Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    23/08/2014    4 recensioni
"Kuroko Tetsuya, giovane promessa del basket conosciuto come: "Il sesto uomo fantasma della Generazione dei Miracoli", trovato impiccato nel suo piccolo appartamento di periferia.”: questo è ciò che i giornali riportano in una fredda mattina di febbraio.
Tuttavia basta una più attenta osservazione per capire che non si tratta di suicidio e, fin da subito, il cerchio dei presunti colpevoli si restringe attorno ai grandi talenti del basket, a coloro che più sono stati vicini a Kuroko. Adesso che il nodo di congiunzione si è sciolto, gli ingranaggi si romperanno di nuovo.
«Il nodo di congiunzione che li aveva tenuti uniti si era sciolto, distrutto in una piovosa giornata di febbraio: le anime che si erano ritrovate grazie a Kuroko sarebbero ricadute molto presto nella malattia, si sarebbero allontanate e non avrebbero più avuto occasione di riavvicinarsi.
Da quel giorno in avanti, la spaccatura che Kuroko era riuscito a riparare si sarebbe tramutata in una voragine nera che li avrebbe risucchiati tutti, li avrebbe consumati e distrutti, dal primo all'ultimo.»

Accenni: KagaKuro; KuroMomo (altri, leggeri leggeri)
Coppie: AoKise
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiseki No Sedai, Satsuki Momoi, Taiga Kagami
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo V



Kagami si sentì gelare il sangue, il suo cuore saltò un battito.
La sua immaginazione doveva stargli giocando brutti scherzi: non c'era nessuno di fronte a lui, quella che aveva vibrato nell'aria e ferito i suoi timpani era soltanto l'eco lontana di un tuono. O almeno cercò di convincersene.
«C-cosa?» fece qualche passo indietro, tastando il vuoto con la mano finché non trovò l'inizio del corrimano - che divenne immediatamente il suo sostegno -.
Himuro restò immobile, continuando a fissarlo in silenzio, poi ripiegò le labbra in un sorriso docile, vagamente intenerito, come se avesse appena detto la cosa più banale del mondo, come se non fosse successo niente di grave.
«T-Tatsuya ...» Kagami lo chiamò con voce leggermente arrochita a causa dello spavento e della confusione, cercando di tenere lo sguardo fisso su di lui - per quanto fosse difficile, visto che si era appena autoproclamato assassino della persona che aveva amato -.
«Sei fatto?» indugiò, ma pensò che non poteva essere altrimenti: Himuro aveva iniziato con roba leggera alle superiori e poi aveva conosciuto l'eroina. Quella non sarebbe stata la prima volta, anzi, a Kagami era capitato più volte di doverlo assistere mentre si trovava sotto l'effetto della droga, aveva avuto la sfortuna di sentirlo delirare e dire cose che non stavano né in cielo né in terra, vederlo mentre si rovinava l'intera esistenza.
«Non sono fatto.» ma il suo viso era perfettamente lucido, e il fatto che si fosse fatto improvvisamente serio era un'ulteriore conferma della sua ragionevolezza.
«Beh ...» quando Himuro si avvicinò di un paio di passi, le dita di Kagami arrancarono contro la durezza del corrimano, annaspò appena e quasi non perse l'equilibrio, rischiando di cadere rovinosamente ai piedi della scala.
«A dire il vero non sono stato proprio io.»
Kagami sgranò gli occhi, più per rabbia che per incredulità: prima entrava in casa sua confessandogli di aver ucciso Kuroko, e ora faceva dietrofront e gli diceva che non era così? Lo prendeva in giro?
«Tatsuya, piantala di dire una cosa e poi un'altra!» ringhiò, strinse i denti in una smorfia nervosa e, istintivamente, - forse perché desiderava semplicemente che fosse tutto falso -, sospettò nuovamente che l'altro fosse fatto e si convinse che doveva essere davvero così, che non era il vero Tatsuya a parlare, ma la droga.
«Diciamo che io sono la mente.» Himuro, che era rimasto paurosamente calmo e riprese a parlare come se l'altro non lo avesse mai interrotto, come se lui non lo avesse sentito.
«Sai com'è: i bambini sono facili da convincere.»
Il cuore di Kagami saltò un altro battito.
«Ba-» balbettò, le labbra gli tremarono «bambini?»
Himuro socchiuse gli occhi e ispirò appena, dondolò il capo su e giù e sorrise.
Perché parlava di bambini? Cosa c'entravano con l'assassinio di Kuroko?
Kagami capì dopo qualche istante a cosa si stesse riferendo l'altro, e con un nodo alla gola che a malapena gli permetteva di respirare sembrò intenzionato ad abbandonarsi lungo il corrimano: di bambino che poteva uccidere un adulto ne esisteva soltanto uno.
«Murasakibara?» sussurrò flebilmente, incredulo e pensando che sarebbe uscito di senno di lì a poco.
«Io gli ho promesso che gli avrei dato il mio amore se lo avesse ucciso, e lui lo ha fatto.»
«M-ma come?»
«Oh, io questo non lo so: volevo solo che lo uccidesse, non mi interessava il modo.»
Kagami scosse la testa più volte, strizzò gli occhi e schiuse le labbra in un sospiro tremante, intenzionato a zittirlo ma senza riuscirci: se non avesse temuto il venir meno dei sensi avrebbe scostato le mani dal corrimano per tapparsi le orecchie.
«M-ma che stai dicendo, Tatsuya?!»
Non voleva più sentirlo, non poteva essere stato lui.
«Mi dispiace, Taiga.» Himuro sembrò quasi sussurrare e lasciò sprofondare le mani nella tasca della giacca «ho resistito per un bel po' di anni, ma alla fine non ce l'ho fatta, mi si è presentata l'occasione e l'ho colta.»
«Perché?!» Kagami era così indeciso fra il tirargli un pugno in faccia o il piangere tutta la sua delusione che finì per optare per il restare immobile, parlare fino a che la voce non si sarebbe esaurita - presto, quindi -.
«Perché? Taiga, lo dovresti sapere.» Himuro fece una piccola pausa, le sue labbra si incresparono in un sorriso amaro «so che mi rifiuterai di nuovo, ma non ce la facevo più a vedervi così felici.»
Per qualche secondo, Kagami non riuscì neppure a respirare: l'aveva detto davvero? Pensava ancora a due anni prima, quando gli aveva detto di amarlo e lui lo aveva rifiutato? Pensava davvero che uccidendo Kuroko sarebbe cambiato qualcosa? Certo, qualcosa era cambiato, ma in peggio.
«Ma come puoi pensare ad una cosa simile, Tatsuya?! Pensi forse che adesso io sia disposto ad accoglierti a braccia aperte?!»
«Mi dispiace.»
Kagami fu pronto a ribattere ancora, ma le parole gli morirono in gola non appena seguì lo sguardo di Himuro e lo vide estrarre una pistola dalla tasca della giacca.
«Per lo meno, d'ora in poi, non sarai più di nessun altro.»
Le labbra di Kagami ebbero un fremito, il corpo fu scosso da un brivido. Si sentì scottare, come se avesse avuto la febbre, e confuso, come se stesse delirando: non riusciva davvero a credere che Himuro avesse detto quelle cose, che lo stesse minacciando con una pistola.
Bastava poco per capire che si trattava di un delitto passionale, dettato dall'irrazionalità dei sentimenti, ma Taiga non ne capiva davvero il motivo: dopotutto non aveva mai fatto nulla per illudere Tatsuya e, nella sola occasione in cui questo gli aveva confessato il suo amore, qualche anno prima, lo aveva rifiutato e gli aveva fatto capire che per lui era e sarebbe sempre stato il fratello che non aveva mai avuto - e che, di conseguenza, non avrebbe mai avuto possibilità come suo potenziale fidanzato -.
Kagami capì che non era il momento di mettersi a pensare - dopotutto lo faceva così poco che rinunciarci una volta in più non faceva differenza -, ma piuttosto si staccò dal corrimano e corse in direzione del telefono, cercando di sottrarsi dal raggio d'azione dell'altro.
Himuro, dal canto suo, continuò a tenere la pistola puntata davanti a sé anche quando Kagami non fu più visibile, senza muovere un passo.


Aomine avrebbe voluto alzarsi e bestemmiare a gran voce, interrompendo il vociare fastidioso dei colleghi intorno a lui: era ingiusto che i colpevoli saltassero fuori proprio quando lui aveva deciso di abbandonare il caso.
Comunque, da quel poco che era riuscito a capire, non c'era più bisogno di prove e tesi, perché era stato uno dei due a confessare. Due, alla fine erano due.
Aomine si diresse verso i due colleghi con cui riusciva ad andare più d'accordo, determinato a prenderli da parte e a chiedere qualche informazione sull'identità dei due, sugli ultimi accadimenti e su come fossero riusciti ad arrivare a quel risultato.
«Questa faccenda non mi convince.»
Aomine fu percosso da un brivido di freddo e si piantò in mezzo al corridoio, voltandosi immediatamente.
«E tu che ci fai qui?»
«Ho saputo dell'arresto di Atsushi.» Akashi rispose con tutta la calma del mondo, incrociando le braccia al petto.
«Ats–» Aomine, ancora un po' confuso, borbottò e si guardò i piedi, dondolando leggermente sul posto: Akashi lo sapeva? Conosceva più dettagli di lui pur non facendo parte delle forze dell'ordine?
«Murasakibara?»
Akashi rimase in silenzio per qualche istante, aggrottando la fronte e squadrando Aomine dalla testa ai piedi.
«Vuoi dirmi che non lo sapevi ancora, Daiki?»
«Mi sono … beh, mi sono tolto dal caso.»
La lingua di Akashi schioccò contro il palato, in uno spasmo di disappunto che frenò immediatamente lo sproloquio confuso e agitato dell'altro.
«Permettimi di dire che non è stato molto saggio, da parte tua.»
Aomine trattenne uno sbuffo e cercò di aggiungere qualcos'altro, ma Akashi glielo impedì.
«È per Kise, vero?»
«Cosa?»
«Ti sei tolto dal caso perché avevi paura che potesse essere lui il colpevole.»
Questa volta Daiki sbuffò sonoramente: possibile che non ci fosse nulla che non conoscesse o indovinasse?
«Comunque sia ...» Aomine riprese a denti stretti, sbuffando appena «tu che cosa sai?»
«Tutto.»
Aomine, che fino ad un attimo prima era intenzionato a raggiungere i suoi colleghi, preferì svoltare l'angolo e dirigersi verso l'uscita della centrale: aveva bisogno di un po' d'aria fresca, sedersi all'aperto gli sarebbe stato d'aiuto per incassare il colpo - in parte già subito, visto che, da quando aveva capito, Murasakibara era uno dei due colpevoli -.
«Avanti, non tenermi sulle spine.» brontolò e si sedette pesantemente sul muretto di mattoni rossi che correva attorno al perimetro della centrale; Akashi, dal canto suo, rimase in silenzio ancora per un po', sistemandosi accanto a lui.
«La notizia deve essere trapelata da uno dei vostri, è apparsa su un blog questa mattina e ho telefonato immediatamente in centrale per avere un chiarimento e per assicurarmi che non fosse falsa.»
Aomine prese una grande boccata d'aria e sembrò accartocciarsi su se stesso, i gomiti piantati sulle ginocchia, le mani congiunte davanti al viso.
«Mi hanno detto che ieri sera hanno ricevuto una telefonata da Kagami.»
«Kagami?» Aomine aggrottò la fronte e incontrò lo sguardo imperturbabile di Akashi.
«A quanto pare Himuro si è presentato a casa sua e gli ha detto di essere il mandante dell'omicidio. L'ha minacciato con una pistola.»
Aomine deglutì e rimase a fissarlo, incapace di dire qualcosa e riuscendo a malapena a respirare.
«Da quanto gli ha detto, Atsushi si è sporcato le mani al posto suo.»
«No, aspetta, perché diavolo avrebbe fatto una cosa simile?»
«Per amore.»
Aomine sbatté le palpebre un paio di volte, confuso e senza riuscire a rielaborare quello che Akashi aveva appena detto.
«Che cazzata.» sospirò spazientito e tornò a guardare davanti a sé.
«Infatti credo proprio che qualcuno abbia dichiarato il falso.» Akashi si pronunciò nuovamente e lo sguardo di Aomine tornò di nuovo rivolto a lui.
«Il problema è che sono saltate fuori delle prove.»
«Prove?»
«Hanno trovato il doppione delle chiavi dell'appartamento di Tetsuya in casa di Himuro.»
«Quel figlio di puttana ...»
«E poi ci sarebbe un'altra cosa.» Akashi fece una piccola pausa e si inumidì le labbra «una lettera.»
«Una lettera? Che tipo di lettera?»
«Era nella giacca di Atsushi, praticamente è una confessione.»
«C-cioè …? Vuoi dire che in quella lettera Murasakibara confessa di aver ucciso Tetsu?»
«Già.»
Aomine cercò di dire qualcosa, ma Akashi lo precedette.
«Un assassino non terrebbe mai una lettera simile nella tasca della giacca, a meno che non voglia essere scoperto; inoltre, da un primo esame, la calligrafia risulta solo simile alla sua, come se qualcuno l'avesse ...» Akashi indugiò per qualche istante, poi rivolse uno sguardo eloquente all'altro «imitata
Aomine ebbe un sussulto e si alzò di scatto.
«C-cosa intendi dire?»
«Intendo dire che qualcuno sta cercando di incastrare Atsushi, ed è qualcuno che, a quanto pare, possiede un buon occhio.»
«Tu–» Daiki prese un'altra grande boccata d'aria e indietreggiò appena «sospetti ancora di Kise, non è vero?»
Akashi inspirò e si alzò con tutta la calma del mondo.
«Staremo a vedere, Daiki.» lo guardò e ad Aomine sembrò che le sue labbra si fossero ripiegate in un sorriso divertito: lo stava sfidando.
«Dopotutto, lo sai, io ho sempre ragione


«Una lettera, hai detto?» Midorima replicò le parole di Akashi con la voce scossa dallo stupore.
«Sì, una lettera.»
«Destinata a chi?»
«A nessuno. Credo l'abbia scritta solo per sfogarsi.» Seijuurou fece una piccola pausa e adagiò la tazza vuota ma ancora tiepida sul tavolo «anzi, credo che lui voglia farci credere che l'abbia scritta per sfogarsi.»
Midorima aggrottò la fronte e rimase in silenzio per qualche attimo, poi sospirò flebilmente, massaggiandosi il mento pensieroso.
«Lui, chi? L'assassino? Non sei ancora convinto?»
«Se io fossi l'assassino e non mi volessi far scoprire cercherei di nascondere ogni traccia, giusto?»
Non appena Akashi lo interpellò, Midorima si guardò intorno e mormorò qualcosa di appena percettibile, come se il professore più severo del corpo insegnanti stesse interrogando un lui bambino su una materia impossibile.
«Shintarou, mi stai ascoltando?»
«Giusto ...»
«E allora perché aveva quella lettera in tasca? Credo che qualcuno voglia incastrarlo, e poi dicono che quella non corrisponde alla sua calligrafia.»
«E se fosse soltanto Himuro-san?» Midorima azzardò un'ipotesi, attirando l'attenzione di Akashi «se fosse stato Himuro-san ad uccidere Kuroko e stesse cercando di mettere in mezzo anche Murasakibara?»
«Per un'attenuazione di pena?»
«Sì, dopotutto di solito è chi si è sporcato le mani che ci rimette maggiormente.»
Akashi rilassò il busto contro lo schienale della sedia e annuì appena, senza mai scostare i propri occhi da quelli dell'altro: poteva anche avere ragione, ma nel frattempo, mentre Midorima discorreva e ragionava su come si potessero essere svolti i fatti, lui si costruiva pensieri suoi, riflessioni che avrebbe tenuto custodite nella sua mente ancora per un po' - o forse per sempre -.
«Oppure si tratta di Ryouta.»
Midorima smise improvvisamente di parlare e trattenne un sospiro rassegnato: Akashi lo aveva interrotto così bruscamente che era ovvio che non lo stesse neppure ascoltando, tanto era immerso nelle sue macchinazioni.
«Akashi, forse dovremmo lasciare che sia la polizia a risolvere la faccenda, non credo che Kise sia coinvolto.» possibile che volesse avere sempre e a tutti i costi ragione? Si ostinava ad accanirsi ancora su Kise nonostante avessero appena inchiodato Murasakibara e Himuro. In quel preciso istante, Shintarou pensò con un po' di sollievo che per fortuna Akashi era ossessionato da Kise piuttosto che da lui, altrimenti non lo avrebbe lasciato vivere.
«Shintarou.» Akashi lo chiamò, Midorima sollevò il proprio sguardo e si soffermò sugli occhi infernali dell'altro.
«Cosa c'è?»
Akashi rimase in silenzio per qualche istante, poi negò con un cenno del capo.
«Nulla, scusami.» infine si alzò con calma e lasciò che Midorima lo accompagnasse alla porta, congedandosi con poche parole di commiato.
In un primo momento aveva pensato di dirglielo, poi aveva capito che non gli sarebbe convenuto dichiarare le sue prossime mosse, neppure ad una persona riservata e matura come Midorima: dopotutto c'era un assassino fra loro, e Akashi credeva sinceramente che fosse ancora in libertà.
Appena uscito in strada inspirò profondamente, assaporando l'aria umida e fredda di febbraio; scavalcò alcune pozzanghere torbide; si fece strada fra i pedoni agitati e, infine, puntò verso il carcere: sarebbe andato a parlare di persona con Murasakibara.



Il sospiro di Aomine sembrò vibrare a causa del nervoso: Murasakibara e Himuro erano in carcere e sarebbero stati processati molto presto, le prove erano state raccolte e i colleghi si stavano assicurando che non ce ne fossero altre ispezionando le loro case, quindi che motivo aveva di essere così ansioso? Semplice: Akashi gli aveva come al solito messo la pulce nell'orecchio, lo aveva piegato con le proprie parole, era riuscito a renderlo succube e a fargli dubitare della colpevolezza di Murasakibara.
Anche in quel momento, seduto ai piedi del letto di Kise con la consapevolezza che i colpevoli erano stati arrestati e che bastava poco per rovinare la pace appena siglata, Aomine si ritrovò a sospettare del suo fidanzato. Le parole di Akashi continuavano a riecheggiare nella sua mente, quasi avrebbe voluto tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi e cominciare ad urlare per provare a scacciarle via: “da un primo esame la calligrafia risulta simile alla sua, è come se qualcuno l'avesse imitata.”.
Come se qualcuno l'avesse imitata.”: si ripeté mentalmente, sussultando non appena la voce dell'altro riecheggiò alle sue spalle e lo colse alla sprovvista.
«Sai, oggi ho chiamato Momoicchi-chan.» la voce di Kise si fece più vicina, le molle del letto scricchiolarono appena alle sue spalle «era davvero sconvolta, ma alla fine dovevamo aspettarcelo, no?»
Aomine brontolò appena, senza riuscire a staccare gli occhi dal pavimento.
«Doveva essere uno di noi.» Kise sospirò e le molle cigolarono di nuovo, il letto tremò leggermente.
«Dovresti chiamarla.»
La voce di Kise era così vicina al suo orecchio da farlo rabbrividire, ma il peggio era che non riusciva a capire se si trattava di piacere o di terrore.
Aomine brontolò nuovamente, incapace di rispondere per paura che il suo tono di voce tradisse i suoi pensieri sospettosi: niente era ancora certo, per quanto ne poteva sapere l'assassino era proprio alle sue spalle, magari stava progettando di ucciderlo proprio in quel momento.
«Devi essere stanco, vero Aominecchi?» quando le mani di Kise si adagiarono calde e delicate sulle sue spalle, però, il corpo di Aomine sembrò diventare improvvisamente più leggero: forse erano davvero Murasakibara e Himuro gli assassini, forse la questione si era già risolta e lui si stava preoccupando per niente.
«Rilassati.»
Kise adagiò dapprima il mento sul dorso della propria mano per stampargli un bacio sulla guancia, poi si sistemò per bene dietro di lui e con movimenti lenti e delicati cominciò a massaggiargli le spalle.
In quel momento, Aomine pensò che Kise con i massaggi riusciva a renderlo ancor più succube di quanto Akashi non fosse riuscito a fare con le proprie parole: dopotutto Ryouta possedeva il talento dell'imitazione e non lo usava solo nello sport, ma anche in tante altre cose che riusciva ad imparare in fretta e molto meglio di altri.
«Sono solo un po' confuso–» faceva perfino fatica a parlare per quanto era piacevole quel massaggio.
«Immagino, dopotutto fino a questa mattina sembrava un caso senza soluzione e invece sono spuntati addirittura due colpevoli.» le dita di Kise scivolarono fra le scapole dell'altro, massaggiando con più decisione.
«Tu pensi che sia vero?»
«Beh ...» Kise indugiò per qualche attimo, concentrandosi più sul massaggio che su altro «me ne intendo meno di te, Aominecchi, ma se dici che c'era quella lettera ...»
«Già, la lettera.»
Kise tornò a massaggiargli le spalle, spingendo di tanto in tanto le dita oltre, ad accarezzare le clavicole.
«Adesso però smettila di pensare al lavoro, ok?» gonfiò appena le guance e scostò le mani dalle sue spalle.
«Ehi, perché hai smesso?»
Kise non rispose e gli cinse le spalle con le braccia, baciandogli la guancia un paio di volte, per poi lasciare che Aomine si stendesse e adagiasse la testa sulle sue gambe.
Kise rimase ad osservarlo il silenzio, con le labbra increspate in un sorriso, quasi lo stesse contemplando; Aomine sostenne il suo sguardo e gli sfiorò la guancia col dorso della mano.
In quel momento sapevano entrambi che non c'era bisogno di parole, che l'intreccio dei loro sguardi bastava per placare ogni tormento: il sorriso di Kise si ampliò e Aomine gli prese il viso fra le mani, lo guardò ancora per qualche istante, poi lo trascinò a sé e lo baciò.



Angolo invisibile dell'autrice:

Francamente pensavo che di metterci molto più tempo a scrivere questo capitolo, ma a quanto pare il mio stile sta tornando un poco più scarno e non mi sono dilungata troppo sui particolari D:
Innanzitutto ringrazio tutte quelle che hanno commentato il quarto capitolo e chiedo scusa per non aver risposto alle recensioni >w<'' (vedrò di rispondere a quelle che lascerete per questo capitolo, ecco~)
Non c'è un capitolo in cui i nostri cari ragazzi non si scannino o non si angoscino, ma penso che sia normale, no?
Innanzitutto mi auguro di avervi fatto spaventare con l'improvviso cucù-settete (?) della pistola (ormai lo sapete che sono cattiva e mi piace farvi preoccupare, ma dopotutto devo cercare di farvi immedesimare il più possibile nella storia e mi piace molto aggiungere tanti colpi di scena, quindi dovete aspettarvelo dalla mia mente malata ùwù), e Akashi … boh, Akashi è un rompi cazzo assurdo in questa fanfiction, sembra me quando mi metto in testa di voler scoprire qualcosa, ma diciamo che fra tutti i personaggi della storia lui e Momoi sono i miei preferiti, sia per le varie comparse che per il ruolo che ricoprono.
Per il resto non ho niente da dire, anche perché se mi mettessi a parlare rischierei di mandare tutto a rotoli (?).
Al prossimo capitolo!




   
 
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