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Autore: Emily27    23/08/2014    4 recensioni
Ricevere un mazzo di rose fa piacere a ogni donna, ma può anche creare scompiglio...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Jennifer Shepard, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rose rosse



 
Ho la scrivania ingombra di fogli e incartamenti, c'è anche un faldone spesso venti centimetri. Purtroppo, anche il direttore del NCIS è tenuto a svolgere il lavoro d'ufficio, per quanto sia tedioso. Se mi metto d'impegno, entro l'ora di pranzo dovrei aver finito, sempre che non succedano imprevisti.
L'ho appena pensato, che qualcuno bussa alla porta. Di sicuro non è Gibbs.
Cynthia entra nel mio ufficio reggendo un mazzo di rose rosse, avvolte in un sottile cellophane.
«Il fattorino ha consegnato queste per lei» annuncia vivace.
Mi levo gli occhiali e sbatto le palpebre, spostando lo sguardo dai fiori al volto ridente della mia segretaria.
«Per me?» chiedo perplessa.
«Sì, ha detto che erano per Jenny Shepard, direttore del NCIS.»
Mi alzo e aggiro la scrivania, andando a prendere le rose dalle mani di Cynthia. Non ho la più pallida idea di chi possa avermele mandate ma, come ogni donna, provo un gratificante piacere nell'aver ricevuto dei fiori.
«Vado a cercare un vaso» si offre lei.
«Grazie.»
Una volta che la ragazza è uscita, avvicino il volto alle rose e ne inspiro il profumo, che arriva a solleticarmi piacevolmente le narici, poi deposito con delicatezza il mazzo sulla scrivania e, curiosa, stacco il biglietto applicato al cellophane. Apro la piccola busta e ne estraggo un cartoncino.

Grazie per ieri sera
J.


Jethro.
Penso subito a lui.
Il cuore mi balza in gola e i sentimenti che cerco continuamente di soffocare mi esplodono dentro, come un torrente che rompe gli argini. Ritorno con la mente a ieri sera.
Ho finito piuttosto tardi qui in ufficio e andando via ho visto Gibbs ancora al suo posto, solo nell'open space, perso fra computer e dossier sparsi sulla scrivania. Sapevo quale genere di informazioni gli servivano per concludere il caso, così sono tornata in ufficio e tre minuti dopo gli piazzavo davanti agli occhi un fascicolo. Un fascicolo che non dovrebbe uscire dal mio ufficio. Lo rivoglio domani, gli ho detto soltanto, poi me ne sono andata, con la certezza del suo sguardo che mi seguiva.
Avrebbe potuto dirmi semplicemente grazie, a voce, invece ha voluto farlo in questa maniera e la ragione può essere solo una: ha visto un pretesto per decidersi a muovere il primo passo nella mia direzione. Desidera rimettere insieme i pezzi di ciò che si è rotto in passato, è chiaro. In fondo entrambi abbiamo sempre saputo che cosa c'è tra di noi, che cosa non si è mai spento e che nascondiamo dietro il nostro dannato orgoglio.
Adesso basta, è giunto il momento di smettere di giocare, Gibbs mi ha lanciato un messaggio inequivocabile ed io... mi sento un po' stupida ad avvertire uno sfarfallio nello stomaco e il cuore in fibrillazione come un'adolescente alla prima cotta! Che diamine, sono una donna adulta, sicura di me, razionale e a capo di un'agenzia. Eppure è questo ciò che provo.
Cynthia ritorna con un vaso pieno d'acqua ed io cerco di darmi un contegno, temendo che la mia segretaria possa leggermi in volto i sentimenti.
Faccio scivolare il biglietto nella tasca della giacca, mentre lei trova spazio al vaso in un angolo della scrivania.
«Grazie, Cynthia.»
«Di nulla direttore.»
Le sorrido e lei fa altrettanto. Sembra che questi fiori l'abbiano resa felice quanto me.
Andata via Cynthia, libero le rose dall'involucro e le metto dentro il vaso. Sfioro i petali con le dita e torno ad essere l'adolescente alla prima cotta, mentre penso a Jethro.
Presumibilmente, dato che lui ha fatto il primo passo, ora si aspetta che sia io a compiere il secondo. Dovrei ringraziarlo per i fiori e confessargli quello che sento, una cosa che, se prima ritenevo impensabile, adesso non vedo l'ora di fare. Gibbs in questo momento sarà impegnato con il caso e magari non si trova nemmeno alla base. Comunque, esco per controllare se non sia per caso seduto alla sua scrivania.
Non faccio in tempo ad affacciarmi alla balaustra che lo vedo in cima alla scala, a pochi metri da me. Si avvicina e mi porge il fascicolo che gli ho portato ieri sera.
«Grazie» mi dice, con un tono e uno sguardo pieni di sottintesi.
«Grazie a te» rispondo alludendo alle rose. Questo è il momento giusto, tocca a me far cadere le mie barriere. Così, prima che lui possa dire qualcosa, e stando attenta a non annegare nell'azzurro dei suoi occhi, vado avanti con decisione. «Non avrei dovuto troncare la nostra relazione, è stato un errore di cui mi pento ogni giorno. I miei sentimenti per te non sono cambiati, ti voglio ancora, Jethro...»
Lui mi guarda in silenzio per alcuni interminabili secondi, durante i quali temo possa udire i battiti accelerati del mio cuore.
«Jenny...» mormora infine. Sembra titubante, ed io mi rendo conto che forse questo non è il luogo più adatto per parlare di noi.
«È meglio continuare in un altro momento, magari stasera a cena, che cosa ne dici?» propongo sorridendo.
Jethro non fa in tempo a proferire parola, che il suo cellulare decide di mettersi a suonare.
«Sì McGee» risponde. «Va bene... arrivo subito...»
Chiude la chiamata e si rimette il telefonino nella tasca della giacca.
Andando verso la scala, annuncia: «Caso chiuso.»
Mi sporgo dalla balaustra e lo guardo mentre scende di corsa, per poi entrare nell'ascensore e scomparire dalla mia vista.
Nonostante tutto, ci stiamo dando la possibilità di recuperare il passato. È una novità che mi ha risvegliato il cuore e che mi ha resa fiduciosa e piena di aspettative.
Riproporrò la cena a Jethro più tardi, una volta che sarà rientrato alla base. Ho già in mente un paio di locali o, meglio ancora, lo inviterò a casa mia, per una cena più intima.

Dato che durante la mattinata non ho concluso niente, mi ritrovo a dover trascorrere il pomeriggio ancora fra carte e documenti, attività che adesso trovo quasi piacevole. Sarà per merito delle rose, sulle quali di tanto in tanto sollevo lo sguardo.
Mi accingo a sistemare l'ennesimo fascicolo, quando bussano alla porta.
Entra Cynthia con un mazzo di tulipani gialli, tenendo sotto il braccio anche un vaso. Altri fiori? Ne sto ricevendo più in un giorno che negli ultimi vent'anni.
«Direttore...» esita, posando con attenzione il vaso, già pieno d'acqua, sull'angolo della scrivania opposto a quello in cui si trovano le rose.
Il suo volto non è più sorridente, a dire il vero mi sembra quasi in imbarazzo.
«Dimmi Cynthia.»
«Il fioraio li ha portati di persona, perché... beh... voleva scusarsi.» Alla mia occhiata interrogativa, prosegue. «Ha scambiato l'indirizzo delle due consegne. In realtà le rose non erano per lei... È questo il mazzo... giusto.»
Me lo porge con aria mortificata, ed io lo prendo lentamente tra le mani mentre mi sento investire da una doccia gelata, che spegne ogni mio pensiero idilliaco. Le farfalle nel mio stomaco si fermano.
«Non c'è problema, sono cose che succedono» mi trovo a dire, sollevando le spalle e stampandomi un sorriso in faccia.
Dentro sono in tumulto.
«Il fioraio ha detto che può tenere le rose, ci mancherebbe, ma chiede di riavere il biglietto. Sa, per consegnarlo al vero destinatario dei fiori...»
Il biglietto. Adesso che ci penso, la calligrafia di Gibbs è simile ma più minuta, come ho potuto non accorgermi che non era la sua? E, soprattutto, come ho potuto pensare che mi avesse mandato dei fiori? Non è da lui! Non mi sono fermata a riflettere, il mio raziocinio è stato offuscato da quello che il mio cuore ha voluto credere.
Appoggio il mazzo sulla scrivania e tiro fuori il biglietto dalla tasca della giacca, consegnandolo a Cynthia e fingendo indifferenza. «Ecco qua.»
La mia segretaria mi fa un sorriso, che non riesce a mascherare la sua espressione dispiaciuta, e se ne va.
Rimasta da sola, posso dar libero sfogo ai sentimenti. Mi accascio contro lo schienale della poltrona, dandomi ripetutamente della sciocca.
Jethro non intende recuperare un bel nulla, probabilmente, anzi, sicuramente, non vorrà neanche cenare con me stasera, né tanto meno parlare di noi due! Ed io gli ho detto quelle cose...
Il mio orgoglio brucia. Il suo si starà ingigantendo.
Mi alzo e vado a versarmi del bourbon, che ingoio tutto d'un fiato. Chiudo gli occhi e, ancora con il bicchiere in mano, mi domando quali conseguenze avranno le parole che ho detto a Gibbs. Farà qualche battuta, tanto per rigirare il coltello nella piaga? Mi dirà che non ha nessuna intenzione di tornare con me? Fingerà che io non le abbia mai pronunciate?
Mentre il bourbon inizia a distendermi i nervi, ritorno alla scrivania.
Non è un gran bel momento, tuttavia sono curiosa di sapere chi mi ha mandato i tulipani. Stacco il biglietto dalla confezione, lo apro e leggo:

A una donna incantevole.
Ringraziandola per la sua gentilezza e disponibilità.

Conraad Van Leeuwen



Van Leeuwen è l'ambasciatore olandese, un signore attempato dai modi galanti, che ha presenziato alla riunione con il Segretario cui ho preso parte due giorni fa. Il suo è stato un pensiero davvero gentile e gli invierò una mail per ringraziarlo.
Sistemo i tulipani dentro il vaso e sorrido amaramente. Per quanto questi fiori siano belli e nonostante l'apprezzabile gesto dell'ambasciatore, avrei preferito ricevere le rose da Jethro.
La verità è che il mio cuore è più ferito di quanto non lo sia l'orgoglio.
Ho creduto che Gibbs volesse ricominciare, che saremmo stati di nuovo insieme, e per un po' ho cullato questa idea con il cuore leggero, perché è quello che in fondo ho sempre sperato. Poi il sogno si è dissolto come una bolla di sapone.
Guardo le rose e sento un groppo in gola, che ricaccio indietro prima che gli occhi inizino a pungere. In fin dei conti sono fantasie che mi sono creata da sola, Jethro non centra nulla, è soltanto colpa mia se adesso mi sento triste e delusa. Anzi, no, è colpa del fioraio!
Nonostante tutto, le mie labbra si piegano in un lieve sorriso.

Uscita dall'ufficio, saluto Cynthia, e una volta fuori scendo le scale quasi di corsa.
Ho smesso di lavorare un po' prima del solito, tanto non avrei più combinato nulla, con l'umore ai minimi storici che mi ritrovo. Ho riordinato sommariamente la scrivania e sono andata via da quell'ufficio pieno di fiori, con il solo desiderio di andare a casa, farmi un bagno rilassante e non pensare più a nulla. Almeno fino a domani, quando inevitabilmente dovrò affrontare Gibbs.
Non so se è già rientrato, ma in ogni caso adesso non voglio correre il rischio di vederlo, così mi affretto a raggiungere l'ascensore, che per fortuna è fermo al piano. Mi defilo al suo interno e premo il pulsante del pianterreno. Prima che le porte si siano chiuse del tutto, arriva di corsa Gibbs e s'infila dentro.
Dannazione.
Non pronunciamo una parola ed io evito di guardarlo. Non vorrei, ma mi sento avvampare.
Raddrizzo le spalle e la mia mano stringe la tracolla della borsa, mentre penso che questo ascensore non è mai stato così lento.
Prima che si fermi, trovo finalmente il coraggio di voltarmi verso Jethro, scoprendo che mi stava fissando. Il suo sguardo è talmente intenso che, anche volendo, non riuscirei a staccare i miei occhi dai suoi.
Abbozza un sorriso e mi dice: «Sarò a casa tua per le otto. Porto io il vino.»
Sarà a casa mia per le otto. Porterà lui il vino.
Questa volta non c'è nessun equivoco, sono frasi uscite direttamente dalle sue labbra.
Dire che sono meravigliata non rende assolutamente l'idea.
Non ha fatto alcuna battuta, né si è dimostrato indifferente, al contrario, ha accettato il mio invito e, implicitamente, di parlare di noi e ricostruire il nostro rapporto.
D'improvviso torna a splendere il sole e il mio cuore riprende a battere.
Apro la bocca per parlare ma non mi vengono le parole, così mi limito ad annuire, lasciando che le farfalle volteggino libere nel mio stomaco.
Forse è il caso di ringraziare il fioraio.















 
  
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