seguì a quella sincera confessione.
-Sei emozionato per la cerimonia di domani mattina?
-In realtà sì.
-Immaginavo, devi essere proprio felice, dato che domani realizzerai finalmente il sogno di una vita.
Naruto appoggiò bruscamente i piedi per terra, fermando di colpo il moto ondulatorio dell’altalena.
-Tocca a te essere presuntuoso.
Asserì deciso, neppure una crepa di esitazione a flettere la sua voce ferma, determinata.
-Non sono presuntuoso. E’ che a differenza di te, io ti conosco davvero, Naruto. So quanto sei sempre stato semplice. Con te è tutto semplice. Semplicissimo. Così semplice che posso leggerti dentro semplicemente guardandoti negli occhi.
Sulla falsariga di quell’affermazione, Naruto voltò la testa di scatto, indignato. Da sotto la frangia scura, gli occhi di Sasuke erano rimasti apatici, fermi da non tradire alcuna emozione. Neri come la notte, imperscrutabili come il fondale di un oceano inesplorato. Disseminato dai relitti di un passato innominabile, da tacere perché troppo doloroso se rievocato.
Naruto li scorse uno ad uno, gli amabili resti di colui che adesso gli stava davanti con la schiena contro il tronco dell’albero, le dita pallide e diafane a tormentare le piccole sporgenze della corteccia ruvida e nodosa.
Li scorse nei suoi occhi, nonostante non fossero limpidi e tersi e azzurri come i propri; li scorse e li amò incondizionatamente. Li amò quanto amava Sasuke stesso, perdutamente, incommensurabilmente, totalmente.
-Se tu fossi davvero in grado di leggermi dentro, capiresti che sono felice solo la metà di quanto potrei esserlo.
Il ragazzo dagli occhi neri ebbe un fremito lungo la schiena, che celò abilmente irrigidendosi, senza battere ciglio. Serrò le labbra sottili e chiare, le tirò in una linea diritta che dissimulò ogni possibile sbigottimento, invitando tacitamente l’altro a proseguire.
-E’ vero, ho passato quasi tutta la mia infanzia qui. Quest’altalena è sempre stata il centro della mia solitudine, ci ho passato pomeriggi infiniti a chiedermi cosa avessi fatto di male a meritarmi tanto disprezzo dagli altri.
Naruto prese fiato, abbassando nuovamente lo sguardo a terra, fissandosi i sandali di gomma impolverati. Prese fiato e riprese a parlare, con voce un po’ più roca, più bassa, volutamente contenuta.
-Più ci pensavo, più non sapevo rispondermi. E poi…
-E poi?
-E poi…
Deglutì, si morse lievemente il labbro inferiore, ed infine concluse, sottovoce.
-E poi sei arrivato tu.
-Per l’amor del cielo, Naruto.
Sasuke sbuffò tra il disorientato, l’imbarazzato e il seccato, portandosi una mano alla fronte, stringendosi fra il pollice e l’indice la sommità del naso in mezzo alle sopracciglia come fosse stato colto all’improvviso da un forte mal di testa. Poi soggiunse, come a voler scacciare quella sensazione di tepore nello stomaco, nella pancia, nel bassoventre, chiudendo gli occhi come a cercare le parole giuste.
-Eravamo solo dei bambini.
-Bambini che avevano entrambi dei sogni, ricordi, Sasuke?
-Sogni? Io avevo delle ambizioni, dannazione. Io volevo ammazzare mio fratello! E’ un sogno questo?
-E’ solo un diverso modo di chiamare le cose. Tu volevi ammazzare tuo fratello. Ed io volevo essere come te.
Sasuke alzò la testa di scatto, trasalendo, sgranando gli occhi, fissando attonito quelli azzurri, brillanti e risoluti di Naruto.
-Le cose cambiano, Naruto. Guarda questo posto per esempio. E’ cambiato un sacco.
-L’altalena c’è ancora.
-Siamo cambiati noi, te ne rendi conto, dobe?
-Ti sbagli! Io sono ancora Uzumaki Naruto della Foglia. E ho ancora quest’altalena, il mio nindo, i miei sogni!
Sasuke sussultò, stavolta vistosamente, gli occhi sbarrati e la bocca dischiusa come per replicare, senza però essere in  grado di farlo, lasciando continuare l’altro.
-E’ vero, domani realizzerò il mio sogno di diventare Hokage e ne sono felice. Ma non so perché, ho questa dannata sensazione che non potrò mai essere felice completamente se tu non lo sei.
-Il tuo egoismo è così spropositato che vuoi che io finga di essere felice solo per far felice te?
Naruto seguì con lo sguardo l’espressione di Sasuke adombrarsi ancora di più, le sue ciglia nerissime, le labbra e le mani vibrare di una rabbia a stento trattenuta e, al tempo stesso, di una malinconia inconsolabile, densa e sofferta. Ciò nonostante, proseguì, azzardando, rischiando, anche se le sue parole gli fossero costate un pugno in pieno viso.
-No. Io vorrei che tu capissi che domani non realizzo il mio sogno di una vita. Realizzo solo uno dei miei sogni che tu non ti sei neppure scomodato a chiederti quali fossero.
-Bene, allora uno lo conosco. E l’altro?
-Lo stesso di quando ero bambino e mi dondolavo su quest’altalena.
-E cioè? Essere come me?
-No. Essere insieme a te. Stare con te.
-Anche se ti dicessi che non voglio più stare qui a Konoha? Che sono stanco del modo in cui tutti mi guardano come se stessi per scappare di nuovo?
Sasuke abbassò la testa, lasciando che i capelli gli ricadessero in avanti fino a coprirgli completamente gli occhi; si morse le labbra e ripensò a quando era stato lui stesso un bambino, al dolore inconsolabile della solitudine, agli innumerevoli pomeriggi trascorsi seduti sul pontile ad abbracciarsi da solo le ginocchia in cerca di un amore che il destino gli aveva crudelmente negato, a lanciare sassi nell’acqua per distruggere quella debole immagine di sé che la superficie del lago gli restituiva e che aveva preso progressivamente a colpevolizzare, a rifiutare, ad odiare fino al punto di autodistruggersi nel pensiero logorante di una vendetta che aveva finito per ucciderlo dentro, nonostante il corpo rimanesse ancora ostinatamente vivo. Fu un attimo e lo sfiorò davvero il pensiero di voler morire.
-Quell’altalena è diventata troppo piccola per te, a stento ci entri. Quindi scendi Naruto. E abbandona il tuo sogno.
-Ti sbagli, ci entro benissimo. E volendo, ci entri anche tu.
Sasuke sorrise amaramente, scoccando un’occhiata mista fra il derisorio e il compassionevole al compagno, il quale lo fissò di rimando con l’aria  più seria che gli riuscisse dipinta sul bel viso giovanile e abbronzato, senza smettere di dondolarsi mollemente.
-Nemmeno quando avevo otto anni  sono mai andato sull’altalena.
-Vuoi provare?
Non fece in tempo a ribattere che il ragazzo dai capelli neri si sentì afferrare per un polso; la presa era brusca, irruente e il tepore della mano forte e ruvida di Naruto sulla propria pelle, algida e fredda, gli fece mandare giù la saliva con uno schiocco rumoroso, improvviso.
Si sentì tirare avanti con un impeto tale che non pensò nemmeno di opporre resistenza e, nel ritrovarsi col viso ad un palmo dal naso di Naruto, si sorprese al modo in cui il proprio cuore cominciò inspiegabilmente ad accelerare il battito.
-Sali.
Sasuke avvampò nell’istante in cui l’altro gli allacciò le braccia alla vita, spingendolo fino al punto da tirarselo addosso, a cavalcioni, con così tanta forza che gli si ritrovò senza volerlo aggrappato alle sue spalle, il viso nascosto nell’incavo del suo collo.
-Tranquillo. Non ti faccio cadere.
In quel punto dove teneva nascosto il viso, l’odore di Naruto era forte, leggermente frizzante, venato di un’essenza muschiata e mascolina, inebriante. Gli impedì di reagire, nonostante sarebbe stato semplice, semplicissimo. Bastò semplicemente quel profumo a far sì che, tutto ad un tratto, prendesse consapevolezza di essere fatto anche lui di carne, di anima, di spirito. Quasi percepì il proprio stesso sangue fluire nelle vene, fargli arrossire la pelle di un calore mai provato e si rese conto, per la prima volta da quando aveva otto anni, di essere ancora lo stesso di allora. Comprese, nella stretta appassionata di quell’abbraccio, che nulla era perduto come credeva. Seppe di essere vivo e il pensiero di voler morire lo lasciò con la stessa velocità con cui l’aveva sfiorato.
-Sono sempre stato solo su quest’altalena. Ma ora che c’è qualcun altro con me, posso dire di aver realizzato un altro dei miei sogni.
Sasuke percepì il moto dell’altalena arrestarsi dolcemente, il venticello della notte autunnale lenire il calore del suo viso ancora nascosto sulla spalla dell’amico.
-Ne hai altri ancora?
-A dire il vero, sì.
-Tipo?
-Questo.
 
Se qualcuno avesse scattato una fotografia a quel luogo, in quel momento, sarebbe stata una fotografia in bianco e nero.
Una di quelle da incorniciare nel plexiglass, per la paura che il tempo possa in qualche modo scalfirne l’immota bellezza. Una bellezza che lotta disperatamente per non diventare ricordo.
Naruto pensò a questo e a un’infinità di altre cose nell’intrappolare il mento di Sasuke fra l’indice e il pollice e nel posare le proprie labbra sulle sue. Pensò a quanto fosse fredda la sua bocca e a quanto fosse contraddittoriamente caldo il suo respiro. Pensò a quanto fosse assolutamente perfetta quell’improvvisa arrendevolezza dell’altro a lasciarsi baciare, a quanto non ci fosse nulla di più giusto e sensato dello schioccare delle loro bocche, dello sfregarsi delle loro lingue, dell’intrecciarsi delle loro mani intorno alle funi dell’altalena che scricchiolava rumorosamente sotto il loro peso. Pensò che niente avrebbe mai potuto pareggiare il sapore della bocca di Sasuke, più buono e assuefacente di qualsiasi cosa che avesse mai assaggiato, mangiato, bevuto. E si separò da lui per riprendere fiato con la paradossale certezza che non avrebbero mai più potuto separarsi, poiché ciascuno era divenuto nel tempo il necessario completamento dell’altro, un’unica imprescindibile ed innegabile realtà che concretizzava ogni sogno.
-E il tuo sogno, qual è adesso, Sasuke?
L’altalena riprese a dondolare e il vento esacerbò il profumo dell’erba, delle giunchiglie i cui petali gialli svettavano fra le foglie dei cespugli nel loro dolce resistere all’autunno appena cominciato. Una resistenza che Naruto non trovò nel momento in cui appoggiò la propria fronte su quella di Sasuke, i suoi occhi blu fissi sulle labbra ancora umide e schiuse dell’altro, i loro respiri ancora irregolari, leggermente affannati.
-Che mi fai scendere di qui, idiota.
-Ne hai altri ancora?
-Sì, ma non te li dico.
-Non c’è bisogno, tanto uno l’hai già realizzato.
-E cioè?
-Se è quello di essere amato, sappi allora che io ti amo da sempre, Capitano.
 
Sasuke scacciò via le mani del ragazzo biondo dalle proprie con uno sdegno più somigliante all’imbarazzo che al risentimento vero e proprio; nello scendere dall’altalena non mancò di colpire l’altro in un fianco col proprio piede, borbottando un “ops, scusa” credibile quanto il tenue rossore che gli aveva imporporato appena il dorso del naso. Poi  si spolverò con le mani la propria divisa di ANBU senza proferir parola, schioccando la lingua al palato e incamminandosi lungo la strada che conduceva verso casa. E non ebbe bisogno di voltarsi per rendersi conto che Naruto, appena dietro di lui, lo stava seguendo.
Il suo sogno di tornare a sentirsi vivo si era appena realizzato su quell’altalena, ora vuota, cigolante e sospinta lentamente dal vento autunnale.
Dopotutto, quel posto davvero non era cambiato granché.
   
 
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