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Autore: yllel    22/08/2014    2 recensioni
Considera la somma di tutte le cose e rifletti: se togli un elemento, quello che rimane e' ancora accettabile?
Questo e' il seguito di "Broken".
Post terza stagione e sherlolly. Di nuovo.
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ufficialmente ferie finite, mi consolo con un altro capitolo e poi diventerò inesorabilmente più lenta con gli aggiornamenti!
Grazie a martiachan commentatrice fedelissima e a cateperson per il suo entusiasmo. È arrivato finalmente il momento di Molly, con un piccolo intermezzo che spero tanto piaccia a... non lo dico, spoiler!
Le recensioni e i giudizi sono come sempre molto ben accetti, buona lettura!

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 3

 
 
Gli organi all’interno della cavità toracica erano in buono stato, e il decesso non sembrava essere imputabile a un cedimento di alcuno di essi.
Questo significava ulteriori esami approfonditi dei liquidi, del sangue e probabilmente del cervello.
Molly Hooper sospirò e iniziò a dettare le sue osservazioni nel microfono appeso sopra alla sua testa, adottando come sempre inconsciamente quel modo di parlare alquanto distaccato e professionale che le era invece cosi estraneo nella vita di tutti i giorni.
Una volta, Tom aveva sentito la registrazione di una delle sue osservazioni che stava trascrivendo al computer mentre la aspettava per uscire a cena (fortunatamente, non una di quelle troppo particolareggiate) e le aveva detto ridendo che gli sembrava di essere fidanzato con due donne contemporaneamente, la Dottoressa con il suo tono sicuro e diretto e la Molly che a volte in preda alla timidezza  ancora si emozionava, incespicava sulle parole e iniziava a balbettare.
Erano stati a conoscere i genitori di lui il weekend prima e lei ce ne aveva messo di tempo, prima di smettere di essere rossa come un peperone e riuscire a dire qualche parola in fila e a sentirsi un po’  a suo agio.
Ai genitori di Tom Molly era piaciuta molto e loro erano piaciuti a lei: c’era qualcosa di estremamente rassicurante in quel cottage di campagna e nel profumo di torta appena sfornata che l’aveva accolta sulla soglia, insieme ai sorrisi dei suoi futuri suoceri.
Forse aveva amato più l’idea di far parte della famiglia di Tom che lui stesso, pensò la patologa con amarezza e una punta di vergogna.
Aveva amato il pensiero di una vita tranquilla, serena e normale.
Noiosa, potè quasi sentire la voce di Sherlock martellare nella sua testa e lei non potè fare altro che darle ragione, ma al contempo...
Ma al contempo sarebbe stata la sua vita noiosa e lei si sarebbe accontentata, si sarebbe impegnata.
Aveva gettato tutto al  vento, però... e non se ne era accorta se non quando era stato troppo tardi. Ma  era stato meglio cosi, dopotutto, perchè Tom meritava molto di più che una moglie che si accontentava.
La questione che rimaneva era un’altra.
Lei ora che cosa si meritava?
Il bisturi scivolò con un movimento sicuro fra le sue mani lungo l’incisione che stava praticando, per nulla disturbato dalla stretta che si era fatta leggermente più marcata: Molly si fermò comunque un attimo e fece un secondo sospiro più profondo per riguadagnare tutta la sua concentrazione, poi terminò l’analisi che stava effettuando senza lasciare che altri pensieri cercassero di distrarla.
Era difficile, in quei giorni.
C’era stata la grande paura di rivedere Jim
(no, non Jim. Moriarty)
ovunque, su ogni schermo e video, e di porsi la grande domanda se fosse davvero possibile che lui fosse ancora vivo.
(Che cosa era peggio? Pensare che anche lui avesse inscenato la sua morte e fosse quindi pronto a tornare, o il pensiero che ci fosse qualcuno talmente pazzo e preparato tanto da essere in grado di “resuscitarlo” con chissà quale scopo?)
C’era stata l’ondata di crimini che era seguita, che aveva messo tutti a dura prova e aveva generato tante domande ma aveva fornito poche risposte.
E naturalmente c’era stato Sherlock, tornato dal suo esilio di quattro minuti e di nuovo pronto a giocare, come se non fosse successo nulla.
Come se non fosse stato sul punto di partire per andare incontro a una morte sicura.
Mentre cominciava a preparare i suoi strumenti per la pulizia, Molly ritornò con il pensiero al momento in cui aveva realizzato che quello di Sherlock era molto probabilmente un viaggio di sola andata. Nella sua testa c’era stato come un black out, per qualche minuto era stata semplicemente incapace di pensare a qualsiasi cosa. Poi era sopravvenuta la rabbia... rabbia verso Sherlock che si era cacciato in quel pasticcio , rabbia verso suo fratello che non sembrava intenzionato a bloccare quella follia, rabbia verso Magnussen e perfino verso John e Mary e per i loro problemi e  i loro segreti (perchè sul serio, per chi altri Sherlock avrebbe potuto uccidere un uomo a quel modo?)
Rabbia verso sè stessa, perchè questa volta non poteva fare nulla per aiutare.
Poi era arrivata la speranza, perchè doveva esserci una soluzione e se c’era qualcuno in grado di sopravvivere, quello era Sherlock Holmes e a quel pensiero Molly si era attaccata con tutte le sue forze.
Ma insieme alla speranza era arrivata la delusione finale, l’ultima di una serie che avevano costellato il suo rapporto con il consulente investigativo e quel giorno, ascoltando quella registrazione nell’elegante ufficio di Mycroft, il cuore di Molly si era definitivamente spezzato.
A Sherlock era stata offerta l’occasione di incontrarla un’ultima volta e lui non l’aveva ritenuto necessario.
Avrebbe potuto dire mille altre cose e non le avrebbe fatto cosi male.
Buffo, come una parola possa cambiare improvvisamente tutto, riflettè amaramente Molly mentre faceva partire la macchina per la sterilizzazione: fino a quel momento le era sembrato di poter sopportare anche gli ultimi avvenimenti, le droghe, il modo orribile in cui quella donna era stata usata, le parole cattive del giorno del test al laboratorio... ennesime bruciature che però si sarebbero rimarginate, con il tempo, perchè fra loro due era esistito anche dell’altro.
Tu conti.
La persona più importante per me.
Ma invece il cuore di Molly  non aveva retto a quell’ennesima scossa e si era spezzato per l’ultima, definitiva volta e lei era sicura che non sarebbe mai guarito del tutto, ma andava bene cosi.
Sarebbero rimaste delle cicatrici che l’avrebbero aiutata a ricordarsi del perchè la sua decisione di andarsene fosse giusta. Lei non voleva guarire, voleva ricordare e ricordando sarebbe ripartita per ricostruirsi una nuova vita.
Lontana dal fuoco che l’aveva bruciata cosi tante volte.
L’idea di lasciare Londra e il suo lavoro, di lasciare i pochi amici e tutte le sue sicurezze non era naturalmente nè semplice nè indolore, ma Molly risolveva tutti i suoi dubbi ponendosi una semplice domanda.
Che altro avrebbe potuto fare, se non allontanarsi?
Aveva già cominciato a farlo nelle settimane precedenti, con piccoli passi che comunque naturalmente Sherlock aveva colto e di cui le aveva chiesto conto, quella notte di una settimana prima: era contenta che avessero avuto modo di chiarirsi, per lo meno non era rimasto più nulla da dirsi e poco importava se le lacrime continuavano ad arrivare improvvise e traditrici, Molly Hooper era decisa ad andarsene.
Aveva fatto una promessa, però, e intendeva mantenerla, per questo era pronta al fatto che Sherlock sarebbe presto arrivato: se c’era stato un qualche sviluppo forse era finalmente arrivato il momento di risolvere la tremenda situazione in cui si trovavano e la patologa sapeva che Sherlock ce l’avrebbe fatta, la sua fiducia in lui e nelle sue capacità non era stata affatto intaccata e se poteva aiutarlo, l’avrebbe fatto. Greg le aveva appena mandato un messaggio avvertendola dell’imminente arrivo di un corpo e del contenuto di un “laboratorio” non meglio specificato, chiedendole di portare pazienza e permettere al consulente investigativo di lavorare li.
Molly scosse la testa, non c’era nessun bisogno di portare pazienza, dove altro avrebbe potuto lavorare Sherlock se non al Bart’s? Quella era una certezza che lei non avrebbe mai messo in discussione, troppe vite e troppe cose dipendevano da questo, anche se non poteva evitare di avvertire una certa inquietudine all’idea di rivederlo.
Sorrise leggermente al pensiero delle ultime parole che Greg aveva aggiunto nel suo sms.
Ha detto si.
Non era difficile capire di cosa stesse parlando, visto che nell’ultima settimana l’Ispettore non aveva fatto che esprimere alternativamente i suoi dubbi, la sua impazienza e il contemporaneo terrore all’idea di fare la sua proposta.
Ma soprattutto, Linda le aveva già mandato un messaggio entusiasta per annunciarle il fidanzamento.
La felicità è possibile, si disse risoluta Molly.
Esiste.
Bisogna solo rendersi conto di dove è possibile trovarla, continuò a ragionare mentre cominciava a pulire il tavolo di lavoro e sentiva delle voci avvicinarsi.
E dove invece è impossibile da conquistare, finì di pensare tristemente mentre Sherlock Holmes faceva il suo ingresso nell’obitorio.
 
***
 
Mycroft Holmes appoggiò la cornetta del telefono sulla sua scrivania ed emise un sospiro di impazienza, mentre cominciava nervosamente a tamburellare con le dita sul ripiano di legno pregiato.
Anthea, seduta dirimpetto a lui a un altro tavolo non meno elegante, non spostò gli occhi di un millimetro dal suo blackberry
“Richiamerà” si limitò a dire continuando a digitare sulla tastiera.
L’uomo alzò un sopracciglio contrariato.
“La tua fiducia nel genere umano non cessa ancora di stupirmi” disse con una punta di disdegno.
Lei fece un mezzo sorriso.
“L’agente Donovan può non essere la prima persona alla quale avresti affidato un incarico cosi importante come quello che sta svolgendo, ma è competente nel suo lavoro e conosce tuo fratello quel tanto che basta per esserne esasperata senza aver voglia di ucciderlo. Due qualità non indifferenti che non si associano spesso nella stessa persona, non credi?”
Mycroft incrociò le mani all’altezza dello stomaco.
“Questo dovrebbe essere un tentativo di rassicurazione?” chiese dubbioso.
La sua assistente alzò finalmente lo sguardo dal cellulare.
“Ma come?” chiese con una punta di divertimento “non sta funzionando? Sai che ti puoi fidare del mio giudizio”
L’angolo della bocca del suo capo si sollevò leggermente mentre inclinava la testa.
“E tu sai che lo faccio sempre volentieri. A volte però fatico a seguire la tua linea di pensiero” dichiarò.
Anthea si alzò dalla sua sedia e andò verso la scrivania: si appoggiò ad essa con le  braccia conserte in parte alla poltrona da ufficio, e lui fu costretto a tirare indietro la testa per guardarla meglio.
“Perchè ho l’impressione che non stiamo più parlando dell’agente Donovan?” gli chiese lei con una smorfia eloquente.
Mycroft Holmes la fissò a sua volta.
“Sai bene che se non fosse stato per te io non avrei mai acconsentito a indulgere in simili... sentimentalismi” pronunciò la parola quasi sputandola, tuttavia il suo tono non sembrava risentito. Più che altro rassegnato.
Anthea si sporse leggermente verso di lui e il suo sorriso si fece luminoso.
“E di questo io ti sono grata” disse con un’espressione solenne, facendo sorridere anche l’uomo di fronte a lei.
Per un attimo rimasero a fissarsi, poi Mycroft sospirò.
“Tuttavia non posso fare a meno di chiedermi se io non abbia commesso un grave errore” commentò con perplessità.
Lo sguardo di Anthea si fece serio.
“Credi che non me lo sia chiesta più volte anche io  in questi giorni?” gli domandò dolcemente.
Mycroft sorrise leggermente di nuovo.
“Ma certo che lo hai fatto, tu sei sempre molto efficiente e scrupolosa. E dimmi... quale è stata la risposta che ti sei data?”
“Che tutti meritano una seconda possibilità. Persino tuo fratello” annunciò semplicemente la donna.
Mycroft fece una smorfia.
“Resta solo da capire se sarà tanto intelligente da rendersene conto. Altrimenti mamma questa volta pretenderà la mia testa. E ti ripeto...”
“Lo so, lo so” disse Anthea con una punta di insofferenza mista a rassegnazione mentre tornava a sedersi alla sua scrivania, da dove il cellulare aveva emesso una serie di suoni “se non fosse stato per me, tu non avresti indugiato in simili sciocchezze”
 
***
 
“Ciao ragazzi”
Molly Hooper gemette internamente al tono fin troppo gioviale con cui aveva accolto l’ingresso di Sherlock e John, ma si disse che dopo tutto era a beneficio del Dottore. Era abbastanza sicura che Sherlock non avesse detto a nessuno della sua intenzione di trasferirsi, e che gli altri  non avessero avuto il tempo o l’occasione di cogliere la distanza che si era venuta a creare tra loro due. Francamente  desiderava che la situazione continuasse ad essere cosi, non era pronta a domande o richieste di chiarimenti, voleva solo organizzare le cose con calma e salutare tutti nel miglior modo possibile.
John le rivolse un sorriso sincero  mentre dichiarava di essere contento di trovarla al lavoro e di avere a che fare con lei.
“Non che Coleman non sia in gamba...” cominciò a dire, ma Molly lo interruppe alzando la mano.
“Lo so, lo so... a volte è un po’ troppo... entusiasta” disse con un lieve sorriso.
“Evidentemente c’è qualcuno che riesce ancora ad essere entusiasta all’idea di avere a che fare con me” commentò acidamente Sherlock, cominciando a spogliare sciarpa e cappotto.
La testa di John scattò improvvisamente verso di lui e il suo sguardo perplesso riflettè tutta la sua sorpresa per quel commento inatteso.
Molly si limitò a mordersi il labbro.
Nella stanza calò il silenzio e il consulente investigativo si diede internamente dello stupido per aver lasciato che il fastidio avesse il sopravvento, ma il saluto gioioso della patologa al loro ingresso l’aveva innervosito.
Lei stava per andarsene, stava per lasciare tutto. Non aveva nessun diritto di essere allegra.
“Il cadavere, Molly” comandò con irritazione.
Lei fece un sospiro e raddrizzò le spalle.
“È per strada, naturalmente. Cosi come tutti i componenti del laboratorio che dovete analizzare. Mi spiace, ma Greg mi ha mandato un messaggio solo poco fa, non puoi certo pretendere che tutto sia già pronto e non dipende da me, lo sai”
“Ma certo che lo sa, Molly” intervenne John lanciando uno sguardo eloquente all’amico, per comunicargli tutto il suo biasimo per il suo comportamento “io gli avevo detto che avevamo tutto il tempo di berci un caffè, ma lui aveva una gran fretta di arrivare qui”
Sherlock aprì bocca per replicare, ma la richiuse subito: inutile negare, lui aveva davvero avuto una gran fretta di arrivare all’ospedale ma si rifiutò categoricamente di interrogarsi a cosa tale fretta fosse dovuta.
Di certo, però, almeno di quella non poteva incolpare Molly.
“Le mie scuse” si ritrovò a borbottare, guadagnandosi un’altra occhiata stupita da parte di John che lo fece di nuovo irritare “che c’è? Non avevi detto che avevamo tempo per un caffè?” sbottò rivolto al Dottore “nero due zollette per me, con latte senza zucchero per Molly e tu... tu sai benissimo come lo prendi. Va, va” disse quasi spingendo l’amico fuori dall’obitorio “e approfittane per chiamare Mary e sentire come sta per l’undicesima volta nelle ultime due ore!”
Quando le porte si furono richiuse dietro a John Sherlock fece un profondo sospiro e si voltò, con l’improvviso pensiero di aver fatto un grave errore nel rimanere solo con Molly.
“È naturale che si preoccupi per lei, io lo trovo molto dolce” la voce di lei lo raggiunse dall’altra parte della stanza. In qualche modo, nei pochi secondi che erano passati, aveva trovato modo di mettere il maggior spazio possibile fra loro due.
Sherlock avvertì una voglia improvvisa di avvicinarsi pericolosamente per scoprire quale sarebbe stata la reazione di lei... si sarebbe allontanata di nuovo? Gli avrebbe tenuto testa come aveva fatto qualche minuto prima e l’avrebbe sfidato a spostarsi per primo?
Rimase invece immobile a osservarla mentre finiva di ripulire il suo banco da lavoro.
“Tu invece sarai contento che ci sia stato un qualche sviluppo... deve essere stato difficile per te questo periodo di tranquillità”
È stato ancora più difficile da quando ho saputo che te ne andrai e perchè in questi giorni non potevo contare su di te, come sarà per ogni altro giorno in un futuro non troppo lontano.
Il pensiero colpì Sherlock tanto improvvisamente da lasciarlo per un attimo senza fiato.
“E lo è?” la domanda di Molly lo richiamò alla realtà.
“Che cosa?” chiese lui sbattendo le palpebre.
“Uno sviluppo... hai fatto qualche passo avanti nello scoprire cosa sta succedendo?”
Nella voce della patologa colse della preoccupazione ma soprattutto risolutezza, anche se naturalmente quella situazione non era facile neanche per lei; ognuno di loro stava reagendo a suo modo: Lestrade si buttava a capofitto in un nuovo matrimonio e gettava al vento tutte le paure che quello precedente gli aveva lasciato, Mrs Hudson ricamava copertine e scarpette da neonato mentre sfornava biscotti, John e Mary si concentravano sulla nuova vita che presto sarebbe arrivata... ma a lui e Molly che cosa era rimasto? Solo la cieca determinazione di proteggere i loro cari e di risolvere tutto al più presto. E non lo stavano facendo nemmeno più insieme, non sul serio per lo  meno. Non come un tempo.
E alla fine di tutto, non sarebbe rimasto nulla.
“Sherlock?”
Lui strinse le labbra e scacciò con risoluzione ogni pensiero dalla sua testa: erano inutili e dannosi, una distrazione pericolosa.
“Per ora solo congetture e tu sai quanto io odi le congetture. I fatti sono l’unica cosa di cui ci dobbiamo occupare” rispose infine.
Molly sembrò sul punto di replicare qualcosa, ma fu interrotta dall’arrivo dei tecnici della scientifica, che depositarono il materiale trovato sulla scena del crimine e dai portantini, che lasciarono il corpo di Stuart Loggins.
Dopo circa dieci minuti rientrò anche John e per le successive ore non ci fu molto da dire, se non per consultarsi su un’analisi o verificare un’ipotesi.
Molly terminò l’autopsia e arrivò per comunicare che questa non aveva rilevato nulla di particolare. Sherlock annuì distrattamente (in fondo aveva già esaminato il cadavere), tuttavia non potè fare a meno di chiedersi se adesso lei si sarebbe offerta di aiutarli come un tempo, fino a che non vide che aveva posato la borsa sul tavolo e stava quindi preparandosi per andarsene.
Il suo turno era finito, era ovvio, ma prima questo non l’aveva mai fermata dal restare comunque. Per lo meno non aveva trovato una scusa per delegare a qualcun altro l’autopsia ed era passata di persona per i risultati; Sherlock tornò a concentrarsi su quello che stava esaminando e John si stiracchiò vistosamente per poi guardare l’orologio.
“Per me è ora di rientrare” dichiarò.
Sherlock non mosse lo sguardo dal microscopio, mentre la patologa gli rivolse un sorriso caloroso.
“Saluta tanto Mary da parte mia, dille che la chiamo presto ok?”
John annuì e si rivolse all’amico.
“Resterai ancora per molto?”
Le spalle di Sherlock si irrigidirono e volse impercettibilmente il viso verso il Dottore.
“Sta tranquillo. Non andrò da nessuna parte senza di te, contento?” la risposta gli uscì un po’ più indispettita di quanto avrebbe voluto, ma le analisi che avevano condotto fino ad ora non avevano portato a nulla, la sua pazienza era agli sgoccioli e il lavoro da fare era ancora corposo.
E Molly stava andando a casa.
Sentì John inspirare forte accanto a lui nel tentativo di mantenere la calma.
“Veramente speravo che a un certo punto saresti andato a casa a riposare” disse infine “ma che mi preoccupo a fare, in fondo?” terminò con una smorfia scuotendo leggermente la testa e dirigendosi verso l’uscita “Ciao Molly, ci vediamo domani per continuare questa gradevole rimpatriata, in fondo è un po’ di tempo che non ci capita di stare tutti insieme nel laboratorio”
“Domani non ci sarò”
Molly non si accorse di aver pronunciato la frase a voce alta fino a che non avvertì il silenzio intorno a lei. Alzò il viso da un vetrino che aveva appena preso in mano e si diede della stupida: John si era bloccato incuriosito e l’espressione di Sherlock si era fatta di ghiaccio.
“P-parto per Cardiff” si ritrovò a dire.
“Oh” fu il commento iniziale di John “non avevo capito che avessi un viaggio in programma”
“Veramente io...”
“Questo perchè la Dottoressa Hooper si è ben guardata dal dircelo” si intromise Sherlock alzandosi dal suo sgabello e avvicinandosi finalmente a Molly, come aveva desiderato fare fin dal suo arrivo. La scrutò per un attimo.
“Viaggio di lavoro? Naturalmente, anche se ti sei presa la briga di passare dal parrucchiere per quel taglio di capelli che volevi fare da almeno due mesi. Quattro centimetri sono troppi, a proposito. Hai fatto anche una manicure... vuoi fare una buona prima impressione, Molly? Sono sicuro che le guardie che Mycroft ti ha assegnato saranno estasiate di doverti seguire per presenziare al tuo colloquio di lavoro”
John corrugò la fronte.
“Ehi, un momento... quale colloquio di lavoro?”
Sherlock non si curò di rispondere e Molly sembrava troppo impegnata a cercare di respirare con calma.
“Hai detto che avresti aspettato che questa storia del ritorno di Moriarty, di qualunque cosa si tratti, fosse finita prima di farlo. Mi meraviglio che mio fratello abbia acconsentito a una simile assurdità, ma evidentemente il tuo caro amico condivide la tua fretta” la accusò il consulente investigativo.
“Fare cosa?” tornò a chiedere John “Voi due volete spiegarmi che sta succedendo?”
Sherlock si girò con una smorfia e gettò le mani in aria, incapace di contenere il nervosismo che l’aveva minacciato per tutto il giorno: avevano lavorato di nuovo insieme (o quasi) per tutto il pomeriggio e lei se ne usciva tranquilla con la notizia del suo viaggio!
“Si Molly! Spiega a John che cosa sta succedendo! Spiegagli come hai deciso di abbandonare tutto e di andartene!”
Il Dottor Watson spalancò gli occhi e la bocca contemporaneamente.
“Vado a fare un intervento come relatrice a un convegno a cui sono stata invitata sei mesi fa. Te l’avevo anche detto Sherlock, quando ho ricevuto la comunicazione, e tu hai osservato che era una straordinaria possibilità e un giusto riconoscimento per il mio lavoro. Mycroft e la sicurezza non ritengono ci sia qualcosa di cui preoccuparsi, ma naturalmente non mi aspettavo che tu te lo ricordassi” la voce della patologa era bassa, complice il fatto che aveva rivolto il viso verso il pavimento.
Sherlock si bloccò di colpo e chiuse gli occhi.
Un convegno, non un colloquio di lavoro.
C’era sempre qualcosa.
Ma ormai il danno era fatto.
“Molly, stai davvero pensando di andartene?” la voce di John era ancora colma di incredulità.
Lei rialzò finalmente il viso ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Sherlock.
“Mi dispiace. Non c’è ancora nulla di definitivo e ho davvero intenzione di aspettare che questa storia finisca. Sto solo... guardandomi in giro ma... si. Sto per andarmene” cercò di mantenere un tono sereno, ma in verità era davvero dispiaciuta e arrabbiata che la notizia fosse emersa a quel modo.
Accidenti a Sherlock.
“Ma... perchè?”
La domanda di John la colse impreparata, si era aspettata di avere un po’ più di tempo per costruire una risposta soddisfacente a chi le avrebbe chiesto conto della sua decisione ed ora, invece, doveva già dare delle giustificazioni.
Sentiva su di sè lo sguardo attento di Sherlock, che aspettava la sua risposta ed evidentemente si stava chiedendo quanto avrebbe raccontato al Dottore.
Molly tornò con la mente alle riflessioni che aveva fatto qualche ora prima e ad un tratto sentì di avere la risposta giusta. Con calma prese la sua borsa e se la mise sulla spalla, poi si avvicinò a John e gli sorrise.
“Perchè voglio avere anche io la possibilità di essere felice” gli disse.
Si diresse verso l’uscita del laboratorio e poi si voltò ancora.
“Sai come chiudere il laboratorio, Sherlock. Cerca di non lasciare troppo in disordine, per favore”
 
 
 
 
 
 
 
  
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