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Autore: aSudDelConfine    23/08/2014    1 recensioni
" Pianse per se stessa, per quello che aveva perso e per lui. Pianse al ricordo di quei capelli dorati, di quegli occhi celesti, di quel sorriso che non avrebbe mai più visto nascere e di quelle mani che mai più l'avrebbero toccata. "
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Esplodere.


Il dolore che provava era talmente tanto che si sentiva sul punto di esplodere. Stava seduta nella sua stanza e non riusciva a capire come potesse essere ancora intera, come la sua pelle non fosse ceduta sotto la spinta di quel dolore che le attanagliava il cuore e le frantumava le ossa.
Se solo pensava a cosa l'aveva ridotta così le sembrava di svenire, tentare di realizzare quella notizia era troppo per lei. Ancora non aveva pianto, forse non l'avrebbe fatto mai. Eppure soffriva, così tanto come non le era mai capitato nei suoi vent'anni di vita. Soffriva e si odiava allo stesso modo.
Lui era morto. Morto. Morto...
Mentre lo pensava si stringeva le mani e si grattava ossessivamente un dito, le usciva il sangue ormai ma lei non ci faceva caso, quel gesto, quel piccolo fastidio che le procurava, era l'unica cosa che la tenesse collegata al mondo.
Sentì un rumore e girò la testa verso la porta, sapeva che prima o poi le sue amiche sarebbero andate da lei, non aveva risposto a nessuna chiamata o visualizzato nessun messaggio da quando gliel'avevano detto ma non voleva nessuno intorno. Sentiva che nessuno potesse capirla e si sentiva in colpa per provare questi sentimenti. Infondo loro due erano solo amici, ottimi amici, certo, ma niente di più. Lei non aveva il diritto di provare quel dolore, eppure sentiva che niente nella vita avrebbe avuto più senso. Fissava ancora la porta con lo sguardo vacuo quando vide la maniglia abbassarsi e la sua migliore amica entrare. Aveva gli occhi gonfi e rossi, si vedeva che aveva finito di piangere qualche secondo prima. Le andò incontro e le si sedette accanto, senza dirle una parola la guardò ma lei non fu in grado di sostenere il suo sguardo. Specchiarsi in quegli occhi gonfi e tristi la faceva sentire peggio, gelosa, quasi, del fatto che l'amica riuscisse ad esprimere il dolore che invece lei sentiva invaderle il corpo, intenzionato a restare lì per sempre.

 

Mentre il vento le colpiva la faccia e i capelli le graffiavano le guance si chiese come fosse arrivata in macchina. Sara le aveva detto qualcosa mentre erano in casa e lei, senza rendersene conto, doveva aver accettato di seguirla. In mezzo al dolore sentiva affacciarsi in lei la paura di dove la stesse portando. Era logico che stessero andando lì, ma lei non voleva, ogni fibra del suo corpo si opponeva a quell'evento inevitabile, poteva sentire le urla della sua coscienza. Eppure non disse niente, si limitò a camminare accanto a Sara mentre si avvicinavano alla camera mortuaria. Se ci fossero i suoi amici lì vicino lei non se ne accorse, seguì Sara fino a che non si trovò davanti ad una porta, piccola e socchiusa. Mentre sentiva il peso che vi si celava dietro, vide la mano di Sara posarvisi e spingerla in avanti. La prima persona su cui si posò il suo sguardo su lei, seduta su una sedia, scossa da spasmi di pianto mentre i capelli mossi le si muovevano intorno al viso. Paralizzata sulla porta notò il braccialetto blu intrecciato che teneva al polso e qualcosa si spezzò dentro di lei. Mentre lo sguardo sconvolto della ragazza si posava su di lei, sentì che non poteva stare là, e i suoi muscoli la portarono fuori. Corse fuori dalla chiesa, in mezzo alla strada senza fermarsi, incurante delle persone che la guardavano con aria sconvolta o semplicemente curiosa. Corse finché le sue gambe, poco allenate, non cedettero e così si accovacciò in terra.
“Dobbiamo parlare.” Alzò lo sguardo verso quelle parole e se la ritrovò davanti, con la faccia arrossata ed il fiato corto. Doveva esserle corsa dietro e da come la guardava, stando in piedi incerta poco lontana da lei, non doveva esserle stato facile. Stava aspettando una sua risposta, ma aveva la gola secca e niente da dirle, perciò si limitò a fissarla fino a che non si sedette accanto a lei.
“In realtà non so perchè ti sono corsa dietro, ti ho vista prima sulla porta, ho visto la tua faccia ed ho come provato la sensazione che tu possa essere l'unica a capirmi. Lo so che non ci siamo mai parlate molto, di certo non posso considerarti una amica, ma lui lo faceva e credo che fosse per un buon motivo.” Camilla aveva fatto quel discorso senza prendere fiato, si fermò e fece un respiro profondo. “Non mi sembra vero, non riesco a realizzarlo e non voglio. Sono stata seduta in quella panca per tutto il tempo, piangendo, senza avere il coraggio di guardare la bara. Mi sentivo in dovere di stare lì, ma quando ti ho vista scappare o capito che dovevo seguirti... Non lo so se ti sono mai piaciuta come persona, credo di no in effetti...
Non posso pensare che se ne sia andato, mi sembra surreale. Ho paura non so cosa fare adesso.”
“E da me cosa vuoi?” Le parole le erano uscite dalla gola senza che se ne rendesse conto, dure e fredde come il suo cuore in quel momento.
“Non lo so, te l'ho detto credo che tu possa capirmi più degli altri.-Ancora una volta Camilla prese un respiro profondo e distolse lo sguardo. Quando tornò a fissarla, nella sua espressione non c'era più niente- Lo so che ti piaceva, io non so se lo sapesse lui, ma io l'ho capito la prima volta che ci siamo viste. Ho visto come lo guardavi, come sorridevi non appena i vostri sguardi si sfioravano...”
Quelle parole colpirono il suo essere come un'ascia che si avventa conto una lastra di ghiaccio frantumandola in mille pezzi. Sentì il dolore e la rabbia che le premevano contro la pelle liberarsi al di fuori di lei, la pelle cedere e le lacrime scorrere sulle sue guance. Continuava a guardarla, avrebbe detto qualcosa ma una voce che chiamava il suo nome la strappò a quello sguardo.
Matteo era in piedi davanti a loro, ma guardava solo lei. “Vieni...” le tese la mano e lei la prese.
Mentre si alzava e lo seguiva, guardò Camilla ancora una volta, le sue amiche erano arrivate, forse insieme a Matteo, e le si erano sedute accanto, avvolgendola sotto la loro ala protettiva.

“Isa, che succede?- si sfregò le mani e lei solo in quel momento si accorse di come apparisse stanco- Cioè so cosa sta succedendo... intendo tra te e Camilla. Vi hanno viste scappare via.”
“Io stavo scappando, lei mi è solo corsa dietro, voleva parlarmi. Mi ha guardata negli occhi e mi ha detto che sa che mi piaceva, non ho letto niente nei suoi occhi mentre me lo diceva eppure vi avrei potuto leggere tutto. Se tu fossi arrivato un secondo dopo le avrei detto che si sbaglia, che non mi piace, ne sono innamorata. Le avrei detto che il mio dolore lei non può immaginarlo, perchè io non ho avuto le possibilità che ha avuto lei. Non mi sono mai esposta, e do' la colpa solo a me per questo, eppure non posso non provare invidia nei suoi confronti. Lei ha avuto quello che io sognavo, mi ha rubato il mio migliore amico e questi anni con lui ed io non so se potrò mai perdonarla per aver vissuto la vita che avrei voluto vivere al suo posto. Le avrei detto di quante volte io abbia pensato di farmi avanti e poi, vedendoli, mi sia tirata indietro per non rovinare la loro storia e soprattutto quel poco che avevo con lui. Le avrei urlato contro il mio dolore e la mia rabbia e la paura che provo. E so che non sarebbe giusto, che in realtà non è colpa sua, che sta male... ma l'avrei fatto. Per un secondo avrei messo me davanti a tutto il resto, perchè pensare non ha mai portato a niente e... - Isabella si fermò, la voce le si spezzò in gola e le ginocchia cedettero- Cazzo io lo amo e mi odio per non essere stata capace di dirlo prima di adesso.” Pronunciare quelle parole fu il colpo di grazia, la barriera che aveva iniziato a cedere facendo cadere alcune lacrime si ruppe e lei pianse. Pianse per se stessa, per quello che aveva perso e per lui. Pianse al ricordo di quei capelli dorati, di quegli occhi celesti, di quel sorriso che non avrebbe mai più visto nascere e di quelle mani che mai più l'avrebbero toccata.
Quando finalmente finì di piangere, si accorse che Matteo la stava abbracciando. Probabilmente l'aveva abbracciata quando era caduta in terra e da allora non l'aveva mai lasciata.
“Non so quanto valga adesso, detto da me, ma anche lui provava qualcosa per te. Ti definiva una sorella, ma noi tutti ci eravamo accorti del luccichio nei suoi occhi quando parlava di te. Ho pensato seriamente che vi sareste messi insieme e, non so se dovrei dirtelo, ma penso che la parte di lui che ve l'ha impedito sia stata condizionata dai discorsi degli altri... Quando Camilla è arrivata nella sua vita è cambiato. Non vorrai sentirtelo dire, ma lei in qualche modo ti assomiglia...”
“Ti prego, smetti. Non voglio parlare. Portami là, voglio vederlo.” Sentire Matteo pronunciare ad alta voce quello che lei stessa aveva sempre saputo era una tortura, come spilli sottili ed appuntiti, ogni parola le si conficcava nel cervello, le toccava un nervo e provocava un dolore inaccettabile. Sentire quel dolore, immagazzinare quelle parole che non l'avrebbero mai abbandonata era spaventoso, eppure sembrava più facile sopportare quello che il dolore per la perdita.
Mentre camminava verso di lui, con il cielo tinto di rosso alle sue spalle,seppe che niente sarebbe stato più lo stesso. Qualcosa era cambiato dentro di lei e, troppi libri glielo avevano insegnato, da alcuni dolore non ci si riprende mai. Si va avanti, credendo di poter continuare a muovere dei piccoli passi, senza renderci conto che in realtà quello che stiamo facendo è solo andare verso la disperazione, passo dopo passo. 

   
 
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